L.c.a. e validità del lodo emesso durante lo spatium deliberandi del commissario liquidatore

Mariacarla Giorgetti
09 Maggio 2023

Con la decisione in commento le Sezioni Unite della Suprema Corte prendono definitivamente posizione sulla questione concernente la sorte della clausola compromissoria inserita in un contratto di appalto (o di subappalto) a seguito della sottoposizione di una delle parti alla liquidazione coatta amministrativa.
Massima

1) Il giudizio arbitrale promosso sulla base della clausola compromissoria accessoria ad un appalto e per l'accertamento di un credito da esso dipendente, diviene improcedibile al sopraggiungere della messa in liquidazione coatta amministrativa di una delle parti del contratto (nella specie, l'appaltatore), stante l'esclusività dell'accertamento del passivo nella sede concorsuale cui è comunque tenuta, ai sensi degli artt. 52 e 93 l. fall., la parte creditrice (nella specie, il committente), se il rapporto è ancora pendente, cioè non esaurito ai sensi dell'art. 72 l. fall.

2) Il lodo ciononostante emesso, prima della scadenza del termine di 60 giorni assegnato dall'art. 81 l. fall. all'organo concorsuale per dichiarare il proprio eventuale subentro nel contratto-presupposto e senza che siffatta dichiarazione sia intervenuta, è nullo, con conseguente inettitudine a produrre effetti nei confronti della procedura concorsuale, in quanto lo scioglimento dell'appalto in conseguenza dell'apertura del concorso realizza un effetto legale ex nunc, solo risolutivamente condizionato alla decisione di subentro del commissario fin quando è possibile, e così gli arbitri, nella fattispecie, difettano di potestas judicandi;

3) l'apertura della procedura concorsuale in pendenza del rapporto determina altresì, secondo la regola generale dell'art. 72, comma 6, l. fall., valevole anche per l'appalto, la inefficacia della clausola negoziale che ne fa dipendere la risoluzione da tale evento.



Il caso

La Sezione Seconda della Corte, con ordinanza del 16 marzo 2022, n. 8591, aveva rimesso alle Sezioni Unite un quesito concernente l'operatività della clausola compromissoria accessoria ad un appalto durante la pendenza del termine di 60 giorni, che la Legge fallimentare concede al commissario liquidatore (richiamando l'art. 81 l. fall. che disciplina lo spatium deliberandi concesso al curatore) per decidere se subentrare o meno nei contratti d'appalto pendenti, e quindi, l'efficacia del lodo eventualmente pronunciato nelle more della decorrenza di tale termine (l'art. 81 l. fall., così come riformato ormai circa un ventennio fa, contrariamente al previgente divieto di prosecuzione del rapporto, stabilisce che “il contratto di appalto si scioglie per il fallimento di una delle parti, se il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori non dichiara di voler subentrare nel rapporto dandone comunicazione all'altra parte nel termine di giorni sessanta dalla dichiarazione di fallimento ed offrendo idonee garanzie (…)”. La giurisprudenza, antecedentemente alla novella ex d.lgs. n. 5/2006, affermava che “l'automatico scioglimento del contratto d'appalto rappresenta un effetto di diritto sostanziale conseguente alla dichiarazione di fallimento destinato a perdurare anche dopo la chiusura della procedura concorsuale, ove non intervenga una nuova convenzione tra le parti, dovendo escludersi un'automatica reviviscenza del contratto originario”. Ex multis, cfr. Cass., 9 luglio 1999, n. 7203).

La decisione di rimessione alle SSUU prendeva le mosse da un ricorso promosso avverso alla sentenza con cui la Corte di Appello di Bologna aveva rigettato l'impugnazione di un lodo arbitrale con cui il collegio arbitrale aveva accolto alcune delle domande proposte dalla committente e rigettato la domanda di risoluzione del contratto di subappalto. Il collegio non sarebbe stato a conoscenza del fatto che, in pendenza della procedura arbitrale, la committente era stata posta in liquidazione coatta amministrativa.

Nell'ordinanza di rimessionela Seconda Sezione della Corte prospetta la soluzione sulla base di alcuni precedenti delle stesse Sezioni Unite, in cui si affermava che l'effetto attributivo di cognizione, scaturente dalla clausola arbitrale, sarebbe stato paralizzato dall'inevitabile assorbimento di tali tipologie di giudizio nello speciale procedimento di verifica dello stato passivo, con la conseguenza che l'accertamento di crediti vantati nei confronti di una parte sottoposta a fallimento o ad amministrazione straordinaria non avrebbe potuto essere devoluta al collegio (cfr. Cass., SS.UU., 21 luglio, 2015, n. 15200).

Una soluzione come quella descritta appare, infatti, funzionale alla garanzia di realizzazione del simultaneus processus, in quanto consente il contraddittorio in un solo giudizio di tutti i creditori del debitore insolvente.

Secondo la contrapposta tesi, alla quale l'ordinanza di rimessione mostra di non voler dare troppo seguito, a partire dalla pubblicazione del decreto ministeriale di apertura della procedura concorsuale inizierebbero a decorrere i 60 giorni che l'art. 81 l. fall. concede al curatore fallimentare o al commissario liquidatore, per decidere se subentrare nei contratti d'appalto già in essere. Durante tale arco di tempo i contratti e le clausole in essi contenute manterrebbero, quindi, la loro validità, con la conseguenza che il potere decisorio degli arbitri fondato sulla clausola inserita nel contratto sarebbe fatto salvo e la decisione eventualmente emessa pienamente valida.

Diversamente opinando, ossia ritenendo lo scioglimento automatico del contratto come conseguenza dell'apertura della procedura concorsuale, equivarrebbe ad affermare l'inefficacia di tutte le clausole ivi contenute, compresa quella compromissoria, da cui deriverebbe la mancanza di potere decisorio degli arbitri e la nullità del relativo lodo arbitrale.



Le questioni di diritto e gli orientamenti in materia

Orbene, sulla base dell'ordinanza di rimessione, come sopra descritta, la questione di diritto sottoposta all'esame della Corte concerne, per un verso, l'interpretazione dell'art. 72, comma 6, l. fall., che stabilisce l'inefficacia delle clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento o dalla liquidazione coatta amministrativa. Sul punto, si tratta di accertare se tale regola sia applicabile soltanto ai contratti non ancora eseguiti da entrambi i contraenti oppure anche ai contratti non più in esecuzione.

Per un altro, occorre capire quale sia l'effetto della liquidazione coatta amministrativa della parte nei cui confronti sia stata comunque proposta una domanda di accertamento di un credito e conseguente condanna (nella specie, prima dell'appaltatore) sulla clausola compromissoria inserita in un contratto di appalto (o di subappalto) e già attivata. In particolare, c'è da chiedersi se permanga la potestas judicandi degli arbitri che, a prescindere dalla consapevolezza dell'apertura della procedura, pronuncino il lodo durante il decorso del termine di 60 giorni ex art. 81 l. fall.

Quest'ultima questione assorbe in sé, a sua volta, quella della possibile sopravvivenza del giudizio arbitrale che ne potrebbe derivare, questione non espressamente posta dall'ordinanza di rimessione tra le questioni di massima di particolare importanza.

Ora, la risposta al quesito, intanto, esula dall'interpretazione dell'art. 72 l. fall.

Nel caso di specie, infatti, la regola ordinaria della sospensione dei contratti pendenti viene ad essere postergata a fronte della norma speciale – quanto al prodursi dell'ordinaria sospensione contrattuale con l'insorgere della procedura ivi prevista – di cui all'art. 81 l. fall.

(ma restando l'appalto regolato, per ogni altra vicenda, secondo la disposizione generale, per come essa apre la sezione IV del capo III, del titolo II).

Si ricorda che tale disposizione prevede quale effetto del fallimento di una delle parti sul rapporto pendente lo scioglimento, a meno che il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, non dichiari di voler subentrare nel rapporto dandone comunicazione all'altra parte entro 60 giorni dall'apertura della procedura (sul tema, in dottrina, tra i tanti, si segnalano: Tedeschi, I rapporti giuridici preesistenti, in Trattato Rescigno, II, Torino, 2012, 377 ss.; Meolis, Sica, Effetti sui rapporti giuridici preesistenti, in V. Buonocore, A. Bassi, G. Capo, F. De Santis, B. Meoli, (diretto e coordinato da), Gli organi, gli effetti. La disciplina penalistica, II, Padova, 2010; Mascarello, I rapporti giuridici pendenti nella riforma del fallimento (artt. 72 e 72 bis legge fall.), in Dir. fall., 2007, 297 ss.).

Tale opzione permette la tutela degli interessi delle parti coinvolte, che potrebbero essere pregiudicati sia per l'appaltatore – che potrebbe vedere esposto a rischio il pagamento al quale ha diritto – sia per il committente, che subisce il rischio di un appalto fallace.

A questo punto, occorre dare atto degli orientamenti esistenti in materia.

Secondo un primo orientamento, lo spatium deliberandi di 60 giorni concesso al curatore realizzerebbe la stessa regola di sospensione contrattuale fissata in generale dall'art. 72 l. fall., entrando allora il rapporto, dal giorno del fallimento, in una condizione di attesa, ma con salvezza e dunque operatività di tutte le clausole accessorie (sul tema, per tutti, Carratta, Montanari, Bongiorno, Procedure concorsuali e arbitrato, Torino, 2020)..

Accogliendo tale impostazione ne deriverebbe che anche la questione relativa all'efficacia del lodo eventualmente emesso dovrebbe essere risolta positivamente, sul presupposto del mantenimento del potere decisorio in capo al collegio.

Di contrario avviso è la tesi c.d. dello “scioglimento semiautomatico o differito” (sulla quale si segnalano Cass., 17 ottobre 2019, n. 26379; Cass., SS.UU., 23 giugno 2015), secondo la quale lo scioglimento sarebbe conseguenza del mancato subentro da parte del curatore nelle situazioni regolate dal contratto al decorrere dei 60 giorni.

Ora, entrambe le tesi sottendono l'idea che il fallimento “in sé” non produca né l'effetto di una risoluzione del contratto, che vedrebbe il fallimento integrare una forma di inadempimento, né lo scioglimento ex art. 72 l. fall.

L'effetto del fallimento, infatti, verrebbe come ad essere congelato, più esattamente il contratto entrerebbe in uno stato di quiescenza (in senso analogo Cass., SS.UU., 21 luglio, 2015, n. 15200, cit.) fino allo scadere del termine dei 60 giorni, quando produrrebbe l'effetto di sciogliere la clausola compromissoria – fino a quel momento ancora in essere – in conseguenza del mancato subentro del curatore nelle situazioni regolate dal contratto.

L'ulteriore conseguenza è che, quindi, il lodo pronunciato dopo la dichiarazione di fallimento, ma prima dello scadere di quel termine, sarebbe da considerarsi pienamente valido ed efficace.

La tesi è attraente, ma presuppone un'incoerenza di fondo, che, infatti, le SS.UU. non mancano di sottolineare. Restacioè da chiarire sulla base di quale principio dovrebbe potersi accordare efficacia, e dunque, operatività, ad una clausola, nella specie arbitrale, inserita in un contratto entrato, appunto, in fase di quiescenza per effetto della pronuncia della sentenza dichiarativa del fallimento (siamo infatti in un'ipotesi diversa rispetto al concordato preventivo, dove lo scioglimento del contratto non si estende alla clausola compromissoria in esso contenuta, come espressamente previsto dall'art. 169-bis, comma 3, l. fall.).

Inoltre, l'art. 81 l. fall., rispetto alla regola generale dell'art. 72 della stessa legge, prevede lo scioglimento del contratto di appalto, poiché attribuisce al mancato subentro o all'inerzia del curatore efficacia risolutiva del rapporto.

Infine, non pare possa tralasciarsi il fatto che, come rileva l'unanime giurisprudenza di legittimità, alla luce dello spatium deliberandi concesso al curatore – vale a dire la possibilità di godere di un termine di 60 giorni per valutare l'opportunità del subentro – è necessario adottare una soluzione tale per cui il professionista non sia poi considerato responsabile degli obblighi di prestazione contrattuale, il che, se vale in linea generale, lo è ancor di più in un contratto come l'appalto (“per tale aspetto”, osserva la Corte, “l'impianto originario del R.D. n. 267 del 1942 non appare innovato dalla sostituzione operata, con riguardo all'art. 81 l.f., dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 68, comma 1, che, dando continuità al principio dello scioglimento, ha solo elevato il termine dei 20 giorni sino a 60, per dar modo di operare al più incisivo potere autorizzatorio ora riservato (non più al giudice delegato, bensì) al comitato dei creditori (che dovrebbe deliberare entro 15 giorni da quando il suo presidente è stato interpellato, ex art. 41, comma 3 l. fall.), di contro al precedente mero avviso”).

La ragione di tale ultima considerazione risiede nella funzione dello spatium deliberandi del curatore, che è quella di contribuire alla migliore protezione, nel bilanciamento degli interessi – dei creditori e dei debitori – coinvolti nella procedura.

Tale interpretazione, a proposito della funzione “tutoria” dello spatium deliberandi del curatore, si ricava anche dall'art. 72, comma 6, l. fall. (secondo cui “Sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento”), che presuppone il non esaurimento del rapporto ed impedisce l'efficacia di una clausola negoziale che faccia dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento, così salvaguardando – in generale – la prerogativa istituzionale e speciale dell'organo.

Ebbene, nel bilanciamento così operato dal legislatore, male si inserirebbe l'effetto di una deliberazione, come la decisione arbitrale, eventualmente emessa nelle more del termine che il detto spatium deliberandi mira a favorire.



La soluzione delle Sezioni Unite

Ora, posto quanto sopra, c'è da dire che, in realtà, sino ad ora la giurisprudenza ha mostrato di non aderire né all'una né all'altra tesi.

L'analisi della giurisprudenza di legittimità, da un ventennio a questa parte, sembra, infatti, propendere piuttosto per una terza soluzione, che permetterebbe di conciliare le incoerenze sopra accennate e scaturenti dall'adesione alla prima o alla seconda soluzione.

In più occasioni (Cass., 18 settembre 2013, n. 21411; Cass., 6 marzo 2015, n. 4616), la Cassazione ha ritenuto che la pronuncia della sentenza dichiarativa della liquidazione coatta amministrativa sia essa stessa causa di scioglimento con effetto ex nunc del contratto di appalto, effetto, però risolutivamente – e non sospensivamente – condizionato al mancato subentro del curatore quando possibile.

È evidente che da tale interpretazione discenderebbe, “a cascata”, il travolgimento del lodo eventualmente pronunciato.

Più nel concreto, tale orientamento starebbe a significare che, assoggettando il contratto di appalto tout court, ivi compresa la clausola, alle eventuali determinazioni di subentro del curatore, da esprimersi nei 60 giorni dalla sentenza dichiarativa del fallimento, la eventuale non prosecuzione verrebbe consolidata, restando nel frattempo il contratto privo di efficacia anche sul piano processuale. Ne deriverebbe la mancanza di potestas judicandi dell'arbitro e quindi la nullità del lodo.

Al contempo, lo scioglimento del contratto cui la clausola compromissoria accede s'impone, come visto, altresì e in modo irreversibile sul rapporto sostanziale, perdurando, quale effetto definitivo, per entrambi (contratto e clausola), anche dopo la chiusura della procedura. Il che sta a significare l'impossibilità che il lodo acquisti efficacia a procedimento arbitrale concluso.

Ora, la Corte giunge per tale via ad affermare che lo scioglimento del contratto di appalto determina la caducazione della clausola compromissoria nella sua interezza e, quindi, anche della potestà di giudizio degli arbitri, non potendo condividersi la soluzione, in ipotesi prospettata dall'ordinanza interlocutoria, della possibile scindibilità del giudizio arbitrale con riguardo alla posizione soggettiva più complessa assunta dall'insolvente (ciò in quanto, nella fattispecie, non si poneva una questione di sopravvivenza del giudizio arbitrale pro parte, poiché non consta che l'impresa in LCA, in persona del commissario liquidatore, sia subentrata nel contratto ai sensi dell'art. 81 l. fall.).

In particolare, le Sezioni Unite evidenziano che l'accessorietà della clausola compromissoria rispetto al contratto comporta (come confermato anche dall'art. 192 CCII, che per tale ragione non giova al chiarimento dei quesiti sottoposti all'attenzione della Corte ) la non sopravvivenza del procedimento arbitrale una volta che il contratto sia sciolto, trattandosi di mero riflesso esterno di una scelta dell'organo concorsuale volontaria e consapevole.

La lettera dell'art. 81 l. fall., infatti, non consentirebbe di affermare che la clausola compromissoria potrebbe essere qualificata come rapporto pendente (Cass.c34505/2021 e cass. 17823/2022: “la caducazione prodotta dal fallimento per un verso concerne i rapporti pendenti (esattamente nel senso, sopra visto, della nozione di cui all'art. 72 l.f.), cioè circoscrive tale effetto alle ipotesi in cui lo scioglimento del contratto abbia luogo a norma delle disposizioni di cui alla sezione IV del capo III del titolo II della legge fallimentare”).

in una fattispecie diversa è stato peraltro sancito anche dalle Sezioni Unite il legame che intercorre tra il contratto e la clausola , il che avvalora il principio ricavabile dall'art. 83-bis l. fall., secondo il quale “nell'ipotesi di subentro da parte del curatore nelle situazioni giuridiche attive derivanti dal contratto contenente la clausola compromissoria, questa conserva piena efficacia anche nei confronti del curatore: diversamente opinando, infatti, si consentirebbe al curatore di sciogliersi da singole clausole del contratto di cui pure chiede l'adempimento”.

Se, quindi, anche l'arbitrato, ai sensi dell'art. 83-bis predetto, subisce questa situazione nonostante la duplicità delle posizioni di debito-credito, quando esso prosegua finirebbe per concernere, al più, le sole controversie riguardanti diritti di credito nella titolarità del fallito, che, in quanto tali, sono appresi alla massa (la giurisprudenza di legittimità ha mostrato di condividere la tesi della restituzione alla procedura concorsuale della sorte degli effetti del rapporto sostanziale del contratto sciolto. Cfr., sul punto, Cass., 23 ottobre 2017, n. 25054, secondo la quale l'art. 83-bis l. fall. “si limita a disporre che, qualora in pendenza di arbitrato sia dichiarato il fallimento di una delle parti del contratto cui accede la clausola compromissoria, il relativo procedimento diviene improseguibile ove il rapporto negoziale sia sciolto secondo le disposizioni di cui agli artt. 72 ss. l. fall.; la norma non trova, pertanto, applicazione nella diversa ipotesi in cui, non constando la pendenza di un procedimento arbitrale, una cooperativa aderente ad un consorzio ne sia esclusa in virtù di una norma statutaria che tanto preveda per il caso di fallimento della consorziata...”).

Pertanto, osservano i S. Giudici (richiamando Cass., 24 ottobre 2016, n. 4453), un'azione di condanna della procedura, come non è suscettibile di essere intrapresa fuori dal contesto della verifica del passivo nel fallimento, così non può essere proseguita dal creditore nei riguardi della curatela in sede di arbitrato; la regola concorsuale di esclusività determina che se l'arbitrato pendente al momento della dichiarazione di fallimento attiene ad un diritto nei confronti del fallito, esso – anche per questa via – è in ogni caso destinato all'improseguibilità; se l'arbitrato, poi, si concluda con un lodo, almeno e come premesso, per la parte dei diritti che sarebbero da avanzare verso la massa, l'improprietà della sede di accertamento si riflette sulla carenza di titolo alla relativa pronuncia, di per sé comunque inopponibile alla massa.

Nel bilanciamento degli opposti interessi, come sopra risolto dal legislatore, ovvero in senso più favorevole ai creditori, per l'appalto la modalità specificativa del principio è la fissazione di un termine per derogare, con il subentro e sotto il controllo del comitato dei creditori. Diversamente, l'esaurimento di ogni effetto della stessa vicenda contrattuale scaturisce dalla scadenza del termine e dalla mancanza di una scelta tempestiva; per questa considerazione, anche lo spatium deliberandi, “proprio per la sua ratio di istituto di servizio strategico alla procedura per la miglior ponderazione degli interessi della massa, non potrebbe convivere con la vulnerabilità interinale a decisioni, a maggior ragione se inconsapevoli della dichiarazione di fallimento, nel frattempo emesse nel corso dell'arbitrato”.

Da quanto detto discende che, se il contratto di appalto viene condizionato alle eventuali determinazioni di subentro del curatore, da esprimersi nell'arco di tempo dello spatium deliberandi, e, in mancanza di scelta, la non prosecuzione viene consolidata, restando nel frattempo il contratto privo di efficacia anche sul piano processuale, debba dichiararsi la nullità del lodo emesso a conclusione dell'arbitrato, perché pronunciato in carenza della potestas judicandi da parte del collegio arbitrale.

In concreto, il potere decisorio degli arbitri verrebbe ad essere esercitato senza che il curatore abbia preso parte al contratto, cosa che, invece, è presupposto per la operatività della clausola compromissoria.

L'improcedibilità dell'arbitrato e la conseguente impossibilità per il lodo di acquisire efficacia a procedura conclusa si impone quale effetto dello scioglimento del contratto cui la clausola compromissoria accede, anche dopo la chiusura della procedura.



Osservazioni conclusive

La posizione espressa dalla Corte rappresenta un efficace compendio delle soluzioni prospettate sull'argomento sino ad oggi.

C'è da dire che la soluzione alla quale perviene si presenta piuttosto rigida in punto di conseguenze sanzionatorie dell'eventuale inerzia o mancato subentro da parte del curatore nelle situazioni regolate dal contratto cui la clausola accede.

Ciò vale, in particolar modo, per la nullità del lodo arbitrale eventualmente emesso nelle more dello spatium deliberandi del curatore, che è conseguenza, a sua volta, della carenza di potere decisorio degli arbitri.

Ciò nondimeno, tale soluzione risulta l'esito inevitabile di una interpretazione ragionevole delle norme che disciplinano la materia e della qualificazione della condotta del curatore quale condizione non sospensiva, ma risolutiva dell'efficacia della clausola arbitrale inserita nel contratto.

Non parrebbe, infatti, meritevole di pregio l'opposta soluzione, la quale finirebbe per legittimare la pronuncia arbitrale emessa nonostante la sostanziale inefficacia della clausola compromissoria, che a sua volta scaturisce dal mancato subentro del curatore nel contratto al quale la clausola accede.

Come si è detto, questo rappresenta il puncutm dolens delle tesi alternative a quella seguita dalle Sezioni Unite nella decisione in commento, le quali, nel momento in cui, rispettivamente, in un caso “congelano” gli effetti del fallimento sui rapporti pendenti e, nell'altro, ragionano di condizione sospensiva con salvezza dei rapporti pendenti, non chiariscono, né lo si potrebbe, in effetti, sulla base di quale principio dovrebbe potersi accordare efficacia, e dunque, operatività ad una clausola, nella specie arbitrale, inserita in un contratto entrato, appunto, in fase di quiescenza per effetto della pronuncia della sentenza dichiarativa del fallimento.

In definitiva, è possibile presumere che la decisione appena commentata avrà una incidenza significativa sulle procedure che al momento potrebbero farsi rientrare nella fattispecie presa in esame dalla Corte.