L'eccezione di giudicato esterno sopravvenuto è rilevabile d'ufficio e non è soggetta alle ordinarie preclusioni processuali

10 Maggio 2023

Il contributo si sofferma su una recente sentenza del Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sul regime processuale dell'eccezione di giudicato esterno sopravvenuto alla sentenza di primo grado. L'autore ripercorre l'iter motivazionale della sentenza, e ne offre un commento alla luce delle riflessioni della dottrina processualistica e di alcuni arresti della Corte di Cassazione.
Massima

L'eccezione di giudicato esterno non è sottoposta alle preclusioni (neppure documentali) previste per le fasi processuali, dovendosi garantire in modo effettivo la non contraddizione tra giudicati; l'esistenza del giudicato esterno, al pari di quella del giudicato interno, non costituisce un'eccezione in senso tecnico, ma è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, quand'anche il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. La sopravvenienza del giudicato esterno comporta l'improcedibilità del ricorso.

Il caso

Una società appaltatrice di servizi aveva adito il T.A.R. e, nelle more del giudizio di primo grado, anche il tribunale ordinario, per ottenere l'adeguamento del prezzo contrattuale ai sensi dell'art. 115 del d.lgs. n. 163/2006.

Entrambi i giudici avevano ritenuto sussistente la propria giurisdizione, ma erano pervenuti a soluzioni opposte.

Il giudice amministrativo – non reso edotto della pendenza dell'analogo giudizio – aveva accolto il ricorso e, conseguentemente, aveva annullato il provvedimento di rigetto dell'istanza formulata dall'impresa e condannato l'ente resistente al pagamento della somma spettante a titolo di revisione del prezzo, all'esito dell'apposito procedimento istruttorio.

Per converso, il giudice civile – pur a conoscenza della pendenza del processo innanzi al T.A.R. –aveva rigettato la domanda relativa alla corresponsione del compenso revisionale.

Orbene, la sentenza del tribunale ordinario non era stata impugnata relativamente a tale capo, sicché l'Amministrazione, nel proporre appello avverso la sentenza del T.A.R., ha eccepito e documentato la sopravvenienza del giudicato esterno di rigetto sulla pretesa sostanziale fatta valere dall'impresa.

Il Consiglio di Stato ha condiviso l'eccezione sollevata dall'appellante e, dunque, ha annullato la sentenza gravata, dichiarando improcedibile il ricorso proposto in primo grado dalla società.

La questione

La questione giuridica sottesa alla decisione in commento concerne l'efficacia preclusiva e, in particolar modo, il regime processuale del giudicato esterno sopravvenuto in corso di giudizio.

In altri termini, si tratta di stabilire se il giudicato medio tempore formatosi sulla pretesa sostanziale attualmente azionata in un distinto giudizio soggiaccia alle preclusioni proprie del rito che regola il processo pendente, ovvero se: possa essere invocato (e documentato) dalle parti finché la causa non sia stata incamerata per la decisione; debba essere rilevato d'ufficio dal giudice, quand'anche in ipotesi nessuna delle parti argomenti la propria difesa richiamando l'efficacia preclusiva del giudicato.

Le soluzioni giuridiche

Il Consiglio di Stato, con la pronuncia in commento, ha affermato che la necessità di garantire in modo effettivo la non contraddizione tra giudicati comporta che l'eccezione di giudicato non è sottoposta alle preclusioni (neppure documentali) previste per le fasi processuali; l'esistenza del giudicato esterno, al pari di quella del giudicato interno, non costituisce oggetto di eccezione in senso tecnico, ma è rilevabile in ogni stato e grado anche d'ufficio, senza che in ciò sia riscontrabile alcuna violazione dei principi del giusto processo.

Ne deriva la ritualità del deposito in appello della sentenza passata in giudicato nel corso del giudizio dinanzi al T.A.R. e il dovere in capo al giudice del gravame di tenere conto dell'efficacia preclusiva della prefata sentenza sia sul capo relativo alla giurisdizione sia su quello concernente il merito della pretesa.

Da qui, l'annullamento della decisione del T.A.R., contrastante con il giudicato medio tempore intervenuto, e la declaratoria di improcedibilità del ricorso di primo grado.

Osservazioni

La sentenza in commento, condividendo l'orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass., sez. un., 25 maggio 2001, n. 226; Id., 16 giugno 2006, n. 13916; Id., 17 dicembre 2007, n. 26482), riconduce il giudicato esterno tra le eccezioni in senso lato, quindi rilevabili d'ufficio dal giudice.

L'esito interpretativo è coerente con quella lettura dell'art. 112 c.p.c., fatta propria dalla Corte di Cassazione a partire da un noto arresto del 1998 (Cass., sez. un., 3 febbraio 1998, n. 1099), secondo cui il regime normale delle eccezioni è quello della rilevabilità d'ufficio.

Tanto perché le eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti - le cc.dd. eccezioni in senso stretto - sono espressione di un potere dispositivo; potere che in tanto sussiste in quanto previsto dal legislatore, esplicitamente (ad esempio, in materia di prescrizione) oppure implicitamente, ovverosia quando l'effetto giuridico dipende da una manifestazione di volontà della parte (è il caso dei diritti potestativi o, se si preferisce, delle fattispecie in cui l'effetto si produce secondo lo schema norma-fatto-potere-effetto).

Per il giudicato esterno, al pari di quello interno, non è prevista una limitazione al rilievo officioso, né esplicitamente né implicitamente giacché l'efficacia preclusiva del giudicato non soddisfa interessi meramente particolari, ma anche generali, quali la certezza e la stabilità delle relazioni giuridiche nonché la salvaguardia delle preziose risorse della giustizia; da qui, la sottrazione della questione al potere dispositivo delle parti all'interno del processo.

Del resto, con specifico riguardo al giudicato formatosi in un distinto giudizio, la rilevabilità d'ufficio rinviene un fondamento esegetico nell'art. 39 c.p.c.: se la litispendenza è espressamente rilevabile in qualunque stato e grado del processo, altrettanto deve valere per il giudicato esterno, perché tanto l'una che l'altro, sia pure in momenti diversi, mirano anche ad evitare il formarsi di due “regole del caso concreto” tra loro potenzialmente contrastanti.

Depone, in tal senso, anche l'art. 395, comma 2, n. 5 c.p.c., là dove prevede tra i motivi di revocazione il contrasto con un precedente giudicato: non si potrebbe vincolare il giudice ad emettere una sentenza viziata per la sola ragione che non vi è stata eccezione di parte.

Il rilievo d'ufficio, ovviamente, può avvenire soltanto ove le parti abbiano allegato e prodotto la sentenza passata in giudicato nell'altro processo.

Sul punto, giova ricordare il contributo ermeneutico dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con la sentenza 6 aprile 2017, n. 1, nel ripercorrere i rapporti tra revocazione e rilievo d'ufficio del giudicato, ha osservato che l'errore revocatorio per contrasto con un precedente giudicato può verificarsi soltanto in caso di giudicato esterno, e precisamente per la mancata allegazione (e produzione) in giudizio della sentenza passata in giudicato prima della pubblicazione della sentenza revocanda; mentre, se la cosa giudicata promana da una sentenza pronunciata nello stesso giudizio, è garantita la rilevabilità anche d'ufficio (facendo i provvedimenti del giudice parte del fascicolo d'ufficio, ai sensi dell'art. 5, comma 3, allegato 2, c.p.a.), sicché in tali casi l'eventuale violazione della cosa giudicata (al pari dell'ipotesi in cui l'interessato abbia eccepito il giudicato esterno, ma l'eccezione sia stata erroneamente respinta) si risolve in un error in iudicando, sottratto al rimedio della revocazione.

Che il rilievo d'ufficio sia subordinato, comunque, all'attività di allegazione e prova consente di evidenziare un altro aspetto particolarmente interessante della pronuncia in commento, là dove statuisce che le preclusioni processuali, anche documentali (art. 104, comma 2, c.p.a.), non si applicano all'eccezione di giudicato.

Invero, nel campo delle eccezioni in senso lato, è tuttora aperto il dibattito, sia in dottrina che in giurisprudenza, sulla possibilità di introdurre nel processo di impugnazione una prova che la parte avrebbe potuto offrire nel processo di primo grado e che costituisce la prova del fatto oggetto di eccezione.

Il giudicato, tuttavia, pur ricondotto nel novero delle eccezioni in senso lato, non si configura come un qualsiasi fatto storico, bensì come elemento normativo che fissa la regola del caso concreto (ex multis, Cass., sez. L, ord. 21 aprile 2022, n. 12754; Id., sez. III, ord.29 novembre 2018, n. 30838: Id., sez. I, 23 dicembre 2010, n. 26041); fatto normativo, dunque, che deve poter essere conosciuto dal giudice (mediante allegazione e documentazione perché non astratto), e che, una volta acquisito agli atti del processo, deve essere necessariamente posto a fondamento della decisione come elemento che ha già conformato la vicenda della vita sottesa al giudizio.

Guida all'approfondimento

In dottrina si segnala A. Giussani, Sulla prova della formazione del giudicato esterno, in Riv. dir. proc., 2013; E. T. Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Milano, III, 1976, pp. 179-180; F.P. Luiso, Diritto processuale civile, I, Milano, 2015, cap. 21; R. Oriani, voce Eccezione, in Dig., disc. priv., sez. civ., VII, Torino, 1991; G. Pugliese, voce Giudicato civile (dir. vig.), in Enc. dir., XVIII, Milano, 1968.

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