In un contesto come quello digitale in cui molti cercano e trovano la popolarità e l’approvazione degli altri attraverso l’esposizione quasi totale della propria vita privata, spesso accade che il passare del tempo renda quella stessa esposizione una vera e propria gogna, in grado di ledere in modo a volte irreparabile la propria personalità. È così che l’impellente necessità di apparire si trasforma in altrettanta impellente necessità di scomparire. È qui che nasce l’attuale diritto all’oblio.
Introduzione
Nell'ambito del diritto, parlando di oblio, non ci si riferisce propriamente al suo significato letterale.
Coniata per la prima volta dalla dottrina francese nel 1966 da Lyon-Caen, l'espressione droit à l'oubli venne utilizzata per descrivere il contenuto del diritto a che le vicende, che pur fossero divenute di dominio pubblico, non fossero nuovamente diffuse una volta trascorso un periodo di tempo considerevole.
Coerentemente, nel diritto interno, l'accezione di diritto all'oblio più risalente nel tempo, elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza prima dell'avvento della rete, stava ad indicare il diritto di un soggetto a non vedere pubblicate alcune notizie relative a vicende, già legittimamente pubblicate, rispetto all'accadimento delle quali è trascorso un notevole lassodi tempo.
Il quesito da porsi per l'esercizio di tale diritto è dunque il se quanto lecitamente pubblicato in un determinato momento, potesse sempre essere oggetto di nuova pubblicazione, o se invece, il trascorrere del tempo ed il mutamento delle circostanze, rendessero una nuova pubblicazione illecita.
La giurisprudenza in merito ha ritenuto che gli eventi che vengano nuovamente pubblicizzati dopo un periodo significativo di tempo, e che manchino di contestualizzazione temporale, costituiscono una violazione del diritto dell'identità personale.
Con l'avvento di Internet e delle reti telematiche, il contesto all'interno del quale collocare il diritto all'oblio è mutato radicalmente in conseguenza del mutare del concetto di pubblicità e di tempo.
Una volta pubblicata una notizia in rete, questa rimane a disposizione degli utenti per un tempo indefinito, senza che sia necessaria una nuova pubblicazione. Non avrà dunque più alcun senso prendere in considerazione il periodo di tempo intercorso tra una pubblicazione e l'altra, avrà invece rilevanza il tempo di permanenza dell'informazione nel web.
Dal punto di vista del diritto, non si dovrà più giudicare la liceità di una nuova pubblicazione, ma collocare una notizia già legittimamente pubblicata nel passato, nel presente, valutando se le sia stato attribuito il giusto peso attraverso la contestualizzazione, affinché non leda la personalità dell'individuo.
È esattamente di questo avviso la Corte di Cassazione quando, riferendosi al diritto all'oblio in una sentenza nel 2012, sostiene che non si tratti di diritto a dimenticare, ma di diritto alla contestualizzazione.
La terza ed ultima accezione è quella che vede il diritto all'oblio come il diritto alla rettifica e alla cancellazione dei dati personali, o all'opposizione al trattamento degli stessi come previsto dall'art. 12 della direttiva 95/46/CE, che ha dato origine al d.lgs. n. 196/2003, Codice in materia di protezione dei dati personali.
È proprio quest'ultima accezione che ha dato origine ad una delle più importanti e rivoluzionarie sentenze della Corte di Giustizia Europea.
Nel 2014, nel caso Google Spain, la Grande Sezione è intervenuta riguardo gli obblighi dei gestori di motori di ricerca per la tutela dei dati personali, soffermandosi sulle modalità ed i limiti temporali dell'attività di indicizzazione degli stessi.
Oltre ai fattori pubblicità e tempo ci si trova di fronte ad un nuovo e rilevante fattore, l'indicizzazione che, come si dirà in seguito, ricopre un ruolo essenziale nella nuova concezione di oblio.
Google e il diritto all'oblio
La sentenza del caso Google Spain (Corte Giust. 13 maggio 2014, C-131/12), non ha di certo lasciato indifferente il colosso Google, che ha tempestivamente provveduto a porre in essere una soluzione che collimasse con la direttiva europea in tema di trattamento dei dati personali, nonché con la decisione della Corte di Giustizia.
Non è stato necessario attendere nemmeno un mese, perché il motore di ricerca predisponesse un apposito modulo per i cittadini europei, raggiungibile semplicemente accedendo al servizio di supporto della piattaforma stessa, che dà la possibilità all'utente di richiedere direttamente a Google la deindicizzazione di determinati contenuti.
La decisione della Corte di Giustizia chiede a Google di prendere decisioni difficili in merito al diritto di un individuo all'oblio e al diritto del pubblico di accedere all'informazione, per questo motivo, i dirigenti del servizio, si sono impegnati nella creazione di un comitato consultivo di esperti finalizzato ad un'attenta analisi delle richieste, nonché si sono resi completamente disponibili alla cooperazione con i garanti della privacy ed altre autorità .
Perché l'utente possa inoltrare la richiesta, è sufficiente che compili un form inserendo i propri dati, qualora effettui la richiesta personalmente, oppure i dati dell'assistito, qualora ad effettuare la richiesta sia un avvocato incaricato dall'interessato. Questi devono essere seguiti da una breve spiegazione della motivazione che spinge alla richiesta, oltre che dall'invio in allegato di un documento di identità.
Una volta ricevuta la richiesta, la società dovrà bilanciare i diritti alla privacy della persona con il diritto di rendere accessibili le informazioni e con l'interesse del pubblico di trovarle. Durante la valutazione della richiesta verrà stabilito se i risultati includono informazioni obsolete sull'utente e se le stesse sono di interesse pubblico. La decisione potrebbe essere quella di non rimuovere determinate informazioni perché recenti o perché riguardino frodi finanziarie, negligenza professionale, condanne penali o la condotta pubblica di funzionari statali .
Qualora l'utente non sia soddisfatto della decisione presa dal motore di ricerca, non essendo un provvedimento giudiziale, resta ferma, per l'interessato, la possibilità di ricorrere all'Autorità Giudiziaria o di presentare la richiesta all'Autorità Garante perché sia nuovamente esaminata.
GDPR e diritto all'oblio come nuovo diritto della personalità nel web
Il diritto all'oblio può essere definito come il diritto di un individuo ad essere dimenticato, più precisamente, a non essere più ricordato per fatti che lo riguardano e che in passato sono stati oggetto di cronaca.
Il diritto all'oblio è divenuto diritto autonomo nel GDPR dove trova espressa disciplina nell'art.17, nel quale è sancito il diritto del soggetto interessato ad ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo.
Il presupposto di tale diritto coincide con l'interesse pubblico alla conoscenza di un certo fatto il quale è racchiuso in quello spazio temporale necessario ad informarne la collettività, e che con il trascorrere del tempo diminuisce progressivamente fino a scomparire.
In tutti i Paesi membri dell'UE, a partire dalla sentenza Costeja del 13 maggio 2014 è possibile per ogni cittadino appellarsi al diritto all'oblio, ovvero la possibilità dell'interessato di richiedere al fornitore di un motore di ricerca online o di un sito web di cancellare determinate informazioni personali; nello specifico, si può richiedere ad esempio la rimozione di uno o più link verso pagine web dall'elenco dei risultati che appaiono dopo una ricerca effettuata a partire dal suo nome.
In Italia, le linee guide adottate dal Garante della Privacy si basano, sugli artt. 12 e 22 Codice Privacy, sul regolamento UE 679/2016 relativo alla protezione dei dati e sull'accordo SEE (Spazio Economico Europeo). A partire dalla sentenza sopra citata, gli utenti italiani risultano essere più consapevoli del fatto che possono presentare un reclamo alle autorità di controllo a seguito del rifiuto delle loro richieste di deindicizzazione direttamente al motore di ricerca. Secondo tali criteri, se un interessato ottiene la deindicizzazione di un particolare contenuto, ciò determina la cancellazione di tale contenuto specifico dall'elenco dei risultati di ricerca relativi all'interessato quando tale ricerca è, in linea generale, effettuata a partire dal proprio nome. Il contenuto rimarrà comunque disponibile in risposta ad altre chiavi di ricerca.
Il diritto all'oblio nei casi riguardanti i motori di ricerca si concretizza con il concetto di deindicizzazione che «consente un'operazione sostanzialmente differente dalla rimozione/cancellazione di un contenuto: non lo elimina, ma lo rende non direttamente accessibile tramite motori di ricerca esterni all'archivio in cui quel contenuto si trova».
Così, nella sentenza della Corte di Giustizia del 2014 nel caso Google e Google Spain c. Costeja, la Corte ha stabilito che un interessato può richiedere al fornitore di un motore di ricerca online di cancellare uno o più collegamenti a pagine web dall'elenco dei risultati visualizzati a seguito di una ricerca effettuata sulla base del suo nome, diritto poi sancito formalmente nell'art. 17 GDPR.
In conclusione
Diviene naturale chiedersi se, in uno scenario come quello attuale ove la vita reale è riflessa ed influenzata dal digitale, aggiungere il diritto all'oblio alla lista dei diritti a tutela della personalità sia da considerare come doveroso.
Se si analizza il diritto all'oblio, nelle prime due accezioni suddette, si può notare che il bene tutelato è quello dell'identità personale. Si tratta, infatti, del diritto a non vedere travisata la propria immagine sociale; tale concetto si basa sul fatto che i motori di ricerca, attraverso le loro operazioni di raccolta e archiviazione dei dati, ricreano un'immagine digitale del soggetto non meno vera di quella reale. Si può quindi affermare che il diritto all'oblio è strumentale rispetto alla tutela del diritto all'identità personale.
La situazione cambia se, ad essere presa in considerazione, è la terza accezione, cioè quella del diritto all'oblio come diritto alla cancellazione dei dati se non più adeguati, aggiornati o pertinenti; in tal caso il bene giuridico tutelato dal diritto, non è più l'identità personale, bensì il dato personale.
In ogni caso la tutela dei dati e la tutela dell'identità personale sono concetti quasi sovrapponibili, in quanto i dati considerati nella Sentenza Google Spain, dalla legge italiana e dal nuovo Regolamento europeo, sono quelli che delineano l'immagine della persona in rete, la cui lesione può definire i suoi effetti sull'immagine reale del soggetto.
Un elemento essenziale è quello del tempo. Posto che l'immagine di un soggetto non è un'entità statica, ma qualcosa che si evolve con il passare degli anni parlando di diritto all'oblio diventano essenziali i concetti di contestualizzazione e storicizzazione.
In ogni caso come il diritto all'identità personale consiste nel diritto di vietare un travisamento dell'immagine sociale di un soggetto, il diritto alla rettifica comporta una forma di controllo sull'immagine sociale di un soggetto e il diritto, per questi, di fare correggere le pubblicazioni lesive o contrarie a verità. Quindi il bene giuridico complessivamente tutelato è uno solo, quello dell'identità personale, in tutte le sue forme.
In conclusione, non pare possibile considerare il diritto all'oblio come un nuovo diritto a tutela della personalità, ma come un ampliamento della tutela dell'identità personale resosi necessario con l'evolversi della società nel mondo digitale.
Riferimenti
In dottrina sul tema:
I. M. Alagna, Diritto all’oblio e mancato oscuramento dei dati sensibili, Giuffrè Francis Lefebvre, 2023
I. M. Alagna, Social Media e responsabilità civile, Giuffrè Francis Lefebvre, 2020
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Sommario
Google e il diritto all'oblio
GDPR e diritto all'oblio come nuovo diritto della personalità nel web