La rilevanza della ripresa della convivenza sulla debenza dell'assegno divorzile

Maddalena Petronelli
03 Maggio 2023

La questione affrontata dalla Corte nella pronuncia in esame è del tutto peculiare in quanto attiene alla valutazione degli effetti della ripresa della convivenza tra soggetti divorziati e alla verifica della sua rilevanza, quale circostanza sopravvenuta, ai fini della modifica delle statuizioni in precedenza assunte.
Massima

Nell'ambito della valutazione degli elementi cui attribuire rilevanza ai fini della modifica delle statuizioni concernenti la debenza dell'assegno divorzile, rilievo assume la temporanea ripresa della convivenza tra gli ex coniugi, pur se avvenuta per facta concludentia e, dunque, in assenza di una formale dichiarazione, trattandosi di un fatto nuovo sopravvenuto a cui riconoscere i medesimi effetti previsti in sede di separazione personale dei coniugi dall'art. 157, comma 2, c.c.

Il caso

Con ricorso exart. 9 l. n. 898/1970, l'istante chiedeva la modifica dei provvedimenti emanati in sede di divorzio e trasfusi nella relativa pronuncia, con particolare riferimento alle previsioni di natura economica per effetto delle quali il Tribunale aveva posto a carico dello stesso l'obbligo di versare in favore della ex moglie, a titolo di assegno divorzile, l'importo mensile di € 15.000,00.

A fondamento della proposta domanda, l'obbligato poneva due circostanze, a suo dire, idonee a modificare la situazione esistente al momento della definizione del giudizio di divorzio, integranti i giustificati motivi richiesti dal citato art. 9.

In primo luogo, il ricorrente adduceva la temporanea riconciliazione tra i coniugi, avvenuta successivamente alla pronuncia di divorzio e protrattasi per oltre 7 anni, periodo – questo – in cui le parti non si erano limitate a coabitare, ma avevano vissuto more uxorio, tanto da aver ricostruito una comunione di vita materiale e spirituale; in aggiunta veniva evidenziato l'intervenuto mutamento delle condizioni economiche che avevano interessato la posizione della ex moglie per effetto di una cospicua eredità devoluta in suo favore.

In subordine, l'istante chiedeva la riduzione dell'emolumento sulla scorta di un presunto accordo intercorso tra le parti in ordine alla determinazione del quantum.

Il Tribunale adito in primo grado accoglieva la formulata richiesta sulla scorta delle risultanze della espletata CTU contabile, con revoca dell'obbligo alla corresponsione dell'assegno divorzile a suo tempo previsto in favore del coniuge debole.

La pronuncia veniva totalmente modificata dalla Corte di Appello di Roma, la quale, a definizione del gravame proposto dalla ex coniuge, ristabiliva l'obbligazione economica originariamente prevista in suo favore, rilevando che nessuna delle circostanze addotte in primo grado integrava quei fatti nuovi e sopravvenuti richiesti dall'art. 9 l. n. 898/1970 al fine di pervenire alla modifica delle statuizioni originarie.

Invero, la Corte territoriale riteneva del tutto ininfluente, ai fini che ci occupano, la riconciliazione delle parti poiché non accompagnata dalla volontà della beneficiaria dell'emolumento di rinunciarvi, sicchè l'unico effetto producibile era relativo all'impossibilità di richiederne la sua corresponsione per il periodo di durata della convivenza, con ripristino dell'obbligo in questione alla cessazione della stessa.

Quanto agli ulteriori motivi posti a fondamento della richiesta di modifica, il collegio ravvisava innanzitutto l'assenza di prova circa il contenuto di un eventuale accordo intercorso tra le parti in ordine alla riduzione del quantum dell'assegno, così come escludeva modifiche di rilievo nelle condizioni reddituali degli ex coniugi, sia in termini di peggioramento di quelle afferenti al richiedente la modifica – per essere i suoi redditi rimasti sostanzialmente invariati - che in relazione a incrementi patrimoniali caratterizzanti la posizione della ex moglie, poiché l'eredità percepita dalla stessa era insufficiente ad incidere sull'assetto patrimoniale delle parti.

Avverso la pronuncia resa dalla Corte territoriale, l'obbligato proponeva ricorso per Cassazione, formulando diversi motivi di censura.

In primo luogo, il ricorrente deduceva l'illegittimità della pronuncia impugnata nella parte in cui era stata ritenuta irrilevante, ai fini della revoca dell'assegno divorzile, la ripresa della convivenza intervenuta tra i coniugi ed era stata, conseguentemente, esclusa l'ammissione della prova testimoniale formulata sul punto.

In aggiunta, veniva addotta l'erroneità della pronuncia in relazione al diverso profilo della modifica delle condizioni reddituali intervenuta tra le parti a seguito dell'eredità percepita dalla ex moglie, circostanza da cui avrebbe dovuto trarsi un giudizio di autosufficienza della stessa, oltre che in relazione alla mancata valorizzazione del comportamento processuale della resistente, laddove aveva omesso di fornire la documentazione a quest'ultima richiesta in sede di CTU contabile.

I motivi di censura formulati dal ricorrente sono stati ritenuti fondati dalla Corte di Cassazione che, in accoglimento della proposta impugnazione, ha disposto il rinvio del procedimento alla Corte di Appello al fine di procedere, in diversa composizione, alla modifica della decisione assunta ed alla liquidazione delle spese afferenti al giudizio di legittimità.

La questione

La questione affrontata dalla Corte nella pronuncia in esame è del tutto peculiare in quanto attiene alla valutazione degli effetti della ripresa della convivenza tra soggetti divorziati e alla verifica della sua rilevanza, quale circostanza sopravvenuta, ai fini della modifica delle statuizioni in precedenza assunte.

Le soluzioni giuridiche

Con il proposto ricorso il ricorrente lamentava l'errata valutazione compiuta dalla Corte territoriale che, nel rigettare la richiesta di revoca dell'assegno divorzile a suo tempo riconosciuto in favore della ex moglie con la pronuncia resa a definizione del giudizio di divorzio, aveva escluso la sussistenza delle condizioni richieste dall'art. 9 l. n. 898/1970 per pervenire alla modifica delle statuizioni originariamente emanate.

In particolare, l'istante contestava l'irrilevanza riconosciuta dalla Corte di Appello sia alla ripresa della convivenza tra i coniugi - considerata dai giudici territoriali idonea ad incidere esclusivamente sull'esistenza dell'obbligazione limitatamente al periodo di durata della convivenza stessa - che ai miglioramenti economici che avevano interessato la posizione della beneficiaria dell'emolumento.

Al riguardo va detto che i motivi di censura afferenti al primo dei citati aspetti ha impegnato particolarmente la Corte di legittimità, costituendo una questione di assoluta novità.

Nella sua disamina, la Corte è partita dall'interpretazione dell'art. 9 l. n. 898/1970 così come contenuta nelle molteplici pronunce rese sul punto, con le quali, per un verso, è stata attribuita alle modifiche sopravvenute nelle condizioni economiche delle parti la qualità di presupposto necessario per procedersi al giudizio di revisione, (Cass. n. 1119/2020), e, sotto altro aspetto, ne ha individuato la ricorrenza allorchè si tratti di situazioni idonee a mutare il pregresso assetto dei rapporti patrimoniali, come accertato al momento del provvedimento attribuivo dell'assegno divorzile, non potendo il giudice procedere ad “una nuova e autonoma valutazione dei presupposti o dell'entità dell'assegno sulla scorta di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile” (Cass. n. 787/2017; Cass., n. 11177/2019).

Ebbene, alla luce dei su esposti principi, la ripresa della convivenza tra le parti a cui è conseguita la costituzione di una nuova famiglia di fatto con una nuova comunione materiale e spirituale, ha rappresentato per i giudici di legittimità una circostanza di rilievo, in quanto idonea ad incidere sull'assetto dei rapporti esistenti tra i coniugi con conseguente estinzione, analogamente a quanto avviene nell'ambito del giudizio di separazione personale in caso di riconciliazione, ai sensi dell'art. 157, 2 comma, c.c., di tutte quelle situazioni pregresse incompatibili con i nuovi accordi.

Per la Corte, dunque, anche la riconciliazione successiva al divorzio non può non avere rilevanza, rappresentando un fatto sopravvenuto idoneo ad incidere sulla richiesta di revisione dell'assegno divorzile “trattandosi di una vera e propria sopravvenienza rispetto all'equilibrio anteriore, consegnato, per la sua regolazione, a un giudicato rebus sic stantibus, ormai non più capace di regolare il nuovo modificato assetto di interessi post – coniugali”.

Tale mutato assetto dei rapporti tra le parti impone, a dire dei giudici di legittimità, una nuova valutazione dei requisiti e delle circostanze legittimanti la debenza dell'assegno divorzile, da compiersi ai sensi delle previsioni di cui all'art 5 l. n. 898/1970, come interpretato dall'orientamento giurisprudenziale affermatosi a far tempo dalla pronuncia resa dalle Sezioni Unite n. 18287/2018.

In detto ambito andrà valutato anche il valore dell'eredità percepita dalla beneficia dell'emolumento, situazione rispetto alla quale occorrerà verificare, nel successivo giudizio di rinvio, la permanenza delle condizioni legittimanti il riconoscimento dell'assegno divorzile.

Ed, invero, per la Corte, la diversa interpretazione delle norme applicabili per effetto del mutato orientamento giurisprudenzialenon potrà valere a fondare ex se la modifica delle condizioni di divorzio ma, in presenza di fatti sopravvenuti integranti i presupposti di cui all'art. 9 l. n. 898/1970, potenzialmente idonei a giustificare la revisione dell'assegno, potrà trovare applicazione al fine di valutare, nel diverso assetto dei rapporti patrimoniali, la sussistenza delle circostanze per la debenza dell'assegno divorzile (Cass., n. 20495/2022).

Osservazioni

Con la pronuncia in esame la Corte delinea quali gli effetti della riconciliazione sul riconoscimento dell'assegno divorzile, giungendo ad equiparali a quanto previsto in sede di separazione personale dei coniugi dal 2 comma dell'art. 157 c.c. nella parte in cui impone che la nuova separazione possa essere pronunciata solo in relazione a fatti e comportamenti successivi.

In applicazione di tale principio la Corte nella fattispecie in esame ravvisa la necessità che si proceda ad una nuova valutazione delle circostanze legittimanti la debenza dell'assegno divorzile da condurre alla luce dell'orientamento giurisprudenziale esistente al momento della valutazione e stessa e che tenga conto di tutte le modifiche intervenute nelle rispettive condizioni esistenti tra le parti.