La parte è rimessa in termini in caso di ‘errore fatale’ ma non se c’è malfunzionamento del computer
29 Marzo 2023
Nel primo caso, un cittadino nigeriano, dopo aver formulato un'istanza di protezione internazionale, rigettata dalla competente Commissione Territoriale, avanzava ricorso al Tribunale che veniva dichiarato inammissibile perché tardivamente proposto.
Il ricorrente, nei numerosi motivi interposti, evidenziava che avrebbe meritato accoglimento l'istanza di rimessione in termini, a fortiori considerando i pochi minuti di ritardo che hanno segnato il completamento del ricorso.
Tale primo e assorbente motivo viene accolto dalla Prima sezione civile di Cassazione nella sentenza n. 6944 del 2023.
Viene richiamato l'orientamento per cui, in tema di deposito telematico di un atto processuale, la presenza, all'esito dei controlli della cancelleria, di un “errore fatale” che, pur non imputandosi necessariamente a colpa del mittente, esprime soltanto l'impossibilità del sistema di caricare l'atto nel fascicolo telematico, imponendo al cancelliere l'accettazione del deposito, oltre a consentirne l'eventuale rinnovazione con rimessione in termini, non determina effetti invalidanti, quando vi sia il pieno raggiungimento dello scopo, ai sensi dell'art. 156, comma 3, c.p.c. (da ultimo, Cass., Sez. lavoro, ordinanza n. 238/2023).
Sussiste per la Suprema Corte un errore cagionato da fatto impeditivo estraneo alla volontà della parte. Il sistema impiegava parecchi minuti a “caricare” la busta la telematica ed a completare la sua trasmissione al sistema; che pertanto le PEC relative alla accettazione, alla consegna ed anche all'esito dei controlli automatici, venivano generate pochi minuti dopo la mezzanotte, quanto orami la data era quella del giorno successivo. Risultano, pertanto, integrati, gli estremi della “causa non imputabile” e di un “errore fatale”.
La vicenda decisa dalla sentenza n. 6939 del 2023, riguardava l'opposto a un decreto ingiuntivo, il cui ricorso per cassazione stavolta è stato considerato tardivo. Per gli ermellini, la richiesta di rimessione in termini non può avere seguito poiché la decadenza del diritto di impugnazione non è riconducibile ad un fattore estraneo alla parte, che abbia i caratteri dell'assolutezza e che abbia causato in via esclusiva la tardività del gravame.
I ricorrenti sostengono che il tecnico intervenuto per risolvere un temporaneo malfunzionamento del computer, presumibilmente dovuto ad un virus informatico, nel tentativo di creare talune cartelle di archiviazione di posta elettronica, avrebbe inavvertitamente cancellato i messaggi di notifica del ricorso, comunque rimasti sul computer.
È però innegabile, per i giudici di legittimità, che la perdita dei files poteva essere prevista e prevenuta tramite la loro semplice copiatura su supporto rimovibile. Sotto altro profilo, si ricordano i precedenti arresti in cui le denunciate disfunzioni sarebbero state evitabili mediante la manutenzione periodica della casella di posta e l'installazione di un antivirus, in osservanza delle prescrizioni descritte dall'art. 20 del D.M. n. 44/2011. Il regolamento, concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nel disciplinare i requisiti della casella PEC del soggetto abilitato esterno, impone una serie di obblighi, tra cui quello di dotare il terminale informatico di software idoneo a verificare l'assenza di virus informatici nei messaggi in arrivo e in partenza, nonché di software antispam idoneo a prevenire la trasmissione di messaggi indesiderati (Cass. civ., n. 17968/2021).
L'importanza del processo civile telematico, implementato dalla Riforma Cartabia, impone agli avvocati una serie di adempimenti informatici per porsi al riparo da inaspettate inammissibilità. Proprio per tali ragioni, la specifica tecnica della massima sanzione processuale non può derivare, contrariamente a quanto si sostiene in Cassazione, da un atto non avente forza di legge ma solo di subordinata fonte secondaria.
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