Deposito telematico: se vengono allegate le stampe delle ricevute PEC occorre l'autentica

Carmelo Minnella
20 Aprile 2023

Qualora l'impugnante documenti il deposito telematico non allegando i file originali delle PEC, bensì tramite i fogli attestanti la ricezione, è necessaria l'autentica rispetto agli originali?
Massima

“In caso di deposito telematico del ricorso introduttivo, qualora l'appellante si limiti a depositare le ricevute generate dal gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia non correttamente autenticate – posto che la dichiarazione di autentica, apposta dall'avvocato, è incompleta ossia priva dell'indicazione dell'oggetto che si vuole autenticare – la documentazione prodotta finisce per essere priva sia di qualsiasi autenticazione rispetto ai certificati originali sia della certificazione della cancelleria attestante le modalità del deposito del ricorso”.

Il caso

Un cittadino nigeriano richiedeva lo status di rifugiato, che gli veniva negato dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della Protezione internazionale. Avverso il provvedimento di diniego, notificato il 27 gennaio 2016, il ricorrente interponeva appello. Il Tribunale di Cagliari lo dichiarava inammissibile per tardività (e la Corte di Appello confermava la sentenza di prime cure) perché il ricorso è stato depositato telematicamente il 27 febbraio 2016, restando priva di dimostrazione documentale l'asserzione di aver depositato il ricorso il giorno precedente. Avverso la pronuncia di secondo grado veniva proposto ricorso in cassazione.

Il cuore dei motivi di gravame sosteneva che delle 5 PEC pervenute a seguito del deposito del ricorso avverso il diniego della Commissione territoriale, non si è tenuto conto del criterio adottato dall'art. 16-bis del d.l. n. 179/2012 in base al quale il deposito telematico si perfeziona, salvo buon fine dell'esito dei controlli automatici della cancelleria, con la ricezione della seconda PEC di “avvenuta consegna”, non potendo imputarsi alla parte l'eventuale ritardo del sistema informatico nell'emissione della ricevuta di avvenuta consegna. Nella prospettazione difensiva si riteneva che la seconda PEC fosse pervenuta il 26 febbraio 2016, alle ore 20:10:16 (ossia l'ultimo giorno utile per depositare).

La Suprema Corte, nella pronuncia in commento, premette che «nell'ambito del processo civile telematico, quando si esegue il deposito telematico di un atto, la parte depositante riceve quattro messaggi PEC: 1) la ricevuta di “accettazione” (RdA) che viene rilasciata dal gestore PEC utilizzato dalla parte depositante a fronte dell'invio della busta telematica contenente l'atto da depositate; 2) la ricevuta di avvenuta consegna» (RdAC) che viene rilasciata nel momento in cui il messaggio contenente la busta telematica è ricevuto nella casella PEC del Ministero della giustizia; 3) il messaggio di “esito controlli automatici” svolti sul messaggio e sulla busta telematica dal gestore dei servizi telematici del Ministero della giustizia; 4) il messaggio di “esito controllo manuali” a seguito dell'intervento della cancelleria di destinazione quando viene accettata la busta telematica.

In caso di deposito telematico, ai fini della verifica della tempestività, il ricorso deve intendersi proposto nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di PEC del Ministero della giustizia, ai sensi dell'art. 16-bis, comma 7, del d.l. n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, in l. n. 221 del 2012 e il deposito è considerato tempestivo ove la suddetta ricevuta pervenga entro le ore 24:00 dell'ultimo giorno utile» (cfr, Corte cost., n. 75/2019).

Pacifico, dunque, e non contestato, che il termine per impugnare il suddetto provvedimento scadeva il 26 febbraio 2016, alle ore 24:00 e che, seguendo il rito le regole del procedimento sommario di cognizione ex art. 702 c.p.c., la data di deposito del ricorso determina la tempestività o meno della opposizione. Diventava centrale allora individuare il momento di perfezionamento del deposito telematico del ricorso.

La Suprema Corte statuisce che, come affermato dalla Corte territoriale, restano mere allegazioni prive di qualsivoglia sostegno probatorio le deduzioni svolte dall'appellante circa l'effettuazione del deposito telematico del ricorso introduttivo che si sostiene essere avvenuta in data 26 febbraio 2016, non avendo l'appellante prodotto in giudizio alcuna documentazione comprovante quanto affermato.

Per i giudici di legittimità, «il ricorrente si è limitato a dedurre (senza precisare i tempi e i modi di deposito avanti al giudizio di appello) la ricezione di cinque PEC da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia depositando documentazione priva del necessario crisma dell'autenticità: invero, pur tralasciando la peculiare circostanza che le ricevute dal gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia vengono indicate complessivamente in numero di cinque (e non di quattro, come usualmente avviene al predisposto istituzionale sistema informatico), la disamina del fascicolo del grado di appello dimostra che sono presenti delle attestazioni di ricevute PEC non correttamente autenticate (posto che la dichiarazione di autentica apposta dall'avvocato è incompleta ossia priva dell'indicazione dell'oggetto che si vuole autenticare); inoltre, detta autenticazione “monca” reca una data non coincidente con il momento del deposito dell'atto di citazione in appello (che riporta la data del 25.10.2018) bensì una data (20.2.2020) addirittura successiva alla sentenza di appello. Di conseguenza, la documentazione prodotta consiste in fogli (che descrivono la ricezione di diverse ricevute da parte del gestore di posta elettronica e riportano la stampa della “schermata” eseguita dal ricorrente) privi di qualsiasi autentificazione sia rispetto ai certificati originali sia della certificazione della cancelleria attestante le modalità di deposito del ricorso».

La questione

La questione in esame è la seguente: posto che il ricorso è tempestivamente depositato quando viene generata entro le ore 24 dell'ultimo giorno di scadenza la ricevuta di “avvenuta consegna” da parte del gestore di PEC del Ministero della giustizia (la cosiddetta seconda PEC) quando l'impugnante documenti il deposito telematico non allegando i file originali delle PEC ma si limiti a produrre i fogli attestanti la ricezione delle ricevute delle PEC, occorre l'autentica rispetto agli originali?

Le soluzioni giuridiche

Un primo punto fermo delle questioni affrontate dalla Suprema Corte nella decisione in esame riguarda a quale PEC bisogna fare riferimento per valutare la tempestività del ricorso: pacificamente si ribadisce che per il destinatario (il giudice adito nella specie, ossia il Tribunale di Cagliari) la seconda PEC di “avvenuta consegna” (e non a seguito delle successive PEC di esito dei controlli manuali di accettazione della "busta telematica" da parte della cancelleria: Cass. civ., Sez. VI, n. 33330), mentre per il notificante conta la prima PEC di accettazione.

Si è infatti ritenuto, anche di recente, che occorre verificare quando siano arrivate la prima e la seconda PEC. È stato così considerato tardivo il ricorso notificato via PEC la cui ricevuta di accettazione sia successiva alle 23:59:59 del giorno di scadenza, poiché non rileva l'orario di invio (Cass. civ., Sez. trib., n. 1519/2023). La vicenda trae origine dall'invio da parte dell'Avvocatura di un ricorso per Cassazione dell'Agenzia delle Entrate tramite PEC nell'ultimo giorno utile rispetto allo spirare del termine. La PEC era stata inviata alle 00:00:00, la ricevuta di accettazione della spedizione era stata generata con la data del giorno successivo alle ore 00:00:01 e la ricevuta di consegna alle ore 00:00:05.

Per la Suprema corte il ricorso dell'Ufficio è inammissibile perché tardivo, in quanto inviato il giorno successivo al termine, ricordando che la Consulta (n. 75/2019) aveva dichiarato la parziale incostituzionalità dell'art. 147 c.p.c., nella parte in cui poneva dei limiti temporali alle notifiche senza alcun distinguo per quelle effettuate via PEC. La norma prevedeva che le notificazioni non possono farsi prima delle ore 7 e dopo le ore 21. La Corte Costituzionale aveva ritenuto la disposizione irrazionale rispetto alle notifiche telematiche perché limitava in capo al mittente i termini temporali dell'ultimo giorno utile per l'impugnazione (fino alle ore 21 anziché le ore 24).

La Consulta aveva concluso che il deposito è tempestivamente eseguito per il notificante quando la ricevuta di accettazione «è generata entro le ore 24 del giorno di scadenza», mentre per il destinatario nel momento è generata la ricevuta di avvenuta consegna. Pertanto, la Cassazione si è interrogata su quale fosse il termine ultimo e quindi se le 00:00:00 fossero l'ultimo minuto/secondo dell'ultimo giorno ovvero il primo di quello successivo, concludendo che il giorno “x” inizia con lo scoccare delle ore 00:00:00. L'Agenzia aveva inviato materialmente la PEC alle 00:00:00 e le ricevute (di accettazione e consegna) erano state generate successivamente. Il ricorso è stato ritenuto tardivo perché il termine a quell'orario era irrimediabilmente scaduto.

Lo snodo centrale riguarda però la documentazione comprovante la tempestività del ricorso. Per gli ermellini è necessaria o l'autenticazione rispetto ai certificati originali oppure la certificazione della cancelleria attestante le modalità di deposito del ricorso. Ciò in quanto il ricorrente aveva depositato la stampa della schermata delle ricevute del gestore della PEC. Tali stampe dei messaggi PEC diventano delle copie cartacee che, anche qualora venissero scannerizzate in pdf non sarebbero dei file pdf nativi, ma diventano (dopo la nuova trasformazione dell'immagine in pdf) delle copie informatiche sulle quali occorre l'autenticazione rispetto agli originali.

Per la Cassazione, infatti, solo il deposito telematico di un documento informatico non richiede attestazione di conformità da parte del difensore che lo produce (Cass. civ, Sez. VI, n. 981/2023). In tale pronuncia si specifica che la ragione della scelta operata dal legislatore, di non richiede l'attestazione di conformità in relazione all'atto nativo digitale, il quale sia prodotto in giudizio in tale forma, mediante allegazione telematica al fascicolo dibattimentale, dipende dal fatto che, a differenza dei documenti su supporto cartaceo, in cui vi è un problema di conformità dell'atto depositato con l'originale, quando il deposito riguarda l'atto digitale, lo stesso non viene prodotto in ‘copia', bensì in originale, essendo l'originale dell'atto suscettibile di ripetute riproduzioni, senza perdere le sue caratteristiche di essere un atto originale.

Osservazioni

Le conclusioni cui giunge la sentenza in commento sono condivisibili e pongono in guardia sul corretto deposito telematico degli atti, delle impugnazioni e dei relativi allegati.

In questo caso, avente ad oggetto, i file generati dal gestore di posta elettronica certificata del ricorrente, solo la produzione del file originali in .MSG (se si utilizza outlook) o in .EML (se si lavora con Thunderbird) rendeva non necessaria l'onere di autenticazione.

In tutti e 4 i messaggi PEC che riceve la parte depositante vi è allegato un file daticert.xml che contiene informazioni di servizio sulla trasmissione, che attribuisce alla PEC un codice informatico che lo identifica nella rete e che ritroverò nella ricevuta di “avvenuta consegna” inviatami dal gestore del soggetto consegnatario. Tale codice è una sorta di “biglietto da visita” per entrare in rete, grazie al quale viene assegnato un identificativo che ritrovo nella PEC di avvenuta consegna.

La presenza delle suindicate tracce informatiche non rende necessaria, in caso di allegazione dei file informatici delle PEC ricevute dal soggetto depositante, alcun procedimento di autenticazione rispetto agli originali (che vengono depositati). L'autentica, invece, sarà necessaria, laddove (come nel caso di specie affrontato dalla sentenza n. 9087/2023 in commento) ci si sia limitati a produrre la stampa, anche in pdf scannerizzata, delle diverse ricevute PEC.

Anche se non ha affrontato esplicitamente, altra questione che emergerà con più frequenza nella pratica è quella relativa alle conseguenze qualora il ritardo nel deposito dell'atto sia imputabile alla lentezza di caricamento dei dati del sistema. Aspetto in verità toccato nei motivi di ricorso laddove si sosteneva non potere imputarsi alla parte l'eventuale ritardo del sistema informatico nell'emissione della ricevuta di avvenuta consegna; ma non esaminato dalla Suprema Corte per il (preliminare) difetto di autentica della documentazione allegata. In questi casi di ritardo, da ultimo, la Cassazione ha riconosciuto la sussistenza dell'ipotesi della causa non imputabile e di un errore fatale, con conseguente rimessione in termini, nel caso in cui il ricorso risulti tardivo perché ilsistema impiegava parecchi minuti a “caricare” la busta la telematica ed a completare la sua trasmissione al sistema e che pertanto le PEC relative alla accettazione, alla consegna ed anche all'esito dei controlli automatici, venivano generate pochi minuti dopo la mezzanotte, quanto orami la data era quella del giorno successivo (Cass. civ., Sez. I, n. 6944/2023; Id., Sez. VI, n. 238/2023).

Si ricorda, infine, poiché, come visto, il deposito è tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta consegna è generata entro la fine del giorno di scadenza, nessun ritardo è imputabile alla parte e il deposito deve considerarsi tempestivo dovendosi aver riguardo, ai fini della relativa verifica, alla data del primo infruttuoso tentativo (Cass. civ., Sez. VI, n. 29357/2022). La tempestività del deposito telematico di un atto processuale, in caso di esito negativo del procedimento culminante con l'accettazione da parte del cancelliere (cd. "quarta PEC"), postula la necessità della sua rinnovazione, previa rimessione in termini ex art. 153, comma 2, c.p.c., ove possa ritenersi che questi siano decorsi incolpevolmente a causa dell'affidamento riposto nell'esito positivo del deposito stesso.