Riflessioni in tema di misure protettive e cautelari nella composizione negoziata

18 Aprile 2023

L'Autore svolge alcune riflessioni a margine delle misure protettive e cautelari poste, dal CCII, a presidio della salvaguardia e protezione delle trattative tra il debitore ed i suoi interlocutori nell'ambito della composizione negoziata della crisi. Viene altresì avanzata una ipotesi di distinzione, in termini generali, tra le stesse misure protettive e cautelari.

Fuori da una lettura meramente compilativa delle norme, va detto che la composizione negoziata della crisi, intesa come istituto ed insieme di norme che lo definiscono, è il punto di arrivo di una elaborazione almeno ventennale.

Il passaggio da una concezione squisitamente pubblicistica dell'insolvenza ad una considerazione privatistica e quindi negoziale per la soluzione degli step ad essa precedenti, quale che ne sia la definizione tecnica in termini di crisi, o difficoltà temporanea o illiquidità reversibile, è stato tributario anche di altri ordinamenti ed esperienze: nel sistema francese la “Suspension provisoire des poursuites” del 1967, il “Rédréssement judiciaire” del 1985 e subito dopo le “procédures d'alerte”. Ed è infatti dalle ceneri di quest'ultima, prima immaginata e poi ritirata dal Legislatore, che, con tratti più morbidi ed elastici (primo fra tutti: la decisione lasciata al solo debitore circa la sua apertura), la composizione negoziata è sorta.

Questo incipit non vuole essere storico ma interpretativo, raccogliendo in particolare l'invito di una parte della dottrina (M. Fabiani e I. Pagni, Introduzione alla composizione negoziata”, in Fall., 2021, 1477 ss.;) a non leggere le norme con rigidità, ma con un'apertura all'analogia che favorisca, anziché precludere, la riuscita della trattativa, cuore dell'istituto medesimo. E si capisce, se solo si riflette che già nel recente passato dottrina e giurisprudenza hanno temprato la netta distinzione tra istituti negoziali e procedure concorsuali, anzitutto riconoscendone la consecuzione e quindi la prededuzione per gli sforzi compiuti, da professionisti e creditori, in funzione del salvataggio. Emblematica è la riqualificazione, secondo questa chiave di lettura, dell'accordo di ristrutturazione dei debiti (Cass. Civ., Sez. I, 12 aprile 2018, n. 9087). Ma emblematiche sono anche le attuali riflessioni in ordine alla introduzione, nella composizione negoziata, della transazione fiscale (Il Sole 24 Ore, 14 febbraio 2023, 3).

Flessibilità e ragionamento analogico devono quindi presiedere all'esame, anche nel nostro caso.

Ora, quale che sia lo stadio della crisi, va da sé che la trattativa tra il debitore ed i suoi interlocutori, e così la composizione negoziale, necessita di un lasso di tempo libero da situazioni di costrizione cogente. In altre parole, essa necessita di un regime di salvaguardia e protezione, in modo che la trattativa si sviluppi, almeno per quel breve periodo, libera da posizioni di forza, principalmente da parte dei creditori: esecuzioni, sequestri, minacce di istanze di liquidazione giudiziale o di declaratoria di insolvenza, finalizzate all'apertura di una L.c.a..

In questo contesto, la serenità o protezione viene favorita dalle norme (art. 18, comma 1 e commi 4 e 5 CCII) secondo due modalità:

a) un effetto legale, discendente dalla pubblicazione dell'istanza di accesso e dall'accettazione dell'esperto, in virtù del quale si produce durante il tempo della trattativa una inibitoria o sospensione ex lege delle istanze di liquidazione giudiziale o dichiarazione di insolvenza (art. 18, comma 4);

b) un effetto giudiziale, discendente dall'esplicita richiesta del debitore contestualmente all'istanza o successivamente (art. 18, comma 1 CCII), dove la protezione o la cautela sono graduate nella misura e nel tempo, oltreché in relazione ai destinatari, dal tenore del provvedimento giudiziale richiesto ed assunto. Al di là del rito prescelto per la pronuncia nel rispetto del contraddittorio, che è quello camerale (art. 18, comma 3 CCII), si valorizza a questo riguardo il principio della domanda, sia come ambito della pronuncia richiesta (art. 99 c.p.c.) che non è necessariamente prefigurata nei suoi contenuti, sia come interesse sotteso (art. 100 c.p.c.): vero è infatti che la valutazione del giudice non potrà prescindere dalla funzionalità della misura invocata, tenuto conto della peculiarità dell'attività di impresa, ad esempio, e della sua stagionalità.

Diciamo quindi, forti anche dell'esperienza passata e della costante elaborazione di dottrina e giurisprudenza, che la misura protettiva e cautelare non è tipica, ma per sua natura necessariamente atipica e funzionale al caso.

Sul piano temporale, poi, l'istanza del debitore può essere iniziale, contestualmente al deposito della domanda di composizione (art. 18, comma 1 CCII) o successiva e in itinere (artt. 18, comma 1, 19, comma 5, 20, comma 1 CCII); così come successivamente può ravvisarsi la necessità di una sua modifica (19, comma 1 CCII ).

Queste poche battute fanno comprendere che l'invocazione della cautela finisce, in concreto, per essere forgiata alla luce di due principi che tra loro si combinano, l'uno sostanziale, l'altro processuale.

Sostanziale è infatti il giudizio sulla funzionalità della misura invocata, che per definizione deve presentarsi quale strumento indispensabile alla fattibilità della trattativa, pur nel bilanciamento dei contrapposti interessi. Ma processuale è l'agone nel quale la misura nasce, dove il principio di disponibilità della domanda non trova limite nella tipicità della protezione, bensì nell'interesse che viene ravvisato per sorreggerla.

E qui si entra, di conseguenza, in una riflessione diversa.

Sin qui si è parlato genericamente di misura protettiva. Ma le norme, ed anche la letteratura, discettano distinguendo la protezione dalla cautela, ravvisando poi per entrambe l'eventualità di modifiche per fatti sopraggiunti.

Ora, interpolando i canoni ermeneutici con l'ausilio dell'analogia (ed è il caso, ad avviso di chi scrive, dell'art. 54 CCII in tema di accordo di ristrutturazione dei debiti, ma anche delle definizioni di cui all'art. 2, lettera p) e q) CCII), si può avanzare la seguente ipotesi di distinzione in termini generali:

a) è misura protettiva quella invocata per sospendere l'esecuzione iniziata o inibirne l'inizio; ovvero per sospendere o inibire azioni cautelari di sequestro o anche solo restitutorie di beni detenuti dal debitore a titolo obbligatorio (18, comma 5); ovvero per inibire che, rispetto ai contratti pendenti, la controparte rifiuti la prestazione eccependo l'inadempimento, o invochi la risoluzione di diritto o la modifica in pejus delle obbligazioni (art. 18, comma 5);

b) appare invece essere misura cautelare (per analogia con l'art. 54, comma 1 CCII o per deduzione della lettura delle definizioni di cui all'art. 2, lettere p) e q) CCII) la nomina di un custode dell'azienda o del patrimonio nelle more delle trattative, se ciò concili le preoccupazioni magari dei creditori strategici sulla gestione dell'impresa. Non si può infatti escludere che questa sorta di autocommissariamento da parte del debitore sia la strada per una riuscita positiva delle trattative; cioè che la nomina di un terzo in chiave institoria non possa essere quella soluzione mediana e temporanea, capace di catalizzare l'attenzione sulla trattativa in sé.

Resta infine la riflessione circa la modifica, tanto più che almeno una pronuncia (Trib. Bergamo, 22 aprile 2022, Fall., 2022, 1091) ne ha negato la possibilità ove l'istanza sia stata inizialmente presentata per la mera conferma; così come in altri precedenti si è discusso se una domanda generica di protezione sia possibile siccome rivolta erga omnes (Trib. Milano, 27 febbraio 2022, ibidem, 1092) o, invece, si renda sempre indispensabile l'indicazione dei destinatari (Trib. Roma, 3 febbraio 2022, ibidem, 1097).

È evidente che il tenore di questo dibattito sconta il peso dell'elemento processuale, secondo i canoni classici del principio della domanda, del contraddittorio e della sua immutabilità ove non consentito e comunque nei limiti e tempi consentiti.

Ma se alla composizione negoziata si vuole garantire uno spazio nel sistema, fermo il principio del contraddittorio, forse sul mutamento della domanda ci si deve intendere. I tempi stretti per la composizione e la mutevolezza delle situazioni giustificano infatti una variante in corsa delle misure inizialmente richieste, pena l'eccessiva rigidità del sistema senza ragione. Non bisogna infatti dimenticarsi che stiamo in ogni caso parlando di domande cautelari e non di merito, per loro natura provvisorie e insuscettibili di gravare con un giudicato il diritto soggettivo di chiunque. Ed il solo limite al mutamento è invece costituito dalla ragionevole funzionalità della pretesa alla trattativa e composizione, della quale il Tribunale è garante con la sua deliberazione.

In altre parole: la consapevolezza della natura atipica della domanda di protezione, quasi alla stregua di quella veicolata con la domanda ex art. 700 c.p.c., in una con quella della sua provvisorietà, consente al sistema di esprimere il massimo risultato: che è poi, alla fine, la ragione giustificatrice dell'istituto.

Una certa elasticità di ragionamento, anche sul piano processuale, pare quindi doverosa.