Licenziamento disciplinare: il giudice del lavoro, nella valutazione delle prove, è libero di discostarsi da una pronuncia penale assolutoria non definitiva

Francesca Siccardi
05 Aprile 2023

Furbetto del cartellino licenziato, ma assolto in sede penale. Vi è autonomia tanto tra giudizio disciplinare e giudizio penale, quanto tra processo civilistico a seguito di impugnazione del licenziamento e processo penale. Tuttavia, se sopraggiunge un giudicato penale assolutorio, la parte interessata può richiedere l'apertura del giudizio disciplinare, per conformarne gli esiti all'assoluzione definitiva".
Massima

La PA è libera di decidere, ai sensi dell'art. 55-ter D.lgs. n. 165/2001, se definire o meno in modo autonomo il procedimento disciplinare relativo a fatti per cui pena un procedimento penale; in caso di definizione autonoma, nel giudizio sull'impugnativa del licenziamento il giudice civile è libero di valorizzare, attraverso un'autonoma valutazione, gli elementi probatori che emergano dal procedimento penale, ben potendo giungere a conclusioni diverse da quelle raggiunte in quella sede.

Il caso

L'ASL Teramo ha contestato ad un suo dipendente, direttore di struttura complessa, la violazione dell'art. 55-quater D.lgs. n. 165/2001, in pendenza di un procedimento penale, per aver falsamente attestato la propria presenza in servizio e per avere tollerato, con condotta gravemente negligente, lo spregiudicato utilizzo del cartellino marcatempo da parte di suoi sottoposti.

A tale contestazione, poi, ha fatto seguito il licenziamento disciplinare per il solo capo di incolpazione della falsa attestazione in servizio con riferimento a due episodi, nei quali il dipendente, malgrado avesse attestato la presenza in servizio, era rientrato nella sua abitazione.

Il medico ha impugnato il licenziamento.

Il Tribunale ha rigettato il ricorso.

La Corte di Appello ha confermato la sentenza di primo grado. Nel corso del giudizio è intervenuta sentenza penale di assoluzione del dipendente, con la formula “perché il fatto non sussiste”, nella quale sono state trattate anche le circostanze fattuale su cui si è basato il licenziamento.

I Giudici di seconde cure hanno affermato, in via preliminare, come l'autonomia tra procedimento disciplinare e penale non conceda spazi ad automatismi, così non potendo ritenere che l'assoluzione in sede penale produca effetti in quella civilistica, nel senso di sminuire i fatti a mere dimenticanze o superficialità.

Inoltre, pur essendo la contestazione riferita a due soli episodi, la Corte territoriale ha ricostruito la vicenda inserendola nel più ampio quadro fattuale ed ha affermato, poi, l'irrilevanza della circostanza che, in concreto, il medico non avesse interesse a fare risultare la sua presenza sul luogo di lavoro, dal momento che spesso espletava le proprie mansioni fuori sede, giacché la contestazione stessa attendeva all'allontanamento privo di giustificazione rispetto ad esigenze di servizio. Da ultimo, da un punto di vista schiettamente probatorio, è stato dato rilievo ai pedinamenti effettuati dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini penali.

Avverso tale pronuncia il lavoratore ha proposto ricorso in Cassazione, affidando le proprie censure a due motivi di ricorso, cui ha resistito l'ASL.

La questione

La sentenza, seppur sintetica, offre una sorta di vademecum relativo ai rapporti tra giudizio penale e giudizio disciplinare, ai poteri di quest'ultimo nella valutazione delle prove ed ai vincoli nascenti da un giudicato in sede penale.

Il ricorrente, infatti, ha incentrato il ricorso su due motivi.

A suo dire la Corte di Appello avrebbe fatto erronea applicazione dell'art. 55-quater D.lgs. n. 165/2001, nonché degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in quanto non avrebbe vagliato la motivazione della sentenza penale di assoluzione perché il fatto non sussiste medio tempore intervenuta nei suoi confronti, giacché la stessa, seppur priva dell'effetto di giudicato, avrebbe comunque dovuto in qualche modo essere considerata, vieppiù considerando che la stessa ha escluso la sussistenza dell'uso fraudolento dei sistemi di rilevazione presenze.

Inoltre, la Corte avrebbe valorizzato fatti ulteriori, non compresi nell'atto di licenziamento, perciò esulanti dal thema decidendum.

Con il secondo motivo, invece, si denuncia la violazione dell'art. 55-quater D.lgs. n. 165/2001 e degli artt. 2697 c.c. e 115-116 c.p.c.: secondo il ricorrente sarebbe discutibile il fatto che la Corte di Appello abbia valorizzato solamente gli elementi probatori emersi in sede penale per sostenere la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie illecita e non già anche quelli a suo favore. Secondo la tesi del ricorrente, infatti, la valorizzazione dei medesimi elementi non potrebbe che portare ad analoghe conclusioni, vale a dire l'insussistenza di una sua responsabilità, anche in sede civile.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo infondati entrambi i motivi di censura.

Innanzitutto, è stato evidenziato come la sentenza impugnata abbia ben messo in evidenza sulla base di quali elementi di prova sia stata ritenuta sussistente la fondatezza dell'addebito disciplinare: la Corte di Appello, infatti, ha riconosciuto ampio valore probante alle annotazioni di Polizia Giudiziaria, consistenti anche in pedinamenti del lavoratore, ritenendo che questa attestassero fatti accaduti sotto la diretta percezioni degli Ufficiali che le avevano redatte.

Inoltre, nella sentenza gravata è stato vagliato il necessario tratto fraudolento delle attestazioni di presenza in servizio, pur avendo la Corte opinato nel senso di non attribuire rilevanza alla circostanza che il medico, operando spesso fuori sede, non avesse necessità di fare constare attestazioni diverse per rientrare nella propria abitazione, giacché tale profilo non può escludere il concreto carattere fraudolento della condotta.

Parimenti non vi sarebbe alcuna violazione della regola veicolata dall'art. 2697 c.c., avendo la Corte deciso la controversia non già sotto lo stretto profilo dell'assolvimento dell'onere probatorio, ma avendo ritenuto provati gli addebiti.

Il richiamo ad altri accadimenti, estranei all'incolpazione disciplinare, non atterrebbe, strictu sensu, alla fondatezza dell'addebito stesso, ma sarebbe stato effettuato al mero fine di contornare la vicenda nei suoi tratti concreti.

Quanto al profilo delle interferenze tra giudizio penale e disciplinare, la Corte di Cassazione ha ritenuto non condivisibile la prospettazione del ricorrente, in quanto una sentenza assolutoria – pur con la formula perché il fatto non sussiste – se non in giudicato non produce alcun automatismo probatorio. Infatti, a mente dell'art. 55-ter D.lgs. n. 165/2001, così come la PA è libera di definire in autonomia il procedimento disciplinare nella contestuale pendenza di procedimento penale per i medesimi fatti, parimenti è libero il giudice civile di apprezzare autonomamente gli elementi probatori emersi in quella diversa sede, pur potendo giungere a conclusioni diverse da quelle del giudice penale.

Infatti, come stabilito dall'art. 653 c.p.p. solo il giudicato vincola il giudice della questione disciplinare e non già la sentenza ancora impugnabile: opinare diversamente porterebbe al surrettizio ritorno alla pregiudiziale penale, da tempo abrogata.

Il giudice del lavoro, pertanto e fino a quando non sopraggiunga un giudicato penale, ha pieno potere di valutare in autonomia, secondo il proprio prudente apprezzamento, e di valorizzare o meno elementi emergenti dalla pronuncia penale, non essendo suscettibile di incorrere, per ciò solo, in un vizio nella valutazione degli elementi di prova.

Parimenti, il giudice del disciplinare non è neppure vincolato ad apprezzare un medesimo dato istruttorio con le medesime modalità ed in senso analogo al giudice penale: infatti, le inutilizzabilità sancite dall'art. 191 c.p.p. restano confinate al processo penale e non si estendono a quello civile, nel quale le prove potranno fare ingresso come prove atipiche. Tuttavia, resta fermo il divieto di accesso anche al processo dinnanzi al giudice civile di quelle prove la cui acquisizione abbia concretato una diretta lesione di interessi costituzionalmente garantiti della parte contro cui siano utilizzate.

La Corte di Cassazione, poi, ha evidenziato come il punto di caduta del sistema sia sancito dal comma 2 dell'art. 55-ter D.lgs. 165/2001, giacché laddove la PA abbia definito autonomamente il giudizio disciplinare irrogando una sanzione e poi sopravvenga una sentenza penale assolutoria che accerti che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale o che l'imputato non l'ha commesso, allora la stessa amministrazione, su istanza di parte da proporre a pena di decadenza entro sei mesi dall'irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento per conformarsi all'esito del giudizio penale stesso.

Osservazioni

La sentenza della Corte di Legittimità si pone nel solco, oramai consolidato, della giurisprudenza germogliata in merito alle sempre più frequenti vicende dei cd. furbetti del cartellino, che, trasversalmente, sono salite agli onori delle cronache nei più ampi settori della Pubblica Amministrazione.

E' noto come, a seguito della cd. Riforma Brunetta, il legislatore abbia posto attenzione al fenomeno, introducendo nel D.lgs. n. 165/2001 – cd. Tupi l'art. 55-quater, poi ritoccato nel 2016. Tale norma, per quanto di interesse, lasciando ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e le ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, prevede che “si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi: a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente…”.

La Corte Costituzionale ha precisato come detta previsione sia conforme alla Legge delle Leggi, giacché occorre procedere ad una sua interpretazione costituzionalmente orientata, in quanto, ferma la spettanza alle amministrazioni datoriali del potere di recesso nelle fattispecie disciplinari tipizzate, tuttavia il giudice dell'impugnazione ha il potere/dovere di sindacare la concreta proporzionalità del licenziamento, verificandone la qualità di ‘giusta sanzione' secondo il canone di cui all'art. 2106 codice civile.

L'articolo 55-ter, poi, si occupa dei rapporti fra il procedimento disciplinare e quello penale: a fronte della verificazione di fatti rientranti nella previsione normativa, l'Amministrazione, tenuta ad elevare l'addebito disciplinare, può procedere autonomamente all'istruttoria ed all'applicazione della sanzione oppure, in caso di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato e quando, all'esito dell'istruttoria non disponga di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale.

Quanto all'efficacia dell'intervenuta sentenza penale irrevocabile nel giudizio disciplinare, occorre fare riferimento all'articolo 653 c.p.p.: il primo comma si occupa degli effetti di una pronuncia assolutoria, che esplica effetti di giudicato anche in sede disciplinare, seppur limitatamente all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale o che l'imputato non l'ha commesso; il secondo comma, invece, stabilisce che la pronuncia irrevocabile di condanna esplica effetti in sede disciplinare limitatamente all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e alla commissione da parte del lavoratore.

Quid iuris nel caso in cui si abbia sentenza penale di assoluzione o condanna che non sia, però, passata in giudicato?

Come evidenziato dalla Corte di Cassazione, a fronte di una pronuncia penale non ancora definitiva il giudice del lavoro ha un potere pieno di sindacare autonomamente i fatti – quand'anche siano esattamente sovrapponibili a quelli oggetto del processo penale, essendo libero di effettuare le proprie valutazioni in piena libertà, secondo il proprio apprezzamento e secondo le regole tipiche del processo civile oppure di valorizzare gli esiti istruttori del processo penale.

Gli Ermellini, poi, hanno specificato come l'inutilizzabilità delle prove sancita dall'art. 191 c.p.p. operi solo in ambito penale e non riverberi i suoi effetti nel giudizio civile, nel quale potranno essere valutate come prove atipiche, in quanto le regole penalistiche del processo penale restano confinate in quel perimetro. Tuttavia, in ossequio ai principi costituzionali, ove una prova sia stata acquisita vulnerando interessi costituzionalmente protetti, allora la sua inutilizzabilità dovrà operare a 360 gradi, non potendo essere posta a fondamento di una decisione giudiziale, in qualunque sede assunta.

Riferimenti giurisprudenziali

Conformi:

Corte App. Genova, sez. lav., 4 luglio 2022, n. 159 in ordine alla condotta che integra gli estremi dell'ipotesi di cui all'art. 55-quater lettera a), D.lgs. n. 165/2001.

Cass., sez. lav., 24 maggio 2021, n. 14199 in ordine alla mancata integrazione dell'ipotesi di cui all'art. 55 quater lettera a) D.lgs. n. 165/2001 nel caso in cui la condotta non tragga in inganno il datore di lavoro.

Cass., sez. lav., 13 maggio 2021, n. 12942, Trib. Imperia, 2 marzo 2020, n. 37, in ordine alla necessità che il giudice effettui un giudizio di proporzionalità anche a fronte di tipizzazione legislativa della sanzione espulsiva.

Cass., sez. lav., 20 febbraio 2023, n. 5194 con riferimento all'autonomia tra giudizio penale e giudizio disciplinare avente ad oggetto i medesimi fatti; Cass., sez. lav., 2 gennaio 2020, n. 6 sulla natura imperativa dell'art. 55 ter D.lgs. n. 165/2001 e sulla non derogabilità ad opera della contrattazione collettiva.

Cass., sez. lav., 29 dicembre 2021, n. 41892 in ordine alla facoltatività della PA di sospendere il giudizio disciplinare nella pendenza di un procedimento penale

Quanto ai rapporti tra giudicato penale e procedimento disciplinare:

Cass., sez. lav., 13 dicembre 2022, n. 36456 in merito alla riapertura del procedimento disciplinare dopo il giudicato penale: la riapertura del procedimento disciplinare non comporta una violazione del principio del "ne bis in idem", poiché, qualora non venga sospeso, il procedimento disciplinare mantiene la qualità unitaria, seppur con articolazione in due fasi, e termina solo all'esito di quello penale, di talché la sanzione inflitta nella fase iniziale ha natura provvisoria e non esaurisce il potere della P.A. che, dopo il passaggio in giudicato della sentenza penale, in base agli identici fatti storici può infliggere una sanzione diversa e finale, che non si aggiunge alla prima, ma la sostituisce retroattivamente; Cass., sez. lav., 13 dicembre 2022, n. 36456 in merito alla non necessità che dal procedimento penale emergano elementi nuovi.