Mancato appello avverso la sentenza in abbreviato e riduzione di pena introdotta dalla riforma Cartabia
19 Aprile 2023
La Suprema Corte sembra così chiudere le porte all'annosa quaestio, sorta all'indomani dell'entrata in vigore della riforma Cartabia (il 30 dicembre 2022), e legato all'art. 24, lett. c), d.lgs. n. 150/2022, il quale, aggiungendo il comma 2-bis all'art. 442 c.p.p., ha previsto che quando né l'imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro una sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell'esecuzione, che vi provvede de plano. I fatti contestati. La fattispecie concreta portata all'attenzione della Prima sezione di legittimità vedeva un uomo imputato, e condannato in prime e seconde cure, per tentato omicidio aggravato dai futili motivi ai danni dell'amico, il quale aveva intrattenuto una relazione con la sua fidanzata. I motivi di gravame interposti dal ricorrente – attinenti alla mancanza dell'elemento psicologico del delitto di omicidio e conseguente riqualificazione dei fatti in lesioni, sull'assenza dei futili motivi e sul diverso giudizio di bilanciamento tra le circostanze – vengono ritenuti inammissibili o generici o infondati dalla Cassazione. La richiesta di restituzione nel termine per rinunciare all'impugnazione. Il cuore dell'ordito motivazionale della sentenza in commento finisce per essere rappresentato dalla richiesta, formulata dal difensore dell'imputato nelle sue conclusioni scritte, di restituzione nel termine per rinunciare al ricorso in Cassazione e, in ogni caso, rinviare gli atti, alla Corte territoriale per rinunciare all'appello a suo tempo prodotto, usufruendo così della ulteriore riduzione di un sesto della pena introdotta dopo la presentazione del ricorso al giudice di legittimità. La richiesta viene giudicata inammissibile perché il presupposto per l'applicazione dello sconto di pena è l'irrevocabilità della sentenza di primo grado per mancata proposizione dell'appello da parte dell'imputato (quando è ammessa l'impugnazione personale) e del difensore. La ratio della norma. Chiaro l'obiettivo perseguito dalla novella: quello di ridurre la durata del processo penale (secondo gli obiettivi concordati con la Commissione europea e contenuti nel P.N.R.R. del 25% entro il 2026, condicio sine qua non per accedere ai fondi del Next Generation EU), favorendo la definizione della causa dopo la decisione di primo grado, così da non dare luogo alla fase delle impugnazioni (appello, ove previsto, o giudizio di legittimità), quando esse, alla luce delle valutazioni rimesse all'imputato e al suo difensore, non siano giustificate da un concreto interesse: a fronte della mancata impugnazione della pronuncia di primo grado l'imputato otterrà, in fase esecutiva, un ulteriore riduzione di un sesto della pena irrogata. Non si può riavvolgere il nastro del processo. Per i Giudici, il legame esistente tra la mancata proposizione dell'impugnazione e l'irrevocabilità della sentenza di primo grado rende evidente che nel caso in esame non può porsi nessuna questione di restituzione nel termine, posto che l'atto che impedisce l'accesso alla riduzione di pena è già stato compiuto e ha introdotto la fase processuale dell'impugnazione, segmento che la norma premiale vuole evitare. Si tratterebbe di una contraddizione logica interna alla prospettazione difensiva che vorrebbe riavvolgere il nastro del processo, eliminando una intera fase processuale solo perché la parte pretende di revocare, ora per allora, l'atto di impugnazione che ha validamente proposto. Il tempus regit actum. La riduzione di un sesto, ricordano i giudici di legittimità, si ricollega al principio del tempus regit actum, secondo le preziose indicazioni fornite dalle Sezioni Unite Lista n. 27614/2007. L'actus che costituisce lo spartiacque della irretroattività della legge successiva è, in questo caso, l'atto di impugnazione (con effetti istantanei) che ha una propria autonomia e dà avvio alla successiva fase di impugnazione. Pertanto, la condizione processuale attinente al novum legislativo attiene all'irrevocabilità della sentenza di primo grado per mancata proposizione dell'impugnazione, condizione che può ravvisarsi unicamente per le sentenze di primo grado che siano divenute irrevocabili dopo l'entrata in vigore della riforma Cartabia, anche se pronunciate in data anteriore. Esclusa la natura (solo) sostanziale della novella e della retroattività della lex mitior. La Suprema Corte ritiene priva di fondamento dell'applicazione retroattiva, ai sensi dell'art. 25, comma 2, Cost., della diminuente di un sesto ex art. 442, comma 2-bis, c,p.p., non configurabile per la natura mista (processuale e sostanziale) della diminuente. Si richiama, all'uopo, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo per la quale le norme in materia di retroattività contenute nell'art. 7 CEDU (quelle aventi vesti e sostanza penale) ha una portata più circoscritta di quella interna e concerne le sole disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono. La Suprema Corte distingue tra procedimenti pendenti e definiti. Se la disposizione dell'art. 442, comma 2-bis, c.p.p., non è applicabile ai giudizi definiti in data anteriore alla sua entrata in vigore non si pone in contrasto con l'art. 7 CEDU, deve concludersi per la sua piena legittimità costituzionale anche con riguardo agli artt. 3, 25 e 27 Cost., operando in tal caso il limite – all'operatività della lex mitior anche oltre l'ambito convenzionale – del giudicato ex art. 2, comma 4, c.p. Per i procedimenti penali in fase di impugnazione, invece, la compatibilità costituzionale dell'applicazione non retroattiva della disposizione è assicurata dai principi di eguaglianza di e responsabilità penale. Il discrimen per l'applicazione della novella. I due elementi concorrenti che caratterizzano la condizione processuale per accedere alla condizione processuale sono: uno di tipo negativo (mancata presentazione dell'impugnazione), l'altro di tipo positivo (l'irrevocabilità della sentenza). Quest'ultimo è il discrimen per l'applicazione della novella poiché è richiesto, per beneficare dell'ulteriore diminuente di un sesto, che l'impugnazione non sia stata proposta. Scenari futuri e conseguenziali. Le stesse conclusioni cui giunge l'odierna pronuncia dovrebbero estendersi ai casi in cui la rinuncia all'impugnazione è avvenuta prima dell'entrata in vigore della riforma Cartabia (quindi prima del 30 dicembre 2022). Anche in questo caso simile verrebbe a mancare l'elemento negativo della fattispecie complessa, ossia la mancata impugnazione della sentenza di condanna. Se la ratio della nuova disposizione – ridurre il numero delle impugnazioni delle sentenze di giudizio abbreviato – potrebbe prima facie suggerire un'applicazione analogica in bonam partem dell'art. 442, comma 2-bis, c.p.p. ai casi di rinuncia all'impugnazione già presentata, invece, la natura eccezionale del beneficio sembrerebbe ostacolare tale interpretazione, in conformità ai rigorosi criteri stabiliti all'art. 14 delle preleggi. Argomenti favorevoli e applicazione analogica. Tuttavia, emerge un profilo di irragionevolezza della disparità di trattamento tra le due circostanze (mancata impugnazione e rinuncia all'impugnazione, da parte dell'imputato che aveva proposto impugnazione prima dell'entrata in vigore della riforma Cartabia). Proprio tenendo conto di quest'ultimo profilo, unito al fondamento della riduzione della pena, collegato alla acquiescenza e al connesso risparmio di tempo e di risorse processuali, unitamente alla possibilità equiparare la mancata impugnazione alla successiva rinuncia alla stessa, conduce a ritenere preferibile la soluzione opposta, ammettendo la riduzione di un sesto della pena in caso di rinuncia impugnazione della sentenza in abbreviato prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022 (in questi termini, Tribunale di Vasto, 23 gennaio 2023: «perché in questo caso si realizza l'effettiva ratio della norma ossia quella di risparmiare un ulteriore grado del processo concedendo il premio all'imputato»). *Fonte: DirittoeGiustizia |