I rapporti tra P.M. e polizia giudiziaria in tema di intercettazioni: l'analisi del dato normativo e delle prassi
13 Aprile 2023
La valutazione del rapporto che la riforma delle intercettazioni ha determinato tra la polizia giudiziaria e il pubblico ministero deve partire dall'analisi del differente approccio che nel corso della riforma il legislatore ha espresso in relazione alla possibilità di trascrivere gli esiti delle captazioni. La legge delega 103/2017, n. 103 e il d.lgs. 216/2017, n. 21 avevano previsto un sistema di valutazione preventiva della rilevanza dei risultati delle intercettazioni, per escludere quelle non necessarie ai fini investigativi fin dalla fase dell'ascolto e creare una distinzione tra il materiale rilevante - destinato a confluire nel fascicolo delle indagini e poi in quello del dibattimento - e quello non rilevante, destinato a essere custodito nell'archivio riservato. Con l'art. 268 comma 2-bis c.p.p. era stato introdotto un vero e proprio divieto di trascrizione, anche sommaria, delle conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini, ovvero concernenti dati personali sensibili, fin dalla fase della captazione. Al proposito nell'art. 268 c.p.p. dopo il comma 2 erano stati inseriti i seguenti commi: «2-bis. È vietata la trascrizione, anche sommaria, delle comunicazioni o conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini, sia per l'oggetto che per i soggetti coinvolti, nonché di quelle, parimenti non rilevanti, che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge. Nel verbale delle operazioni sono indicate, in tali casi, soltanto la data, l'ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta. 2-ter. Il pubblico ministero, con decreto motivato, può dispone che le comunicazioni e conversazioni di cui al comma 2-bis siano trascritte nel verbale quando ne ritiene la rilevanza per i fatti oggetto di prova. Può altresì disporre la trascrizione nel verbale, se necessarie a fini di prova, delle comunicazioni e conversazioni relative a dati personali definiti sensibili dalla legge». L'attuale art. 268, comma 2-bis, c.p.p. ha eliminato il divieto di trascrizione originariamente previsto nella riforma, delineando la necessità di una fisiologica selezione preventiva delle captazioni, in precedenza affidata esclusivamente alla prassi seguita presso ciascuna Procura. La Relazione presentata il 31.12.2019 alla Camera dei Deputati al riguardo ha precisato: «La necessaria tutela della riservatezza anche nella fase della verbalizzazione…. ha indotto a sostituire il meccanismo di selezione da parte della polizia giudiziaria delle intercettazioni non utilizzabili con un dovere di vigilanza del pubblico ministero, affinché non siano trascritte in sede di verbalizzazione conversazioni o comunicazioni contenenti espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, sempre che non si tratti di intercettazioni rilevanti ai fini delle indagini. Al comma 4 dell'articolo 267 c.p.p., l'ultimo periodo è soppresso, eliminando così la previsione in materia di attribuzioni della polizia giudiziaria che aveva destato le maggiori perplessità. Si è sostenuto infatti, al di là della difficile applicazione operativa e della duplicazione delle attività di documentazione, che la previsione spogliasse il pubblico ministero procedente delle prerogative solo a lui attribuite di valutare la rilevanza o meno di quanto intercettato». Si tratta, sostanzialmente, di una soluzione di compromesso. Da un lato non si introduce un divieto di trascrizione e tanto meno si delega in toto la facoltà di selezione preventiva alla P.G.; dall'altro, si forniscono delle indicazioni normative che, integrate con le specifiche indicazioni provenienti dal P.M., dovrebbero meglio guidare la P.G. nell'individuare tempestivamente le conversazioni irrilevanti (cfr. Relazione del Massimario sulla riforma delle intercettazioni di cui al d.l. 161/2019, convertito con l. 7/2020, 35/2000). Il nuovo ruolo del P.M.: le indicazioni
In base all'art. 268 comma 2-bis c.p.p.: «Il pubblico ministero dà indicazioni e vigila affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini». Si è voluto riportare il P.M. al centro delle scelte, non solo in relazione alla conduzione delle indagini, ma anche in relazione alla tutela in concreto dei diritti dei soggetti privati in relazione al bene riservatezza. Il punto è che esigenze di indagine e riservatezza non sono gli unici fattori dell'equazione che il legislatore era chiamato a risolvere, dovendo tenere conto anche delle esigenze difensive e del diritto di informare e di essere informati. Un equilibrio, in sostanza, non facile da individuare. La legge non fornisce indicazioni specifiche su come il P.M. dovrebbe procedere in tema di indicazioni e vigilanza. Molti i dubbi che possono essere posti al riguardo. Le indicazioni sono verosimilmente di competenza del Procuratore della Repubblica o al più possono essere delegate ai singoli Aggiunti. Devono essere contenute in direttive generali da applicare a tutti i procedimenti o esiste un potere-dovere del singolo P.M. di fornirle e/o integrare quelle generali? Una ricognizione nella prassi di alcuni uffici di rilevanti dimensioni (Torino, Milano, Roma, Bologna, Firenze, Napoli, Bari) consente di affermare che circolari generali sulla riforma della disciplina delle intercettazioni sono state emanate ma non sono particolarmente dettagliate sul punto. Soprattutto, non sono state reperite indicazioni di massima per “categorie” di reati, ossia indicazioni generali in rapporto alle indicazioni specifiche correlate ad alcune ipotesi criminose. Potrebbero essere utili tali indicazioni? In concreto: tra le circolari generali e astratte e le indicazioni sul singolo procedimento, esistono macrocategorie che potrebbero giustificare indicazioni specifiche? Sul tema, ancora la Relazione del massimario, citata, precisa «…… indicazioni contenute in circolari generali ben difficilmente potranno tener conto delle specificità della singola indagine e delle captazioni che in quel determinato contesto potranno porre il problema della rilevanza e della necessità della trascrizione. Quanto detto consente di affermare che, pur in mancanza di una norma che imponga al pubblico ministero di adottare specifiche indicazioni ex art. 268, comma 2-bis, c.p.p. per ciascun procedimento e dovendosi, pertanto, ritenere sufficiente l'adozione di circolari generali, nulla esclude che tali indicazioni possano essere adeguatamente specificate ed integrate con riguardo a quei procedimenti che, per argomenti, oggetto di indagine e soggetti coinvolti, dovessero richiedere una maggiore e specifica attenzione al rispetto della riservatezza e della tutela dei dati sensibili». Si pensi, al riguardo al settore della criminalità organizzata, della pubblica amministrazione, agli abusi su minori, ai maltrattamenti e agli atti persecutori, al riciclaggio, ai reati in ambito societario/fallimentare: settori per i quali potrebbe essere possibile individuare criteri di massima da seguire, fermO restando il potere/dovere del titolare del procedimento di adeguare le stesse alla specificità del singolo procedimento. La vigilanza
La vigilanza alla quale è tenuta il P.M., stante la natura dell'attività richiesta, è demandata al P.M. titolare del procedimento. La stessa deve ritenersi finalizzata:
Si tratta di obiettivi per raggiungere i quali si rende necessaria una «interlocuzione costante, anche informale (secondo quanta solitamente avviene nella fase delle indagini preliminari, ossia in una fase per sua natura non inquadrabile in rigidi e schematici protocolli), del P.M. con gli organi di P.G. delegati alle operazioni, onde evitare che nei c.d. "brogliacci" di ascolto o verbali di trascrizione sommaria sia documentato il contenuto di conversazioni manifestamente irrilevanti o inutilizzabili». Nella prima versione della riforma, in base all'art. 267 c.p.p., era stabilito che gli ufficiali di P.G. avrebbero dovuto provvedere a norma dell'art. 268, comma 2-bis c.p.p., «informando preventivamente il pubblico ministero con annotazione sui contenuti delle comunicazioni e conversazioni». Una disposizione soppressa alla luce dell'esigenza di evitare di spogliare il P.M. delle prerogative, al medesimo attribuite, di valutare la rilevanza o meno di quanto intercettato. Quale avrebbe dovuto essere il contenuto di tali annotazioni? Come si sarebbero collocate rispetto al divieto di trascrizione, anche sommaria, del contenuto delle comunicazioni e conversazioni? Precisava la relazione illustrativa alla riforma: «Tra il materiale oggetto di deposito sono comprese le annotazioni a cui la polizia giudiziaria è tenuta per informare il pubblico ministero sui contenuti di conversazioni che potrebbero, data la loro irrilevanza, essere non trascritte in verbale. L'esame di tali annotazioni costituisce un utile strumento orientativo per le difese, che possono più agevolmente esaminare, data la nuova struttura dei verbali, il materiale registrato». Per la riforma “Orlando”, pertanto, il divieto di trascrizione era corroborato dalla previsione di una tempestiva informazione al P.M. del materiale non trascritto. L'abrogazione di tale previsione impone di valutare come il P.M. debba essere informato perché possa svolgere l'attività di vigilanza, in ordine alle conversazioni potenzialmente non suscettibili di trascrizione, atteso che la vigilanza attiene al materiale intercettato nel singolo procedimento. La domanda, forse, è diversa e più semplice. Rispetto al sistema precedente, cos'è cambiato? Forse solo le forme. Di fatto - ma tutti gli addetti ai lavori questo lo sanno - il P.M. non può vigilare in concreto su tutto; se si dedicasse a questo, non potrebbe svolgere - in molti casi - altre attività. Il controllo del P.M. sulle intercettazioni di cui non va disposta la trascrizione sarà limitato ai soli casi in cui la P.G. riterrà dubbia la possibilità di procedere alla trascrizione. Al proposito, le circolari della Procure forniscono - in molti casi - indicazioni preventive alla P.G., specificando non solo i casi in cui la trascrizione non va effettuata, ma anche tempistica e modalità di comunicazione con il pubblico ministero, al fine di rendere effettiva l'attività di vigilanza imposta dal novellato art. 268, comma 2-bis c.p.p., tenendo presente che non esiste più un divieto espresso e inequivoco alla trascrizione, quanto una formula da interpretare. Non solo: se è vero che il P.M. vigila «affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive», quali sono le conseguenze se le stesse sono riportate? Quali sanzioni sono previste? Non possiamo parlare di nullità/inutilizzabilità, mancando un richiamo all'art. 271, comma 1, c.p.p.; ci troviamo di fronte, pertanto, a una irregolarità processuale, in quanto tale non produttiva di effetti in ordine alla validità dell'acquisizione probatoria, eventualmente rilevante solo sotto il profilo disciplinare ai sensi dell'art. 124, comma 1, c.p.p. Non si può dimenticare, inoltre, che la prova acquisita mediante le intercettazioni è quella documentata con la registrazione. Il contenuto della trascrizione non può inficiare il valore probatorio del dato registrato. Cosa si intende per espressioni lesive della reputazione delle persone” o relative a dati personali sensibili? Le “espressioni” sono le formule espressive utilizzate (e allora il contenuto potrebbe essere riportato, in altro modo) oppure anche il contenuto in senso stretto? Con la prima opzione si corre il rischio di svuotare il precetto della norma. Per la Relazione del massimario «appare preferibile un'interpretazione logico-sistematica dell'art. 268, comma 2-bis, c.p.p., sulla base della quale ritenere che la selezione vada operata in considerazione del contenuto della conversazione e non già con riguardo alle mere “espressioni” impiegate». La rilevanza ai fini delle indagini
L'art. 268 comma 2-bis c.p.p., attribuisce al P.M. la facoltà di disporre la trascrizione delle conversazioni che la medesima norma esclude in via generale laddove le stesse risultino rilevanti ai fini delle indagini. Si tratta di un bilanciamento tra l'esigenza alla riservatezza e quella alla completezza delle indagini preliminari, che consente a queste ultime di prevalere in caso di conflitto. In concreto, quando la rilevanza prevale sul divieto di trascrizione? E inoltre, si tratta della stessa rilevanza di cui all'art. 268 comma 6 c.p.p.? Evidentemente no. La “rilevanza” del comma 2-bis è applicata nel corso delle indagini preliminari, in un momento in cui l'individuazione dei fatti potenzialmente utili ai fini di prova è ancora in divenire. Il vaglio sulla rilevanza può essere meno rigoroso e deve essere calibrato sulle esigenze investigative in atto, potenzialmente aperte a sviluppi non facilmente delineabili nel loro evolversi. Al contrario, la rilevanza cui si dovrà attenere il giudice nell'escludere le intercettazioni ai sensi dell'art. 268, comma 6, c.p.p. - atteso che tale selezione avviene, di norma, ad indagini concluse o quanto meno ad intercettazioni concluse - quando è possibile compiere una valutazione in ordine all'effettiva utilità probatoria dei risultati delle captazioni che può essere proiettata già nell'ottica del giudizio e non espressiva delle sole esigenze investigative (cosi la Relazione del Massimario). Specie nelle indagini ad ampio raggio (in materia di criminalità organizzata, di reati finanziari o anche di pubblica amministrazione) di frequente la rilevanza di una singola conversazione può emergere in una fase ulteriore dell'indagine, così che una mancata indicazione del contenuto sui brogliacci (sui quali deve comparire, se giudicato in un primo momento relativa a conversazioni non rilevanti, solo data, ora e dispositivo su cui la registrazione è intervenuta) potrebbe rendere, se non impossibile, molto difficile tale rivalutazione. La mancata indicazione, quantomeno sommaria, del contenuto di molte conversazioni nei brogliacci imporrà alla difesa, a tempo debito, un ascolto generalizzato delle tracce; una scelta certamente percorribile ma indubbiamente onerosa e, per vari aspetti, rischiosa. Anche per la pubblica accusa. La previsione del comma 2-bis c.p.p. fornisce un criterio selettivo – ancorato alla rilevanza della conversazione ai fini delle indagini – che di per sé si presta ad un'interpretazione lata. In fase di indagine anche conversazioni dal contenuto prettamente personale possono assumere rilievo, anche solo per accertare il grado di conoscenza e frequentazione tra i soggetti intercettati. In alcune materie, poi, la ricostruzione dei rapporti personali, nelle loro varie sfaccettature, difficilmente potrebbe essere ritenuta “non rilevante” (es. rapporti familiari e interpersonali). Esiste un rischio - a fronte di una non particolare utilità probatoria - di andare incontro, con trascrizioni troppo “ampie” a rilevanti lesioni alla riservatezza delle persone coinvolte? Non si può escludere, ma peggio sarebbe un'esclusione a priori, fondata solo sul contenuto, senza rapportare lo stesso al contesto del rapporto. Una volta valutata l'assenza di contrasti con le indicazioni dell'art. 268 comma 2-bis o la rilevanza delle conversazioni, in che misura le stesse devono essere riportate nelle annotazioni di P.G.? Pare opportuno un richiamo alla disciplina dell'art. 291 comma 1-ter c.p.p., che prevede che nelle richieste di misura cautelare siano «riprodotti solo i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate». Al proposito, ad es. in base alla indicazione della circolare della Procura della Repubblica di Torino «non dovranno essere riportate all'interno delle annotazioni finalizzate alla richiesta di nuove intercettazioni o di proroga di quelle in corso, le trascrizioni delle conversazioni, ma solo i riferimenti identificativi (utenza, data, orario, numero progressivo) di quelle a quel momento e per quel fine rilevanti, il cui contenuto effettivo sarà riportato in atti allegati alla stessa (per motivi tecnici in forma di una trascrizione per pagina). Si otterrà così il duplice risultato di poter rilasciare copia delle annotazioni evitando operazioni di oscuramento parziale e riducendo al minimo il rischio di palesare contenuti non divulgabili e di poter ugualmente operare sugli allegati con facilità». Pur trattandosi di una disposizione non espressamente riferita anche agli atti della polizia giudiziaria, la P.G. dovrebbe attenersi al medesimo principio dell'art. 291 c.p.p. nella redazione delle annotazioni che danno conto (anche ai fini della proroga delle autorizzazioni già date ovvero della loro estensione a nuovi reati intanto emersi) degli esiti delle intercettazioni, anche se depositate ai fini della richiesta di nuove intercettazioni o della proroga delle autorizzazioni già concesse ovvero della loro estensione a nuovi reati intanto emersi). Delle intercettazioni rilevanti la P.G. riferirà al P.M., con annotazioni brevemente riassuntive del loro contenuto, riproducendo il tenore letterale delle stesse solo qualora risulti strettamente necessario per la compiuta rappresentazione dei fatti. A tali informative o annotazioni saranno poi allegati i relativi verbali (vale a dire la copia dei brogliacci di ascolto redatti digitalmente), nei quali (art. 268, comma 2, c.p.p.) «è trascritto, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate». In presenza di dati che non devono essere riportati sul verbale, la P.G. dovrebbe limitarsi a indicare i soggetti interlocutori, utilizzando la dizione “conversazione non rilevante per le indagini” oppure “conversazione non utilizzabile”. Così anche nelle ipotesi in cui la non rilevanza ex art. 268-bis comma 2 c.p.p. o la non utilizzabilità riguardino solo una parte della conversazione. Sussiste, inoltre, un obbligo per la P.G. di consultare il P.M. nei casi dubbi, anche informalmente onde evitare che nei c.d. "brogliacci" di ascolto o verbali di trascrizione sommaria sia documentato il contenuto di conversazioni manifestamente irrilevanti o inutilizzabili. A titolo esemplificativo si riportano le indicazioni fornite al riguardo dalla Procura della Repubblica di Milano:
Vigilanza e iscrizioni
La vigilanza indicata dall'art
. 268 comma 2-bis c.p.p .
non esaurisce gli oneri di controllo del P.P. rispetto alle attività di captazione. La riforma di cui al d.lgs. 150/2022
ha, in questo senso, previsto indirettamente compiti - se possibile - di pari delicatezza e rilevanza. Ci riferiamo al nuovo testo dell'art.
335 c.p.p .
, in base al quale «Il pubblico ministero
iscrive immediatamente
, nell'apposito registro custodito presso l'ufficio, ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria iniziativa, contenente la rappresentazione di un fatto, determinato e non inverosimile, riconducibile in ipotesi a una fattispecie incriminatrice». Una norma il cui contenuto deve essere completato dall'art. 335-quater c.p., per il quale, a fronte delle richieste di retrodatazione dell'iscrizione da parte dell'indagato laddove la stessa sia considerata tardiva, il giudice potrà procedere in tal senso «quando il ritardo è inequivocabile e non è giustificato». Come è stato correttamente osservato «quanto al carattere della inequivocità del ritardo, è ragionevole prevedere che le maggiori problematiche si porranno nel caso di indagini particolarmente complesse, anche per la pluralità di persone coinvolte, nelle quali l'esatta individuazione del passaggio fra sospetto e indizio — e il conseguente obbligo di iscrizione — è spesso il risultato posteriore di analisi e di sintesi di corpose informative di polizia giudiziaria: ai fini allora della individuazione del momento in cui non è più controversa la consistenza probatoria nei confronti dell'indagato, potrebbe rilevare quanto già osservato in precedenza circa i criteri giurisprudenziali in tema di tempo obiettivamente occorrente per l'apprezzamento dell'esistenza degli indizi a carico. Il rischio della ingiustificabilità del ritardo appare particolarmente elevato in fase di intercettazioni. In particolare, se nel corso di intercettazioni viene identificato, sulla base di elementi indiziari a carico, un nuovo concorrente nel reato oggetto d'indagine, ovvero emergono nuove n.d.r. per fatti diversi, sarà necessario che la polizia giudiziaria lo segnali immediatamente in modo da consentirne l'iscrizione. Se il P.M. attende l'informativa finale, dovrà egli stesso disporre la retrodatazione, altrimenti il ritardo rischierebbe di risultare difficilmente giustificabile, tenuto conto degli oneri di continua vigilanza che vincolano ormai il P.M. in materia di intercettazioni, sotto il profilo della verifica della rilevanza ed utilizzabilità delle stesse, tali da imporre un controllo costante dei contenuti dei flussi comunicativi» (Così “Primi orientamenti in tema di applicazione del d.lgs. n. 150/2022. iscrizione delle notizie di reato, conclusione delle indagini preliminari; avocazione e controlli da parte del giudice”. Procura Generale presso Corte di Cassazione, 19 gennaio 2023). Al proposito, si considerino le intercettazioni in tema di traffico di stupefacenti, nell'ambito delle quali, in corrispondenza di ogni proroga, potrebbe porsi la necessità di aggiornare ed esplicitare l'elenco dei soggetti coinvolti nella stessa, laddove, non infrequentemente, nel passato era previsto e di fatto applicata una revisione terminale - almeno in parte - di ruoli e responsabilità. Non solo: in questi casi si pone la concreta esigenza - a fronte di una possibile inerzia del P.M. - del G.i.p. di verificare puntualmente se e quali soggetti devono essere iscritti nel registro degli indagati sulla base degli atti trasmessi per la proroga, non solo a fronte della richiesta di retrodatazione ex art. 335-quater c.p.p., quanto anche ai sensi dell'art. 335-ter c.p.p.: «Quando deve compiere un atto del procedimento, il giudice per le indagini preliminari, se ritiene che il reato per cui si procede debba essere attribuito a una persona che non è stata ancora iscritta nel registro delle notizie di reato, sentito il pubblico ministero, gli ordina con decreto motivato di provvedere all'iscrizione». Un potere che potrà essere esercitato solo laddove il giudice sia correttamente e compiutamente informato dei soggetti iscritti nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. Proprio per ovviare a possibili carenze cognitive, la norma prevede che l'ordine possa essere adottato «sentito il pubblico ministero», al fine di prevenire l'eventualità di iscrizioni che, alla luce di atti di cui il giudice non abbia avuto conoscenza, non appaiano realmente necessitate. In generale sia la disposizione di cui all'art. 335-ter c.p.p. sia il meccanismo di controllo, attivabile dalla difesa, in ordine alla tempestività dell'iscrizione, influendo sulla utilizzabilità degli atti, possono costituire un fattore di instabilità delle decisioni e di travolgimento anche in una fase avanzata del processo. Fattore che, proprio in materia di intercettazioni (si penso non solo alle ipotesi di indagine in tema di stupefacenti, quanto anche a quelle in tema di reati contro la pubblica amministrazione o in materia di colpa medica o di reati societari) può determinare una potenziale instabilità della utilizzabilità degli esiti delle indagini, laddove il giudice non condivida la valutazione del P.M. sull'iscrizione. I criteri indicati dal codice (la retrodatazione è disposta soltanto se il ritardo è “inequivocabile e non giustificabile”) determinano un'ampia sfera di discrezionalità da parte dell'organo giudicante. Discrezionalità che potrebbe riflettersi sulle valutazioni del P.M., indicendo quest'ultimo ad assumere atteggiamenti difensivi, destinato a manifestarsi in iscrizioni immediate e indiscriminate, con conseguente pregiudizio non solo per i soggetti interessati, quanto anche per lo sviluppo delle indagini, laddove l'iscrizione pone il soggetto destinatario della stessa nella condizione – laddove interpellato per ricostruire fatti e responsabilità, ad avvalersi della facoltà di non rispondere. Il conferimento
Una delle novità contenute nella riforma delle intercettazioni ha per oggetto la distinzione tra il conferimento dei verbali e delle registrazioni da parte della P.G., che deve avvenire “immediatamente”, e il deposito di tale materiale all'archivio entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni. L' esecuzione delle operazioni di intercettazione deve avvenire mediante individuazione del fornitore delegato e conservazione degli esiti delle attività tecniche nei server dedicati dal medesimo gestore allocati all'interno della Procura, con possibilità di trasferimento dell'ascolto (c.d. remotizzazione) anche presso i locali designati della P.G. delegata. La P.G. delegata deve procedere al conferimento al momento della cessazione della complessiva attività di intercettazione, da intendersi nella ultimazione degli ascolti e nella redazione dei relativi verbali, attività indispensabile anche al fine di effettuare la opportuna selezione delle conversazioni rilevanti da quelle non rilevanti nell'ambito di una migliore ricognizione ed analisi dei dati acquisiti. In particolare, il deposito dei verbali e delle registrazioni trasmesse al P.M. dalla P.G nell'archivio di cui all'art. 269, comma 1 c.p.p.:
Cosa deve intendersi al riguardo con l'avverbio “immediatamente”? Trasmissione in esito alla chiusura di tutte le attività di intercettazioni di un procedimento, all'atto della trasmissione al P.M. dell'ultimo verbale di chiusura delle intercettazioni nell'ambito del singolo procedimento, o all'atto della chiusura dei singoli bersagli? La P.G. presso la S.C., con una sua circolare a optato per la prima tesi, con due argomentazioni. Una prima di natura letterale basata, sul confronto tra il dettato dell'art. 268 comma 4 e 267 comma 5 c.p.p.: il novellato quarto comma dell'art. 268 c.p.p., testualmente richiede che «i verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi», usando la forma plurale; mentre l'art. 267 c.p.p., espressamente indicando le modalità di tenuta del registro riservato delle intercettazioni, precisa che le stesse devono essere annotate «in ordine cronologico», considera specificamente e singolarmente le intercettazioni. Una seconda di ordine sistematico, atteso che «se la normativa persegue lo scopo, in un'ottica di garanzia, di documentare le sole conversazioni, oltre che utilizzabili, rilevanti ai fini delle indagini, tale scopo non può che essere raggiunto mediante un'oculata selezione delle conversazioni rilevanti, onde distinguerle da quelle irrilevanti». Una selezione che presuppone l'ultimazione degli ascolti quale imprescindibile elemento di ricognizione e di analisi compiuta dei dati acquisiti. In questo senso vi è spesso «una stretta interdipendenza investigativa tra i vari “bersagli” intercettati e che pertanto, per una maggiore intelligibilità delle operazioni svolte in relazione ad uno specifico bersaglio potrebbe essere necessario continuare ad avere nella propria disponibilità anche i risultati di un “bersaglio” differente» (così Relazione del massimario, cit.). Con il conferimento, interviene lo spossessamento del materiale relativo alle intercettazioni in capo ai gestori che collaborano nella esecuzione dell'attività tecnica e in capo alla polizia giudiziaria. Il legislatore ha voluto sottolineare una cesura "fisica” del rapporto tra P.G. e materiale derivante dalle captazioni. Non a caso, alcune circolari al riguardo prevedono che al momento della trasmissione al P.M. del materiale relativo alle operazioni di intercettazione la P.G. operante darà atto di non aver trattenuto copia delle intercettazioni non rilevanti o inutilizzabili e di ogni bozza o minuta di lavoro eventualmente formata in relazione alle medesime. In ogni modo, il codice non prevede conseguenza - come nullità o inutilizzabilità - in caso di ritardato conferimento all'archivio da parte della P.G.; la condotta potrà rilevare, eventualmente, sul piano disciplinare senza nondimeno depotenziare la valenza probatoria degli esiti delle captazioni. Il ritardato deposito
La procedura prevista dall'art. 268 comma 4, seconda parte, e commi 5 e 6 c.p.p., consiste nella messa a disposizione dei difensori delle registrazioni e dei verbali (insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogate l'intercettazione), finalizzata alla definitiva acquisizione al fascicolo di quelle ritenute rilevanti ed utilizzabili. L'immediata trasmissione dei verbali e delle registrazioni rende impossibile per la P.G. la consultazione diretta della documentazione necessaria per la redazione della relativa informativa di reato (attività che resta consentita solo presso l'archivio, con la conseguente ipotizzabilità difficoltà di ordine pratico). La riforma aveva in un primo momento ipotizzato la possibilità per il P.M. di disporre con proprio decreto il differimento della trasmissione dei verbali e delle registrazioni, fissando prescrizioni per assicurare la tutela del segreto sul materiale non trasmesso. Tale disposizione non è stata inserita nel testo attualmente vigente. La circolare della P.G. presso la S.C. sulla riforma, al riguardo, precisa che «Ove sorga la necessità di procedere al riascolto delle registrazioni anche in dipendenza della parallela emersione, aliunde, di elementi utili alla valutazione del rilievo indiziario degli esiti delle intercettazioni, la P.G. potrà rappresentare al P.M. la necessità di essere autorizzata a conservare l'accesso alle tracce foniche e ai relativi verbali. In tali casi il P.M. potrà determinarsi a richiedere al giudice la necessaria autorizzazione a differire il deposito delle intercettazioni sino alla conclusione delle indagini preliminari, riconoscendosi il pericolo di grave pregiudizio alle indagini in dipendenza, in uno agli effetti della discovery delle attività di captazione compiute, di istanze di approfondimento e verifica investigativa essenziali all'osservanza dei canoni di completezza e all'efficacia delle indagini preliminari che costituiscono necessario corollario del principio di obbligatorietà dell'azione penale. Nel provvedimento di autorizzazione al mantenimento dell'accesso saranno anche indicate, secondo quanto previsto dal Garante della Privacy, le prescrizioni che dovranno essere osservate per garantire la segretezza del materiale intercettato». Intercettazioni e misure
Una differente modalità di ideazione degli atti, rispetto all'epoca antecedente alla riforma, deve essere rilevata anche con riguardo al rapporto tra P.G. e P.M. in relazione alle richieste di misure cautelari, che -
frequentemente - sono motivate in larga misura in base a esiti di captazioni.
La riforma ha modificato l'
articolo 291 c.p.p .
, precisando che le intercettazioni devono essere «comunque conferite nell'archivio di cui all'art. 269».
Le intercettazioni richiamate in una richiesta di misura cautelare devono essere conferite all'archivio digitale, previa precisazione dell'elenco dei RIT e dei progressivi utilizzati. Rispetto al passato, pertanto, al G.i.p. non sono tramesse le tracce foniche delle captazioni - che di norma venivano memorizzate dalla P.G. su un apposito CD, allegato poi alla richiesta - salva la possibilità dello stesso di accedere presso le apposite sale ascolto ai fini della valutazione della richiesta. In particolare, il P.M. mette a disposizione del G.i.p., con la richiesta, nella vaschetta "discovery" di TIAP la documentazione inerente alle attività di intercettazione utilizzate, previa copia dei relativi RIT dall'Archivio Riservato TIAP al fascicolo ordinario TIAP del procedimento penale, con facoltà di apposizione di omissis (possibili anche all'interno dello stesso sistema informatica) ove lo richiedano specifiche esigenze investigative o la necessita di tutelare la riservatezza delle persone, specialmente se estranee alle indagini. Nella richiesta di misura cautelare il P.M. riproduce quando necessario, soltanto i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate ritenute rilevanti e utilizzabili (art. 291 comma 1-ter c.p.p.). Sul punto, pure prendendo atto della chiara volontà del legislatore, si deve evidenziare che l'estrapolazione del “brano essenziale” presenta qualche margine di rischio, in quanto non di rado il tono generale e il contesto della conversazione - intesi nella loro globalità - possono portare a letture differenti degli elementi di apparente interesse investigativo. In caso di dissenso del giudice, questi dispone la restituzione delle intercettazioni prive di tali requisiti per la loro definitiva conservazione nell'Archivio delle intercettazioni (art. 92, comma 1-bis, disp. att. c.p.p.). Gli elenchi delle conversazioni
Nonostante la previsione della sub-procedura di cui all'art. 268, comma 6 c.p.p. per l'acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicati dalle parti, la realtà giudiziaria porta a ritenere che l'opzione maggiormente utilizzata a tal fine sia quella disciplinata nell'ambito dell'articolo 415-bis comma 2-bis c.p.p.: «Qualora non si sia proceduto ai sensi dell'articolo 268, commi 4, 5 e 6 c.p.p., l'avviso contiene inoltre l'avvertimento che l'indagato e il suo difensore hanno facoltà di esaminare per via telematica gli atti depositati relativi ad intercettazioni ed ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche e che hanno la facoltà di estrarre copia delle registrazioni o dei flussi indicati come rilevanti dal pubblico ministero. Il difensore può, entro il termine di venti giorni, depositare l'elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia. Sull'istanza provvede il pubblico ministero con decreto motivato. In caso di rigetto dell'istanza o di contestazioni sulle indicazioni relative alle registrazioni ritenute rilevanti il difensore può avanzare al giudice istanza affinché si proceda nelle forme di cui all'articolo 268, comma 6». Un'importante forma di collaborazione della polizia giudiziaria in relazione all'attività del pubblico ministero deve essere, pertanto, individuata nella formazione degli elenchi delle conversazioni rilevanti ai fini dell'inserimento nel fascicolo del dibattimento. E' indispensabile, anche al fine di favorire l'attività della struttura che dovrà gestire l'archivio, che gli elenchi siano il più completi e il più esaustivi possibile. Inoltre, sussiste la necessità di verificare che la notifica degli avvisi ex art. 415-bis c.p.p. non avvenga prima che detto elenco sia stato completato, in quanto dal momento della ricezione dell'atto il difensore e l'indagato avranno diritto di accedere all'archivio e prendere cognizione del materiale intercettato nonché di ottenere copia di quello indicato dal P.M. come rilevante (Cfr. Circolare della P.G presso la Cassazione, cit.). Non è stata prevista una forma determinata per tali elenchi: gli stessi devono comunque consentire una precisa individuazione delle conversazioni rilevanti, senza dover richiedere operazioni di estrazione dagli atti ad opera del personale addetto al conferimento (anche con indicazione per esclusione; indicare partitamente le conversazioni che non si intendono utilizzare, permette di individuare a contrario quelle rilevanti). L'autorizzazione all'uso del captatore impone - come precisato dall'art. 266 c.p.p. - una motivazione “rafforzata”, che dia atto delle necessità di avvalersi di tale strumento. Necessità che, alla luce dell'efficienza criminale dei soggetti destinatari dell'intercettazione o delle condizioni specifiche di tempo e di luogo nella quale la stesse dovrebbe svolgersi, potrebbe rivelarsi non impossibile da esplicitare. In questi casi si impone per il giudice l'obbligo ulteriore di motivare non solo sull'assoluta necessità per la prosecuzione delle indagini, ma anche di indicare il motivo per cui si ritiene necessaria la peculiare forma di captazione. In questo senso si deve ritenere che le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni tra presenti tramite captatori occupano l'ultimo gradino della scala gerarchica dei mezzi di ricerca della prova esperibili: tali forme di intercettazione devono rappresentare l'extrema ratio cui ricorrere solo quando tutti gli altri strumenti cognitivi – tra cui le tradizionali intercettazioni – non sono in grado di soddisfare le esigenze investigative del caso concreto. È sufficiente una motivazione semplicemente ripetitiva della formula normativa? O si risolverebbe in una motivazione solo apparente, inadeguata rispetto al provvedimento che dovrebbe giustificare? Sul punto la giurisprudenza in tema di intercettazioni tradizionali richiede che il provvedimento autorizzativo deve contenere un'adeguata e specifica motivazione a concreta dimostrazione del corretto uso del potere esercitato dal giudice; in relazione al quantum di motivazione richiesto per l'idoneità del decreto autorizzativo, la Corte precisa che esso deve consistere in quello «minimo necessario a chiarire le ragioni del provvedimento» (ex plurimis, Cass. pen., Sez. Un. 21 giugno 2000, n. 17 CED 216665) L'aspetto maggiormente delicato della norma menzionata è quello che riguarda la preventiva indicazione, nell'autorizzazione (e, dunque, nella richiesta di autorizzazione) dei luoghi e del tempo «anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l'attivazione del microfono», ovviamente nel caso in cui il titolo di reato non consenta di svolgere in qualsiasi luogo l'intercettazione tramite il captatore. Il legislatore non ha espressamene richiamato, nel testo approvato, la seguente indicazione della delega: «l'attivazione del microfono avvenga solo in conseguenza di apposito comando inviato da remoto e non con il solo inserimento del captatore informatico, nel rispetto dei limiti stabiliti nel decreto autorizzativo del giudice». Per altro, l'art. 89 disp. Att. c.p.p., stabilisce che «Al termine delle operazioni si provvede, anche mediante persone idonee di cui all'articolo 348 del codice, alla disattivazione del captatore con modalità tali da renderlo inidoneo a successivi impieghi. Dell'operazione si dà atto a verbale». Più che di omissione o dimenticanza, si potrebbe ipotizzare una scelta di sintesi logica. Nel momento in cui il provvedimento di autorizzazione deve necessariamente essere integrato con il dato cronologico e di localizzazione dell'attività, un corretto e puntale rispetto di tali precisazioni non può che avvenire tramite un sistema di attivazione a uomo presente e non in conseguenza del semplice inserimento del captatore sul device. Si tratta di dare concreta attuazione – in particolare in relazione ai tempi e ai luoghi di attivazione della captazione – al progetto investigativo che deve essere indicato dal P.M. e autorizzato dal G.i.p.; progetto che implica l'individuazione anche in forma indiretta dei luoghi in cui si sposterà il dispositivo mobile controllato, e sempre che si proceda «per delitti diversi da quelli di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater e dai delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio» nei termini precisati dall'art. 267 comma 1 c.p.p.. Per questo ultimi, non è ravvisabile alcun problema di specificazione degli ambienti controllati, ravvisabile, al contrario, tutte le volte in cui l'intercettazione deve essere autorizzata in ambito, in senso lato, domestico, a condizione che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa. In modo molto opportuno, la relazione illustrativa alla riforma al riguardo così si esprime: «La formula – secondo la quale nel decreto autorizzativo i luoghi e il tempo, in cui il dispositivo può essere attivato da remoto, possono essere ‘anche indirettamente determinati' – si spiega […] nell'impossibilità di prevedere specificamente tutti gli spostamenti dell'apparecchio controllato; da qui la necessità logica di delimitare gli ambiti ai verosimili spostamenti del soggetto, in base alle emergenze investigative. A titolo esemplificativo, valga il riferimento a formule del tipo: ‘ovunque incontri il soggetto x'; ‘ogni volta che si rechi nel locale y' ecc. ecc. La previsione dell'attivazione del microfono da remoto sta dunque a significare che, nel rispetto delle indicazioni contenute nel decreto autorizzativo, la captazione delle comunicazioni o conversazioni non può iniziare già dal momento dell'inserimento del captatore informatico. Questa è operazione preliminare necessaria, ma non sufficiente per procedere all'ascolto, dovendosi tener conto dei limiti di spazio e di tempo disegnati dal decreto autorizzativo». È, per altro, evidente che la necessità di inserire nella richiesta di autorizzazione alle captazioni anche il menzionato progetto investigativo richiederà un maggiore impegno sia per la P.G. che per il P.M., in quanto il G.i.p. dovrà essere posto nella condizione di effettuare una valutazione sull'idoneità del progetto ad assicurare il rispetto delle condizioni di utilizzo del captatore. Solo la prassi applicativa delle nuove disposizioni consentirà di verificare se e in quali termini tale profilo di valutazione potrà determinare specifiche criticità. A parziale “semplificazione” dell'attività prevista devono essere ricordate due decisioni della S.C.; in un caso (Cass., Sez. V, n. 35010, 30/09/2020, CED 280398 - 03) si precisa - in tema di intercettazioni ambientali a mezzo di captatore informatico - che il riferimento al luogo di svolgimento dell'intercettazione tra presenti non costituisce presupposto di autorizzabilità, necessario ai fini del rispetto dell'art.8 CEDU secondo l'interpretazione della giurisprudenza della Corte EDU, essendo, in via alternativa, consentito far ricorso all'indicazione del destinatario di essa ed in considerazione altresì della natura dinamica ed "itinerante" della captazione, che prescinde dal riferimento ai luoghi. Ancora, (Cass., Sez. II, n. 29362, 22/07/2020, CED 279815 – 01) l''intercettazione ambientale a mezzo "captatore informatico" installato in Italia su telefono collegato ad un gestore nazionale, non richiede l'attivazione di una rogatoria internazionale per il solo fatto che le conversazioni siano eseguite in parte all'estero, e temporaneamente registrate tramite wi fi locale, a causa dello spostamento dell'apparecchio sul quale è inoculato il "malware", atteso che la captazione ha avuto origine e si è comunque realizzata in Italia, attraverso le centrali di ricezione presso la procura della Repubblica. In conclusione
Riferimenti
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