Provvigione del mediatore e divieto di alienazione del bene
Antonio Gerardo Diana
01 Febbraio 2023
Quali sono i presupposti in base a cui il mediatore può affermare il suo diritto alla provvigione? In particolare, tale diritto gli spetta anche in caso di affare concluso in violazione del divieto di alienazione?
Inquadramento generale del diritto alla provvigione da parte del mediatore
La norma fissa la regola costituita dal diritto del mediatore al conseguimento, da ognuna delle parti, della provvigione. Tanto, nel caso in cui, la conclusione del connesso affare abbia luogo in conseguenza dell'intervento operato dallo stesso mediatore (art. 1755 c.c.).
Tale previsione normativa, si è sostenuto, è fornita di carattere dispositivo. Ciò comporta che, relativamente al contratto di riferimento, si possa procedere all'imputazione, in capo ad una solamente delle parti contraenti, della corresponsione della provvigione. In tale caso, conseguentemente, è limitato a quest'ultima la stessa sfera della legittimazione passiva, riguardo all'azione esercitata dal mediatore e finalizzata appunto all'ottenimento della provvigione.
La norma regola, quindi, l'ambito della misura della provvigione e la proporzione in cui la stessa viene ad essere posta in capo a ciascuna delle parti, prevedendo che, in difetto di patti, di tariffe professionali oppure di usi, sia il giudice a provvedere alla relativa determinazione, secondo equità.
Il requisito relativo al pagamento della provvigione con riguardo alla sola ipotesi in cui l'affare sia concluso, si delinea coerente con la tradizione storica e con l'indole dell'istituto della mediazione, oltreché essere adeguato alla natura delle cose.
Sull'indole della norma, va detto che, attraverso il contratto in considerazione, lo scopo che intendono realizzare le parti interessate, è quello di conseguire un determinato risultato. Questo, a sua volta, pone a proprio presupposto l'effettiva conclusione dell'affare. Pertanto, nel caso di raggiungimento del risultato attraverso l'intervento del mediatore (questo, peraltro, può anche essere costituito dalla segnalazione unicamente dell'affare), si deve il compenso. Per il caso contrario, invece, nulla il mediatore è tenuto a ricevere.
Sul fondamento di siffatto principio, si è così concluso nella prassi risalente che, per il caso di mancata conclusione del contratto, il mediatore non potesse avanzare alcuna pretesa, neanche sotto forma o a titolo di risarcimento danni. Sul punto, peraltro, occorre anche operare rinvio al dato dispositivo, rappresentato dalla norma (art. 1756 c.c.), attraverso cui al mediatore è riconosciuto il diritto ad essere rimborsato delle spese eventualmente sofferte.
Sotto il profilo, poi, della natura delle cose, si annota come, nel caso di conclusione dell'affare, appare del tutto ovvio che quelle parti che dallo stesso traggano i relativi benefici, debbano anche essere quelle stesse sulle quali vada a gravare l'onere costituito dalle spese, mentre, per il caso contrario, ossia per quello in cui l'affare sia mancato, a prescindere dalla ragione a fondamento di tale insuccesso, quelle stesse parti non sono obbligate nei confronti del mediatore al quale, pertanto, nulla esse sono tenute a dare. Opinare diversamente, implicherebbe, nel caso, l'assunzione, da parte dei soggetti questionati, di un onere al quale non si riferisce alcun corrispettivo.
Si è così sostenuto che la già menzionata regola della corresponsione della provvigione, allorché ci si trovi dinanzi alla conclusione di un affare, debba inquadrarsi come essenziale alla mediazione. La ragione di una tale valutazione è da rinvenire nel fatto che, solamente attraverso la conclusione dell'affare, si delinei la stessa realizzazione di quell'interesse che le parti hanno inteso perseguire attraverso la definizione del contratto di mediazione.
Un tale assetto delle cose, tuttavia, non deve escludere la possibilità delle parti, nell'ambito dell'esercizio della loro autonomia contrattuale, di pronunciarsi nel senso di prestare promessa all'intermediario di un compenso per lo svolgimento dell'attività alla quale lo stesso darà luogo, indipendentemente dalla conclusione dell'affare.
Aspetto del complessivo tema, quest'ultimo, in relazione al quale pure si è sostenuto come, appunto, nello schema della previsione dispositiva della mediazione, il diritto del mediatore alla provvigione consegua al verificarsi della condicio iuris della conclusione dell'affare, in conseguenza dell'intervento del mediatore. Non appare, tuttavia, come dinanzi rilevato, sussistente un divieto alle parti medesime di conferire al rapporto in considerazione un tipo di regolamentazione differente.
L'affare, infine, si delinea quale concluso, allorché sussista la fattispecie necessaria a consentire quella modificazione giuridica, la quale è idonea ai fini della realizzazione dell'interesse ricondotto a quello delle parti.
Nesso di causalità tra intervento del mediatore e conclusione dell'affare
Negli orientamenti emersi per la materia, si sostiene che il diritto alla provvigione da parte del mediatore, sorga allorché la conclusione dell'affare si ponga in rapporto di causalità con l'opera che il mediatore medesimo abbia esercitato. Mentre, con riguardo all'attività svolta dal mediatore e alla conclusione dell'affare medesimo, si è avuto modo di puntualizzare come non sia necessario che sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo, essendo invece sufficiente che, anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti, il quale sia segnato da complessità e dilungatosi nel tempo, il fatto che il mediatore metta in relazione le parti, rappresenta un antecedente non rinunciabile, al fine di giungere – anche mediante delle fasi e delle vicende successive – alla conclusione dell'affare.
Sul punto, si è quindi sottolineato come la prestazione del mediatore, potesse trovare il suo esaurimento nel fatto della individuazione e del ritrovamento di uno dei contraenti, a prescindere dalla circostanza che il mediatore stesso sia poi intervenuto nelle diverse fasi delle trattative, sino a giungere alla conclusione del contratto, sempreché ovviamente questo si possa ritenere effetto dell'opera (prossima oppure svolta in tempo remoto) del mediatore, tale comunque che in difetto della stessa ed in base al principio della c.d. causalità adeguata, il contratto non avrebbe potuto conoscere conclusione.
La disposizione normativa (art. 1754 c.c.) definisce la figura del mediatore, nel senso di ritenere che sia tale colui il quale ponga in relazione le parti, ai fini della conclusione, non già di un contratto, ma di un affare. Ciò implica che l'insorgenza del diritto alla provvigione trovi luogo allorché lo stesso si ponga in rapporto di causalità con lo svolgimento dell'opera del mediatore. Tanto, si ritiene, perciò, a prescindere dall'intervento dello stesso mediatore in ogni fase delle trattative, oppure dalla diversità del prezzo che sia stato concluso in sede di contratto. Un nesso di causalità tra l'attività svolta dal mediatore e la conclusione dell'affare, è quello riferito, nel caso della compravendita di un bene immobile, alla circostanza della visione da parte degli acquirenti del bene medesimo, questa esercitata avvalendosi del tramite dello stesso mediatore, vigente il contratto di mediazione, con formulazione persino di una proposta di acquisto dello stesso bene, poi rimasta non accolta dal proprietario di quest'ultimo. Quindi, qualora in seguito, nel caso appena richiamato, il bene sia fatto oggetto di effettivo acquisto, si è ritenuto così che l'affare in questione trovasse la sua sede originaria proprio in quell'attività esercitata dal mediatore anzidetto, mentre la ripresa delle trattative si profilava come continuazione dell'attività svolta, la quale aveva conosciuto il proprio epilogo nella messa in relazione delle parti, nonché nella formulazione di una proposta di acquisto del bene considerato.
L'accertamento in ordine al rapporto intercorrente tra la conclusione dell'affare e l'attività alla quale il mediatore ha dato luogo, viene definito come una mera quaestio facti, questa – in sede di giudizio – devoluta alla valutazione del giudice del merito, la quale sfugge alla sindacabilità di quello di legittimità, ove effettivamente informata a dei criteri che rispondano a quelli di logicità e di diritto. Così, in via di esempio, il fatto che il mediatore ponga in relazione le parti intermediate, attraverso la possibilità offerta ad una di esse di visionare un bene determinato, oggetto di relativa negoziazione, il contributo che questi offra, potrà anche essere valutato come non idoneo ad assurgere ad un antecedente necessario ai fini della stessa conclusione dell'affare (così, in quanto, a fronte di diverse richieste di informazioni in ordine al prezzi del bene immobile, come articolate dalla parte intermediata, il mediatore non sia stato nella condizione di soddisfare tali richieste, con la conseguente necessità della parte intermediata di rintracciare canali alternativi utili a consentirle di porsi in contatto con l'altra parte).
Pertanto, l'orientamento seguito sottolinea così l'assenza di un diritto alla provvigione del mediatore, allorché una prima fase delle trattative, le quali siano appunto state avviate a mezzo dell'intervento dello stesso mediatore, non si concluda in modo positivo, potendosi così rilevare che la conclusione dell'affare cui le parti, in tempo successivo, pervengano si delinei quale autonoma rispetto all'intervento spiegato dal mediatore, attraverso cui esse furono, in tempo originario, poste in relazione. Ciò, ove la circostanza della ripresa delle trattative, costituisca esito di iniziative aventi carattere di novità, le quali non trovano punti di collegamento con l'iniziativa precedente ed a questa stessa condizionata, così da fare escludere la rilevanza dell'originario intervento posto in essere dal mediatore.
Nullità del contratto e limitazioni al diritto di trasferimento dei beni immobili: la dismissione del patrimonio degli enti previdenziali
Sul versante relativo alle cause che determinano la nullità del contratto, si rileva dal dato dispositivo come resti statuita la nullità dello stesso per il caso in cui esso sia contrario a norme imperative, salvo diversa disposizione recata dalla legge. La nullità del contratto è prodotta dall'assenza di uno dei requisiti previsti dalla disposizione (art. 1325 c.c.), dall'illiceità della causa, da quella dei motivi nel caso indicato dalla norma (art. 1345 c.c.) e dalla mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dalla disposizione (art. 1346 c.c.).
Nell'ambito della nullità del negozio, si è posto il tema riferito al trasferimento di un bene immobile, pervenuto a coloro che poi hanno provveduto alla sua cessione, mediante procedura di dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali (in base alla disciplina recata dalla L. 335/1995 cui ha provveduto a dare attuazione il D.Lgs. 104/1996).
Con questa seconda disciplina, in specie, è stato statuito che, a fare inizio dalla data in cui è dato luogo alla stipulazione del contratto, per un periodo di durata decennale è fatto divieto agli acquirenti del bene immobile di dare corso al trasferimento dello stesso, salvo il verificarsi delle condizioni di legge (incremento del nucleo familiare di almeno due unità, ovvero ove abbia luogo il trasferimento dello stesso in un comune la cui allocazione si trovi ad una distanza superiore a cinquanta chilometri dal luogo in cui si trovi ubicato il bene immobile: ai sensi dell'art. 6 c. 10 D.Lgs. 104/1996).
La previsione normativa si risolve così con lo stabilire una regola, la quale prevede un divieto di dieci anni, a decorrere dalla data in cui è avvenuta la conclusione dell'acquisto del bene medesimo. Rispetto a tale regola, poi, il legislatore ha previsto il ricorso a due eccezioni costituite da quelle riferite:
all'incremento del nucleo familiare di almeno due unità;
al trasferimento del nucleo familiare in comune diverso e distante più di cinquanta chilometri da quello in cui si trovi allocato il bene.
A fondamento della previsione dettata dalla norma, si è posto l'elemento giustificativo dell'impedimento dell'insorgenza di condotte di natura speculativa, in relazione ad un bene, l'acquisizione del quale sia intervenuta ad un prezzo caratterizzato da una tendenziale connotazione di favore.
Lo strumento normativo del quale si è dato conto, non annovera, nell'ambito della disciplina da esso dettata, il mezzo della nullità, con riguardo all'ipotesi in cui la parte dia luogo alla cessione del bene considerato, prima ancora dello spirare del termine di dieci anni.
Si è tuttavia andato formando negli interpreti il convincimento, secondo cui, per effetto della violazione della disposizione normativa, debba ricorrere la nullità dell'atto compiuto dalle parti.
Una disposizione non dissimile nei contenuti era poi quella che contemplava lo strumento dispositivo recato dal legislatore (art. 3 c. 14 DL 351/2001), con cui si stabiliva la nullità degli atti di disposizione, relativi a beni immobili, il cui acquisto fosse intervenuto in conseguenza dell'esercizio del diritto di opzione e di quello di prelazione, prima ancora che fossero decorsi dieci anni dalla data dell'acquisto, salvo il verificarsi di un incremento del nucleo familiare di almeno due unità ovvero il verificarsi del trasferimento dell'acquirente presso un comune distante più di cinquanta chilometri da quello di ubicazione del bene immobile. Questa seconda disciplina, però, in sede di conversione in legge del correlato decreto, conobbe modifiche. La norma vigente ha, infatti, previsto la riduzione a cinque anni del termine anzidetto; mentre dal divieto sono state espunte le due eccezioni di cui si è appena ricordato il contenuto (ossia il trasferimento di residenza, nonché l'aumento del nucleo familiare).
La norma, così come attualmente invigore e derivante dalla legge di conversione (L. 410/2001), prevede così la nullità degli atti dispositivi riguardanti beni immobili per uso residenziale non di pregio, il cui acquisto sia intervenuto in conseguenza dell'esercizio del diritto di opzione e di quello di prelazione, prima ancora del decorso di un termine quinquennale dalla data dell'acquisto. Il legislatore ha statuito espressamente con la previsione in considerazione, poi, la nullità, intesa questa in termini di sanzione, la cui applicazione ha ingresso in relazione al verificarsi di una vendita intraquinquennale.
La stipula di un preliminare di alienazione del bene gravato da vincolo di inalienabilità non pregiudica il diritto alla provvigione del mediatore
In tema di divieto di alienazione, gli orientamenti seguiti, per materia analoga a quella della quale ci si occupa con il par. prec., hanno ritenuto che la nullità del trasferimento di alloggio dell'edilizia economica e popolare, da parte del soggetto che dell'unità sia il relativo assegnatario con patto di riscatto, qualora conclusa in violazione della relativa disciplina, non escluda, tuttavia, che il proprietario del bene possa accedere alla valida stipula di un contratto preliminare di vendita dello stesso, il quale – anche se definito nel corso della pendenza del termine di assegnazione, nel caso anche accompagnato da un'attribuzione in via anticipata del bene medesimo –, ai fini della effettiva concretizzazione degli effetti traslativi, necessita di una successiva manifestazione della volontà negoziale. Tanto, allorché l'interpretazione della volontà negoziale abbia ritenuto che la stessa, anche con riguardo al principio di conservazione del negozio, fosse finalizzata ad operare in un momento successivo. Quindi, in sé considerata, si è ritenuto di non sposare la tesi della nullità del contratto preliminare di compravendita, il cui oggetto resti costituito dalla cessione di un bene immobile a sua volta trasferito sulla base della disciplina prestata per la materia della c.d. cartolarizzazione.
A fondamento di una tale conclusione si pone il tema della natura della nullità, che si vuole riferibile in via esclusiva ai soli atti, la cui efficacia sia quella traslativa.
Allo stesso modo si è anche concluso in relazione ai contratti preliminari, la cui definizione sia occorsa con l'intervento professionale svolto dalla figura del mediatore ed il cui oggetto sia rimasto costituito da beni immobili abusivi e, in quanto tali, pertanto, non suscettibili di essere posti in commercio, ai sensi delle disposizioni recate per la materia urbanistica, che si sono succedute nel tempo.
La ragione di una tale soluzione al tema disputato, si rinviene nuovamente nella valutazione per cui la sanzione della nullità possiede un campo di applicazione suo proprio, in particolare avendo ingresso al solo terreno impegnato dai contratti con effetti traslativi. Da tale ambito rimangono, perciò, escluse quelle altre figure contrattuali con efficacia obbligatoria (tra queste ultime, si pone quella stessa del preliminare di vendita). Pertanto, per il caso in cui la conclusione del contratto preliminare di compravendita di un bene immobile (abusivo e, dunque, incommerciabile), risulti effetto dell'intervento del mediatore, si ritiene che questi debba essere destinatario ugualmente del diritto alla provvigione. Infatti, tra le parti, secondo l'orientamento in esame, nella circostanza ha trovato ingresso la costituzione di un valido vincolo giuridico, in quanto una tale figura contrattuale pone legittimamente ciascuna delle parti nella condizione di agire ai fini dell'esecuzione o risoluzione del contratto medesimo.
Preliminare di vendita di un immobile in situazioni particolari concluso con intervento del mediatore
In generale, deve ritenersi che, allo scopo di riconoscere il diritto del mediatore a conseguire la provvigione, l'affare si deve ritenere concluso allorché, tra quelle parti che il mediatore abbia posto tra loro in relazione, si sia formato un vincolo giuridico, in ragione del quale ognuna di esse sia abilitata ad esperire la relativa azione, finalizzata all'esecuzione specifica del negozio, secondo le forme previste dalla stessa norma dettata dal codice civile (art. 2932 c.c.), così per la risoluzione od il risarcimento a cagione del mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato. Si fa così discendere da tanto che la provvigione sia di spettanza dello stesso mediatore, anche in relazione all'ipotesi in cui l'intervento di questi sia stato finalizzato al conseguimento tra le parti della stipula di un contratto preliminare.
Sotto quest'ultimo profilo, si deve così osservare come il diritto del mediatore all'ottenimento della ripetuta provvigione, debba ritenersi ricorrente in tutti i casi nei quali tra le parti sia andato concluso un affare, in conseguenza dell'opera svolta dal mediatore stesso. In tal guisa che, nell'ambito della nozione appena richiamata, si fa appunto ricadere anche la stipula tra le parti di un valido contratto preliminare di vendita di un bene immobile.
Priva di rilevanza, rispetto a tale ipotesi, è infatti ritenuta la circostanza per la quale le parti concludano in seguito, d'accordo tra di esse, di apportare modifiche ai termini dell'accordo, oppure di assoggettare quello stesso ad una condizione sospensiva o, ancora, di non stipulare il contratto definitivo o di sciogliersi, in modo consensuale, dallo stesso vincolo negoziale, la costituzione del quale sia appunto intervenuta a mezzo della stipula del contratto preliminare. Può così rilevarsi che, quanto si pone in termini di ostacolo od impedimento al conseguimento della provvigione, a fronte della conclusione del vincolo negoziale, anche nel caso in cui questo si delinei quale prodromico alla definizione del contratto definitivo, è rappresentato dall'invalidità assoluta dell'affare.
Diversamente, sul punto, poi, nel caso in cui si provveda all'apposizione al negozio di una condizione sospensiva. Il che si risolve con il porre in via subordinata il diritto al conseguimento della provvigione da parte dell'avente titolo, alla stessa produzione dell'evento dedotto nella condizione (art. 1757 c. 1 c.c.).
Una ricostruzione, questa che precede, da cui si ricava la conclusione, la quale milita in favore del riconoscimento alla figura del mediatore del diritto al conseguimento della provvigione, in ordine alla conclusione di un contratto preliminare di vendita di un bene immobile caratterizzato da irregolarità dal punto di vista edificatorio oppure urbanistico, ma assistito da sua specifica validità. Tanto sul fondamento che la sanzione di nullità (art. 40 L. 47/1985), trovi ingresso in relazione alle sole figure di trasferimento, le quali implichino la produzione di effetti reali.
L'orientamento che si segue, rileva, infatti, come la sanzione della nullità (art. 40 L. 47/1985), con riguardo a quei negozi il cui oggetto resti costituito da immobili sforniti della necessaria concessione edificatoria, trovi applicazione al solo ambito interessato da contratti con effetti traslativi e non anche a quei negozi caratterizzati da sola efficacia obbligatoria, come nel caso appunto del contratto preliminare di vendita. Pertanto, anche in relazione alla declamata ipotesi in cui, cioè, il contratto preliminare sia caratterizzato da un oggetto afferente il trasferimento di un bene immobile sfornito della relativa concessione edificatoria, al mediatore ugualmente compete il diritto alla provvigione. Ciò, in quanto tra le parti interessate si è formato validamente un vincolo giuridico.
Sul fondamento, poi, degli elementi ricostruttivi della complessiva vicenda sin qui definiti, si è anche concluso come il diritto del mediatore al percepimento della provvigione, debba ritenersi sussistente anche in relazione all'ipotesi in cui ricorrano vizi, tali da porsi di impedimento alla stessa definitiva attuazione dell'affare. Ciò, in quanto in conseguenza della stipula di un contratto preliminare valido di compravendita, il fatto relativo all'impossibilità di accedere alla stipula del contratto definitivo oppure a quella dell'esecuzione in forma specifica, pone comunque la parte che abbia definito l'affare con l'intervento del mediatore nella condizione di spendere, a proprio favore, l'evocazione del risarcimento del danno. Punto, quest'ultimo, peraltro, su cui non mancano voci dissenzienti, le quali si pongono, invece, nel senso di non ritenere ammissibile l'ingresso del diritto alla provvigione del mediatore, ove i vizi afferenti il bene immobile, sfuggano alla possibilità stessa di essere sanati.
A diversa conclusione può, invece, giungersi allorché al contratto sia apposta una condizione sospensiva. Ipotesi, questa, che milita nel senso di un differimentoex post del diritto del mediatore al conseguimento della provvigione. Quindi, tanto si delinea utile alla conclusione per cui, solamente in relazione alla circostanza in cui il contratto, la cui definizione sia intervenuta in conseguenza dell'opera svolta dal mediatore, sia stato soggetto a condicio iuris (questa espressa dalla necessità che intervenga una autorizzazione amministrativa), può dirsi come il diritto alla provvigione da parte del mediatore, sia come in uno stadio che precede quello della insorgenza. Quest'ultima, definibile solo in seguito all'avveramento della condizione (art. 1757 c. 1 c.c.).
Vuoi leggere tutti i contenuti?
Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter continuare a
leggere questo e tanti altri articoli.
Sommario
Nesso di causalità tra intervento del mediatore e conclusione dell'affare
Nullità del contratto e limitazioni al diritto di trasferimento dei beni immobili: la dismissione del patrimonio degli enti previdenziali