Cumulabilità del risarcimento da fatto illecito e dell'indennizzo assicurativo per polizza infortuni

08 Maggio 2023

Il Tribunale di Milano si esprime sulla possibilità di cumulare il risarcimento del danno e l'indennizzo assicurativo, nel caso in cui un soggetto infortunato percepisca una somma da parte della propria compagnia assicurativa con cui ha stipulato una polizza infortuni.
Massima

Nel caso in cui un soggetto infortunato percepisca un indennizzo da parte della propria compagnia assicurativa con cui ha stipulato una polizza infortuni, per verificare se sia possibile cumulare il risarcimento del danno e l'indennizzo assicurativo, occorre indagare la causa in concreto del contratto assicurativo, valutando se lo scopo pratico perseguito sia di tipo previdenziale o indennitario, poiché nel primo caso non trova applicazione l'istituto della compensatio lucri cum damno e indennizzo e risarcimento possono essere cumulati.

Un indice della finalità previdenziale perseguita è la commisurazione dell'indennizzo a un capitale convenzionalmente stabilito, analogamente a quanto avviene nell'assicurazione sulla vita.

La preventiva rinuncia dell'assicuratore alla surroga nei diritti del danneggiato contro il terzo responsabile conferma la volontà delle parti di consentire in capo all'assicurato di cumulare il risarcimento del danno con l'indennizzo.

Il caso

L'attore, riferendo di avere subito un'aggressione, cita in giudizio il proprio aggressore e il Comune di Milano per chiederne la condanna in solido al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.

Nel corso del giudizio emerge che l'attore, in virtù di polizza assicurativa contro il rischio di riportare un'invalidità permanente o la morte in conseguenza di un infortunio, aveva percepito in conseguenza del danno patito un indennizzo di euro 27.000,00, pari al 9% della somma assicurata di euro 300.000,00, percentuale ricavata dall'invalidità riconosciuta dal perito della compagnia.

Nella polizza le parti avevano inserito una clausola rubricata rinuncia alla rivalsa per cui la compagnia rinunciava a favore dell'assicurato a ogni azione di regresso verso i terzi responsabili.

Il Comune di Milano, oltre a negare la propria responsabilità nell'accaduto, richiama il principio della compensatio lucri cum damno ed eccepisce che l'obbligazione risarcitoria si era estinta con il pagamento dell'indennizzo da parte della compagnia assicurativa.

La questione

La questione da risolvere è la seguente: nel caso in cui un soggetto che abbia subito un infortunio percepisca un indennizzo da parte della propria compagnia assicurativa con cui ha stipulato una polizza infortuni, dal risarcimento dovuto dall'autore dell'illecito dannoso deve essere scomputata la somma percepita dalla compagnia assicurativa, in applicazione del principio della compensatio lucri cum damno?

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Milano, ritenuto non responsabile il Comune di Milano per l'infortunio, ha condannato l'aggressore al risarcimento dei danni non patrimoniali, accertati nella duplice componente “danno biologico/dinamico-relazionale” e “danno da sofferenza soggettiva”, con riferimento sia all'inabilità temporanea che ai postumi permanenti residuati nella misura del 6%.

Ha quindi condannato il convenuto al pagamento di € 16.695,25 oltre interessi.

Per quanto in questa sede risulta d'interesse, il tribunale ritiene che nel caso in esame la polizza infortuni abbia una finalità previdenziale, assumendo, quindi, in concreto una configurazione del tutto similare a quella delle assicurazioni sulla vita, rispetto alle quali la Suprema Corte esclude pacificamente l'operatività della compensatio lucri cum damno. Pertanto, non deve essere scomputato dal risarcimento liquidato l'indennizzo erogato dall'assicurazione.

I passaggi motivazionali sono i seguenti.

Innanzitutto, è stata ritenuta valida la clausola di rinuncia preventiva alla rivalsa da parte dell'assicuratore sulla base della natura non inderogabile dell'art. 1916, comma 1, c.c., norma che prevede la surrogazione dell'assicuratore nei diritti dell'assicurato verso i terzi responsabili.

Sul punto non si rinvengono orientamenti contrari nella giurisprudenza di legittimità; anche in un caso in cui la Cassazione si era pronunciata negativamente rispetto al cumulo tra risarcimento e indennizzo assicurativo, la pattuizione della rinuncia preventiva alla rivalsa è stata ritenuta semplicemente irrilevante (Cass. n. 13233/2014)

Il Tribunale di Milano osserva che, anzi, la clausola è frequentemente inserita nelle polizze infortuni, normalmente verso il pagamento di un premio assicurativo più elevato.

La sentenza poi prosegue con l'analisi del quadro giurisprudenziale di riferimento dell'istituto della compensatio lucri cum damno, oggetto di composizione dei contrasti nelle quattro note pronunce delle Sezioni Unite, nn. 12564, 12565, 12566, 12567 del 2018, che hanno risolto sulla base dei medesimi principi differenti fattispecie.

Le Sezioni Unite affermano che la compensatio opera quando il beneficio collaterale percepito dal danneggiato in conseguenza dell'illecito mira a compensare la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità civile, come nel caso dell'assicurazione contro i danni, e non invece quando la finalità del beneficio è di natura previdenziale, come nel caso dell'assicurazione sulla vita o della pensione di reversibilità, perché si è di fronte a una forma di risparmio posta in essere dall'assicurato e l'indennità, vera e propria contropartita dei premi versati dall'assicurato, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria.

Fondamentale rilievo per il riconoscimento dell'operatività della compensatio viene attribuito dalle Sezioni Unite alla previsione legale della rivalsa in favore del soggetto che eroga il beneficio che, fungendo da “meccanismo di raccordo” tra il risarcimento del danno e il beneficio collaterale, scongiura sia la deresponsabilizzazione del danneggiante che un'ingiusta locupletazione del danneggiato in ossequio al principio indennitario.

In mancanza però di una specifica disamina da parte delle Sezioni Unite del 2018 della fattispecie della polizza assicurativa infortuni, la sentenza in commento riesamina, alla luce dei nuovi principi, le pronunce della Suprema Corte che in passato avevano preso posizione sulla natura di tale polizza.

La sentenza, pure a Sezioni Unite, n. 5119/2002, sia pure limitatamente alla questione dell'applicabilità dell'art. 1910 c.c. alle polizze infortuni, ha distinto quelle volte a garantire il rischio di invalidità non mortali da quelle finalizzate a coprire l'evento mortale, ritenendo le prime assimilabili alle assicurazioni contro i danni e le seconde alle assicurazioni sulla vita. Quindi, alla polizza infortuni che copra sia il rischio di infortuni mortali che non, dovrebbe trovare applicazione una disciplina di tipo misto, a seconda delle conseguenze dell'infortunio in concreto verificatesi.

La successiva sentenza della Corte di Cassazione n. 13233/2014, presupponendo come indefettibile la natura indennitaria della polizza contro gli infortuni non mortali, ha escluso la possibilità di cumulo tra indennizzo e risarcimento che comporterebbe che il danneggiato si troverebbe in una condizione patrimoniale più favorevole rispetto a quella in cui si trovava prima dell'illecito, in violazione del principio indennitario, ritenuto di ordine pubblico e quindi inderogabile, e che comporta l'estinzione del diritto al risarcimento per effetto della percezione dell'indennizzo a prescindere dalla rinuncia alla surroga da parte dell'assicuratore che gioverebbe solo al terzo danneggiante.

Da tale assioma il Tribunale di Milano si discosta, ritenendo non condivisibile un'automatica equiparazione tra polizza infortuni non letali e assicurazione contro i danni disciplinata dagli artt. 1904 e ss. c.c., trattandosi di norme che fanno per lo più riferimento alla nozione di “cosa” assicurata, mentre nelle polizze infortuni viene in considerazione il “corpo umano” che non ha un valore oggettivamente stimabile.

La sentenza in commento quindi prosegue affermando che, al fine di individuare la disciplina applicabile alle polizze infortuni, occorre verificare lo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipula del contratto, ossia la c.d. causa in concreto, applicata dalla Cassazione a partire dalla sentenza n. 10490/2006.

Nel caso in esame, gli indici che inducono a propendere per una funzione previdenziale e non indennitaria della polizza sono la previsione, per il caso di invalidità permanente, di un indennizzo calcolato in percentuale sulla somma assicurata (pari ad euro 300.000,00) e la rinuncia da parte della compagnia assicurativa a esercitare il proprio diritto di surroga nei confronti dell'eventuale terzo responsabile.

La correlazione di un indennizzo commisurato al capitale investito va in segno contrario rispetto alla funzione indennitaria ed è segno di una scelta autonoma dell'entità dei benefici che l'assicurato intende ritrarre dal contratto, in base alle proprie esigenze previdenziali, a fronte di un evento invalidante.

Al pari, l'esclusione pattizia della surroga consente all'assicurato di cumulare il risarcimento del danno con l'indennizzo assicurativo a fronte del pagamento di un premio maggiore che non può andare a esclusivo vantaggio del danneggiante.

Il Tribunale di Milano conclude definendo la polizza in esame come un contratto assicurativo dal contenuto atipico in cui rileva soprattutto la volontà delle parti, autentiche interpreti delle loro pattuizioni.

Di tenore analogo alla pronuncia in commento, e quindi nel senso della natura previdenziale della polizza infortuni esaminata, e della conseguente cumulabilità del risarcimento percepito da un soggetto infortunato a seguito di sinistro stradale con l'indennizzo assicurativo, è una recente pronuncia della Corte d'Appello di Milano (sez. IV, 8/2/2022) sebbene fondata genericamente sulla definizione stessa del contratto quale “programma previdenziale”. Essa pure richiama il contenuto della sentenza delle Sezioni Unite n. 12565/2018 per ribadire la necessità di una “doverosa indagine sulla ragione giustificatrice dell'attribuzione patrimoniale entrata nel patrimonio del danneggiato”.

Osservazioni

La pronuncia in commento è probabilmente la prima, nel panorama giurisprudenziale di merito, ad affrontare la tematica in esame in una prospettiva legata alla causa in concreto del contratto, e ad applicare in questo modo puntualmente i recenti arresti delle Sezioni Unite del 2018 che ritengono imprescindibile un'indagine di fatto della ragione giustificatrice dell'attribuzione patrimoniale entrata nella sfera del danneggiato ai fini della applicabilità della compensatio lucri cum damno.

Nel caso in esame la funzione previdenziale della polizza è desunta dal rilievo attribuito, ai fini della quantificazione dell'indennizzo, al massimale e non invece all'entità delle conseguenze dannose, patrimoniali o non patrimoniali, dell'infortunio.

Si assolve in questo modo anche all'esigenza per l'assicurato di trarre dalla polizza, al verificarsi di un infortunio, un vantaggio certo e liquido e non dipendente dall'esito di un complesso raffronto tra poste risarcitorie e indennitarie omogenee.

Diversamente da quanto affermato da Cass. n. 13233/2014, non si può far discendere dalla inderogabilità del principio indennitario l'irrilevanza dell'esercizio della surroga, ma, al contrario, occorre verificare l'effettiva previsione di un meccanismo di surroga, cartina di tornasole dell'intento del legislatore o delle parti di garantire il principio indennitario mediante un meccanismo di riequilibrio.

Il Tribunale di Milano attribuisce il doveroso rilievo all'autonomia contrattuale delle parti alle quali deve essere consentito di neutralizzare la potenziale funzione indennitaria della polizza infortuni e di operare il cumulo tra indennizzo e risarcimento mediante l'esclusione pattizia della rivalsa, debitamente remunerata. Tale interpretazione rispetta a pieno la causa concreta del contratto, che, secondo altra fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite, sempre del 2018, deve essere indagata essenzialmente sotto il profilo della liceità e dell'adeguatezza dell'assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti (Cass. Sez. Un. n. 22437/2018).