L'azione di regresso nel caso di danno da calamità naturale
10 Maggio 2023
L'ordinamento appresta al danneggiato una particolare tutela, mirando a proteggerne gli interessi attraverso gli istituti introdotti dal legislatore nell'ambito della responsabilità civile. L'art. 2055 c.c. sancisce l'insorgere di un'obbligazione in solido al risarcimento del danno in capo a coloro cui è imputabile un fatto dannoso, tutelando la posizione del danneggiato a cui favore opera la solidarietà. La norma appare contrapposta all'art. 2043 c.c., che disciplina l'insorgere dell'obbligo risarcitorio in capo a colui che ha commesso un fatto doloso o colposo.
L'orientamento dottrinale e giurisprudenziale risalente (F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, Diritto delle obbligazioni, Giuffré 1959) ravvisava il vincolo di solidarietà ex art. 2055 c.c. soltanto nell'ipotesi in cui ricorresse identità di titolo, di oggetto e di interesse dell'obbligazione in capo ai diversi soggetti. L'orientamento giurisprudenziale recente si fonda su una nozione di colpa di tipo ascrittivo e normativo, connotata dalla rilevante incidenza sull'imputazione della responsabilità della negligenza organizzativa e dell'incapacità, nonché su una nuova concezione della causalità omissiva. La dottrina prevalente attribuisce alla solidarietà una finalità riparatoria in armonia con la centralità della tutela del danneggiato. La partecipazione di ciascun soggetto alla produzione del danno non incide sul vincolo di solidarietà, bensì rileva nell'ambito della ripartizione della responsabilità nei rapporti interni con riguardo alle pretese di regresso. Pertanto, la responsabilità solidale sussiste a carico di tutti coloro che hanno partecipato al fatto illecito, indipendentemente dal fatto che «abbiano avuto all'interno dell'episodio un ruolo di primo piano o soltanto un ruolo secondario (Cass. civ., sez. III, 3 maggio 2016, n. 8643)»
All'uopo, le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato il principio di diritto: «secondo cui, per il sorgere della responsabilità solidale dei danneggianti, l'art. 2055 c.c., comma 1, richiede che sia accertato il nesso di causalità tra le condotte secondo il criterio di cui all'art. 41 c.p., e quindi solo che il fatto dannoso sia in questo senso imputabile a più soggetti, ancorché le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità di ciascuno, e anche nel caso in cui siano configurabili titoli di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, atteso che l'unicità del fatto dannoso - considerata normativamente - deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come identità delle norme giuridiche violate (Cass. civ., Sez. Un., 27 aprile 2022, n. 13143)». L'art. 2055 c.c. conferma la centralità ordinamentale dell'interesse del danneggiato, al ristoro del danno subito per più concause. Dunque, l'unicità del fatto dannoso, intesa non in senso assoluto, bensì relativo al danneggiato, comporta che non sia indispensabile un'identità di azione da parte dei soggetti danneggianti. La L. n. 225/1992 connota la calamità naturale come un evento in cui il fattore umano e quello naturale sono strettamente intersecati. Pertanto, nell'ipotesi di un evento calamitoso è possibile invocare il caso fortuito soltanto nell'ipotesi in cui non si rilevano condotte idonee a configurare una responsabilità in capo alla P.A, ovvero «nel solo caso in cui il fattore causale estraneo al soggetto danneggiante abbia un'efficacia di tale intensità da interrompere tout court il nesso eziologico tra la cosa e l'evento lesivo (Cass., sez. un., sent. 26 febbraio 2021, n. 5422)». «Tutto ciò che non è prevedibile oggettivamente ovvero tutto ciò che rappresenta un'eccezione alla normale sequenza causale, integra il caso fortuito, quale fattore estraneo alla sequenza originaria, avente idoneità causale assorbente e tale da interrompere il nesso con quella precedente, sovrapponendosi ad essa e elidendone l'efficacia condizionante (Cass., n. 2477/2018)». La natura diretta o indiretta della responsabilità della PA è stata oggetto di dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Le due tesi, che si sono consolidate negli anni - la prima secondo la quale la PA risponderebbe soltanto a titolo di responsabilità per fatto altrui (indiretta); la seconda in base alla quale la PA risponderebbe a titolo di responsabilità diretta per il rapporto di immedesimazione organica – sono state superate dall'indirizzo prevalente, secondo il quale è configurabile come diretta la responsabilità dei funzionari e della PA nei casi in cui «la condotta illecita dei dipendenti è stata realizzata in una situazione di occasionalità necessaria con le attribuzione a essi proprie (F. Caringella, Manuale ragionato di diritto amministrativo, Dike giuridica 2021)». La giurisprudenza più recente della Cassazione (Cass, sez. un., sent. n. 13246/2019) raffigura un regime di responsabilità della P.A. a doppio binario, in cui coesistono due diverse forme di responsabilità: quella diretta ex art. 2043 c.c. e quella indiretta ex art. 2049 c.c. secondo la finalità dell'azione del dipendente pubblico, diretta al perseguimento dell'interesse istituzionale nel primo caso, di un interesse personale ed egoistico nel secondo caso. Ciascuna forma di responsabilità rileva secondo l'attività della PA realizzata, di tipo autoritativo nell'estrinsecazione del potere pubblicistico o meramente materiale nell'altra ipotesi. Tale orientamento riflette il carattere compensativo – risarcitorio riconosciuto alla responsabilità civile dall'ordinamento giuridico. La responsabilità diretta della p.a., basata sul rapporto organico, è disciplinata dal combinato disposto degli artt. 28 Cost. e 2043 c.c. Essa rileva quando il dipendente pubblico adotta un provvedimento amministrativo o realizza un comportamento illecito nel perseguimento del fine istituzionale attribuito ex lege all'amministrazione. Nel caso di specie, il rapporto di immedesimazione organica comporta che il fatto penalmente rilevante del predetto viene ricondotto alla PA ex art. 28 Cost. L'attività estranea al fine istituzionale configura un'ipotesi di responsabilità indiretta e oggettiva ex art. 2049 c.c. La norma disciplina la fattispecie della responsabilità per fatto altrui, che ricorre allorquando un soggetto risponde di un danno che è stato causato materialmente da una condotta realizzata da altri. Si tratta di una forma di responsabilità speciale di natura oggettiva, fondata sulla sussistenza di un rapporto di occasionalità necessaria tra il danno conseguenza e la mansione svolta dal dipendente, il cui fondamento si ravvisa nel criterio di allocazione del rischio del danno in capo al preponente, che deve farsi carico dell'infedele estrinsecazione dei poteri conferiti o della violazione dei divieti imposti ai dipendenti stessi. Infatti, il rapporto di causalità subisce un'interruzione nell'ipotesi di fatto naturale o del terzo o dello stesso danneggiato, che determini, di per sé solo, l'evento – illecito (E. Romani, La responsabilità civile della p.a. per il fatto penalmente illecito commesso da un proprio dipendente alla luce delle Sezioni Unite n. 13246/2019, in Federalismi.it 2020). Ordunque, la finalità è quella di tutelare il danneggiato, affinché possa effettivamente ricevere il risarcimento del danno. Il concorso nella causazione del danno
Il codice civile contempla due ipotesi di concorso nella causazione del danno: il concorso delle condotte di più soggetti danneggianti - concause umane - disciplinato dall'art. 2055 c.c.; il concorso della condotta del danneggiato con quella del danneggiante disciplinato dall'art. 1227 c.c. La disciplina del concorso di cause umane e naturali è demandata alla dottrina e alla giurisprudenza. «La concausa è una causa che, unendosi alla condotta del colpevole, concorre a produrre l'effetto che senza di essa non si sarebbe prodotto (Siniscalco, Concausa, in Enc. dir., VIII, Milano, 1961)». L'orientamento tradizionale - tesi dell'irrilevanza delle concause naturali o teoria dell'all or nothing - non attribuisce rilevanza alla concausa naturale ai fini della riduzione del danno, bensì la ritiene una possibile causa interruttiva del nesso causale, che esclude la responsabilità (art. 41, comma 2, c.p.) basandosi sui seguenti presupposti (Forchielli, Il rapporto di causalità nell'illecito civile, Padova, 1960):
Occorre precisare che nell'ordinamento si rinvengono tre sole fattispecie che stabiliscono un principio di responsabilità parziaria: l'art. 484 co. 1 cod. nav., le disposizioni previgenti all'entrata vigore del codice dell'ambiente per il danno ambientale (art. 18, comma 7, L. n. 349/1998) e l'art. 1, c. 1 quater, l. n. 20/1994 relativo alla responsabilità – contabile. Un altro orientamento - tesi della rilevanza delle concause o teoria della responsabilità proporzionale sostiene che gli artt. 40 e 41 c.p. non possano essere applicati alla causalità civile, perché il giudizio di disvalore della condotta che rileva nella responsabilità penale, che ha una funzione punitiva, non è modificato dal concorso di altri fattori causali, mentre la responsabilità civile, che ha una funzione preventiva e compensativa, ha una misura proporzionale al contributo del responsabile ex artt. 1227, c. 1 c.c. e 2055, c. 2 e 3, c.c.. Secondo questa tesi, l'art. 2055 c.c. non introduce eccezione al principio di equivalenza causale: la norma disciplina al comma 1 l'effetto della solidarietà per rafforzare il credito e al comma 2, il frazionamento della responsabilità.
Una parte della dottrina (Ruffini Gandolfi, Frenda, Rizzo) ritiene che il danno debba essere commisurato in proporzione all'efficienza causale di ciascun contributo, affermando che quanto disposto dall'art. 1227 c.c. si fondi non sull'auto-responsabilità del danneggiato, bensì sul principio di causalità, che impone di escludere dal risarcimento la parte di danno non imputabile al danneggiante. Ne consegue che la natura regolare della disposizione comporta l'applicazione analogica ogni caso di concorso tra la condotta del danneggiante e un fattore allo stesso non imputabile. Altra dottrina (Miotto, Nocco) non rinviene nell'ordinamento un «principio giuridico che ponga a carico del debitore-danneggiante i danni che non gli siano causalmente imputabili» o che tuteli «l'interesse di mero fatto della vittima a essere risarcita per intero». Pertanto, «il ricorso al principio di causalità, appare, quindi, l'unico mezzo per colmare il precitato vuoto normativo, con conseguente commisurazione della responsabilità del danneggiante in proporzione all'efficienza causale della sua condotta ed esclusione della parte causalmente riferibile al fattore naturale (P. Libeccio, Sulla rilevanza della concausa naturale nella responsabilità extracontrattuale, in Responsabilità civile e previdenza, fasc.2, 2021)».
Dunque, il fattore naturale rileva nel giudizio di causalità secondo il modello condizionalistico, al fine di verificarne l'effetto interruttivo ex art. 41, comma 2, c.p. e nel giudizio di colpevolezza, al fine di verificare se esso rientri tra i fattori per i quali la regola cautelare considera pericolosa la condotta. In tal caso, non è ammissibile una riduzione del risarcimento del danno, perché il grado di colpa è elemento costitutivo della fattispecie. Di conseguenza, se la condotta è colposa rispetto all'evento, di esso dovrà rispondere integralmente il danneggiante; se la condotta non è colposa rispetto all'evento, di esso il predetto non dovrà rispondere.
La solidarietà non comporta una responsabilità permanente del soggetto per l'intero, ma soltanto potenziale e transitoria, considerato che il danneggiato può scegliere il condebitore a cui richiedere il risarcimento. La compensazione del pregiudizio fa venir meno il debito per l'intero in capo a ciascun coobbligato solidale. La disposizione dell'art. 2055 c.c. riflette «sul piano operativo lo scarto tra responsabilità civile e penale con la precisa identificazione tra responsabilità e concreto apporto causale dei coautori, quale corollario di una condanna risarcitoria diretta alla riparazione del pregiudizio e non alla punizione (N. Rizzo, Il problema delle concause dell'evento dannoso nella costruzione del modello civile di causalità giuridica: introduzione a una teoria, in Responsabilità civile e previdenza, fasc.3, 1.3.2022)». Si è visto che il dettato dell'art. 2055, c. 2, c.c., affermando la solidarietà dell'obbligazione risarcitoria, costituisce un argomento a supporto della negazione della rilevanza giuridica delle concause naturali non imputabili ad alcuno. La norma conferma la finalità del sistema di responsabilità civile diretto ad assicurare al danneggiato la compensazione piena del pregiudizio subìto e in capo al danneggiante il rischio dell'insolvenza degli altri corresponsabili. Si osserva che la segmentazione della responsabilità fa riferimento ai rapporti interni tra i coobbligati, dato che l'oggetto dell'azione di regresso è determinato secondo l'apporto causale di Azione di regresso
Con riguardo all'art. 2055 c.c. l'identità del fatto dannoso va intesa in senso relativo, dal punto di vista della vittima e non dei soggetti danneggianti. Tale norma introduce nell'ordinamento due regole:
In ordine al rapporto tra le due regole sopra indicate e alla regola effettiva sulla causalità sono state elaborate due tesi. Secondo quella minoritaria, la regola sarebbe quella disciplinata dal secondo comma, ovvero si ravviserebbe nel caso di specie un principio di causalità frazionata secondo il contributo di ciascun autore al fatto dannoso.
Secondo quella maggioritaria, la regola è quella fissata dal primo comma della norma in esame, perché le concause non interruttive sono irrilevanti rispetto all'imputazione causale dell'evento al soggetto che ha realizzato la condotta illecita, vigendo nell'ordinamento il principio della causalità unica.
In via generale, l'orientamento giurisprudenziale recente della Corte di Cassazione in ordine alla responsabilità solidale, afferma che la disposizione di cui all'art. 2055 co. 1 c.c. trova applicazione nell'ipotesi in cui un medesimo danno sia conseguenza delle azioni od omissioni imputabili a più soggetti, anche tra loro indipendenti, ma insieme concorrenti nella sua produzione; quella sancita dall'art. 2055, c. 2, c.c. si applica nei soli rapporti interni tra corresponsabili, «operando una ripartizione che tiene conto delle rispettive quote di responsabilità (Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2021, n. 12957)».
In tema di danno da calamità naturale, peculiare è la posizione della Suprema Corte chiamata a esprimersi a diverso titolo sulle conseguenze della condanna (Cass. pen., sent. n. 19507/2013) del Sindaco di un Comune per i danni arrecati a seguito di un evento alluvionale, il cui orientamento costante pone l'accento sui profili risarcitori ascritti alla Pubblica Amministrazione, nonché sulla valenza solidaristica degli obblighi di prevenzione e di intervento, che gravano in capo ai soggetti pubblici coinvolti e sulle diverse forme di responsabilità cui essi sono chiamati a rispondere nei confronti della collettività.
Con una prima pronuncia (Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2022, n. 35020), la Cassazione cassa con rinvio la decisione della Corte territoriale, che aveva escluso la responsabilità diretta per fatto proprio del Comune a fronte della condotta omissiva del Sindaco, accertata dal giudicato penale. Il giudice di seconde cure aveva statuito che il predetto era l'unico autore delle condotte penalmente rilevanti che avevano cagionato l'evento dannoso, poiché non aveva posto in essere le «attività connesse alle funzioni e ai poteri esercitati, non meramente materiali o estranee ai compiti istituzionali», quali il tempestivo allarme alla popolazione e alla Prefettura, l'evacuazione dei residenti nelle zone a rischio, la convocazione del comitato locale per la protezione civile; nonché che la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell'Interno erano responsabili civili indirette in forza di disposizione normativa (art. 28 Cost.), indipendentemente dalla colpa e dalle regole di causalità del fatto. Le Amministrazioni dello Stato «avevano diritto di agire in regresso per l'intero nei confronti dell'autore immediato del fatto antigiuridico, per l'altro non potevano promuovere l'azione ai sensi dell'art. 2055 c.c., comma 2, nei confronti del Comune, altro responsabile civile parimenti incolpevole».
Nel caso di specie, la Corte enuncia il seguente principio di diritto: «sussiste la responsabilità diretta della pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 2043 c.c., per il fatto penalmente illecito commesso dalla persona fisica appartenente all'amministrazione, tale da far reputare sussistente l'immedesimazione organica con quest'ultima, non solo in presenza di formale provvedimento amministrativo, ma anche quando sia stato illegittimamente omesso l'esercizio del potere autoritativo».
La Cassazione ritiene assorbito dal primo motivo del ricorso incidentale accolto il secondo motivo dello stesso, proposto dal ricorrente in via incidentale in via subordinata, che aveva osservato con riguardo all'azione di regresso ex art. 2055 co. 2 c.c., che essa è proponibile «anche in presenza di responsabilità per fatto altrui, perché, mentre l'art. 1298 c.c. esprime la logica dell'autonomia privata e dell'obbligazione volontariamente assunta nell'interesse esclusivo del debitore, l'art. 2055 esprime la logica dell'ascrivibilità del fatto illecito e del principio che nessuno può rispondere oltre il limite di ciò che gli sia oggettivamente addebitabile», aggiungendo che nell'art. 2055 co. 2 c.c. «il concetto di colpa ha il carattere oggettivo dell'imputabilità del fatto al soggetto, come si evince anche dal comma 3, dove il criterio della divisione in parti uguali si attaglia ad un concetto oggettivo di colpa e non alla responsabilità per fatto colpevole. Osserva ancora che il criterio della “entità delle conseguenze” è autonomo rispetto alla colpa intesa in senso oggettivo, poiché concerne le conseguenze del fatto provocato dal soggetto nei cui confronti il responsabile indiretto riveste una posizione di controllo o di garanzia».
Con una seconda pronuncia (Cass., III sez. civ., 1° dicembre 2022, n. 35419) la Corte cassa con rinvio la decisione del giudice di seconde cure, che aveva rigettato il gravame proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Ministero dell'interno avverso la sentenza del tribunale che aveva respinto la domanda di regresso esperita dalle predette amministrazioni statali nei confronti del Comune, escludendo che avessero diritto di regresso contro l'ente territoriale, «al fine di recuperare le somme corrisposte al danneggiato, assumendo che l'art. 2055, comma 2, c.c. possa trovare applicazione soltanto tra corresponsabili in solido che abbiano concorso nella causazione del fatto illecito, presupponendo la citata norma che ognuno di essi abbia una parte di colpa nel verificarsi dell'evento lesivo e così negando implicitamente la possibilità di esercitare l'azione di regresso nei confronti di coloro che, essendo tenuti a rispondere del fatto altrui in virtù di specifiche disposizioni di legge e, dunque, in base a un criterio di imputazione legale, risultano, per definizione, estranei alla produzione del danno».
La Suprema Corte, nell'ipotesi di danno da calamità naturale, afferma che l'azione di regresso di un'Amministrazione, coobbligata solidale, nei confronti di un'altra Istituzione è ammissibile ex art. 2055, commi 2 e 3, c.c. ove il fatto penalmente illecito compiuto da un soggetto appartenente alla Pubblica Amministrazione, concretizzatosi nell'adozione di un provvedimento amministrativo, ovvero nel caso di omissione dell'esercizio del potere autoritativo, rifletta il principio di immedesimazione organica tra l'attore e l'amministrazione, integrando la fattispecie della responsabilità diretta della PA ex art. 2043 c.c. Stabilisce che l'azione è ammissibile, altresì, ove i coobbligati solidali abbiano titoli di responsabilità diversi da quello della responsabilità per fatto proprio colpevole.
Con una terza pronuncia (Cass. civ., sez. III, 16 dicembre 2022 n. 36902), la Corte cassa con rinvio la decisione del giudice di seconde cure, che aveva respinto la possibilità che la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell'Interno, condannati in solido al risarcimento dei danni arrecati dall'alluvione ai familiari di una vittima, esperissero l'azione di regresso avverso il Comune, «senza considerare che quest'ultimo, in virtù del principio di immedesimazione organica, era tenuto a rispondere per fatto proprio del danno ingiusto provocato dalla condotta del Sindaco».
Nel caso di specie, il giudice di legittimità, nell'ipotesi di responsabilità per illecito extracontrattuale, ribadisce il principio secondo cui il regresso nei rapporti interni tra più soggetti tenuti a rispondere solidalmente dell'evento dannoso è ammesso a favore di colui che ha risarcito il danno e contro ciascuno degli altri, secondo la gravità della rispettiva colpa. Tale affermazione esclude implicitamente la possibilità di esercitare l'azione di regresso nei confronti di coloro che, essendo tenuti a rispondere del fatto altrui in virtù di specifiche disposizioni di legge, e quindi in base ad un criterio di imputazione legale, risultino per definizione estranei alla produzione del danno.
In conclusione
L'ordinamento contempla il principio di autonomia dell'illecito civile rispetto al modello penale, la cui funzione riparatoria si contrappone a quella sanzionatoria. Costituiscono corollari della responsabilità civile l'atipicità, la necessità del danno conseguenza, la causalità attenuata, la non indefettibilità della colpevolezza, l'equivalenza tra dolo e colpa. L'istituto esaminato costituisce una fattispecie complessa, poiché nonostante sia una figura codificata, si presta a elaborazioni da parte della giurisprudenza. Costituiscono presupposto della fattispecie l'unicità del danno e la pluralità delle condotte che lo hanno causato, nonché il diverso titolo della responsabilità dei danneggianti. L'istituto disciplinato dall'art. 2055 c.c. costituisce un'ipotesi tipica di deroga alla presunzione di uguaglianza delle quote di ripartizione interna, poiché nell'ambito dei rapporti interni tra i coobbligati in solido nei confronti del danneggiato, l'obbligazione si ripartisce secondo il contributo causale e il grado della colpa o del dolo di ciascuno.
Nell'ipotesi di danno da calamità naturale, la Cassazione in tema di azione di regresso esperibile ex art. 2055 c.c. muove dai principi di diritto enunciati dalle Sezioni unite civili con la sentenza n. 13246 del 16 maggio 2019, ovvero dall'assunto che «lo Stato o l'ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente anche quando questi abbia approfittato delle sue attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle dell'amministrazione di appartenenza, purché la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che il dipendente esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa – e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi – non sarebbe stato possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l'esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviato o abusivo od illecito, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo».
Sussistendo la responsabilità diretta della Pubblica Amministrazione ai sensi dell'art. 2043 c.c., «per il fatto penalmente illecito commesso dalla persona fisica appartenente all'amministrazione, tale da far reputare sussistente l'immedesimazione organica con quest'ultima» e, dunque, il nesso causale tra le condotte e il fatto dannoso, si reputa ammissibile l'azione di regresso tra coobbligati solidali ex art. 2055 commi 2 e 3 c.c. |