Convivenza more uxorio e permanenza dell'assegno divorzile per la sola funzione compensativa-perequativa
20 Aprile 2023
Massima
L' instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l'ex coniuge economicamente più debole non preclude a quest'ultimo, se privo anche nell'attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, il riconoscimento dell'assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa. Sarà pur sempre necessaria la prova del contributo offerto alla comunione familiare, dell'eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, dell'apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell'ex coniuge. Il caso
Il Tribunale di Roma dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio di due coniugi e affidava la figlia minore ad entrambi i genitori, con collocamento presso la madre nella casa coniugale a lei assegnata. Con riferimento alle questioni economiche, stabiliva a carico del padre l'obbligo di versamento dell'assegno di mantenimento indiretto per i 3 figli e la corresponsione in favore della moglie di un assegno divorzile di € 1.500,00 mensili. La Corte d'Appello di Roma, con sentenza pubblicata il 14.12.2020, in riforma della decisione emessa dal primo giudice ed impugnata dal coniuge obbligato, disponeva la revoca dell'assegno divorzile con decorrenza dalla domanda (ottobre 2011), fissando il contributo per il mantenimento dei tre figli in € 7.000,00 mensili, con decorrenza, in tal caso, dalla emissione della sentenza di primo grado.
La Corte di merito, valutato tutto il materiale istruttorio acquisito e, in particolare, le relazioni investigative, la documentazione bancaria (tra cui, i bonifici effettuati dal nuovo convivente sul conto dell'ex coniuge beneficiaria dell'assegno divorzile), le risultanze anagrafiche, le dichiarazioni rese dai figli maggiorenni, riteneva innanzitutto provata l'esistenza di una famiglia di fatto, di un nuovo e duraturo legame affettivo della signora con un altro uomo, caratterizzato anche dall'inserimento di quest'ultimo e della di lui prole nello stesso stato di famiglia, dall'assunzione spontanea e libera di impegni reciproci di assistenza morale e materiale, da ufficialità e da una frequentazione quotidiana con periodi più o meno lunghi di convivenza. Pertanto, riteneva non più sussistenti i presupposti dell'assegno divorzile, revocandolo ex tunc, dal 2011.
Avverso tale pronuncia la donna proponeva ricorso per Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. della l. 898/1970, art. 5 comma 6, per avere la Corte di Appello revocato l'assegno divorzile per il sol fatto dell'accertamento dell'esistenza di una convivenza more uxorio. La questione
L'instaurazione da parte dell'ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, caratterizzata da un comune progetto di vita e da reciproci impegni di assistenza morale e materiale determina la perdita automatica ed integrale del diritto all'assegno divorzile o, prescindendo dalla componente assistenziale, residua la possibilità di una diversa quantificazione del suo ammontare in relazione alle altre funzioni dell'assegno? Le soluzioni giuridiche
La ricorrente rivendica il proprio diritto all'assegno divorzile valorizzando il personale contributo offerto alla vita familiare, in quanto, in ragione del matrimonio celebrato nel 1995 all'età di 23 anni, ha dovuto interrompere gli studi e rinunciare al lavoro occasionale svolto presso il negozio dei genitori, per dedicarsi alla vita familiare e all'accudimento dei tre figli nati dall'unione matrimoniale. Al momento della richiesta di assegno divorzile, è risultato che la richiedente non aveva percepito redditi, né aveva proprietà immobiliari.
Ravvisata l'esistenza di tale prerequisito (ovvero dell'insussistenza di mezzi adeguati e comunque dell'impossibilità oggettiva a richiederli) e considerati la durata del matrimonio, una concreta capacità di lavoro e guadagno della coniuge richiedente l'assegno (per lo svolgimento per breve periodo di attività di intermediazione immobiliare), nonché l'assegnazione della casa coniugale alla predetta, con contributo a suo carico di euro 1.000,00, il primo giudice le ha attribuito un assegno divorzile di euro 1.500,00. La Corte di Appello, senza alcuna ulteriore istruttoria, pur sollecitata dalle parti, ha revocato tout court l'assegno divorzile, sulla base di un unico elemento, ritenuto dirimente, ovvero della prova dell'esistenza di una stabile convivenza con un altro uomo ad opera della richiedente l'assegno, connotata da reciproca assistenza materiale e morale, tale da elidere ogni tipo di ragione posta a base dell'assegno, anche non riconducibile alla mera solidarietà post coniugale.
La S. Corte di Cassazione, nella pronuncia in commento, ha cassato la sentenza della Corte di Appello di Roma, stigmatizzando la completa omissione di ogni indagine circa le condizioni economiche dei due coniugi e i possibili profili perequativi-compensativi dell'assegno divorzile, correlati allo svolgimento del rapporto coniugale. Richiamato l'orientamento giurisprudenziale affermato dalle S.U. nella sentenza n. 32198/2021, ha ribadito che il nuovo legame affettivo instaurato dall'ex coniuge beneficiario dell'assegno e sfociato in una convivenza stabile con rapporti di mutua assistenza morale e materiale, non comporta caducazione automatica dell'intero assegno divorzile, limitandosi semmai tale effetto estintivo alla componente assistenziale dell'assegno.
Venuta meno infatti ogni solidarietà post-matrimoniale, per l'esistenza di un nuovo legame, l'assegno divorzile potrebbe essere “conservato” o comunque riconosciuto in ragione della componente compensativa-perequativa, volta a bilanciare lo squilibrio economico-patrimoniale dei due coniugi originato dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, in funzione dell'assunzione di un ruolo trainante all'interno della famiglia.
Il coniuge che avanza domanda di assegno divorzile deve però provare innanzitutto la sussistenza del prerequisito fattuale della mancanza di mezzi adeguati o dell'impossibilità oggettiva a procurarseli e deve provare o quantomeno specificamente dedurre (Cass. 14256/2022) che l'eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale tra i coniugi sia scaturita dal sacrificio delle proprie aspirazioni, aspettative, del proprio percorso formativo-professionale, fatto per l'interesse della famiglia.
La Corte d'appello, nella sentenza annullata dalla S.C. di Cassazione, si è conformata invece ad un orientamento risalente e contrastante con il principio espresso dalle S.U. (32198/2021), revocando l'assegno sull'assunto che la costituzione, da parte del coniuge divorziato, di una stabile unione di fatto faccia venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell'assegno divorzile a carico dell'altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Osservazioni
La pronuncia della S.C. di Cassazione in commento si pone nel solco dell'orientamento giurisprudenziale cristallizzato con le sezioni unite n. 32198/2021, che, svolgendo una ricognizione dei contrastanti orientamenti registratisi in subiecta materia, hanno chiarito innanzitutto che l'instaurazione di una convivenza stabile, duratura, da parte dell'ex coniuge beneficiario dell'assegno divorzile, non è prevista normativamente quale causa di cessazione dell'obbligo di corresponsione dell'assegno. Ciò diversamente da quanto accade in caso di una nuova unione matrimoniale.
L'art. 5, comma 10, l. n. 898/1970, prevede infatti espressamente tale effetto estintivo solo nel caso in cui il coniuge cd. beneficiario, al quale deve essere corrisposto l'assegno, passi a “nuove nozze".
Non è poi stata inserita altra apposita norma sulla sorte dell'assegno di divorzio, per l'ipotesi che si instauri una nuova convivenza, nemmeno nella pur recente regolamentazione organica delle famiglie di fatto, contenuta nella l. n. 76/2016.
Sulla base dell'attuale impianto normativo, non è possibile quindi estendere la previsione di cessazione automatica dell'assegno divorzile anche all'ipotesi di instaurazione di una convivenza stabile, duratura da parte dell'ex coniuge, beneficiario dell'assegno divorzile, seppur registrata e regolamentata ai sensi della legge 76/2016.
Nonostante il riconoscimento di una pluralità di modelli familiari, dell'affermazione della pari dignità delle famiglie fondate sul matrimonio e quelle di fatto, oggetto di recenti interventi legislativi, permangono delle differenze significative.
In primis, occorre soffermarsi sul dato che, anche a seguito della legge Cirinnà n. 76/16, non è stato stabilito per i conviventi di fatto alcun obbligo di contribuzione o di mantenimento, né in corso di convivenza, né in caso di cessazione. Quanto elargito, pertanto, anche dopo l'entrata in vigore della legge, resta soggetto alla disciplina dell'obbligazione naturale, come adempimento di un dovere sociale o morale, da ritenersi pertanto irripetibile, ai sensi dell'art. 2034 del codice civile. L'eventuale obbligo di contribuzione può scaturire semmai da un contratto di convivenza liberamento sottoscritto dalle parti ma non ha fonte legale.
In caso di cessazione della convivenza di fatto, poi, l'art. 1, comma 65 della l. 76/2016 ha previsto un mero obbligo alimentare a carico della parte economicamente più forte, in presenza di uno stato di bisogno del richiedente. Gli alimenti non spettano a tempo indeterminato, ma per un limitato periodo, che, in assenza di accordo tra le parti, il giudice potrà stabilire, tenendo conto della durata della convivenza. Per il convivente di fatto poi non c'è alcuna risposta dal punto di vista successorio, non c'è il diritto alla pensione di reversibilità( 22318/2016 Cass.; 24694/2021 Cass. Sez. lav.).
Dunque, se da un lato va valorizzato il principio di autoresponsabilità e ciò che costituisce sua proiezione, come la scelta di costituire un nuovo nucleo familiare anche di fatto, dall'altro non può obliterarsi la diversità del trattamento normativo che tuttora permane tra le due tipologie di unioni (matrimoniale e di fatto), il carattere precario dei nuovi benefici economici legati alla convivenza, la riconducibilità all'alveo delle obbligazioni naturali della contribuzione fatta in costanza di unione, della mera possibilità, in caso di rottura del legame, e a determinate condizioni, un mero assegno alimentare “ a tempo” a carico dell'ex convivente economicamente più forte.
Considerando quindi la non piena omogeneità normativa della due situazioni, la natura composita dell'assegno di divorzio, comprensiva della componente assistenziale e di quella compensativo-perequativa (da Cass. sez. un. n. 18287/2018 in poi) e i criteri per determinarne sia l'attribuzione che la quantificazione, deve ritenersi che si estingua, di regola, il diritto alla componente assistenziale dell'assegno di divorzio anche per il futuro, in caso si instauri una convivenza stabile, giudizialmente provata (con laformazione di un nuovo progetto di vita e, quindi, con possibilità di ricevere contribuzioni economiche nell'ambito dell'assunzione di un reciproco dovere di assistenza morale e materiale), per la serietà che deve essere impressa al nuovo impegno, anche se non formalizzato, e per la dignità da riconoscere alla nuova formazione sociale.
Il nuovo vincolo di fatto, dotato di stabilità e serietà, può essere ritenuto idoneo ad elidere gli obblighi economici derivanti dalla precedente vita anteatta matrimoniale, solo per la dimensione assistenziale, che deve poter trovare la sua esclusiva sede nella nuova unione, liberamente contratta, in cui naturalmente transita il principio di solidarietà, che non ha più ragione di gravare sul precedente legame non più in vita.
Il coniuge beneficiario non perde invece automaticamente la componente compensativa/perequativa dell'assegno, che ha diversa ratio e deve compensare i sacrifici fatti, le opportunità perse, la sterilizzazione di prospettive professionale che hanno la loro fonte nella precedente unione.
L'assegno divorzile quindi potrà essere rimodulato, in sede di revisione, o quantificato, in sede di giudizio per il suo riconoscimento, purché al presupposto indefettibile della mancanza di mezzi adeguati, si sommi il comprovato emergere di un contributo, dato dal coniuge debole con le sue scelte personali e condivise in favore della famiglia, alle fortune familiari e al patrimonio dell'altro coniuge, che rimarrebbe ingiustamente sacrificato e non altrimenti compensato se si aderisse all'opzione interpretativa di una caducazione integrale.
In fase di revoca, l'assegno divorzile potrà essere quindi sottoposto ad una prova di resistenza laddove in fase attributiva siano state già comprovate e comunque dedotte distintamente tutte le componenti dell'assegno, quella assistenziale e quella compensativa-perequativa.
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