Assegno di mantenimento e figlio maggiorenne

Marianna Ostuni
18 Aprile 2023

Una coppia si separa consensualmente ad aprile 2022, il figlio diventa maggiorenne a dicembre 2022; a febbraio 2023 lascia la scuola per problemi economici della madre, inizia un lavoro a chiamata per € 300/400 al mese.Il padre richiede:- la modifica delle condizioni della separazione;-di non versare più l'assegno di mantenimento (euro 270,00 mensili);-la ripetizione dell'assegno versato fino ad oggi.Può essere tolto e ritenuto non dovuto l'assegno di mantenimento ad un minore che lavorava? Il ragazzo oggi può essere considerato autosufficiente? La ripetizione richiesta dal padre è corretta?

Nel caso in esame, occorre affrontare diverse problematiche.

In primis, occorre chiarire che il dovere di mantenere i figli è sancito dall'art. 30 della Costituzione e dall'art. 147 del codice civile, laddove si stabilisce che ambedue i genitori debbano mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle inclinazioni e delle aspirazioni dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità professionale e casalinga.

Tale obbligo non cessa automaticamente con il compimento del diciottesimo anno di età ma prosegue fino al momento del raggiungimento dell'indipendenza economica.

Il principio generale è che i genitori sono tenuti a mantenere il figlio maggiorenne qualora ultimato il prescelto percorso formativo, questi si sia adoperato attivamente per rendersi autonomo economicamente, tenendo conto delle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro anche ridimensionando le proprie aspirazioni, ma nonostante ciò non abbia raggiunto l'indipendenza economica.

Tuttavia, sul punto si è espresso il Tribunale di Bari con l'ordinanza del 22 dicembre 2020 chiarendo che, ad esempio, il figlio che lavora con contratto di apprendistato può ritenersi economicamente indipendente.

In tale ordinanza viene affrontata altresì la questione, più volte dibattuta in giurisprudenza con pronunce spesso discordanti, relativa alla possibilità per il genitore obbligato di ripetere le somme che abbia versato per il mantenimento del figlio dal momento in cui il titolo che sanciva tale obbligo è venuto meno, perché revocato con provvedimento giudiziale, e/o comunque dal momento in cui quest'ultimo è diventato economicamente indipendente.

Sulla questione è necessario preliminarmente effettuare una distinzione:

- se le somme corrisposte dal genitore obbligato sono state impiegate per soddisfare le esigenze tipicamente alimentari (come pare sia accaduto dalle informazioni fornite nel caso in esame), cioè correlate al mantenimento di un figlio convivente non ancora autosufficiente, non sarà possibile domandare la ripetizione ossia la restituzione delle somme percepite dall'alto genitore (c.d. principio di irripetibilità delle prestazioni alimentari (Cfr. Cass. civ. sez. VI - 1 ord., 04 luglio 2016, n. 13609; Cass. civ. sez. VI - 1 ord., 24 ottobre 2017, n. 25166);

- se, invece, le suddette somme non sono state utilizzate per mantenere il figlio maggiorenne in quanto egli era già capace di provvedere a se stesso, allora la ripetizione può essere legittimamente domandata e ragionevolmente conseguita (Cass. n. 3659/2020).

Infatti, Corte di Cassazione ha stabilito che “il principio di irripetibilità delle somme versate, in caso di revoca giudiziale dell'assegno di mantenimento, non trova applicazione in assenza del dovere di mantenimento medesimo”.

In altri termini, è ben possibile domandare la restituzione delle somme indebitamente percepite dall'altro genitore atteso che il principio di irripetibilità (secondo cui le somme corrisposte a titolo di contributo al mantenimento dei figli in forza di provvedimenti modificati o revocati sono irripetibili, impignorabili e non compensabili) resterebbe solo limitato a prestazioni dirette ad assicurare unicamente, per la loro misura e le condizioni economiche del percipiente, i mezzi necessari per fare fronte alle esigenze essenziali di vita. (Cfr. anche Cass. civ., sez. I, 23 maggio 2014, n. 11489, Est. Giancola).

Il Tribunale di Bari, con la sopra citata ordinanza, ha aderito al primo indirizzo giurisprudenziale sancendo l'irripetibilità delle somme versate per il mantenimento del figlio benché quest'ultimo lavorasse e fosse già economicamente autosufficiente.

Va evidenziato, tuttavia, che l'ordinanza in commento si discosta, però, dall'orientamento prevalente (Cfr. Cass. civ. ord. n. 3659/2020) che ha escluso che l'assegno possa avere funzione alimentare nel caso in cui il contributo risulti destinato a favore di chi abbia già raggiunto una posizione di indipendenza economica e non necessiti più del sostentamento assicurato dal genitore.

Sarebbe quindi del tutto lecito, da parte del genitore obbligato, chiedere la restituzione quando si verifichino eventi che determino l'autosufficienza del figlio beneficiario.

La irripetibilità delle somme versate dal genitore obbligato all'ex coniuge si giustifica, quindi, solo ove gli importi riscossi abbiano assunto una concreta funzione alimentare, che non ricorre ove ne abbiano beneficiato figli maggiorenni ormai economicamente indipendenti, in un periodo in cui era noto il rischio restitutorio.

Ciò detto, ritengo che nel caso in esame, considerato altresì l'importo esiguo versato dal padre nonché la giovane età del figlio, non vi siano per il padre i presupposti per richiedere la restituzione di quanto versato a titolo di assegno di mantenimento del figlio.

Con riferimento, invece, al momento del raggiungimento dell'indipendenza economica del figlio, la tipologia del contratto di lavoro “a chiamata” del caso in esame, è ritenuta da parte della giurisprudenza di legittimità e di merito incompatibile con il principio di indipendenza economica considerato che non si può ritenere indipendente sotto il profilo economico il figlio impiegato con lavori che prevedano assunzioni a tempo determinato poiché tali tipologie contrattuali non garantirebbero una sufficiente stabilità. (Cfr. Cass. civ., sez. VI-I, ord. 14 settembre 2020, n. 19077; Trib. Ancora, sent. n. 306/2019; Cass. 11 gennaio 2007 n. 407, App. Roma 14 ottobre 2016 n. 6080).

La Corte di Cassazione ha evidenziato, infatti, che se il contratto ha un termine eccessivamente breve, come accade per “il contratto a chiamata”, non può venir meno il diritto al mantenimento del figlio poiché la durata di tale contratto non condurrebbe alla stabilità economica bensì alla instabilità.

Con riferimento invece alla modifica delle condizioni di separazione, la questione più delicata è, a mio avviso, quella della legittimazione passiva. Invero, se il figlio è ancora convivente con la madre il ricorso dovrà essere proposto contro la madre.

Se il ragazzo, invece, non convive più con la madre, ritengo sia necessario integrare il contraddittorio chiamando in causa il figlio ormai maggiorenne considerata la sua legittimazione ad agire in via esclusiva.

Sul punto, infatti, si è espresso il Tribunale di Torino che con il decreto dell'11 aprile 2016, in linea con le pronunce sul medesimo tema della Corte di Cassazione, ha chiarito che: “la legittimazione concorrente del figlio maggiorenne e del genitore a richiedere l'assegno (ovvero a resistere alla domanda di revoca) sussiste fintanto che il figlio convive con il genitore, dovendosi invece ritenere attivamente o passivamente legittimato in via esclusiva il figlio maggiorenne che non convive più con il genitore”.

Il Tribunale precisa altresì che nel caso in cui, sin dall'inizio, sia stato previsto che l'assegno di mantenimento fosse versato direttamente al figlio maggiorenne, e non convivente con l'altro genitore, la legittimazione attiva e passiva, alla richiesta di modifica, spetterà unicamente al figlio maggiorenne.

Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto, sarà il figlio, nel caso in cui non conviva più con la madre, l'unico a essere legittimato a resistere in sede di revoca dell'assegno di mantenimento.

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