Processo tributario: le Sezioni Unite della Cassazione chiariscono a quali condizioni il fallito può impugnare l'avviso di accertamento

Leda Rita Corrado
03 Maggio 2023

Le Sezioni Unite Civili della Corte di cassazione si sono pronunciate su una importante questione relativa alla legittimazione del contribuente dichiarato fallito ad impugnare avvisi di accertamento dell'AdE, notificati in costanza di fallimento, con riferimento a periodi d'importa anteriori all'apertura della procedura.
Le massime

In caso di rapporto d'imposta i cui presupposti si siano formati prima della dichiarazione di fallimento, il contribuente dichiarato fallito a cui sia stato notificato l'atto impositivo lo può impugnare, ex art. 43 l.fall., in caso di astensione del curatore dalla impugnazione, rilevando a tal fine il comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia di questi, indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che l'abbiano determinato.

L'insussistenza di uno stato di inerzia del curatore, così inteso, comporta il difetto della capacità processuale del fallito in ordine all'impugnazione dell'atto impositivo e va conseguentemente rilevata anche d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo.

Questi i principi enunciati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 11287, depositata il 28 aprile 2023.



Il caso sub iudice

Nel caso di specie, al fallito sono notificati due avvisi di accertamento in relazione a periodi d'imposta anteriori alla dichiarazione di fallimento. Il curatore consegna al fallito la documentazione contabile relativa a detti accertamenti e comunica «che il giudice delegato al fallimento aveva dato parere favorevole alla rinuncia al credito Iva compreso nell'attivo della massa fallimentare».

Constatata l'inerzia del curatore, il fallito impugna gli avvisi di accertamento.

Confermando la pronuncia di prime cure, la Commissione Tributaria Regionale dichiara l'inammissibilità del ricorso del fallito, ravvisando il suo difetto di legittimazione in conseguenza della mancata inerzia della curatela, la quale aveva rinunciato ad impugnare gli avvisi di accertamento all'esito di specifiche valutazioni fatte di concerto con il giudice delegato.

Nella sentenza in commento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione cassano con rinvio la sentenza impugnata.

Le questioni: i presupposti della legittimazione straordinaria e la natura dell'eccezione

L'intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è stato richiesto dalla Sezione Tributaria al fine di chiarire:

  • quale sia il presupposto della legittimazione straordinaria del contribuente insolvente: in particolare, se rilevi la mera inerzia del curatore intesa come omesso ricorso alla tutela giurisdizionale ovvero se occorra accertare se l'inerzia sia o meno frutto di una valutazione ponderata da parte degli organi della procedura concorsuale;
  • quali siano gli effetti di tale soluzione sulla natura (relativa o assoluta) dell'eccezione di difetto di legittimazionee sulle difese, al riguardo, del contribuente.

La disciplina dell'incapacità processuale del fallito

Il Collegio ricorda che, analogamente all'art. 143 del Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza, l'art. 43 l. fall. dispone quanto segue: «nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore. Il fallito può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un'imputazione di bancarotta a suo carico o se l'intervento è previsto dalla legge».

Applicazione del principio generale ex art. 75 c.p.c., l'incapacità processuale del fallito subisce eccezione per le posizioni estranee agli interessi e alle funzioni del concorso, come, ad esempio, quelle strettamente personali o comunque non incidenti sulla sorte dei creditori: in particolare «viene ammesso che il fallito possa agire in giudizio anche riguardo a rapporti patrimoniali se non compresi, in linea di diritto (art. 46 l.fall.) o di fatto, nel fallimento»: il fondamento logico è ravvisato nella posizione di “inerzia” che il curatore eventualmente assuma rispetto ad essi, sulla base del rilievo che «la mancata attivazione del curatore nella tutela giudiziaria di quei rapporti ben può fondare la loro ritenuta indifferenza rispetto agli scopi della procedura concorsuale e, in definitiva, la loro sostanziale non-apprensione alle ragioni della massa».



Il concetto di “inerzia” nell'ambito tributario

Con riferimento al settore tributario, la giurisprudenza di legittimità ha registrato due indirizzi.

Un orientamento più risalente ha ammesso de plano il fallito ad agire in giudizio per il solo fatto, obiettivamente rilevato, che il curatore si fosse astenuto dal farlo: è stato dato rilievo all'inerzia pura e semplice del curatore, senza necessità di indagarne le cause, le giustificazioni o gli scopi.

Un orientamento più recente ha dato spazio all'indagine sulle ragioni che hanno indotto il curatore ad astenersi dal giudizio, «nel senso che in tanto il fallito può agire personalmente, in quanto l'inerzia del curatore non sia consapevole e voluta, cioè frutto di una mirata ponderazione e di una specifica valutazione di opportunità e convenienza per la massa”: “quest'ultimo indirizzo […] muove dalla osservazione che anche una condotta abdicativa e di astensione, appunto se consapevole e voluta, può equivalere ad un atto di disposizione e di amministrazione (seppure in negativo) del diritto appreso al concorso cosicché, a ben vedere, in tal caso neppure potrebbe ontologicamente ravvisarsi una vera e propria inerzia del curatore, quanto una valutazione discrezionale e deliberata di abbandono, in base alla quale la massa dei creditori trova più vantaggio e convenienza nel non impugnare l'atto, piuttosto che nell'impugnarlo».

Attraverso «un percorso di progressiva definizione della fattispecie legittimante dell'inerzia mediante l'introduzione in essa di un quid pluris, si assiste in tal modo - nel panorama giurisprudenziale - al passaggio, non del tutto avvertito, da una nozione di inerzia semplice o essenziale ad una nozione di inerzia consapevole o qualificata o vestita che dir si voglia. La prima libera la capacità sostitutiva del fallito, la seconda la preclude».



L'accertamento anteriore al fallimento va notificato anche al fallito

Il Collegio ricorda che, in base alla costante giurisprudenza di legittimità, l'avviso di accertamento per debiti fiscali i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di fallimento va notificato non solo al curatore, ma anche al contribuente dichiarato fallito ed è impugnabile da parte di quest'ultimo ex artt. 19 e 21 D.Lgs. 546/1992 con decorrenza del relativo termine dalla presa di conoscenza, quand'anche questo stesso termine risulti già decorso in capo al curatore.

Il contribuente dichiarato fallito deve quindi essere posto a conoscenza – non per generica informativa ma in funzione specifica della sua impugnazione in caso di inerzia del curatore – della pretesa erariale nei suoi confronti in ragione della specialità dell'obbligazione tributaria e della peculiarità del rapporto giuridico d'imposta.

In materia fiscale la tutela giurisdizionale, sottratta al foro fallimentare, è demandata in via esclusiva al giudice tributario: infatti «il credito dall'ente impositore insinuato al passivo fallimentare sulla base di un avviso non definitivo – se contestato – deve essere ammesso dal giudice delegato con riserva fin visto l'esito del contenzioso tributario […]; ma appunto perché credito demandato alla verifica di un giudice diverso da quello fallimentare, una volta che il credito impositivo sia divenuto definitivo per mancata impugnazione dell'avviso da parte della curatela e così ammesso al concorso, nessun altro margine di contestazione potrebbe residuare in capo al contribuente fallito (non legittimato ad impugnare i crediti ammessi ex art. 98 l.fall.), neppure entro i ristrettissimi ambiti del contraddittorio facoltativo in sede di verifica dei crediti ex art. 95, penulitmo comma, l.fall. E la definitività dell'atto impositivo non impugnato nel termine decadenziale produrrebbe tutti i suoi effetti, nei confronti del debitore, anche dopo la chiusura del fallimento”.



I rapporti con le sanzioni tributarie e con l'esdebitazione del fallito inducono a sostenere una interpretazione dell'art. 43 l. fall. costituzionalmente orientata

Le Sezioni Unite osservano inoltre che il rapporto giuridico d'imposta basato su presupposti antecedenti alla sentenza dichiarativa «permane in capo al debitore anche in costanza della procedura fallimentare e pur dopo la sua chiusura, potendo esso condizionare (a seconda dell'esistenza ed entità dell'esposizione debitoria tributaria e di tutte le circostanze che la caratterizzano) il futuro rapporto con l'Amministrazione Finanziaria».

Le conseguenze possono prodursi con riferimento alla valutazione della personalità del contribuente e della sua affidabilità fiscale complessiva ex art.7, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 oppure per la determinazione dell'an e del quantum delle sanzioni amministrative. Un ulteriore effetto può prodursi sull'esdebitazione ex art. 142 l. fall. una volta che il debitore sia tornato in bonis. Infine, l'inadempimento tributario può correlarsi ad un reato tributario previsto dal d.lgs. 74 del 2000.

Questi rilievi inducono le Sezioni Unite della Corte di Cassazione a preferire una interpretazione dell'art. 43 l.fall. costituzionalmente orientata ex art. 24 Cost., ammettendo quindi il contribuente fallito ad impugnare in proprio l'atto impositivo ritenuto illegittimo nel caso in cui a tanto non provveda, per qualsiasi ragione, il curatore.



Il difetto di capacità processuale del fallito ha carattere assoluto e può essere rilevato d'ufficio

Il Collegio affronta anche la questione attinente al regime di rivelabilità del difetto di capacità processuale del fallito e afferma che, poiché tale profilo non riguarda la titolarità del diritto, ma «una carenza di capacità o legittimazione attinente ai presupposti processuali ed il cui verificarsi è subordinato alla attivazione del curatore, il relativo vizio avrebbe invece carattere assoluto, così da poter e dover essere rilevato anche d'ufficio dal giudice ogniqualvolta emerga dagli atti di causa l'interesse della curatela per il rapporto dedotto in lite».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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