Immobile lasciato in eredità ai figli, cosa fare se intendono rinunciare all'eredità?
05 Maggio 2023
Preliminarmente occorre distinguere, nell'intervallo che decorre dall'apertura della successione all'accettazione o rinuncia all'eredità, tra chiamato possessore (art. 485 c.c.) e chiamato non possessore (art. 487 c.c.) dei beni ereditari. Il primo ha un termine di tre mesi (prorogabile di altri tre mesi) dall'apertura della successione o dalla notizia della devoluta eredità per compiere l'inventario, compiuto il quale, entro 40 giorni, deve dichiarare se intende accettare o rinunciare all'eredità, pena, in difetto, l'accettazione pura e semplice della stessa. Il secondo conserva il diritto di accettare l'eredità nel termine di prescrizione decennale di cui all'art. 480 c.c., salvo l'esperimento nei suoi confronti della c.d. actio interrogatoria, di cui all'art. 481 c.c. L'eredità si considera, pertanto, vacante nel caso in cui, apertasi la successione, il chiamato possessore, nel termine suindicato (termine massimo di sei mesi e quaranta giorni ai sensi dell'art. 485 c.c.), non abbia voluto o potuto accettare l'eredità. Sottospecie della vacanza è la c.d. giacenza dell'eredità, che si instaura con provvedimento costitutivo del giudice di nomina del curatore, quando il chiamato non possessore non abbia inteso accettare l'eredità (art. 528 c.c.). Può accadere che l'eredità sia vacante ma non giacente, ove il chiamato all'eredità sia nel possesso dei beni ereditari nel termine provvisorio di cui all'art. 485 c.c. L'art. 528 c.c., nel caso di chiamato non possessore, che non abbia ancora accettato l'eredità, consente la nomina, da parte del giudice, di un curatore dell'eredità. Si ritiene che la norma preveda un potere discrezionale del giudice, il quale, quindi, non è obbligato a procedere alla nomina del curatore (cfr art. 460 comma 3 c.c.), di guisa che, in sua mancanza, i poteri di conservazione e amministrazione del patrimonio ereditario continueranno a gravare sul chiamato non possessore. In caso di possesso dei beni ereditari, invece, non verificandosi – nei limiti temporali di cui all'art. 485 c.c. – i presupposti applicativi della giacenza, spetteranno al chiamato possessore i poteri di conservazione e amministrazione del patrimonio ereditario previsti dall'art. 460 c.c. Sul presupposto, pertanto, che i suddetti figli, in qualità di chiamati all'eredità della madre, non siano nel possesso dell'immobile ereditario ovvero lo siano nei limiti temporali di cui all'art. 485 c.c., essi potranno compiere tutti gli atti di conservazione e di amministrazione temporanea del patrimonio ereditario previsti dall'art. 460 c.c., non comportanti accettazione tacita di eredità. Nella specie dovranno astenersi dal compiere qualsiasi atto che presuppone necessariamente la volontà di accettare e che non avrebbero il diritto di fare se non nella qualità di eredi (art. 476 c.c.). A titolo esemplificativo, si ritiene che non comportino accettazione tacita di eredità: l'esercizio dei poteri del chiamato prima dell'accettazione dell'eredità di cui all'art. 460 c.c.; l'esercizio delle azioni possessorie, di atti conservativi, di amministrazione temporanea, di alienazione dei beni deteriorabili previa autorizzazione del tribunale ai sensi dell'art. 747 c.p.c. (rectius: tribunale del luogo di apertura della successione). Costituiscono, invece, fattispecie legislativamente previste di accettazione tacita: la donazione, vendita o cessione dei diritti di successione (art. 477 c.c.); la rinunzia ai diritti di successione verso corrispettivo oppure a favore di alcuni soltanto dei chiamati (art. 478 c.c.); l'esercizio dell'azione di riduzione, la proposta di contratto avente ad oggetto beni ereditari, il conferimento di una procura per disporre di beni ereditari, l'accettazione di somme di pertinenza dell'eredità, la concessione di ipoteca su beni ereditari. Non comporta accettazione tacita di eredità la presentazione della dichiarazione di successione, trattandosi di dichiarazione fiscale dovuta per legge; mentre comporta accettazione tacita di eredità la presentazione della voltura catastale (Cass. n. 10796/2009; Cass. n. 7075/1999; Cass. n. 5226/2002; Cass. n. 4783/2007). Quanto al pagamento delle utenze, occorre precisare che il pagamento dei debiti ereditari non implica accettazione tacita se effettuato con denaro proprio del chiamato; viceversa, il pagamento dei debiti ereditari con denaro del de cuius comporta accettazione tacita dell'eredità. Conseguentemente, al fine di dimostrare che il pagamento delle bollette rappresenta un'accettazione tacita dell'eredità, è necessario provare che il pagamento è stato effettuato con denaro prelevato dall'asse ereditario; mentre, nel caso in cui il chiamato adempia al debito ereditario con denaro proprio, non può ritenersi che quest'ultimo, per questa sola azione, abbia accettato tacitamente l'eredità (Cass. civ. n. 4320/2018). Da quanto detto emerge che, i chiamati in oggetto dovranno avere cura, ove nel possesso dei beni ereditari, ai fini di un'eventuale rinuncia ovvero accettazione beneficiata dell'eredità, di effettuare l'inventario nel termine prorogabile di tre mesi dall'apertura della successione, in assenza del quale saranno considerati eredi puri e semplici, con conseguente confusione del loro patrimonio con quello del de cuius e obbligo di rispondere interamente degli eventuali debiti ereditari. In tale termine ovvero nel termine di prescrizione decennale, ove essi non posseggano i beni ereditari, potranno compiere atti conservativi dell'immobile senza che ciò comporti accettazione tacita dell'eredità. Quanto alle tasse, l'articolo 28 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (TUS) statuisce che «Sono obbligati a presentare la dichiarazione i chiamati all'eredità e i legatari”. Il successivo articolo 31 stabilisce che «La dichiarazione deve essere presentata entro dodici mesi dalla data di apertura della successione». Poiché il presupposto del tributo successorio coincide con il momento in cui sorge la delazione ereditaria, per quanto attiene l'ambito soggettivo dell'imposta di successione, occorre distinguere tra i soggetti passivi ed i soggetti obbligati alla presentazione della dichiarazione di successione e al pagamento della relativa imposta. Il comma 5 del suddetto articolo 28 prevede che «I chiamati all'eredità e i legatari sono esonerati dall'obbligo della dichiarazione se, anteriormente alla scadenza del termine stabilito nell'art. 31 (dodici mesi), hanno rinunziato all'eredità o al legato o, non essendo nel possesso di beni ereditari, hanno chiesto la nomina di un curatore dell'eredità a norma dell'art. 528, primo comma, del codice civile». Per quanto riguarda il pagamento dell'imposta, l'articolo 36, comma 3 del medesimo decreto (rubricato Soggetti obbligati al pagamento dell'imposta) dispone che «Fino a quando l'eredità non sia stata accettata, o non sia stata accettata da tutti i chiamati, i chiamati all'eredità, o quelli che non hanno ancora accettato, e gli altri soggetti obbligati alla dichiarazione della successione, esclusi i legatari, rispondono solidalmente dell'imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti». Lo stesso comma rinvia all'articolo 58 testo unico sull'imposta di registro (d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131) per cui i soggetti che hanno pagato l'imposta si surrogano in tutte le ragioni, azioni e privilegi spettanti all'Amministrazione finanziaria. Pertanto, fino all'accettazione dell'eredità, chi non è in possesso di beni ereditari non deve rispondere dell'imposta e chi ne è in possesso non deve risponderne oltre il limite del valore dei beni posseduti. |