Il PAT e gli effetti processuali della violazione dei relativi obblighi anche alla luce della Riforma Cartabia

Antonella Lariccia
30 Marzo 2023

Con la Riforma Cartabia il Legislatore ha introdotto, con riferimento alla Giustizia Civile ed ad interi settori della stessa finora sostanzialmente sottratti alla digitalizzazione quale ad esempio il contenzioso innanzi al Giudice di Pace, tutta una serie di disposizioni miranti al rafforzamento ed obbligatorietà della digitalizzazione e alla maggiore efficienza e sinteticità delle procedure, destinate tuttavia ad esplicare effetti abbastanza contenuti, quanto meno diretti, sul Processo Amministrativo Telematico.
Introduzione

L'art. 13, comma 1-ter, disp. att. c.p.a., espressamente prevede che “salvi i casi in cui è diversamente disposto, tutti gli adempimenti previsti dal codice e dalle norme di attuazione inerenti ai ricorsi depositati in primo o secondo grado dal 1º gennaio 2017 sono eseguiti con modalità telematiche, secondo quanto disciplinato nel decreto di cui al comma 1” (D.P.C.M. 16 febbraio 2016 ora D.P.C.S. 28 luglio 2021).

Per quanto concerne in particolare gli atti processuali, l'art. 136 c.p.a. stabilisce da un lato, al comma 2, l'obbligo espresso per difensori, per le parti che stanno in giudizio personalmente ed ausiliari del giudice di depositare tutti gli atti e i documenti con modalità telematiche e dall'altro, al comma 2 bis, prevede altresì che, salve le eccezioni espressamente previste nel comma precedente, “tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, del personale degli uffici giudiziari e delle parti sono sottoscritti con firma digitale”, stabilendo altresì, al successivo comma 2 ter l'obbligo per il difensore che depositi con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte, di un provvedimento del giudice o di un documento formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, di attestarne la conformità all'originale mediante l'asseverazione di cui all'articolo 22, comma 2, del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (CAD); la norma in esame sancisce espressamente l'equivalenza all'originale o alla copia conforme dell'atto o del provvedimento della copia munita dell'attestazione di conformità, e che nel compimento dell'attestazione di conformità i difensori assumono ad ogni effetto la veste di pubblici ufficiali.

Le norme testè citate testimoniano pertanto che, nel processo amministrativo, la rappresentazione di atti e fatti giuridicamente rilevanti, da sempre avvenuta con il tradizionale documento cartaceo, a decorrere dal 1 gennaio 2017 - in conformità con quanto previsto dal citato art. 13, comma 1-ter, disp. att. c.p.a – ha mutato radicalmente natura, e l'atto processuale è diventato un atto processuale informatico, cioè la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti, di cui all'articolo 1, comma 1, lett. p), del CAD, sottoscritto con firma digitale, o al più copia informatica di un documento nativo analogico di cui attestare la conformità all'originale ai sensi dell'art. 22 comma 2 del medesimo CAD, essendo confinata solo ad ipotesi residuali la possibilità di deposito ed utilizzo del cartaceo; peraltro, le norme tecniche del PAT ed in specie l'art. 11 dell'All. 1 al D.P.C.S., disciplinano espressamente i formati degli atti, dei documenti informatici e delle copie informatiche dei documenti analogici allegati agli atti del processo, nonché le modalità di deposito di atti, documenti e verbali, prevedendo in particolare all'art. 12 All. 2, tra l'altro, che “la struttura del documento con firma digitale è PadES-BES”, in conformità a quanto previsto per I provvedimenti del giudice dall'art. 7 dell'All. 1, che stabilisce che anch'essi siano redatti e depositati sotto forma di documento informatico, sottoscritto con firma digitale “in formato PAdES, nel rispetto delle disposizioni del CAD” (art. 5 All. 2 DPCS).

Le previsioni codicistiche, per come integrate dalle norme tecniche vigenti, stabiliscono pertanto espressamente e da tempo che l'intero processo amministrativo, non solo con riguardo alle forme di redazione e deposito di atti, documenti e provvedimenti, ma anche con riguardo ai registri, ai fascicoli processuali, alle comunicazioni ed alle attività di Segreteria connesse e necessarie per lo svolgimento del processo e la pubblicazione dei provvedimenti, siano effettuate con modalità telematiche, pur restando eccezionalmente ammessa la forma cartacea (art 136 comma 2-quater c.p.a.); di recente è stata peraltro introdotta anche il comma 4 bis dell'art 87 c.p.a. che stabilisce, per le udienze straordinarie dedicate allo smaltimento dell'arretrato, che le stesse siano svolte in camera di consiglio da remoto, secondo le modalità di cui all'art. 13 quater disp. Att. c.p.a. e All. 3 DPCS in quanto compatibili.

Gli effetti processuali della violazione degli obblighi del PAT. I contrasti della giurisprudenza

Nonostante le norme testè esaminate sanciscano espressamente l'obbligo di effettuare tutti gli adempimenti inerenti i ricorsi di primo e secondo grado depositati successivamente al 1 gennaio 2017 con modalità telematiche, non si rinviene nell'impianto codicistico una disciplina espressa e omnicomprensiva degli effetti processuali che conseguano alla violazione di tale obbligo; tale circostanza ha determinato una serie di contrasti nell'ambito della giurisprudenza amministrativa, proprio in ordine alle conseguenze derivanti dalla mancata osservanza degli obblighi sanciti dall'art 136 c.p.a. e dalle norme tecniche del PAT.

Si è visto, ad esempio, che l'art 136 comma 2 bis prevede espressamente che, salve le eccezioni espressamente previste nel comma precedente, “tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, del personale degli uffici giudiziari e delle parti sono sottoscritti con firma digitale” e che le regole tecniche di cui al DPCS contemplano unicamente la firma digitale PadES, a differenza di quanto previsto dalle regole tecniche di cui all'art. 11 d.m. 21 febbraio 2011, n. 44 (Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione).

L'art. 12, comma 1, lett. d), del provvedimento del Direttore generale DGSIA 16 aprile 2014, attualmente vigente, prescrive infatti negli atti processuali l'uso della firma «digitale o elettronica qualificata esterna» specificando al comma 2 che la struttura della firma è «PAdESBES (o PAdES Part 3) oppure CAdESBES», ammettendo pertanto espressamente entrambi i tipi di firma digitale.

Tuttavia, quanto alle conseguenze derivanti dal mancato uso della firma di tipo “PADES” pure espressamente prevista, in mancanza di una sanzione espressa, una parte della giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Basilicata, n. 160/2017) ha ritenuto inammissibile il ricorso sottoscritto con firma CAdES (evincibile dalla citazione «pdf.p7m») invece che con firma PadES, in considerazione, oltre che della formale violazione delle disposizioni degli Allegati 1 e 2 al d.P.C.S. 28 luglio 2021 che sanciscono l'obbligo del formato di firma digitale PAdES, anche della sostanziale illeggibilità della relativa documentazione, se non disponendo di uno specifico programma.

Tuttavia la maggioritaria giurisprudenza amministrativa (ex multis TAR Lazio, Roma, 25 maggio 2018 n 5912, Cons. Stato n. 744/2018 e T.A.R. Campania, Napoli, I, ord. n. 673/2018) argomentando sulla validità e valenza della sottoscrizione in formato CAdES, e sulla sua sostanziale parificazione al formato PAdES anche e soprattutto a livello di normativa comunitaria – oltre che sul rilievo che la mancata conformità alle norme tecniche del PAT quanto al formato della firma digitale non impedisce la validità della sottoscrizione ma può eventualmente rilevare ad altri fini (quale quello di rendere necessaria una eventuale regolarizzazione) -, ha già da tempo ritenuto comunque ammissibile il ricorso sottoscritto, notificato e depositato in formato CAdES, anziché PAdES, ferma al più l'esigenza di regolarizzazione quanto al deposito.

Dal canto loro le Sezioni Unite della S.C. (Cass., sez. Un., 24 settembre 2018, n. 22438; Cass., sez. VI-3, 8 giugno 2017, n. 14338 ) hanno già chiarito che in tema di processo telematico, a norma del richiamato art. 12 del decreto dirigenziale del 16 aprile 2014, di cui all'art. 34 del d.m. n. 44/2011, in conformità agli standard previsti dal Regolamento UE n. 910/2014 ed alla relativa decisione di esecuzione n. 1506/2015, le firme digitali di tipo “CAdES” e di tipo “PAdES” sono entrambe ammesse e equivalenti, mentre invece per la giurisprudenza citata è pacifico che l'atto introduttivo del giudizio redatto in formato elettronico e privo di firma digitale è radicalmente nullo, poiché detta firma è equiparata dal CAD alla sottoscrizione autografa, che costituisce, ai sensi dell'art. 125 c.p.c., requisito di validità dell'atto introduttivo redatto in formato analogico.

Quanto invece alla diversa ipotesi di ricorso redatto in modalità cartacea e sottoscritto con firma autografa del difensore e parimenti notificato alla parte appellata, la maggioritaria giurisprudenza amministrativa, partendo dal rilievo che né l'art. 136 c.p.a. citato né le specifiche tecniche contemplano una sanzione espressa in caso di mancata osservanza delle formalità ivi espressamente previste, ha ritenuto il medesimo meramente irregolare e non inesistente o nullo, giacché - pur non essendo conforme alle regole di redazione dell'art. 136, comma 2-bis, Cod. proc. amm. e dall'art. 9, comma 1, d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40 - non incorre in espressa comminatoria legale di nullità (art. 156, primo comma 1, Cod. proc. civ.) e ha comunque raggiunto il suo scopo tipico (art. 156, terzo comma 3, Cod. proc. civ), essendone certa la paternità e piana l'intelligibilità quale strumento finalizzato alla chiamata in giustizia e all'articolazione delle altrui relative difese: dal che consegue la sola oggettiva esigenza della regolarizzazione (cfr. Cons. Stato, sez. V ord. 4 gennaio 2018, n. 56, Cons. Stato, sez. V, ord. 24 novembre 2017, n. 5490; Sez. IV, 4 luglio 2017 n. 1541). Tale approdo, peraltro è stato di recente confermato dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (21 aprile 2022, n. 6), che ha ribadito come la predisposizione del ricorso in formato non digitale, ancorché non conforme alle citate disposizioni, non incorre in espressa comminatoria legale di nullità (ex art. 156, c. 1 c.p.c.), dal che ne consegue la sola oggettiva esigenza della regolarizzazione, anche laddove sia avvenuta la costituzione in giudizio della parte cui l'atto era indirizzato, con conseguente applicabilità del regime di cui all'art. 44, c. 2, c.p.a., che prevede la fissazione, da parte del giudice, di un termine perentorio entro il quale la parte deve provvedere alla regolarizzazione dell'atto, nelle forme di legge.

Va tuttavia evidenziato che il soprarichiamato principio espresso dall'Adunanza Plenaria non è stato ritenuto applicabile nell'ipotesi del deposito del ricorso mediante invio a indirizzo PEC erroneo, diverso da quello deputato a ricevere i ricorsi; è stato infatti osservato che, essendo il processo amministrativo un processo telematico in cui gli atti sono non solo formati, ma anche depositati, in modalità pressoché “esclusivamente” digitale, salve le eccezioni di cui ai c. 8 e 9 dell'art. 9 DPCS, legate al malfunzionamento del SIGA ovvero, a processo già incardinato, a specifiche e motivate ragioni tecniche, si è affermato che il deposito in modalità digitale del ricorso deve avvenire necessariamente all'indirizzo PEC specificamente abilitato a ricevere i ricorsi, non essendo idonea la spedizione a un diverso indirizzo PEC, ancorché del medesimo ufficio giudiziario, a determinare la pendenza del ricorso che, non prendendo un numero di registro generale, non può essere considerato un ricorso pendente davanti all'ufficio giudiziario, di cui possa essere investito il collegio giudicante e pertanto suscettibile di regolarizzazione (CGARS n. 707/2022).

E' stato altresì osservato che, se il ricorso non viene depositato correttamente, anche le eventuali attività di “soccorso” e “cortesia” da parte dell'ufficio giudiziario (segreteria e presidente) finalizzate vuoi a informare la parte della necessità di effettuare un nuovo deposito secondo le regole del PAT, vuoi a inserire direttamente il ricorso irritualmente depositato nella procedura del PAT, attengono, appunto, alla sfera della mera “cortesia”, inidonea a produrre effetti giuridici di rimessione in termini che altererebbero inammissibilmente il principio di parità delle parti processuali e le regole del contraddittorio (CGARS n. 707/2022 cit.).

Quanto, invece, alla procura speciale la giurisprudenza ha osservato che la stessa, in quanto atto proveniente dalla parte personalmente e non dal difensore, può essere redatta in formato cartaceo, come del resto consentito dall'art. 8, comma 2, All. 1 DPCS, rilevando soltanto, ai fini della regolarità, che, al momento del deposito, da effettuare in formato digitale, il difensore compia l'asseverazione dell'art. 22, comma 2, d.lgs. n. 82/2005 (cfr. Cons. Stato, sez. V, ord. 24 novembre 2017, n. 5490).

Peraltro, proprio con particolare riferimento al tema dell'asseverazione degli atti che costituiscono copia informatica di un documento nativo digitale, si sono registrate anche di recente pronunce di diverso tenore nell'ambito della giurisprudenza amministrativa.

L'orientamento generale ritiene che tutte le volte in cui sia consentito (come ad esempio per la procura alle liti ai sensi dell'art 8 comma 2 All. 1 DPCS) il deposito telematico della copia per immagine su supporto informatico di un documento nativo analogico, compiendo l'asseverazione prevista dall'art. 22, comma 2, del CAD con l'inserimento della relativa dichiarazione nel medesimo o in un distinto documento sottoscritto con firma digitale, ove tale asseverazione manchi, o non riguardi specificamente tutti i documenti in cui è necessaria, tale mancanza – al pari dell'ipotesi in cui un documento nativo digitale venga depositato con un formato diverso da quelli previsti nel DPCS (e sempre che il diverso formato non sia richiesto da specifiche disposizioni normative) - concreti una mera irregolarità che non determina di per sé alcuna inammissibilità, ferma l'esigenza di regolarizzazione (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 4286/2017, T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 4 ottobre 2021, n. 6195), da effettuarsi entro il termine perentorio all'uopo assegnato, con la comminatoria della declaratoria di irricevibilità del ricorso in caso mancata osservanza del termine stesso (cfr. T.A.R. Basilicata, 3 agosto 2020, n. 527; Cons. Stato, sez. III, 11 settembre 2017, n. 4286).

Tuttavia, non sono mancate anche di recente talune pronunce che hanno addirittura dichiarato inammissibile un ricorso a cagione della mancata asseverazione dei documenti allo stesso allegati (cfr. T.A.R. Lazio, sez. II-ter, 16 marzo 2022, n. 2998, 7 febbraio 2022, n. 1415).

Quanto invece al diverso aspetto della tempestività del deposito degli atti e dei documenti, è noto che l'art. 4 comma 4 disp. att. c.p.a. espressamente prevede “la possibilità di depositare con modalità telematica gli atti in scadenza fino alle ore 24:00 dell'ultimo giorno consentito. Il deposito è tempestivo se entro le ore 24:00 del giorno di scadenza è generata la ricevuta di avvenuta accettazione, ove il deposito risulti, anche successivamente, andato a buon fine. Agli effetti dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12:00 dell'ultimo giorno consentito si considera effettuato il giorno successivo”.

Sull'interpretazione da dare alle norme da ultimo richiamate si è registrato un contrasto tra diverse pronunce del giudice amministrativo.

Secondo infatti un primo orientamento (cfr. Cons. Stato, sez. III, 24 maggio 2018, n. 3136; C.G.A. 7 giugno 2018, n. 344) il deposito effettuato oltre le ore 12.00 dell'ultimo giorno utile ai fini del rispetto dei termini stabiliti dall'art. 73 c.p.a. dovrebbe considerarsi eseguito il giorno successivo, e sarebbe dunque tardivo; secondo invece un altro orientamento (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1° giugno 2018, n. 3309; Cons. Stato, sez. III, 6 agosto 2018, n. 4833) il deposito telematico potrebbe essere fatto fino alle ore 24.00 dell'ultimo giorno utile e dovrebbe essere considerato perfezionato e tempestivo con riguardo al giorno a prescindere dall'ora, mentre la previsione che fa slittare al giorno successivo i depositi effettuati oltre le ore 12.00 dell'ultimo giorno starebbe solo a significare che, per le controparti, i termini per contestare gli atti depositati oltre le 12.00 decorrono dal giorno successivo, a garanzia del loro diritto di difesa.

Altra giurisprudenza (cfr. TAR Toscana, sez. III, 4 gennaio 2019, n. 7) ha sostenuto che gli atti in scadenza possano essere depositati con modalità telematica fino alle ore 24.00 dell'ultimo giorno, sulla base della considerazione che il comma 2 dell'art. 4 disp. Att., citato ha mantenuto fermo il termine delle ore 12.00 dell'ultimo giorno utile per i soli casi in cui il codice prevede il deposito di atti o documenti sino al giorno precedente la trattazione di una domanda in camera di consiglio, mentre invece manca la previsione di un obbligo di depositare entro le ore 12.00 in vista dell'udienza pubblica.

Al contrario secondo un'altra pronuncia (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1137/2020) l'apparente antinomia, rilevabile tra il primo ed il terzo periodo dell'art. 4, comma 4, disp. att. c.p.a., va risolta nel senso che il termine delle ore 24.00 per il deposito degli atti di parte vale solo per quegli atti processuali che non siano depositati in vista di una camera di consiglio o di un'udienza di cui sia (in quel momento) già fissata o già nota la data; invece, in presenza di una camera di consiglio o di un'udienza già fissata, il deposito effettuato oltre le ore 12.00 dell'ultimo giorno utile è inammissibile.

Più di recente il Consiglio di Stato ha ribadito che il deposito telematico può, essere fatto fino alle ore 24.00 dell'ultimo giorno utile, ma se effettuato dopo le ore 12 l'ultimo giorno utile rispetto ai termini a difesa di cui all'art. 73 comma 1 c.p.a., si considera – ai soli fini della garanzia dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche – tardivo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 febbraio 2023, n. 1433, Cons. Stato, sez. IV, 18 maggio 2020, n. 3149; sez. IV, 2 ottobre 2019, n. 6621).

Il medesimo Giudice ha altresì sottolineato l'impossibilità, nella specie, di fare ricorso all'ìstituto della remissione in termini, in quanto istituto di stretta interpretazione, il cui uso eccessivamente ampio potrebbe comportare un irrimediabile vulnus al principio di parità delle armi tra le parti processuali, sotteso alla previsione di termini processuale perentori (Cons. Stato, sez. VI, 9 febbraio 2023, n. 1433 cit.).

Le innovazioni introdotte dalla c.d. Riforma Cartabia nel processo civile telematico

Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, che attua la riforma del processo civile delegata al Governo dalla l. 26 novembre 2021, n. 206 ha, tra l'altro e per quel che in questa sede rileva, introdotto nel codice di procedura civile e nelle relative disposizioni di attuazione, una serie di norme volte propriamente a disciplinare vari aspetti connessi al processo telematico.

In realtà un primo gruppo di interventi normativi riguarda il sistema delle notificazioni, con interventi apportati sia a disposizioni codicistiche (in specie gli artt. 136, 137, 139 e 147 c.p.c.) che alla l. n. 53/1994 e la rilevanza di tali modifiche nell'ambito del processo amministrativo deriva dalla previsione dell'art. 39, comma 2, c.p.a., ai sensi del quale «le notificazioni degli atti del processo amministrativo sono comunque disciplinate dal codice di procedura civile e dalle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in materia civile», salve ovviamente le previsioni legislative espressamente di senso contrario.

Ad esempio il d.lgs. n. 149/2022, nell'art. 3-ter, l. n. 53/1994, ha previsto espressamente la possibilità che la notificazione a soggetti privati avvenga a mezzo posta elettronica certificata o a mezzo di servizio elettronico di recapito certificato qualificato quando questi abbiano un indirizzo risultante da pubblici elenchi (art. 3-bis, l. n. 53/1994); per quanto questa innovazione riguardi le notificazioni degli atti processuali civili e, peraltro, nel processo amministrativo tale modalità è possibile, ma non doverosa, per espressa limitazione normativa, vi è da chiedersi se la stessa sia destinata ad impattare anche nella materia delle comunicazioni di Segreteria, rendendo possibile anche il ricorso alle modalità telematiche almeno nei confronti dei privati dotati di indirizzo risultante dai pubblici elenchi; la norma in questione ha comunque introdotto un nuovo comma 1 bis all'art. 3-bis, l. n. 53/1994, sancendo espressamente la validità della notifica effettuata ad un'Amministrazione presso l'indirizzo IPA, possibilità peraltro già riconosciuta in forza dell'art. 16-ter, comma 1-ter, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221 che – nel risolvere una lunga querelle giurisprudenziale – ha già ha previsto sin dal 17 luglio 2020 la possibilità per l'avvocato, ove l'indirizzo PEC della PA non sia presente nel registro PP.AA., di utilizzare quello indicato nell'IPA.

Il legislatore della riforma ha anche modificato l'ultimo comma dell'art. 136 c.p.c. (anche se non ha abrogato l'obbligo per il difensore di indicare il proprio numero di fax sancito dall'art. 125 c.p.c..), abolendo l'obsoleto uso del fax quale forma di comunicazione del biglietto di cancelleria - in caso di impossibilità di consegna dello stesso al destinatario secondo le forme ordinarie -, stabilendo in tal caso che il biglietto sia rimesso all'ufficiale giudiziario per la notifica, e c'è da chiedersi se anche tale previsione sia destinata ad impattare sulla previsione di cui all'art. 136 c.p.a. comma 1 e di cui all'art 13 comma 7 All. 1 e 13 comma 8 All. 2 d.P.C.S. 28 luglio 2021.

Si è già in precedenza evidenziato, peraltro, come l'art. 3-bis, l. n. 53/1994 come modificato dal d.lgs. n. 149/2022 ha stabilito il dovere, in capo all'avvocato che debba procedere alla notificazione degli atti giudiziari in materia civile e degli atti stragiudiziali, di eseguire la notificazione di tali atti a mezzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato, quando il destinatario sia un soggetto per il quale la legge prevede l'obbligo di munirsi di un domicilio digitale risultante dai pubblici elenchi, ovvero se questi abbia eletto domicilio digitale ai sensi dell'art. 3-bis, comma 1-bis CAD, iscritto nel pubblico elenco di cui all'art. 6-quater del CAD. La stessa norma prevede poi che ove la notificazione a mezzo posta elettronica certificata o a mezzo di servizio elettronico di recapito certificato risulti impossibile per causa imputabile al destinatario, se il destinatario è un'impresa o un professionista iscritto nell'indice INI-PEC, l'avvocato esegue la notificazione mediante inserimento a spese del richiedente nell'area web riservata prevista dall'art. 359, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (c.d. Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza), dichiarando la sussistenza di uno dei presupposti per l'inserimento ed in tal caso la notificazione si ha per eseguita nel decimo giorno successivo a quello in cui è compiuto l'inserimento; se invece il destinatario è una persona fisica o un ente di diritto privato non tenuto all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese, ma che ha eletto il domicilio digitale, allora l'avvocato esegue la notificazione con le modalità ordinarie.

Il legislatore delegato ha peraltro modificato anche l'art. 149-bis c.p.c. in tema di notifiche telematiche effettuate dall'ufficiale giudiziario, prevedendo anche in tal caso che il medesimo effettui la notificazione a mezzo posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato, anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo, quando il destinatario è un soggetto per il quale la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica o servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultante dai pubblici elenchi oppure quando il destinatario ha eletto domicilio digitale ai sensi dell'articolo 3 bis, comma 1-bis, del CAD.

Tali innovazioni testimoniano la possibilità, pertanto, che anche gli indirizzi di cui all'art 6-quater CAD possano essere usati anche senza il consenso degli interessati per effettuare le notificazioni degli atti processuali civili, mentre invece nel processo amministrativo, almeno in base alla lettera della norma (che limita espressamente la propria operatività ai soli atti giudiziari in materia civile e agli atti stragiudiziali), la notificazione a mezzo posta elettronica certificata o a mezzo di servizio elettronico di recapito certificato qualificato a soggetti privati è possibile, ma non doverosa, quando questi abbiano un indirizzo risultante da pubblici elenchi (art. 3-bis, l. n. 53/1994), e non è previsto che, nei confronti di un'impresa o un professionista iscritto nell'indice INI-PEC, possa perfezionarsi mediante inserimento nell'area web dedicata.

Il d.lgs. n. 149/2022 apporta anche qualche lieve correzione alla disciplina della notificazione degli atti cartacei, modificando anche l'art. 4, l. n. 53/1994, sulla possibilità per l'avvocato di notificare a mano gli atti processuali civili e amministrativi, nonché gli atti stragiudiziali, quando il destinatario sia un altro avvocato che abbia la qualità di domiciliatario della parte; in particolare, si prevede che tale forma di notificazione possa essere utilizzata, nella materia civile e stragiudiziale, solo fuori dai casi previsti dai commi 1 e 2 dell'art. 3 ter, di contestuale introduzione, vale a dire fuori dai casi in cui la notificazione a mezzo posta elettronica certificata o a mezzo di servizio elettronico di recapito certificato qualificato è obbligatoria.

Con particolare riferimento alla domiciliazione nel PAT va rammentato che l'art. 7, co. 1, lett. a), del d.l. n. 168/2016, così come modificato dalla l. conv. n. 197/2016, ha da tempo modificato l'art. 25 del c.p.a. relativo al domicilio delle parti, introducendo il co. 1-ter, che ha previsto come, a decorrere dall'1.1.2018, ai ricorsi soggetti alla disciplina del processo amministrativo telematico non si applichi la previsione (contenuta nel comma 1 della stessa norma) relativa alla domiciliazione ex lege delle parti in segreteria, e che pertanto il domicilio digitale (presso la p.e.c. dell'avvocato risultante dal RegIndE) costituisca ormai la regola generale, per quanto in un parere dell'Ufficio studi della giustizia amministrativa del 2018 sia stato affermato che l'elezione di domicilio fisico (in aggiunta al domicilio digitale) sia ancora ammissibile e giuridicamente rilevante, anche nel nuovo assetto normativo.

Oltre alle innovazioni in materia di notifiche telematiche, il citato d.lgs. n. 149/2022 ha proceduto all'abrogazione degli artt. 16-bis, 16-septies, 16-decies e 16-undecies d.l. n. 179/2012, ed alla collocazione della disciplina della giustizia digitale nel nuovo Titolo V-ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, con contestuale modifica “di coordinamento”, degli artt. 36 e 87 disp. att. c.p.c.; in particolare, con l'art. 196-quater disp. att. c.p.c., il legislatore delegato ha introdotto nel processo civile una norma generale in tema di obbligatorietà del deposito telematico degli atti di parte e dei provvedimenti del giudice, con la precisazione che, in considerazione della limitazione contenuta nella legge di delega ai soli documenti e atti «delle parti che sono in giudizio con il ministero di un difensore», non è stata prevista l'obbligatorietà del deposito telematico ai casi in cui la parte stia in giudizio personalmente.

Va però evidenziato che, al fine di incentivare il ricorso alle modalità telematiche anche nei casi in cui la parte stia in giudizio personalmente, il d.l. 24 febbraio 2023, n. 13 Disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) all'art 36 ha specificamente previsto, nei procedimenti civili di volontaria giurisdizione da svolgersi – a norma del comma 3 – presso gli uffici giudiziari da individuarsi con uno o più decreti aventi natura non regolamentare del Ministro della giustizia, per le persone fisiche che stanno in giudizio personalmente la facoltà di depositare gli atti processuali e i documenti con modalità telematiche avvalendosi del portale dedicato gestito dal Ministero della giustizia, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, nonché delle apposite specifiche tecniche da adottarsi con apposito decreto del direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia.

La norma prevede che, ove la parte decida di avvalersi di tale facoltà, il deposito si perfeziona esclusivamente con tali modalità e che gli atti processuali e i documenti depositati per il tramite del portale siano trasmessi all'indirizzo di posta elettronica certificata dell'ufficio giudiziario destinatario mediante l'indirizzo di posta elettronica certificata a tale scopo messo a disposizione dal Ministero della giustizia, ferma restando l'ulteriore facoltà, per la parte il cui indirizzo di posta elettronica certificata non risulta da pubblici elenchi, di manifestare la volontà di ricevere le comunicazioni e notificazioni relative al procedimento tramite il portale stesso.

Il nuovo Capo II del Titolo V-ter, disp. att. c.p.c., costituito dagli artt. dal 196-octies al 196-undecies c.p.c., poi, contiene le disposizioni relative alla certificazione di conformità delle copie, ed il legislatore delegato ha altresì provveduto a modificare l'art. 127 c.p.c., mediante l'aggiunta di un comma (il terzo ed ultimo) ai sensi del quale «il giudice può disporre, nei casi e secondo le disposizioni di cui agli articoli 127-bis e 127-ter, che l'udienza si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza o sia sostituita dal deposito di note scritte», con ciò generalizzando la previsione della possibilità di svolgimento da remoto delle udienze, rimessa ad una decisione del giudice, possibilità invece limitata nel PAT alle sole udienze straordinarie di smaltimento dell'arretrato (artt. 87 comma 4-bis c.p.a. e 13-quater disp. Att. c.p.a).

È stato tuttavia osservato in una recente Relazione dell'Ufficio Studi della GA che tali innovazioni introdotte nel PCT dalle norme di cui al nuovo Titolo Titolo V-ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile non sembrano destinate ad incidere più di tanto sul processo amministrativo, in quanto, in forza del combinato disposto dell'art. 13, disp. att. c.p.a., da un lato, e delle analitiche previsioni contenute nel d.P.C.S. 28 luglio 2021, dall'altro lato, il processo amministrativo telematico è già dotato di una disciplina autosufficiente, destinata a non essere modificata dalle recenti modifiche introdotte dal legislatore delegato; ciò salvo quanto previsto in tema di rilascio della copia autentica della formula esecutiva ai sensi dell'articolo 475 del codice di procedura civile, essendo stato eliminato dal legislatore delegato l'istituto dell'apposizione della formula esecutiva, quale elemento necessario per procedere all'esecuzione forzata.

La limitata operatività delle innovazioni introdotte dalla Cartabia sul PAT è evidente anche quanto al profilo del regime delle invalidità.

Al riguardo va evidenziato che il d.lgs. 149/2022 pur avendo introdotto la norma generale in tema di obbligatorietà del deposito telematico degli atti di parte e dei provvedimenti del giudice ed avendo previsto discipline dettagliate tese proprio a generalizzare l'utilizzo del PCT nel settore civile, non ha correlativamente previsto – al pari di quanto già osservato per il PAT – una disciplina organica delle conseguenze derivanti dalla mancata osservanza dei neo istituiti obblighi, essendosi limitato a prevedere una sorta di “disciplina di emergenza” per i casi in cui vi sia indisponibilità dei sistemi informatici e, all'art 46 disp. att. c.p.c. le conseguenze della mancata osservanza delle specifiche tecniche sulla forma e dei criteri e limiti di redazione degli atti processuali, sancendo peraltro espressamente che tale inosservanza non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo, con una previsione – pertanto – anche più limitata rispetto a quanto previsto per il PAT dagli artt. 120 c.p.a. e 13 ter disp. att. c.p.a., in tema di superamento dei limiti dimensionali stabiliti con decreto del presidente del Consiglio di Stato (originariamente d.P.C.S. 25 maggio 2015, n. 40, poi sostituito dal d.P.C.S. 22 dicembre 2016, n. 167, successivamente modificato con d.P.C.S. n. 127 del 16 ottobre 2017).

In conclusione. Gli effetti processuali della violazione degli obblighi imposti dal PAT alla luce della Cartabia e le ulteriori prospettive di riforma

Il legislatore, pur avendo fin dal 1° gennaio 2017 stabilito l'obbligo di effettuare tutti gli adempimenti previsti dal codice e dalle norme di attuazione inerenti ai ricorsi amministrativi di primo e secondo grado con modalità telematiche, non ha tuttavia presidiato tale obbligo con un correlativo ed organico sistema di sanzioni espresse per il caso di violazione dello stesso e tale scelta, pure evidentemente orientata a garantire quanto più possibile lo svolgimento del PAT in coerenza con il principio di libertà delle forme, del raggiungimento dello scopo e, in ultima analisi, dei dettami Costituzionali in tema di giusto processo e diritto di difesa, ha alimentato numerosi contrasti giurisprudenziali e, comunque, ha finito per depotenziare in qualche modo la portata delle innovazioni introdotte.

Di recente il Legislatore, nella consapevolezza dell'importanza della digitalizzazione ed al fine di assicurare la valorizzazione dei principi di semplicità, concentrazione, effettività della tutela e di ragionevole durata del processo, con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 ha introdotto, con riferimento alla Giustizia Civile ed ad interi settori della stessa finora sostanzialmente sottratti alla digitalizzazione quale ad esempio il contenzioso innanzi al Giudice di Pace, tutta una serie di disposizioni miranti al rafforzamento ed obbligatorietà della digitalizzazione e alla maggiore efficienza e sinteticità delle procedure, mutuando tuttavia – con riguardo al regime delle invalidità – la stessa impostazione seguita al riguardo dal PAT.

Tale impostazione può comportare che anche in campo civile si registrino gli stessi contrasti giurisprudenziali, in ordine alla corretta individuazione delle conseguenze nascenti dalla violazione degli obblighi imposti dalla normativa in questione e comunque testimonia la limitata operatività delle innovazioni introdotte dalla cd Riforma Cartabia sul PAT anche quanto allo specifico aspetto degli effetti processuali della violazione dei relativi obblighi.

Va tuttavia evidenziato che nel disegno di legge delega al Governo per la riforma fiscale che verrà tra breve sottoposto all'esame del Parlamento, con riferimento al contenzioso tributario, all'art 17 comma 1 lett b) figura espressamente al punto 4) “la previsione delle conseguenze processuali per la violazione dell'utilizzo obbligatorio delle modalità telematiche”, con ciò evidenziandosi se non altro una nuova sensibilità sul tema della necessità di regolamentare in qualche modo anche le conseguenze delle violazioni delle norme che impongono l'uso delle modalità telematiche, al fine di rendere effettiva l'implementazione dell'informatizzazione del contenzioso.