Sinistro stradale con lesioni di modesta entità: il danno morale va rigorosamente provato
11 Aprile 2023
Massima
La possibilità di invocare il valore percentuale del danno biologico, alla stregua di un elemento presuntivo suscettibile di (concorrere a) legittimare, in termini inferenziali, l'eventuale riconoscimento di un coesistente danno morale, deve ritenersi tanto più limitata quanto più ridotta, in termini quantitativi, si sia manifestata l'entità dell'invalidità riscontrata, attesa la ragionevole idoneità di fatti lesivi di modesta entità ad assorbire, secondo un criterio di normalità, e sempre salva la prova contraria, tutte le conseguenze riscontrabili sul piano psicologico, ivi comprese quelle misurabili sul terreno del c.d. danno morale.
Il caso
Il conducente di un motociclo, rimasto coinvolto in un sinistro stradale, conveniva in giudizio avanti il Giudice di Pace la proprietaria del veicolo antagonista e l'impresa designata per il FGVS al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti.
Il Giudice di Pace accoglieva la domanda del motociclista limitatamente al danno biologico temporaneo e permanente, quest'ultimo riconosciuto dal CTU nella misura 4%, e dichiarava, per quanto qui di interesse, la non risarcibilità del danno morale per mancanza di elementi dimostrativi idonei a comprovarne l'effettiva sussistenza.
Il Tribunale, adito dal motociclista, rigettava l'appello dallo stesso interposto confermando la decisione del giudice di prime cure.
Il motociclista ricorreva in Cassazione avverso detta sentenza. La questione
Nel caso di lesioni di modesta entità, è sufficiente a fondare la prova presuntiva della sussistenza del danno morale la generica allegazione di circostanze quali la “sofferenza” ed i “patimenti d'animo” derivati dal sinistro ovvero è necessaria una rigorosa allegazione e prova degli elementi dimostrativi idonei a superare, nel caso concreto, la ragionevole idoneità del danno biologico ad assorbire, secondo un criterio di normalità (e sempre salva la prova contraria), tutte le conseguenze astrattamente considerabili sul piano affettivo-emotivo? Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte, con l'ordinanza in commento, osserva, anzitutto, come la censura in esame, nella misura in cui si duole del mancato riconoscimento, da parte del Tribunale, del danno morale desumibile in via presuntiva in connessione alla riconosciuta sussistenza di conseguenze dannose lesive dell'integrità psicofisica del danneggiato (intese quale danno biologico), imponga una preliminare ricognizione del significato delle voci di danno evocate, segnatamente in considerazione dell'avvenuto rigetto, da parte dei giudici del merito, della domanda di liquidazione del danno morale proposta dal ricorrente, avendo quest'ultimo trascurato di fornirne un'adeguata dimostrazione.
A tal fine, ricorda la Suprema Corte, come, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, debba rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l'aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo in peius sulla vita quotidiana (c.d. danno esistenziale o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell'accertamento e della quantificazione del danno risarcibile - alla luce dell'insegnamento della Corte Costituzionale (sentenza n. 235/2014) e dell'intervento del Legislatore (artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni, come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4/8/2017 n. 124) - è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti (Cass. Civ., Sez. III, sentenza 17/1/2018, n. 901).
Pertanto, sul giudice del merito incombe l'obbligo di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze in peius derivanti dall'evento di danno, nessuna esclusa, e con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici ragion per cui, ai fini liquidatori, occorre procedere ad una compiuta istruttoria finalizzata all'accertamento concreto, e non astratto, del danno, dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, valutando distintamente, in sede di quantificazione del danno non patrimoniale alla salute, le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera interiore (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione) rispetto agli effetti incidenti sul piano dinamico-relazionale (che si dipanano nell'ambito delle relazioni di vita esterne), autonomamente risarcibili (Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 28/9/2018, n. 23469).
Con particolare riferimento, poi, all'uso delle presunzioni in materia di danno morale, prosegue la Suprema Corte, occorre considerare la necessità di sottrarsi ad ogni prassi di automaticità nel riconoscimento di tale danno in corrispondenza al contestuale riscontro di un danno biologico, attesa l'esigenza di evitare duplicazioni risarcitorie destinate a tradursi in un'ingiusta locupletazione del danneggiato, laddove quest'ultimo si sia sottratto - come rilevato dal giudice a quo nel caso di specie - a una rigorosa allegazione e prova di fatti idonei a supportare, sul piano rappresentativo, la prospettata sofferenza di conseguenze dell'illecito rilevabili sul piano del proprio equilibrio affettivo-emotivo.
Pertanto, pur quando rimanga aperta per il danneggiato la possibilità di dimostrare l'eventuale compresenza di conseguenze dannose contestualmente avvertibili, in ipotesi, su entrambi i piani del danno biologico e del danno morale (ossia di “diverse”conseguenze dannose concretamente “coesistenti”e correttamente collocabili sui due diversi piani), rimane, comunque, ferma la necessità che il danneggiato abbia a fornire la prova rigorosa, tanto della specifica “diversità”di tali conseguenze, onde evitare duplicazioni risarcitorie, quanto dell'effettiva “compresenza”di “entrambe”le serie consequenziali dedotte.
A tal fine, tuttavia, la possibilità di invocare il valore rappresentativo della lesione psico-fisica (in sé considerata come danno biologico) alla stregua di un elemento presuntivo suscettibile di (concorrere a) legittimare, in termini inferenziali, l'eventuale riconoscimento di un coesistente danno morale, dovrà ritenersi tanto più limitata quanto più ridotta, in termini quantitativi, si sia manifestata l'entità dell'invalidità riscontrata, attesa la ragionevole ed intuibile idoneità di fatti lesivi di significativa ed elevata gravità a provocare forme di sconvolgimento o di debordante devastazione della vita psicologica individuale (ragionevolmente tali da legittimare il riconoscimento della compresenza di un danno morale accanto a un danno biologico), rispetto alla corrispettiva idoneità delle conseguenze limitate a un danno biologico di modesta entità ad assorbire, secondo un criterio di normalità (e sempre salva la prova contraria), tutte le conseguenze riscontrabili sul piano psicologico, ivi comprese quelle misurabili sul terreno del c.d. danno morale.
Da tanto segue la ragionevole affermazione del principio declinabile sul piano probatorio secondo cui, al riconoscimento di danni biologici di lieve entità - come avvenuto nel caso di specie -, corrisponderà un maggior rigore nell'allegazione e nella prova delle conseguenze dannose concretamente rivendicate, dovendo ritenersi “normalmente”assorbite, nel riscontrato danno biologico di lieve entità (e salva la rigorosa prova contraria), anche le conseguenze astrattamente considerabili sul piano del c.d. danno morale.
Nel caso di specie la Suprema Corte, avendo il Tribunaleespressamente sottolineato la mancata rigorosa offerta, da parte del ricorrente, di elementi di prova o l'allegazione di circostanze o fatti diversi da quelli già considerati nella valutazione del danno biologico riscontrato, a tal fine non potendo ritenersi valorizzabili le circostanze solo genericamente ed astrattamente riferite alla “sofferenza” e ai “patimenti d'animo” derivati dal sinistro, apoditticamente ritenuti di entità tale da superare i limiti della soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale, dichiara infondata la censura con conseguente rigetto del ricorso e condanna del ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità. Osservazioni
La Suprema Corte conferma, anzitutto, il proprio consolidato orientamento in merito alla diversità “ontologica” del danno biologico dal danno morale (e, dunque, all'autonomo risarcimento di entrambi i pregiudizi laddove provati, caso per caso, con tutti i mezzi di prova normativamente previsti), intendendosi il primo come la lesione, medicalmente accertabile, all'integrità psico-fisica della persona che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato ed il secondo come la sofferenza intima e lo stato di afflizione conseguente alla lesione del suo diritto alla salute, accertabile con ricorso alle massime di esperienza ed alle presunzioni, che esplica un'incidenza negativa sul piano del proprio equilibrio affettivo-emotivo.
Osserva, poi, la Suprema Corte la necessità, al fine di evitare il rischio di una inammissibile duplicazione di risarcimento del medesimo pregiudizio attraverso l'automatico riconoscimento del danno morale in corrispondenza al contestuale riscontro di un danno biologico, che il danneggiato dimostri la “coesistenza” di entrambe le “diverse” ed “autonome” conseguenze dannose delle lesioni ossia il pregiudizio di cui è espressione il grado percentuale di invalidità permanente (incidente sulle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale) ed il pregiudizio di cui è espressione il turbamento, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione, la tristezza (incidente sull'intimo sentire), “unitariamente” liquidabili poiché “componenti” della medesima categoria del “danno non patrimoniale”.
Ciò, per la semplice ragione che non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale (danno morale), poiché non aventi base organica e, dunque, estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente ragion per cui, laddove sia dedotta e provata l'esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione trattandosi di danni ontologicamente differenti.
Sarà, poi, compito del giudice di merito valutare rigorosamente, sul piano della prova, tanto l'aspetto interiore del pregiudizio (danno morale), quanto il suo impatto modificativo in pejus sulla vita quotidiana (danno biologico), atteso che oggetto dell'accertamento e della quantificazione del danno risarcibile è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti.
E, poiché il danno morale attiene ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva assume un particolare rilievo e può costituire, anche, l'unica fonte di convincimento del giudice per cui sarà onere del danneggiato allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire quella serie concatenata dei fatti noti onde consentirgli di risalire al fatto ignoto e superare, definitivamente, l'erronea concezione del danno in re ipsa, secondo la quale il danno costituirebbe una conseguenza imprescindibile della lesione, tale da rendere sufficiente la dimostrazione di quest'ultima affinché possa ritenersi sussistente il diritto al risarcimento (Cass. Civ., sez. III, 10 novembre 2020, n. 25164; Cass. Civ., SS.UU., 11 novembre 2008, n. 26972).
Pertanto, oggetto di allegazione dovranno essere i fatti primari, ovvero i fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno e, con specifico riguardo alle conseguenze pregiudizievoli causalmente riconducibili alla lesione del diritto alla salute, l'attività assertoria dovrà consistere nella compiuta descrizione di tutte quelle sofferenze ed afflizioni interiori di cui il danneggiato pretende la riparazione senza, tuttavia, che ad un puntuale onere di allegazione corrisponda, necessariamente, un altrettanto puntuale onere probatorio ben potendo il giudice ricorrere al ragionamento presuntivo fondato sulle massime di esperienza specie nella materia del danno non patrimoniale e, segnatamente, in tema di danno morale (Cass. Civ., Sez. III, 10 novembre 2020, n. 25164).
Del resto, esiste, nel territorio della prova dei fatti allegati, un ragionamento probatorio di tipo presuntivo, in forza del quale al giudice è consentito di inferire, con ricorso alle massime di esperienza (talvolta, erroneamente, categorizzate “fatto notorio” per indicare il presupposto di tale ragionamento inferenziale benché i fatti notori siano circostanze storiche concrete ed inoppugnabili, non soggette a prova e, pertanto, sottratte all'onere di allegazione) l'esistenza di un certo pregiudizio in tutti i casi in cui si verifichi una determinata lesione (Cass. Civ., Sez. III, 12 maggio 2021, n. 12681).
Tant'è che, la massima di esperienza può essere anche da sola sufficiente a fondare il convincimento del giudice, non operando sul terreno dell'accadimento storico, ma su quello della valutazione dei fatti, in quanto regola di giudizio basata su leggi naturali, statistiche, di scienza o di esperienza, comunemente accetta in un determinato contesto storico-ambientale, la cui utilizzazione nel ragionamento probatorio e la cui conseguente applicazione risulta doverosa ravvisandosi, in difetto, illogicità della motivazione (Cass. Civ., Sez. III, 10 novembre 2020, n. 25164).
Del resto, anche il parametro “standard” di valutazione che è alla base del sistema delle tabelle di liquidazione del danno alla salute, è il distillato di un “ragionamento presuntivo” fondato sulle “massime di esperienza” secondo cui ad un certo tipo di lesione corrispondono, secondo l'id quod plerumque accidit, determinate menomazioni dinamico-relazionali, per così dire, “ordinarie” (Cass. Civ., Sez. III, 10 novembre 2020, n. 25164).
Tale strumento di giudizio consente, peraltro, di evitare che la parte si veda costretta, nell'impossibilità di provare il pregiudizio del proprio equilibrio affettivo-emotivo, ovvero della condizione di afflizione psicologica in cui si è venuta a trovare in seguito alla lesione subita, ad articolare estenuanti capitoli di prova relativi al significativo mutamento in pejus del proprio stato d'animo interiore da cui possa inferirsi la dimostrazione del pregiudizio patito, con la conseguenza che un attendibile criterio logico-presuntivo funzionale all'accertamento del danno morale, quale autonoma componente del danno alla salute, è quella della corrispondenza, su una base di proporzionalità diretta, della gravità della lesione rispetto all'insorgere di una sofferenza soggettiva: tanto più grave, difatti, sarà la lesione della salute, tanto più il ragionamento inferenziale consentirà di presumere l'esistenza di un correlato danno morale inteso quale sofferenza interiore, morfologicamente diversa dall'aspetto dinamico relazionale conseguente alla lesione stessa (Cass. Civ., Sez. III, 10 novembre 2020, n. 25164).
E', allora, evidente, come la sofferenza soggettiva interiore debba essere rigorosamente allegata e provata, sia pure per presunzioni secondo nozioni di comune esperienza, nella sua specificità e non formulata genericamente ed in astratto con formule di “stile” quale la “sofferenza psichica e il patema d'animo subiti a seguito del sinistro”, tanto più nel caso di lesioni modeste che non consentono al giudice di merito di inferire, attraverso un ragionamento probatorio di tipo presuntivo, la sussistenza del danno morale essendo ragionevole ritenere, secondo criteri di normalità basati su massime di esperienza, che, di regola e salva rigorosa prova contraria di circostanze o fatti diversi ed ulteriori rispetto a quelli già considerati nella valutazione del danno biologico riscontrato, a lesioni di lieve entità non conseguono forme di sconvolgimento o di devastante turbamento dell'equilibrio affettivo-emotivo.
Ciò significa che la possibilità di invocare il grado di invalidità permanente quale elemento presuntivo per consentire al giudice di inferire l'eventuale sussistenza di un coesistente danno morale non potrà ritenersi sufficiente se non limitatamente ai fatti lesivi di significativa ed elevata gravità (i quali soli costituiscono quell'elevato valore indiziario da consentire al giudice di ritenere fondata la domanda) essendo “ragionevolmente” presumibile che da lesioni gravi derivino conseguenze intime gravi (Cass. Civ., Sez. III, 29 febbraio 2016, n. 3893).
Tant'è che, l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità è dell'avviso che la liquidazione del danno morale non possa che avvenire secondo un “attendibile” criterio logico-presuntivo che si fonda sulla corrispondenza di una proporzionalità diretta della gravità della lesione rispetto all'insorgere di una sofferenza soggettiva, giacché tanto più grave risulta la lesione della salute, tanto più il ragionamento inferenziale consentirà di presumere l'esistenza di un correlato danno morale inteso quale sofferenza interiore, morfologicamente diversa dall'aspetto dinamico-relazionale conseguente alla lesione stessa (Cass. Civ., Sez. VI, 13 aprile 2022, n. 12600; Cass. Civ., Sez. III, 10 novembre 2020, n. 25164)
Pertanto, e specularmente, nel caso di lesioni di modesta entità idonee ad assorbire, secondo un criterio di normalità (e sempre salva la prova contraria), tutte le conseguenze riscontrabili sul piano psicologico, occorrerà un maggior rigore nell'allegazione e prova dei pregiudizi che integrano il danno moralenon potendosi desumere dalla sola natura ed entità di dette lesioni la sussistenza di quella “afflittività” del danno idonea a superare la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale per cui sarà necessario (anche nel caso di lesione di diritti costituzionali inviolabili, presieduti dalla tutela minima risarcitoria) che la lesione sia grave, ossia eccedente un grado minimo di offensività, e che il danno non sia futile, ossia irrisorio o insignificante secondo la coscienza sociale, come, peraltro, la giurisprudenza ha in più occasioni riaffermato (Cass. Civ., Sez. III, 16 dicembre 2014, n. 26367; Cass. Civ., Sez. III, 4 giugno 2009, n. 12885; Cass. Civ., Sez. III, 9 aprile 2009, n. 8703).
In conclusione, nel caso di riconoscimento di danni biologici di lieve entità, sarà richiesto al danneggiato un maggior rigore nell'allegazione e prova, sia pure per presunzioni, del dolore, disagio, sofferenza e patimenti d'animo conseguenti alla malattia ed alla lesione dell'integrità fisica, non sussistendo alcuna automaticità, parametrata al danno biologico patito, delle conseguenze dannose sul piano affettivo-emotivo, dovendo ritenersi, al contrario, “normalmente”assorbite, nel riscontrato danno biologico di lieve entità con la conseguenza che, anche in presenza della lesione di diritti inviolabili, non è ipotizzabile il risarcimento del danno non patrimoniale in mancanza della sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell'interesse leso. D. Spera, Lesioni micro permanenti e liquidazione del danno non patrimoniale in Ius responsabilità civile (IUS.giuffrefl.it); D. Spera, Risarcimento del danno non patrimoniale in Ius responsabilità civile (IUS.giuffrefl.it); D. Spera, L. Ventriglia, Danno alla persona in Ius responsabilità civile (IUS.giuffrefl.it).
|