Riconoscimento di figlio naturale: il necessario bilanciamento tra l'affermazione della verità biologica e il best interest del minore
19 Aprile 2023
Massima
Il bilanciamento tra l'esigenza di affermare la verità biologica e l'interesse alla stabilità dei rapporti familiari (sostanzialmente equivalente a quello tra il diritto soggettivo di colui che vuole riconoscere il figlio e l'interesse del minore a non subire una forte compromissione del proprio sviluppo psico-fisico), deve essere effettuato dal giudice sulla base di un percorso motivazionale che dia conto della cornice fattuale in cui si estrinseca il caso concreto. Il caso
La pronuncia giudiziale in oggetto riguarda il riconoscimento del minore infraquattordicenne da parte del padre al quale si era opposta la madre che ha contestato la sussistenza di un interesse del figlio al riconoscimento paterno lamentando gli episodi di aggressione posti in essere durante la pregressa convivenza: episodi che avevano messo a rischio l'incolumità sua e del bambino nel corso della gravidanza. La questione
L'evoluzione interpretativa del principio del best interest del minore alla luce del diritto soggettivo di colui che vuole riconoscere il figlio e l'interesse del minore a non subire una forte compromissione del proprio sviluppo psico-fisico. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte ha fornito una soluzione interpretativa che si pone sul solco della giurisprudenza maggioritaria in materia di riconoscimento del figlio naturale, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata del principio del best interest del minore. Osservazioni
L'art. 250 c.c. statuisce che “il riconoscimento del figlio che ha compiuto i quattordici anni non produce effetto senza il suo assenso. Il riconoscimento del figlio che non ha compiuto i quattordici anni non può avvenire senza il consenso dell'altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento. Il consenso non può essere rifiutato se risponde all'interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell'altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente, il quale, assunta ogni opportuna informazione e disposto l'ascolto del minore, adotta eventuali provvedimenti temporanei ed urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che la difesa del convenuto non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice adotta i provvedimenti opportuni in relazione all'affidamento ed al mantenimento del minore ai sensi dell'art. 315-bis e al suo cognome ai sensi dell'art. 262”. Questa è la versione di recente modificata dal d.lgs. n. 149/2022 che ha epurato il precedente articolo dalla indicazione di un termine per la notifica del ricorso all'altro genitore, il quale entro trenta giorni aveva la facoltà di proporre opposizione, oltre ad aver cancellato il riferimento “all'audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, ove capace di discernimento”, con il più incisivo “disposto l'ascolto del minore”. La questione in esame, rispetto alla quale nessuna modifica normativa di rilievo è stata introdotta dalla recente riforma cd. “Cartabia”, è quella di individuare “the best interests of the child”, principio sancito nelle convenzioni internazionali in materia di famiglia e di diritti del fanciullo (Convenzione di New York del 20 novembre 1989, ratificata con legge n. 176 del 27 maggio 1991, Convenzione europea di Strasburgo, ratificata con legge 20 marzo 2003 n. 77, sull'esercizio dei diritti del fanciullo del 25 gennaio 1996, Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007). L'evoluzione della società civile a livello internazionale è segnata dalla metamorfosi del soggetto di età inferiore ai diciotto anni da “oggetto” di tutela – id est soggetto a tutela indiretta a mezzo degli esercenti la potestà genitoriale – a “soggetto” della tutela – id est soggetto “titolare di diritti soggettivi perfetti, autonomi ed azionabili”, da tutelare in via prioritaria. Sicché the best interests of the child è divenuto obiettivo centrale dei vigenti sistemi giuridici progrediti e, in area europea, la Corte europea dei diritti dell'uomo ne ha sancito la priorità raccordandola al comma 1° dell'art. 8 della Convenzione europea dei diritto dell'uomo, ossia al “diritto al rispetto della vita privata e familiare”. Nondimeno, la nostra Costituzione riconosce all'art. 30 il dovere ed il diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.
Premesso tali pietre miliari del diritto, occorre, quindi, trasformarli nella regola del caso concreto, nella bussola che guida le decisione del Giudice della famiglia chiamato a dipanare insanabili conflitti ancor prima che di famiglia in concreto è dato parlare. E sì – perché qui nemmeno c'è un nucleo familiare all'origine, c'è una famiglia “monca”, in cui l'un genitore riconosce dalla nascita il figlio, l'altro no. Per iniziare questa breve riflessione, occorre, quindi, partire dal dato normativo. Non è curioso sottolineare che il genitore che non ha per primo riconosciuto il figlio non ha un diritto soggettivo perfetto, ma subordinato, nel primo caso, al consenso del figlio ultra quattordicenne, il quale, secondo l'ottica del legislatore, ha raggiunto una capacità tale da decidere se far entrare nella propria vita l'altro genitore oppure no, e ciò con effetti giuridici definitivi, nel secondo caso, condizionato al consenso dell'altro genitore, qualora il figlio sia infraquattordicenne. Ma, in quest'ultima ipotesi, ciò non determina una preclusione definitiva all'esercizio di tale diritto, ma lo subordina alla decisione del Giudice, il quale deve ricercare e realizzare l'interesse del figlio. Quindi, non già immedesimarsi in quella che potrebbe essere la decisione del minore (anche in ipotesi prossimo ai quattordici anni, età che lo pone quale arbitro assoluto dell'esercizio di tale diritto), bensì quale estremo garante del suo benessere psico-fisico. Ma in che senso? L'interpretazione giurisprudenziale si è evoluta da una prioritaria necessità di tutelare sempre la verità biologica ed il diritto soggettivo del padre ad ottenere il riconoscimento ed esprimere la propria genitorialità, sull'assunto che tale riconoscimento determina comunque un vantaggio per il figlio, financo economico, al necessario bilanciamento di valori e diritti contrapposti, in cui non sempre la verità biologica deve prevalere e si traduce in un chiaro vantaggio per il minore. Al contrario, sulle orme del famoso assioma latino (fino ad ora), in cui mater semper certa est pater numquam, il diritto del padre viene condizionato, subordinato, ma a cosa? Non certo all'interesse della madre che vuole garantire il suo primario riconoscimento ed avere l'esclusiva sulla vita del figlio con tutti gli onori e oneri, ed evitare - questo sì - di dovere interloquire ed interagire con un partner a volte scomodo o, spesso e volentieri, violento ed indesiderato, bensì “all'interesse del minore a non subire una forte compromissione del proprio sviluppo psico-fisico, da compiersi operando un giudizio prognostico, che valuti non già il concreto esercizio della responsabilità genitoriale, per modulare il quale vi sono diversi strumenti di tutela, ma la sussistenza, nel caso specifico, di un grave pregiudizio per il minore che derivi dal puro e semplice acquisto dello status genitoriale e che si riveli superiore al disagio psichico conseguente alla mancanza o non conoscenza di uno dei genitori” (Cass. 14 settembre 2021, n. 24718). In buona sostanza, si tratta di un diritto soggettivo sacrificabile solo in presenza di un pericolo di danno gravissimo per lo sviluppo psico-fisico del minore, correlato alla pura e semplice attribuzione della genitorialità (Cass. 3 febbraio 2011, n. 2645; Cass. 16 novembre 2005, n. 23074). Pertanto, la mera pendenza di un processo penale a carico del genitore richiedente (nella specie concorso in alterazione di stato, abbandono ed illecito affidamento di neonato a terzi) non integra condizione ex se ostativa all'autorizzazione al riconoscimento; neppure la valutazione del rischio di un eventuale distacco del minore dall'attuale contesto di affidamento deve costituire interferenza ostativa al riconoscimento, posto che non vi è alcun nesso con il diritto alla genitorialità, potendo invece tale valutazione costituire oggetto di giudizio in diverso procedimento ad hoc (Cass. civ. 3 febbraio 2011, n.2645). Sicchè, tale secondo riconoscimento può essere sacrificato soltanto in presenza di un fatto di importanza proporzionale al valore del diritto sacrificato, ossia solo ove sussista il pericolo di un pregiudizio così grave per il minore da compromettere seriamente il suo sviluppo psicofisico (Cass. civ., 16 novembre 2005, n. 23074, enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la decisione della corte d'appello, la quale, nel negare la pronuncia in luogo del mancato consenso, aveva ravvisato il pericolo della detta compromissione in ragione delle connotazioni fortemente negative della personalità del genitore che intendeva procedere al secondo riconoscimento, essendo questi inserito nell'ambiente della criminalità organizzata ed attualmente detenuto per gravi reati). Secondo altra interessante pronuncia, tale diritto soggettivo alla genitorialità, costituzionalmente garantito dall'art. 30 Cost., entro i limiti stabiliti dalla legge (art. 250 c.c.), cui rinvia la Costituzione, non si pone in termini di contrapposizione con l'interesse del minore, ma come misura ed elemento di definizione dello stesso, che è segnato dal complesso dei diritti che al minore derivano dal riconoscimento e, in particolare, dal diritto all'identità personale, inteso come diritto ad una genitorialità piena e non dimidiata. Ne consegue che, anche alla luce degli artt. 3 e 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 (resa esecutiva con la legge 27 maggio 1991, n. 176), il mancato riscontro di un interesse effettivo e concreto del minore non costituisce ostacolo all'esercizio del diritto del genitore ad ottenere il riconoscimento, nel caso di opposizione del genitore che per primo ha proceduto al riconoscimento, in quanto detto interesse va valutato in termini di attitudine a sacrificare la genitorialità, riscontrabile soltanto qualora si accerti l'esistenza di motivi gravi ed irreversibili che inducano a ravvisare la forte probabilità di una compromissione dello sviluppo del minore, che giustifichi il sacrificio totale del diritto alla genitorialità (Cass. civ., 3 novembre 2004, n. 21088, nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, secondo la quale il pregresso comportamento del genitore, che aveva preteso l'aborto e non si era occupato della bambina, non autorizza a desumere che dal riconoscimento possano derivare alla minore pregiudizi gravi ed irreparabili, né ad escludere gli effetti vantaggiosi che, almeno in linea astratta, alla minore stessa dal riconoscimento possano derivare). A grandi linee, da tale evoluzione giurisprudenziale si evince l'intento di non precludere a priori ed in astratto il diritto alla genitorialità, sull'assunto che l'identità del minore si plasma tutelando la presenza di entrambi i genitori ed il loro paritario contributo, senza che comunque eventuali distorsioni delle relative capacità genitoriali possano incidere sul diritto primario del minore a conoscere le proprie origini, quali basi per costruire la propria struttura psicosociale ed il diritto a relazionarsi pienamente con entrambi i genitori, distorsioni che possono giustificare l'adozione di eventuali provvedimenti in materia di affidamento calibrati in relazione al diverso estrinsecarsi della bigenitorialità nel caso concreto. Da tale indirizzo sembrerebbe discostarsi altra recente pronuncia, pur citata nella sentenza in esame, della Suprema Corte del 30 giugno 2021 n. 18600, secondo cui occorre procedere al bilanciamento tra l'esigenza di affermare la verità biologica e l'interesse alla stabilità dei rapporti familiari, e tale bilanciamento non può costituire il risultato di una valutazione astratta, ma deve procedersi ad un accertamento in concreto dell'interesse del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all'esigenza di un suo sviluppo armonico, dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale (nella specie la S.C. ha evidenziato che la corte d'appello aveva del tutto omesso di esaminare l'allegazione relativa alla abituale condotta violenta e prevaricatrice del padre biologico nei confronti della madre e dei suoi familiari, frutto di un modello culturale di rapporti di genere, che doveva invece essere posta in evidenza nell'operazione di bilanciamento). Tale pronuncia, rimarcando il discrimine tra l'orientamento iniziale secondo cui il secondo riconoscimento costituisce “in linea di principio un vantaggio per la prole, evidenzia l'interesse alla stabilità dei rapporti familiari, nell'ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all'identità, non necessariamente correlato alla verità biologica, ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all'interno di una famiglia”. E quindi, il diritto all'identità del minore non sempre e non solo si realizza con la ricerca della verità biologica, ma si esprime con l'esigenza di uno sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo, sociale (Cass. civ., n. 18817/2015; Cass. civ., n. 25213/2013). Tale valutazione globale, da effettuarsi “sulla base delle concrete emergenze di ogni singola vicenda processuale, non si sottrae il vaglio della personalità del richiedente nella misura in cui rifluisce con l'esigenza di uno sviluppo equilibrato del figlio” (Cass. n. 7762/2017). Ma allora, il best interest del minore oscilla tra un diritto all'identità che pone le proprie radici sulla verità biologica, alla ricerca delle proprie origini, ad un diritto all'identità costruito sulla stabilità dei legami familiari, affettivi, culturali che il minore ha via via intessuto? Come dipanare la matassa? Come ben chiarito da una recentissima sentenza del giudice di legittimità, dichiarando manifestatamente infondata una questione di costituzionalità dell'art. 250 commi 3 e 4 c.c. “la scelta del legislatore di dettare una clausola generale affidandone al giudice la concretizzazione nella singola fattispecie, non costituisce una delega al giudizio personale del singolo giudice, ma risponde all'esigenza di consentire l'adattamento del concetto generale dell'interesse del figlio, alle infinite varietà delle situazioni concrete che non potrebbero mai essere tutte previste nella norma scritta, consentendo così, senza lacune, in ogni caso il bilanciamento degli interessi costituzionalmente protetti dalla norma”. Detta pronuncia, nel risaltare l'incipit dell'art. 30 della Costituzione: il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori sorge sin dalla nascita, in quanto ricollegato non all'effetto giuridico dell'istituzione della relazione parentale (comunque posta: presunta ex art. 231 c.c., accertata ex art. 236, 237, 241 c.c., dichiarata per atto volontario ex art. 250, 254 c.c. o per sentenza ex art. 250, 269 e 277 c.c.), ma al fatto giuridico della procreazione (cfr., fra le altre, Cass. 5 maggio 2020, n. 8459; Cass. 27 maggio 2019, n. 14382, pone l'accento al “diritto (-dovere) di riconoscimento del figlio naturale (…) con la conseguente assunzione delle responsabilità genitoriali verso il nato” (Cass. 5 maggio 2020, n. 8459, ove si parla di un dovere di riconoscimento del figlio naturale, quale condotta funzionale alla protezione dell'interesse del minore).Sicchè, lungi dal ritenere la sussistenza di un diritto assoluto di entrambi i genitori (anche quello del primo genitore è recessivo rispetto all'interesse del figlio), incontrando i confini invalicabili del previo assenso del figlio che abbia compiuto i quattordici anni (art. 250, comma 2, c.c.) e dell'interesse del minore (art. 250, commi 3 e 4, c.c.), sottolinea che proprio al giudice occorre rimettere la possibilità «di valutazione e di bilanciamento dei diversi interessi implicati», richiamando le pronunce della Corte cost., 23 febbraio 2012, n. 31 e Corte cost. 23 gennaio 2013, n. 7. L'esigenza di operare «una razionale comparazione degli interessi in gioco, alla luce della concreta situazione dei soggetti coinvolti, impone al giudice di tenere conto di tutte le variabili del caso concreto» (Corte cost. 25 giugno 2020, n. 127). E tra queste variabili rientra sia il legame del soggetto riconosciuto con l'altro genitore, sia la possibilità di instaurare tale legame con il genitore biologico, sia la durata del rapporto di filiazione e del consolidamento della condizione identitaria acquisita, sia, infine, l'idoneità dell'autore del riconoscimento allo svolgimento del ruolo di genitore (cfr., Cass. civ., 6 luglio 2022, n. 21428). La pronuncia in esame, infatti, si pone sul solco dell'orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, valutando il concreto bilanciamento degli interessi evidenziati e la tenuta motivazionale della sentenza impugnata, nel doveroso esame da parte del giudice di merito di tutte le variabili in gioco al fine di sfuggire alla insanabile censura della "motivazione apparente”, confezionando “una veste giuridica” al caso concreto. Riferimenti
Trattato Operativo di Diritto di Famiglia, a cura di Ida Grimaldi, Paolo Corder, Sant'Arcangelo di Romagna. |