Tempi di spostamento dei lavoratori itineranti e orario di lavoro: la Cour de cassation si conforma alla Corte di giustizia UE

20 Aprile 2023

Il résulte de l'obligation d'interprétation des articles L. 3121-1 et L. 3121-4 du code du travail à la lumière de la directive 2003/88/CE du Parlement européen et du Conseil du 4 novembre 2003 concernant certains aspects de l'aménagement du temps de travail que, le temps de trajet d'un salarié itinérant entre son domicile et son premier client, puis entre son dernier client et son domicile peut être pris en compte au titre des heures supplémentaires lorsque le parcours de sa tournée commerciale est défini par l'employeur. (trad. it.: La Cour de cassation si allinea alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea con riguardo alla direttiva 2003/88/CE, ritenendo che i tempi di spostamento del lavoratore – tra il domicilio e il primo cliente, e tra l'ultimo cliente e il domicilio – possano essere considerati come orario effettivo di lavoro, comportando, conseguentemente, il pagamento, a carico del datore di lavoro, delle ore supplementari di lavoro.)
Massime

"Alla luce della direttiva 2003/88/CE, gli articoli L.3121-1 e L.3121-4 del Code du travail devono essere interpretati in tal senso che, se l'itinerario di spostamento di un lavoratore itinerante, tra il proprio domicilio e il luogo dove sono siti il primo e l'ultimo cliente, è caratterizzato dall'esecuzione di un'attività a carattere professionale, il tempo di spostamento potrà, allora, essere considerato come tempo di lavoro effettivo."


"La chambre sociale si è conformata alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea precisando che devono essere presi in considerazione, ai sensi della direttiva 2003/88/CE, i vincoli a cui sono effettivamente sottoposti i lavoratori al fine di determinare se i tempi di spostamento del lavoratore costituiscono o meno delle ore di lavoro effettivo."


Il caso: i tempi di spostamento di un lavoratore itinerante in assenza di un luogo abituale di lavoro

Con una sentenza del 23 novembre 2022, la chambre sociale della Cour de Cassation si è pronunciata sulla qualificazione dei tempi di spostamento dei lavoratori itineranti, facendo riferimento all'interpretazione della direttiva 2003/88/CE a opera della Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) e conformandosi, così, alla giurisprudenza europea.

Nell'ordinamento francese, la durata del lavoro effettivo è definita come il tempo durante il quale il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro e si conforma alle direttive dallo stesso impartite, senza dedicarsi a delle attività a carattere personale [1].

L'articolo L.3121-4 del Code du travail [2] esclude dalla qualificazione di tempo di lavoro effettivo i tempi di spostamento per e dal luogo di lavoro. Tuttavia, se il tempo impiegato negli spostamenti supera il tempo “normale” impiegato tra il proprio domicilio e il luogo di lavoro, esso sarà oggetto di una controprestazione che può prendere la forma di ore di riposo oppure finanziaria. La controprestazione è determinata da una convenzione o un accordo collettivo di lavoro o, in assenza, da una decisione unilaterale del datore di lavoro a seguito di una consultazione del Comité social et économique, organo di rappresentanza del personale nelle aziende aventi più di 11 lavoratori [3]. Il regime giuridico relativo al tempo di spostamento per e dal luogo di lavoro è stato definito dalla loi de cohésion sociale n° 2005-32 del 18 gennaio 2005 che riprende le soluzioni individuate precedentemente dalla Cour de cassation inerenti alla non qualificazione dei tempi di spostamento del lavoratore tra il proprio domicilio e il luogo di lavoro, e viceversa, in orario effettivo di lavoro.

È necessario evidenziare che l'onere della prova del superamento del tempo “normale” dei tempi di spostamento grava sul lavoratore in virtù dell'articolo 9 del Code de procedure civile [4]; il lavoratore dovrà così dimostrare in cosa consiste la durata “normale” dei tempi di spostamento e giustificare il superamento di quest'ultimo al fine di essere qualificato come tempo di spostamento inabituale.

Secondo le disposizioni del Code du travail, un lavoratore itinerante non può, dunque, domandare il pagamento dei tempi di spostamento per e dal luogo di lavoro a titolo di ore supplementari di lavoro. La giurisprudenza della chambre sociale non considerava le ore impiegate per gli spostamenti di un lavoratore itinerante, tra il proprio domicilio e il luogo dove sono siti il primo e l'ultimo cliente, come ore effettive di lavoro, con ciò escludendo l'applicazione della direttiva europea 2003/88/CE e applicando le disposizioni in materia del diritto nazionale, ossia l'articolo L.3121-4 del Code du travail [5].

Nel caso di specie, il lavoratore itinerante si recava presso i clienti tramite un veicolo messo a disposizione dal proprio datore di lavoro. Durante codesti spostamenti, il lavoratore esercitava le proprie funzioni commerciali abituali tramite l'utilizzo di un telefono aziendale con kit vivavoce; una parte delle proprie comunicazioni telefoniche professionali erano effettuate durante gli spostamenti tra il proprio domicilio e il primo cliente e, poi, tra l'ultimo cliente e il proprio domicilio. Il lavoratore itinerante ha richiesto il pagamento delle retribuzioni arretrate inerenti alle ore supplementari corrispondenti al tempo degli spostamenti all'inizio e alla fine della giornata lavorativa.

La corte di appello di Rennes, con una sentenza pubblicata in data 17 settembre 2020, ha ritenuto la qualificazione di tempo di lavoro effettivo degli spostamenti, condannando il datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni arretrate. Il datore di lavoro ha contestato la condanna al pagamento di diverse somme a titolo di ore supplementari arretrate.

La questione: la retribuzione dei tempi di spostamento per e dal luogo di lavoro di un lavoratore itinerante

Il tempo di spostamento di un lavoratore itinerante – tra il proprio domicilio e il primo cliente e, poi, tra l'ultimo cliente e il proprio domicilio – il cui percorso è definito dal proprio datore di lavoro può essere considerato come lavoro effettivo al fine del calcolo delle ore supplementari di lavoro?

A tal proposito, risulta necessario analizzare dapprima la giurisprudenza della CGUE inerente all'applicazione ratione materiae della direttiva 2003/88/CE.

La nozione di lavoro effettivo: determinanti gli ordini datoriali impartiti al lavoratore

La chambre sociale condanna il datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni arretrate a titolo di ore supplementari. La Cour de cassation rivede la sua giurisprudenza consolidata prendendo in conto i vincoli a cui sono realmente sottoposti i lavoratori in modo da determinare, in concreto, se il loro tempo di spostamento rientra o meno nella nozione di tempo di lavoro effettivo. Secondo il controllo in concreto, il giudice francese si basa sui fatti presentati dalle parti e su un'analisi concreta della situazione. La Suprema corte francese – n el rispetto del principio di leale cooperazione, sancito dall'articolo 4, paragrafo 3, del Trattato sull'Unione europea – vuole assicurare l'effetto utile della direttiva 2003/88/CE reinterpretando gli articoli L.3121-1 e L.3121-4 del Code du travail.

Con riguardo alla giurisprudenza europea, la CGUE (CGUE, 10 settembre 2015, C-266/14) ha precisato l'interpretazione dell'articolo 2, punto 1 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003 che, nel caso specifico in cui il lavoratore non ha un luogo fisso o abituale di lavoro, costituisce tempo di lavoro, il tempo di spostamento che il lavoratore consacra agli spostamenti quotidiani per e dal luogo dove sono siti il primo e ultimo cliente indicato dal datore di lavoro. La Cour de cassation fa riferimento ai punti 48 e 49 della citata sentenza che escludono l'applicazione della direttiva 2003/88/CE alle modalità di retribuzione dei lavoratori itineranti [6]. Conseguentemente, saranno applicabili le disposizioni nazionali, ossia, in Francia, l'articolo L.3121-4 del Code du travail, secondo la giurisprudenza costante anteriore alla sentenza commentata.

Inoltre, le nozioni di orario di lavoro e di periodo di riposo sono autonome ai sensi della direttiva, ossia la definizione risulta indifferente alle nozioni dettate dalle singole nazioni. In merito, la giurisprudenza della CGUE ha potuto ripetutamente precisare che la nozione di “orario di lavoro” include qualsiasi periodo in cui il dipendente sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della propria attività o delle proprie funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali; inoltre, codesta nozione deve essere intesa in opposizione a quella di “periodo di riposo” e la formulazione della direttiva 2003/88 non permette di intercettare un tertium genus tra il lavoro effettivo e il riposo [7]. Gli Stati membri non possono determinare unilateralmente l'ambito di applicazione di questi istituti giuridici, subordinando il diritto concesso direttamente ai lavoratori dalla presente direttiva a condizioni o restrizioni di qualsiasi tipo, senza contraddire lo scopo della stessa direttiva (CGUE, 9 marzo 2021, C-344/19) [8]. Tuttavia, la CCGUE considera che la direttiva non si oppone all'applicazione di una regolamentazione di uno Stato membro, di una convenzione collettiva di lavoro o di una decisione di un lavoratore che, ai fini remunerativi, prenda in conto in maniera differente i periodi nei quali le prestazioni di lavoro sono realmente effettuate e quelle durante i quali nessun lavoro effettivo è prestato (CGUE, 9 marzo 2021, C-580/19) [9].

Alla luce della direttiva 2003/88/CE, se i tempi di spostamento di un lavoratore itinerante rientrano nella definizione di tempo di lavoro effettivo ai sensi dell'articolo L.3121-1 del Code du travail, codesti spostamenti non rilevano del campo di applicazione dell'articolo L.3121-4 del Code du travail. La chambre sociale ammette, così, un'eccezione all'articolo L.3121-4 del Code du travail: i tempi di spostamento di un lavoratore itinerante potranno essere considerati come tempo di lavoro effettivo, e di conseguenza essere remunerati come tale, se il lavoratore deve attenersi alle direttive impartite dal datore di lavoro senza poter dedicarsi a delle occupazioni personali.

La Cour de cassation ha accompagnato la sua decisione con un comunicato stampa [10], al fine di esplicitare i principali contributi giuridici della decisione, precisando che, nell'ambito di una controversia, il giudice dovrà verificare se, durante il tempo di spostamento, il lavoratore itinerante deve conformarsi alle disposizioni e direttive dettate dal datore di lavoro senza poter dedicarsi ad attività aventi carattere personale. Infatti, se il lavoratore itinerante svolge attività a carattere professionale durante il tempo di spostamento per e dal luogo di lavoro, allora le ore impiegate nell'itinerario saranno calcolate come ore supplementari di lavoro.

Nel caso contrario, ossia se il lavoratore itinerante può liberamente svolgere attività personali durante gli spostamenti lavorativi, quest'ultimo potrà richiedere una controprestazione finanziaria o sotto forma di riposo – come disposto dall'articolo L.3121-4 del Code du travail – solo nel caso in cui gli spostamenti oltrepassano il tempo di spostamento normale tra il proprio domicilio e il luogo abituale di lavoro.

La particolarità del caso di specie è costituita dall'assenza di un luogo abituale di lavoro: il lavoratore eseguiva le proprie mansioni lavorative con il supporto di un mezzo a motore, messo a disposizione dal datore di lavoro; quest'ultimo indicava al lavoratore un percorso di visite programmate all'interno di un settore geografico particolarmente vasto. Durante gli spostamenti per e da i diversi clienti, il lavoratore utilizzava il telefono aziendale al fine di fissare appuntamenti, chiamare e rispondere ai suoi vari contatti, ai clienti, al direttore vendite, agli assistenti e ai tecnici. Le mansioni svolte erano quelle del “tecnico-venditore” itinerante e il lavoratore si recava solo occasionalmente nella sede aziendale. Inoltre, la Corte d'appello evidenzia che i clienti erano situati in una zona geografica ampia ossia sette dipartimenti della Francia occidentale (Grand Ouest): questa lontananza geografica rispetto al proprio domicilio comportava talvolta la prenotazione di camere d'albergo al fine di riprendere le visite programmate. Dunque, il lavoratore itinerante doveva conformarsi alle direttive e agli ordini imposti dal datore di lavoro durante il periodo di tempo impiegato per recarsi dal proprio domicilio ai clienti designati dal datore di lavoro.

La trasposizione della direttiva 2003/88/CE e la nozione di orario di lavoro

La regolazione dell'orario di lavoro a livello comunitario ha visto il primo intervento incisivo con la direttiva 93/104/CE del Consiglio del 23 novembre 1993, modificata dalla direttiva 2000/34/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro. Codeste modifiche hanno dato alla luce la successiva direttiva 2003/88/CE che “stabilisce prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell'orario di lavoro” ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1.

Con riguardo all'ordinamento italiano, l'Italia ha recepito le disposizioni europee con il d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, successivamente modificato dal d.lgs 19 luglio 2004, n. 213 [11]. Il legislatore nazionale si conforma così alla normativa europea riproducendo sia il profilo di applicazione della direttiva sia gli obbiettivi da perseguire.

La nozione di “orario di lavoro”, definita all'articolo 2, punto uno della direttiva 2003/88, richiede la presenza di tre elementi essenziali ossia che il lavoratore si trovi, a disposizione del datore di lavoro, nell'esercizio della sua attività delle sue funzioni. La giurisprudenza della CGUE [12] ha evidenziato la preminenza del secondo criterio al fine di qualificare un determinato spazio temporale in attività lavorativa, e quindi computabile nell'orario di lavoro; in tal senso, la Corte ha adottato una soluzione basata sul criterio fattuale, prendendo in considerazione l'ampiezza delle funzioni svolte dal lavoratore. Codesto approccio comporta, per il giudice nazionale, di procedere a verifiche di fatto e giuridiche al fine di accertare “la natura e la portata dell'obbligo di sorveglianza”. Più precisamente, la messa a disposizione, da parte del datore di lavoro, di un alloggio di servizio al fine di permettere al lavoratore di essere presente fisicamente nel luogo di lavoro impartito, non costituisce un fattore determinante al fine di qualificare il periodo di reperibilità in termini di orario di lavoro o periodo di riposo. Tuttavia, quest'ultimo può essere qualificato in “orario di lavoro” nel caso in cui si accerti la sussistenza di “obblighi che rendono impossibile al lavoratore interessato la scelta del luogo di permanenza durante i periodi di inattività al lavoro” [13].

Il legislatore italiano ha provveduto a trasporre la nozione di “orario di lavoro” all'articolo 1 del d.lgs. n. 66/2003 facendo riferimento a una nozione più ampia di quella di “lavoro effettivo”, come delineata dall'articolo 3 del R.D.L. n. 692/1923, il quale escludeva le attività di “lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia” [14]. Conseguentemente, sono considerati come orario di lavoro anche gli intervalli temporali durante i quali è – solamente – richiesto al lavoratore di tenersi a disposizione, non essendo lo svolgimento di un'attività lavorativa l'unica prestazione vincolante per il lavoratore. In tal senso, il criterio di misurazione dell'orario di lavoro risulta non solo dalla prestazione effettivamente prestata ma anche dalla disponibilità del lavoratore [15].

La questione concerne ugualmente la problematica del periodo di riposo e, più precisamente, la nozione di riposo intermedio. Sulla distinzione tra riposo intermedio (non computabile ai fini della determinazione della durata del lavoro) e la temporanea inattività, la Corte di cassazione [16] precisa che, nel primo caso, il lavoratore “può disporre liberamente di sé stesso per un certo periodo di tempo anche se costretto a rimanere nella sede del lavoro o a subire una qualche limitazione, mentre, nel secondo, pur restando inoperoso, è obbligato a tenere costantemente disponibile la propria forza di lavoro per ogni richiesta o necessità”.

L'articolo 8 del d.lgs. n. 66/2003 – che richiama espressamente i R.D. nn. 1955/23 e 1956/23 – esclude dall'orario di lavoro il tempo per recarsi sul luogo di lavoro. Tuttavia, la giurisprudenza della Suprema Corte ha ritenuto una ipotesi nella quale il tempo impiegato per raggiungere il luogo di lavoro rientra nell'attività lavorativa, ossia quando sia “funzionale rispetto alla prestazione” [17]. Al di fuori di tale ipotesi e, salvo diverse previsioni contrattuali, “il tempo impiegato giornalmente per raggiungere la sede di lavoro durante il periodo della trasferta non può considerarsi come impiegato nell'esplicazione dell'attività lavorativa vera e propria” [18]; quest'ultimo non sarà computabile ai fini dell'orario di lavoro.

Nel caso dei lavoratori che partono dal proprio domicilio con la dotazione strumentale necessaria e nel rispetto della pianificazione del datore di lavoro, il tempo di spostamento del primo viaggio risulta funzionale alla prestazione di lavoro. In particolare, la CGUE ha avuto modo di precisare la nozione di orario di lavoro nella già citata sentenza del 10 settembre 2015, Federacion de Servicios Privados del sindicato Comisiones obreras: i tre elementi essenziali della nozione sono ripresi così come la definizione in negativo rispetto al periodo di riposo.

Con riferimento alla nozione binaria dell'orario di lavoro, reperibile sia nella direttiva 2003/88/CE che nella giurisprudenza della CGUE, la dottrina [19] ha potuto evidenziare l'eccessiva rigidità rispetto ad attività lavorative caratterizzate da uno spazio temporale nel quale il lavoratore non è impegnato nello svolgimento di determinate mansioni, ma rimane tuttavia a disposizione del datore di lavoro e assoggettato al potere di disposizione del datore di lavoro. In considerazione dell'utilizzo incrementale delle innovazioni tecnologiche, quest'osservazione assume una particolare rilevanza in quanto la prestazione lavorativa è ancora più suscettibile di essere prestata al di fuori dei locali aziendali ponendo così la questione della distinzione tra le nozioni di orario di lavoro e periodo di riposo.

Note

[1] Articolo L3121-1 del Code du travail: «La durée du travail effectif est le temps pendant lequel le salarié est à la disposition de l'employeur et se conforme à ses directives sans pouvoir vaquer librement à des occupations personnelles».

[2] Articolo L.3121- 4 del Code du travail: «Le temps de déplacement professionnel pour se rendre sur le lieu d'exécution du contrat de travail n'est pas un temps de travail effectif.

Toutefois, s'il dépasse le temps normal de trajet entre le domicile et le lieu habituel de travail, il fait l'objet d'une contrepartie soit sous forme de repos, soit financière. Cette contrepartie est déterminée par convention ou accord collectif de travail ou, à défaut, par décision unilatérale de l'employeur prise après consultation du comité d'entreprise ou des délégués du personnel, s'il en existe. La part de ce temps de déplacement professionnel coïncidant avec l'horaire de travail n'entraîne aucune perte de salaire».

[3] Articolo L.3121-7, comma 2 del Code du travail: «Une convention ou un accord d'entreprise ou d'établissement ou, à défaut, une convention ou un accord de branche prévoit des contreparties lorsque le temps de déplacement professionnel mentionné à l'article L.3121-4 dépasse le temps normal de trajet».

Articolo L.3121-8-3° del Code du travail: «Les contreparties prévues au second alinéa de l'article L.3121-7 sont déterminées par l'employeur après consultation du comité social et économique».

[4] Articolo 9 del Code de procédure civile: «Il incombe à chaque partie de prouver conformément à la loi les faits nécessaires au succès de sa prétention».

[5] Cour de cassation, civile, Chambre sociale, 30 mai 2018, 16-20.634, Publié au bulletin.

Cfr. B. GRUAU, Temps de déplacement des salariés itinérants: la Cour de cassation s'aligne sur la jurisprudence de la CJUE, Actualités du droit, Lamyline, 30 novembre 2022.

[6] «48 Ebbene, è sufficiente ricordare che dalla giurisprudenza della Corte risulta che, eccezion fatta per l'ipotesi particolare di cui all'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, in materia di congedo annuale retribuito, quest'ultima si limita a disciplinare taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, cosicché, in linea di principio, essa non si applica alle retribuzioni dei lavoratori (v. sentenza Dellas e a., C‑14/04, EU:C:2005:728, punto 38, nonché ordinanze Vorel, C‑437/05, EU:C:2007:23, punto 32, e Grigore, C‑258/10, EU:C:2011:122, punti 81 e 83).

49 Pertanto, la modalità di retribuzione dei lavoratori in una situazione come quella di cui al procedimento principale non rientra in detta direttiva, ma nelle disposizioni pertinenti del diritto nazionale».

[7] A. DORONZO, Orario di lavoro e riposi. La direttiva 2003/88/CE. Il lavoro notturno e a turni, in R. COSIO, F. CURCURUTO, V. DI CERBO, G. MAMMONE (a cura di), Il diritto del lavoro dell'Unione europea, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2023, 475 ss.

[8] «30 Inoltre, le nozioni di «orario di lavoro» e di «periodo di riposo» costituiscono nozioni di diritto dell'Unione che vanno definite in base a caratteristiche oggettive, facendo riferimento all'economia sistematica e alla finalità della direttiva 2003/88. Infatti, soltanto un'interpretazione autonoma di questo tipo è idonea ad assicurare a detta direttiva la sua piena efficacia nonché un'applicazione uniforme delle nozioni suddette nella totalità degli Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 9 settembre 2003, Jaeger, C‑151/02, EU:C:2003:437, punto 58).

31 Pertanto, malgrado il riferimento alle «legislazioni e/o prassi nazionali» contenuto nell'articolo 2 della direttiva 2003/88, gli Stati membri non possono determinare unilateralmente la portata delle nozioni di «orario di lavoro» e di «periodo di riposo», subordinando ad una qualsivoglia condizione o restrizione il diritto, riconosciuto direttamente ai lavoratori dalla direttiva di cui sopra, a che i periodi di lavoro e, correlativamente, quelli di riposo siano debitamente presi in considerazione. Qualsiasi altra interpretazione pregiudicherebbe l'effetto utile della direttiva 2003/88 e si porrebbe in contrasto con la sua finalità (v., in tal senso, sentenze del 9 settembre 2003, Jaeger, C‑151/02, EU:C:2003:437, punto 59, e del 1° dicembre 2005, Dellas e a., C‑14/04, EU:C:2005:728, punto 45, nonché ordinanza dell'11 gennaio 2007, Vorel, C‑437/05, EU:C:2007:23, punto 26)».

[9] «57 Pertanto, la modalità di retribuzione dei lavoratori per i periodi di guardia rientra nell'ambito non della direttiva 2003/88, bensì di quello delle disposizioni pertinenti di diritto nazionale. Suddetta direttiva non osta di conseguenza all'applicazione della disciplina di uno Stato membro, di un contratto collettivo di lavoro o di una decisione di un datore di lavoro il quale, ai fini della retribuzione di un servizio di guardia, prenda in considerazione in modo differente i periodi nel corso dei quali sono state realmente effettuate prestazioni di lavoro e quelli durante i quali non è stato realizzato nessun lavoro effettivo, anche quando i periodi in parola devono essere considerati, nella loro integralità, come «orario di lavoro» ai fini dell'applicazione della summenzionata direttiva [sentenza in data odierna, Radiotelevizija Slovenija (Servizio di pronto intervento in regime di reperibilità in un luogo isolato), C‑344/199, punto 58 e giurisprudenza ivi citata] ».

[10] Notice au rapport relative à l'arrêt du 23 novembre 2022, Pourvoi n° 20-21.924 - Chambre sociale.

[11] V. LECCESE, La disciplina dell'orario di lavoro nel d.lgs, n. 66/2003, come modificato dal d.lgs. n. 213/2004, in Lavoro e diritti, a tre anni dalla legge 30/2003, Curzio P. (a cura di), Cacucci, 2006, 255 ss.

[12] CGUE, 9 settembre 2003, C-151/02.

[13] CGUE, 4 marzo 2011, C-258/10.

[14] A. DORONZO, Orario di lavoro e riposi. La direttiva 2003/88/CE. Il lavoro notturno e a turni, in R. COSIO, F. CURCURUTO, V. DI CERBO, G. MAMMONE (a cura di), Il diritto del lavoro dell'Unione europea, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2023, 475 ss.

[15] Sulla nozione dell'orario di lavoro, ai sensi della direttiva 2003/88/CE, rispetto a quella di lavoro effettivo cfr. altresì Cass., sez.lav., n. 20694/2015; Cass., sez.lav., n.13466/2017; Cass., sez. lav., n. 24828/2018.

[16] Cass.,sez. lav. n. 5023/2009.

[17] In particolare, la Corte precisa che tale condizione di funzionalità è riempita “nel caso in cui il dipendente, obbligato a presentarsi presso la sede aziendale, sia poi di volta in volta inviato in diverse località per svolgervi la sua prestazione lavorativa (Cass. 9 dicembre 1999, n. 13804; Cass. 11 aprile 2003, n. 5775)”. Cass., sez. lav., n.5701/2004.

[18] Ibid. Con riguardo all'estensione ai lavoratori trasfertisti del regime contributivo previsto per l'indennità di trasferta (consistente nell'assoggettamento delle indennità di trasferta corrisposte in misura forfettaria a contribuzione nella misura del cinquanta per cento del loro ammontare), la Suprema Corte non esclude la necessità che sia verificata la sussistenza dei presupposti di fatto necessari per la riconducibilità dell'emolumento alla specifica causale, a norma della disciplina legale e della contrattazione collettiva. Cfr. Cass., sez.lav., n. 15767/2000.

[19] C. MAZZANTI, I tempi intermedi nella nozione binaria di tempo di lavoro, Argomenti di diritto del lavoro, n. 2/2019, 221-233.