Lo status di beneficiario effettivo di flussi reddituali transfrontalieri, in particolare di interessi, a fini agevolativi

Pasqualina A. P. Condello
09 Maggio 2023

Lo status di “beneficiario effettivo” degli interessi, costituente imprescindibile requisito per il godimento dei benefici di cui all'art. 26-quater, d.P.R. n. 600/1973 e alla dir. 2003/49/Ce, presuppone la concomitante ricorrenza di tre distinte condizioni: che la società percipiente svolga un'attività economica effettiva (“substantive business activity test”); che essa possa disporre liberamente degli interessi ricevuti e non sia tenuta a rimetterli ad un soggetto terzo (“dominion test”); che essa abbia una funzione nell'operazione di finanziamento e non realizzi, quale mera "conduit company", interposizione esclusivamente finalizzata a risparmio fiscale (“business purpose test”). Vertendosi in tema di beneficio fiscale, grava sulla società contribuente l'onere di dimostrare, in chiave sostanziale e non meramente formale, la ricorrenza di dette condizioni; queste, peraltro, non coincidono con i presupposti dell'abuso di diritto, né ne mutuano la disciplina procedimentale e sostanziale di accertamento.
La controversia: interessi passivi e ritenuta d'acconto

La Commissione tributaria regionale della Lombardia, rigettando l'appello di E.I. s.p.a., confermò gli avvisi di accertamento, relativi ai periodi d'imposta 2010 e 2011, emessi dall'Agenzia delle entrate per omessa applicazione della ritenuta a titolo di imposta ex art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 600/1973, sugli interessi passivi corrisposti da GDF S.E. s.p.a. (GSE) (successivamente incorporata da E.I. s.p.a., già GDF S.E.I. s.p.a.), in favore di GDF S.E.I. s.p.a. (GSEI), sulla base di contratti di finanziamento sottoscritti negli anni 2010 e 2011.

A fondamento della decisione i giudici di appello, riformando la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, rilevarono la violazione dell'art. 26, comma 5, d.P.R. n. 600/1973, che impone l'applicazione di una ritenuta a titolo di imposta, in caso di corresponsione di interessi su finanziamenti da una società residente ad una non residente, escludendo che potesse farsi applicazione dell'art. 26-quater, d.P.R. n. 600/1973, che prevede l'esenzione da imposta degli interessi pagati a società residenti in altri Stati membri dell'Unione europea, a causa della mancanza delle necessarie percentuali di partecipazione nei rapporti tra la consociata lussemburghese EIL e la E.I. s.p.a., e ciò perché, secondo il giudice d'appello, GSEI era una mera società interposta tra la debitrice (GSE) e il «beneficiario effettivo» (EIL), quale soggetto non residente.

E.I. s.p.a. propose ricorso avverso la sentenza di secondo grado, deducendo, sotto un primo profilo, che aveva corrisposto interessi esclusivamente in favore della subholding italiana GSEI, unico titolare giuridico delle somme dovute a fronte del finanziamento erogato, e mai in favore di EIL o di altre società non residenti, e lamentando che la Commissione tributaria regionale aveva erroneamente ritenuto, per un verso, che un soggetto residente (sostituto d'imposta) fosse tenuto ad applicare la ritenuta alla fonte sui redditi di capitali (interessi su mutuo) corrisposti ad un soggetto parimente residente e, per altro verso, aveva esteso all'àmbito «domestico» i presupposti di applicazione del regime di esenzione da ritenuta e, in particolare, la nozione di «beneficiario effettivo» (art. 26-quater) in attuazione della direttiva 2003/49/CE (“IRD 2003/49”).

Sotto altro profilo, sulla premessa che, per il giudice tributario di appello, GSEI non aveva ricavato «alcun beneficio anche minimo o indiretto delle somme transitate» assumendo «l'esclusiva funzione di canalizzazione dei flussi reddituali», E.I. s.p.a. censurò la sentenza impugnata per avere violato la direttiva 2003/49/CE e il principio di stabilimento sancito dal TFUE, nonché gli scopi e le finalità della medesima direttiva, così legittimando sia una doppia imposizione giuridica in capo alla percipiente EIL, che si trovava ad essere incisa, in Italia, dall'assoggettamento alla ritenuta sugli interessi corrisposti da GSE a GSEI, e, in Lussemburgo, dal concorso degli interessi attivi percepiti sul finanziamento in essere con la subholding alla formazione della propria base reddituale, sia determinando una doppia imposizione economica su un unico flusso reddituale, poiché i medesimi interessi venivano tassati in Italia due volte in capo a soggetti diversi, ossia in capo a EIL e alla subholding GSEI. Rappresentò, pure, che la direttiva 2003/49/CE ostava a che fosse negato il diritto di fruire dell'esenzione dalla ritenuta sui finanziamenti infragruppo qualora fosse stato accertato che il beneficiario degli interessi era non soltanto un soggetto parte del medesimo gruppo societario, ma anche un soggetto residente in uno Stato membro dell'UE; e sottolineò che la sentenza d'appello aveva violato l'art. 26-quater, d.P.R. n. 600/1973, perché da una parte affermava che ai fini dell'applicazione della ritenuta rilevava la titolarità «sostanziale» degli interessi e non quella «giuridico-formale» delle medesime somme in capo alla subholding GSEI e, dall'altra parte, attribuiva rilevanza, ai fini della esenzione dalla ritenuta, alla pura forma dei contratti di società, pervenendo alla conclusione che EIL non potesse usufruire dell'esenzione da ritenuta in difetto di un presupposto costituito dal requisito della partecipazione qualificata diretta, la cui sussistenza derivava, invece, dalla pacifica natura di subholding di GSEI, ossia di soggetto meramente interposto anche nella catena di partecipazione (e controllo) che legava la società lussemburghese EIL alla società operativa italiana GSE.

La ricorrente, infine, prospettò una violazione, da parte dei giudici di appello, dell'art. 37-bis, d.P.R. n. 600/1973, per avere ricondotto la fattispecie concreta alle figure dell'elusione o dell'abuso del diritto, a causa dell'interposizione di una società conduit nel flusso reddituale, non dichiarando, tuttavia, l'illegittimità della pretesa impositiva per violazione delle garanzie procedimentali (quali l'obbligo del contraddittorio preventivo e della motivazione rafforzata dell'avviso di accertamento), poste a tutela del contribuente, previste dalla norma invocata.

La Corte di cassazione rigettò il ricorso.

Le linee guida tracciate dalla Corte di cassazione per definire la qualità di “beneficiario effettivo”

Ricalcando la nozione di «beneficiario effettivo» elaborata dalla giurisprudenza unionale con le note “sentenze danesi” [1], la Corte di cassazione, nel definire la controversia, ha affermato che l'esenzione da ritenuta di cui all'art. 26-quater del d.P.R. n. 600/1973 sugli interessi corrisposti a soggetti residenti in Stati membri dell'UE spetta soltanto laddove la società contribuente dimostri di avere l'effettiva disponibilità giuridica ed economica del provento percepito, realizzandosi altrimenti una traslazione impropria dei benefici convenzionali o addirittura un fenomeno di non imposizione.

Sulla premessa che con l'avviso di accertamento impugnato si contestava alla contribuente di avere corrisposto alla subholding GSEI (già EBL Italia), in violazione dell'art. 26, comma 5, d.P.R. n. 600/1973, in relazione all'art. 26-quater del medesimo decreto, gli interessi sul finanziamento ricevuto da EIL, società di diritto lussemburghese, appartenente al medesimo gruppo, senza operare la prescritta ritenuta, benché la società italiana non fosse il «beneficiario effettivo» del flusso reddituale e ricoprisse il ruolo di società conduit, la Corte di legittimità, riconducendo la controversia sottoposta al suo esame, sul piano normativo, nel perimetro della IRD 2003/49, si è imposta di individuare «i requisiti da soddisfare affinché spettino i benefici riconosciuti da disposizioni ispirate a finalità antiabuso», non mancando, tuttavia, di sottolineare che l'«abuso in senso tecnico» si muove su un diverso piano sia con riguardo alla concreta attività di accertamento dei presupposti indispensabili per fruire dei vantaggi, sia con riguardo alla ripartizione, tra fisco e contribuente, dell'onere della prova [2].

Ponendo a fondamento della decisione «il termine beneficiario effettivo» nel senso chiarito dalla Corte di giustizia con le sentenze del 26 febbraio 2019, che esclude «un'accezione ristretta e tecnica», la Corte di legittimità ha osservato che l'individuazione del «beneficiario effettivo», talvolta non disgiunta dall'interferenza di una società conduit, non può prescindere da un accurato scrutinio della fattispecie concreta che deve focalizzarsi sulla sostanza economica dell'operazione finanziaria; cosicché una subholding pura può essere considerata «beneficiario effettivo» degli interessi qualora emerga, in esito alla valutazione di una serie di «parametri spia», la padronanza e l'autonomia di gestione del flusso di reddito, oltre che l'assenza di indici di artificiosità e di abusività. Atteggiandosi la condizione di «beneficiario effettivo» come requisito da soddisfare per poter fruire dei benefici concessi dalla direttiva, prosegue la Corte, per il principio di vicinanza della prova, spetta quindi alla contribuente dimostrare tale qualità, sul piano sostanziale e non meramente formale, attraverso il superamento di tre autonomi test: segnatamente, il substantive business activity test, volto a verificare se la società interposta sia o meno una costruzione artificiosa o se svolga un'attività economica effettiva; il dominion test, che verifica se la società percipiente possa disporre liberamente degli interessi percepiti e non sia tenuta a rimettere il flusso reddituale ad un terzo, e il business purpose test, che indaga sulle ragioni dell'interposizione di una società nel flusso reddituale transfrontaliero, allo scopo di appurare se la «triangolazione» sia finalizzata soltanto al risparmio fiscale o se invece risponda ad altre ragioni economiche [3].

Seguendo le suindicate coordinate, la Corte di legittimità ha, quindi, ritenuto non applicabile, nel caso in esame, l'esenzione dalla ritenuta ex art. 26-quater, risultando la subholding italiana un soggetto interposto nel flusso reddituale transfrontaliero, alla stregua dell'accertamento svolto dal giudice di merito che ha riconosciuto la presenza di indici segnaletici idonei a dimostrare che la società lussemburghese era il beneficiario effettivo del flusso finanziario.

L'interpretazione restrittiva dell'art. 26-quater, d.P.R. n. 600/1973 e i rapporti con l'art. 37-bis, d.P.R. n. 600/1973

Discostandosi dalla tesi della società contribuente diretta a superare il significato letterale del requisito della «partecipazione qualificata diretta» tra consociata di uno Stato membro che paga gli interessi e beneficiaria (tramite la subholding residente nel medesimo Stato membro) di tali interessi residente in altro Stato membro – «con il triplice obiettivo (prospettato dalla contribuente) di assicurare realmente la parità di trattamento fiscale delle operazioni nazionali e delle operazioni transfrontaliere, di agevolare la realizzazione e il funzionamento del mercato interno e di evitare la discriminazione tra gruppi societari (come il gruppo E./GDF S.) strutturati secondo uno schema partecipativo «verticale» (che prevede la presenza di una subholding in diversi Stati membri) rispetto ai gruppo articolati secondo uno schema “stellare”, in cui un'unica capogruppo controlla direttamente tutte le società “operative” consociate» – la Corte di legittimità ha ribadito che l'interpretazione dell'art. 26-quater del d.P.R. n. 600/1973, in ragione della sua natura di agevolazione tributaria, deve essere restrittiva, «nel senso che la detenzione della società che riceve il pagamento non inferiore al 25 per cento del capitale o dei diritti di voto nella società che effettua il pagamento, in accordo con il dato testuale della IRD (2003/49), non può che essere “diretta”» [4].

Pur riconoscendo la matrice antielusiva degli artt. 26 e 26-quater citati, la Corte ha, infine, puntualizzato che i precetti in essi contenuti non vanno confusi con la disciplina dell'art. 37-bis, d.P.R. n. 600/1973, con la conseguenza che essi non sono sussumibili entro tale ultima disposizione normativa, neppure per quanto attiene alle prescrizioni endoprocedimentali da essa contemplate, quali l'obbligo del contraddittorio preventivo e della motivazione rafforzata dell'atto impositivo [5].

Ha, quindi, concluso nei termini sopra precisati.

Le decisioni della Corte di Giustizia sui “casi danesi” e la necessità di un approccio look-trought: i “parametri spia” e l'onere della prova

La decisione in esame si pone l'evidente obiettivo di delimitare in modo ancor più puntuale il concetto di «beneficiario effettivo» al fine di assicurare che l'attenuazione della potestà impositiva dello Stato della fonte sui flussi di dividendi, interessi e canoni si realizzi, nell'intento di evitare la doppia imposizione giuridica con la concomitante potestà impositiva dell'altro Stato, solo nei confronti dei beneficiari che effettivamente rientrano nel perimetro di applicazione della Direttiva comunitaria n. 2003/49/CE, così evitando di penalizzare situazioni che sono distanti dal fenomeno di elusione fiscale denominato treaty shopping, finalizzato ad ottenere un indebito risparmio d'imposta, mediante il quale si tende a sfruttare indebitamente il regime vantaggioso contenuto in una o più Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sul reddito [6].

A tale fine prende le mosse dalle note “sentenze danesi” del 26 febbraio 2019 della Corte di giustizia, concernenti sia l'interpretazione della Direttiva Interessi e royalties (cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16) sia della Direttiva Madre-Figlia (cause riunite C-116/16, C-117/16), riguardanti il ruolo di talune holding intermedie partecipate da fondi di investimento e da società situate in Stati extra-UE, che possedevano partecipazioni in società operative danesi.

Nei casi esaminati dalla prima sentenza citata, l'amministrazione finanziaria danese aveva negato l'applicazione della direttiva in base al rilievo che la società destinataria degli interessi era interposta e non era il beneficiario effettivo degli interessi stessi; quelli esaminati dalla seconda sentenza riguardavano, invece, l'applicazione della direttiva Madre-Figlia (la “direttiva PSD”) a dividendi distribuiti da una società danese ad altra società comunitaria posseduta da società che non avrebbe potuto beneficiare della “direttiva PSD”.

Nella ricostruzione del concetto di «beneficiario effettivo», secondo i giudici europei, rilevano i canoni ermeneutici rinvenibili nel commentario del Modello di Convenzione OCSE ai fini convenzionali e, dunque, «il termine beneficiario riguarda non un beneficiario individuato formalmente, bensì l'entità che benefici economicamente degli interessi percepiti e goda, pertanto, della facoltà di disporne liberamente la destinazione» [7]; e sulla base di tale principio, ammettono un approccio look-through [8], negando l'applicazione della IRD solo ove non sia individuabile, in un altro Paese UE, una società che soddisfi i requisiti richiesti per essere qualificata come beneficiario effettivo dei flussi. Circostanza quest'ultima che costituisce un indizio, ma non una prova, di una possibile pratica abusiva. Inoltre, in assenza di abuso, la sola circostanza che la società percettrice degli interessi in uno Stato membro non sia il «beneficiario effettivo» non esclude necessariamente l'applicabilità dell'esenzione prevista dalla Direttiva IRD; gli interessi possono comunque beneficiare dell'esenzione se la società percettrice ne trasferisce l'importo ad un «beneficiario effettivo» stabilito nell'Unione che integri tutti i requisiti per l'esenzione indicati dalla direttiva stessa [9].

In caso di dividendi, invece, in assenza di abuso, deve trovare applicazione l'esenzione della PSD alla società intermedia, non essendo la qualifica di beneficiario effettivo del percettore una condizione di applicabilità dell'esenzione [10].

Tenuta presente la giurisprudenza europea, la Corte di legittimità focalizza l'attenzione sulla direttiva IRD, ed in particolare, sullo scopo della stessa — riprendendo i chiarimenti sul punto resi dalla Corte di giustizia nelle “sentenze danesi” — che è quello di assicurare «ai flussi di interessi etc. tra consociate (o stabili organizzazioni di consociate) di due diversi Stati membri, in possesso dei necessari requisiti applicativi, il trattamento fiscale ad essi riservato nelle operazioni intercorse all'interno di un unico Stato membro», disponendo a tal fine «che gli interessi etc. siano esenti dalla ritenuta nello Stato della fonte, per essere assoggettati ad imposta una sola volta nello Stato di residenza del creditore, il quale deve esercitare il potere impositivo che gli è stato affidato in via esclusiva» [11].

Sulla base di tali premesse, la decisione in esame, allineandosi ad una impostazione già adottata dalla giurisprudenza di legittimità [12], ha riaffermato che «l'indagine sul beneficiario effettivo s'interseca con la verifica del ruolo concretamente assunto dalla società intermediaria (conduit company o société relais)», in tal modo ribadendo, come è già avvenuto in relazione ai flussi di dividendi [13], che una holding può qualificarsi, in presenza di alcune condizioni, quale beneficiario effettivo di un flusso transfrontaliero di interessi, senza che sia ab origine considerata, in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, alla stregua di una struttura meramente conduit [14].

La decisione ha il pregio di sottolineare che l'indagine sulla qualità di «beneficiario effettivo» non può prescindere da un puntuale esame della «sostanza economica» dell'operazione finanziaria, da effettuarsi caso per caso ad opera del giudice di merito, e di rimarcare, riprendendo argomentazioni già sviluppate da precedenti pronunce di legittimità [15], che occorre verificare alcuni «parametri spia» per valutare in concreto la sussistenza dell'elemento normativamente rilevante costituito dalla padronanza ed autonomia della società madre percipiente nel trattenimento ed impiego dei dividendi percepiti, oltre che accertare l'assenza di indici di artificiosità e di abusività, come delineati dalla Corte di giustizia.

Sulla scorta di tali argomenti, la Corte di legittimità, costituendo la condizione di «beneficiario effettivo» degli interessi un requisito da soddisfare al fine di poter godere dei benefici concessi dalla direttiva IRD, in applicazione del principio di vicinanza della prova, pone a carico della società contribuente, che ne adduca la qualità, l'onere di dimostrarla, in chiave sostanziale e non meramente formale [16], anche se non manca di precisare che, «in caso di superamento del primo step di verifica, in ossequio alla regola generale sull'onere della prova, all'Amministrazione spetterà dimostrare l'abuso del diritto e la sussistenza di una costruzione artificiosa» [17].

L'applicazione dei principi enucleati dalla giurisprudenza unionale per la individuazione del beneficial owner comporta, sul piano domestico, come rilevato dalla decisione in esame, che l'esenzione degli interessi e dei canoni (royalties) dall'imposta exart 26-quater, d.P.R. n. 600/1973 (introdotto dal d.lgs. n. 143/2005 per recepire la direttiva 2003/49/CE del 3 giugno 2003) corrisposti nei confronti di soggetti residenti in Stati membri dell'Unione europea opera a condizione che il soggetto estero percipiente dimostri di essere il beneficiario effettivo degli interessi e/o dei canoni, previo superamento di tre test (il substantive business activity test, il dominion test ed il business purpose test), che prendono in considerazione, in relazione alla fattispecie concreta, i «parametri spia» o «indici segnaletici».

Siffatta interpretazione del concetto di «beneficiario effettivo» risulta, in effetti, già recepita dall'Amministrazione finanziaria nei documenti di prassi [18], nei quali è stato ben evidenziato che un soggetto interposto nella percezione di dividendi o interessi ovvero nel realizzo di plusvalenze può beneficiare delle direttive o delle Convenzioni solo ove si tratti di una struttura dotata della necessaria sostanza economica e, quindi, genuina. La condizione di genuinità si traduce, in sostanza, nella necessità di verificare che le entità intermedie siano caratterizzate da un radicamento effettivo nel tessuto economico del Paese di insediamento ovvero che non fungano da mere conduit con riferimento alla singola transazione, non svolgendo una reale attività. In altri termini, tali entità intermedie possono dirsi prive di sostanza economica sulla base del riscontro di almeno una delle seguenti due caratteristiche: i) una struttura organizzativa leggera (insediamento artificioso o società conduit), priva di effettiva attività e senza autonomia decisionale, se non dal punto di vista formale, ovvero ii) una struttura finanziaria passante (operazione conduit),con riguardo alla specifica operazione, in cui fondi e impieghi presentano condizioni contrattuali ed economiche quasi del tutto speculari o comunque funzionali a consentire la corrispondenza tra quanto incassato sugli impieghi e quanto pagato sulle fonti e la non applicazione di alcuna ritenuta in uscita nella giurisdizione in cui risiedono fiscalmente.

Peraltro nei medesimi documenti di prassi si precisa pure che, in ipotesi di costruzioni artificiose, fermo restando il disconoscimento della holding intermedia partecipata da un fondo di investimento estero, sia possibile identificare i beneficiari effettivi “guardando attraverso” il fondo partecipante, in considerazione della natura di entità fiscalmente trasparente dello stesso, e si ammette la possibilità di invocare non la Convenzione con lo Stato del prenditore (ossia della società interposta), bensì quella in essere con lo Stato della residenza del beneficiario in senso “economico” del reddito.

Trattandosi di agevolazione tributaria, l'interpretazione dell'art. 26-quater citato, come ribadito dalla Corte di legittimità, deve necessariamente essere restrittiva [19] e la nozione convenzionale di beneficiario effettivo funge, dunque, da clausola anti-abuso, idonea a disapplicare i benefici fiscali derivanti da elusione o frode nell'applicazione della normativa fiscale e, comunque, ad impedire che i soggetti possano abusare dei trattati fiscali attraverso pratiche di treaty shopping, al precipuo scopo di ottenere una protezione cui non avrebbero avuto diritto, ovvero di subire un trattamento fiscale più favorevole [20]. In virtù di tale clausola, può, quindi, fruire dei vantaggi garantiti dalle convenzioni solo il soggetto sottoposto alla giurisdizione dell'altro Stato contraente che abbia l'effettiva disponibilità giuridica ed economica del provento percepito, realizzandosi altrimenti una traslazione impropria dei benefici convenzionali o addirittura un fenomeno di non imposizione [21] e, quindi, soltanto colui che «non è tenuto ad alcun trasferimento a terzi» [22].

Considerazioni finali: il carattere residuale della diversa fattispecie dell'abuso del diritto

La novità della sentenza in rassegna, che pur sempre assicura continuità alla giurisprudenza unionale e a quella domestica, pare, quindi, quella di volere applicare il criterio del beneficiario effettivo privilegiando anche un'analisi fattuale, in termini di sostanza economica, che non può prescindere da un'indagine articolata in tre test, tra loro autonomi e disgiunti; solo il superamento dei test consente di ritenere che la società contribuente abbia i requisiti per fruire del regime di esenzione della convenzione o della direttiva.

Sembra tuttavia di cogliere, dalla lettura della sentenza in rassegna, che l'esame degli elementi fattuali debba ovviamente essere svolto con particolare accuratezza e non allo scopo di sostituirsi ad una analisi degli elementi giuridici della fattispecie, considerato che, in definitiva, quel che deve essere accertato è pur sempre un profilo giuridico, ossia l'inesistenza di un'obbligazione di ritrasferimento, legale o contrattuale, dello specifico pagamento ricevuto.

Inoltre, secondo la Corte di legittimità, gli elementi fattuali rilevanti ai fini di una contestazione antiabuso e quelli da prendere in considerazione rispetto alla clausola del beneficiario effettivo non sono tra loro interscambiabili. Al riguardo, infatti, mentre nelle cd. sentenze danesi si considera, quale elemento sintomatico di una costruzione artificiosa, anche il fatto di creare artatamente le condizioni per conseguire un indebito vantaggio e beneficiare delle esenzioni fiscali concesse dalla IRD [23], tale aspetto non assume, invece, rilievo ai fini della clausola del beneficiario effettivo, con riguardo alla quale si impone di verificare se la società percettrice dei flussi reddituali risponda o meno ai requisiti per fruire dei vantaggi che altrimenti non le potrebbero essere riconosciuti [24].

Se si ragionasse diversamente, ossia se si confondesse l'abuso del diritto in senso tecnico e il campo in cui s'inscrive la figura del beneficiario effettivo – e questo è l'altro punto estremamente importante della sentenza in esame – si finirebbe, infatti, per far confluire anche la clausola del beneficiario effettivo nel perimetro di applicazione del generale divieto di abuso del diritto: occorre, invece, tenere ben distinti i due piani di indagine, anche dal punto di vista della concreta attività accertatrice e della ripartizione, fra fisco e contribuente, dell'onere della prova [25].

Sulla base di tale premessa, che ha la evidente finalità di impedire che la clausola del beneficiario effettivo possa costituire un inutile doppione del generale divieto di abuso del diritto, con un ulteriore passaggio particolarmente innovativo la decisione in esame non disconosce la matrice antielusiva degli artt. 26 e 26-quater del d.P.R. n. 600/1973, ma nega che i precetti contenuti in dette disposizioni normative possano essere confusi, e sovrapposti, con le prescrizioni, quali quelle endoprocedimentali del contraddittorio preventivo e dell'obbligo di motivazione “rinforzata” dell'atto impositivo, che caratterizzano l'art. 37-bis, d.P.R. n. 600/1973.

La distinzione tra abuso del diritto e clausola del beneficiario effettivo, che la decisione in rassegna ha inteso sottolineare, riveste, dunque, un significato particolarmente pregnante, perché implica che l'art. 37-bis, d.P.R. n. 600/1973 non possa che essere utilizzato in via residuale solo quando non sia, in concreto, possibile utilizzare la clausola del beneficiario effettivo portata dall'art. 26-quater, d.P.R. n. 600/1973.

Pasqualina A.P. Condello

Note

[1] CGUE 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16; CGUE 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-116/16 e C-117/16.

[2] Pagine da 8 a 10 della decisione.

[3] Pagine 12 e 13 della decisione e giurisprudenza ivi richiamata.

[4] Pagine 19 e 20 della decisione e giurisprudenza ivi richiamata.

[5] Pagina 21 della decisione.

[6] La nozione di beneficiario effettivo (o beneficial owner), il cui ingresso nell'ordinamento fiscale internazionale risale al 1977, è presente sia nel Modello OCSE che nel Modello di Convenzione ONU, che non forniscono, tuttavia, una definizione. Già nell'edizione 2014 della Convenzione OCSE e nel relativo Commentario il concetto di beneficiario effettivo ha assunto una funzione antielusiva specifica, prendendo in considerazione il soggetto che gode del diritto di utilizzo dei flussi reddituali (right to use and enjoy the interest), senza essere condizionato da una obbligazione di restituzione a terzi (ne sono quindi esclusi agenti, nominee e società conduit). La clausola del beneficiario effettivo (beneficial ownership clause) è stata successivamente inserita anche in ambito eurounionale, ove è esplicitamente prevista dalla Direttiva comunitaria n. 2003/49/CE (cd. Direttiva Interessi e Royalties o “IRD”).

[7] CGUE 26 febbraio 2019, in cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, punti 89 e 122.

[8] CGUE 26 febbraio 2019, in cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, punto 94.

[9] Tale conclusione è del tutto coerente con il paragrafo 11 del commentario all'art. 11 del Modello OCSE, a mente del quale, laddove permangono le altre condizioni richieste dalla Convenzione, la ritenuta ridotta ivi prevista continua a trovare applicazione anche quando viene interposto un soggetto (localizzato in uno Stato contraente ovvero in uno Stato terzo) tra il pagatore degli interessi ed il beneficiario effettivo, sempre a condizione che quest'ultimo sia residente in uno Stato con il quale il Paese della fonte abbia stipulato una Convenzione contro le doppie imposizioni.

[10] E. DELLA VALLE, La nozione di beneficiario effettivo alla luce delle decisioni della Corte di Giustizia dell'Unione Europea sui “casi danesi”, in Strumenti finanziari e fiscalità, 2019, 41, 123 ss.

[11] CGUE 26 febbraio 2019, in cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, punti 151 e 152.

[12] Cass. 10 luglio 2020, n. 14756; Cass. 3 febbraio 2022, n. 3380.

[13] Cass. 28 dicembre 2016, nn. 27112, 27113, 27115 e 27116.

[14] Sul tema delle società holding, CGUE in cause riunite C-504/16 e C-613/16.

[15] Cass. n. 14756/2020, cit., la quale richiama Cass. n. 27112/2016 in materia di dividendi; Cass. 28 dicembre 2016, nn. 27113, 27115/16 e 27116/2016.

[16] In senso conforme, Cass. 22 giugno 2021, n. 17746.

[17] G. CORASANITI, L'evoluzione della nozione di beneficiario effettivo tra il modello di convenzione OCSE e la giurisprudenza della Corte di Cassazione e della CGUE, in Dir. Prat. Trib., 2021, 6, 2493 ss.; F. FAMÀ, Clausola del “beneficiario effettivo” e articolazione dell'onere della prova nell'evoluzione del diritto tributario dei trattati ed europeo, in Riv. tel. Dir. trib., 2021, 1, XV, 600 ss.

[18] Cfr. Risoluzione ministeriale del 7 maggio 1987, n. 12/431; Circolare ministeriale 23 dicembre 1996, n. 306; Risoluzione ministeriale 6 maggio 1997, n. 104; Risoluzione 27 gennaio 2006, n. 17; Risoluzione 12 luglio2006, n. 86/E; Risoluzione 21 aprile 2008, n. 167/E; Circolare 30 marzo 2016, n. 6/E; Risoluzione dell'Agenzia delle entrate n. 88/E del 18 ottobre 2019.

[19] Cass. 30 settembre 2019, n. 24297.

[20] Cass. 30 settembre 2019, n. 24287; Cass. 28 dicembre 2016, n. 27112; Cass. 16 dicembre 2015, n. 25281.

[21] Cass. 16 dicembre 2015, n. 25281; Cass. 19 dicembre 2018, n. 32840; Cass. 24 agosto 2022, n. 25195.

[22] Cass. 22 giugno 2021, n. 17746; Cass. 20 settembre 2019, n. 24287.

[23] CGUE 26 febbraio 2019, in cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, punto 133.

[24] O. CIMAZ, Le relazioni tra abuso del diritto e beneficiario effettivo nella recente giurisprudenza della Corte di Giustizia: ancora dubbi e problemi irrisolti, in Strumenti finanziari e fiscalità, 2019, 43, 111 ss.; P. PISTONE, Beneficiario effettivo e clausole generali antielusione, in Dir prat. trib. int., 2020, 4, 1552 ss.

[25] In tema di abuso del diritto: Cass. 22 giugno 2021, n. 17743; Cass. 2 aprile 2021, n. 9135; Cass. 2 febbraio 2021, n. 2224; Cass. 30 dicembre 2019, n. 34595 e giurisprudenza ivi richiamata.