Errore di fatto revocatorio: presupposti in caso di mancata pronuncia su motivi di ricorso assorbiti in primo grado e riproposti in appello

11 Maggio 2023

Con la pronuncia in commento il Consiglio di Stato ha ritenuto configurabile l'errore di fatto revocatorio laddove l'omessa pronuncia su un motivo di ricorso assorbito in primo grado e ritualmente riproposto in appello sia dovuta a mera dimenticanza del giudice di seconde cure, mentre ha escluso tale fattispecie nel diverso caso in cui la denunciata omissione riguardi argomentazioni sviluppate nell'ambito della censura comunque esaminata dall'organo giudicante.
Massima

La riproposizione in appello di motivi rimasti assorbiti in primo grado ai sensi dell'art. 101, co. 2, c.p.a. e l'omessa pronuncia sugli stessi da parte del giudice di seconde cure, ove derivante da svista o mera dimenticanza, determina la sussistenza di un errore di fatto revocatorio, rilevante ai sensi dell'art. 395, co. 1, n. 4, del codice di procedura civile.

La presenza di un errore di fatto revocatorio va invece esclusa nel caso in cui sia contestato che il giudice, nel percorso argomentativo con cui ha comunque esaminato tutti i motivi di ricorso proposti, abbia omesso di prendere posizione, in maniera espressa, su aspetti o argomenti sviluppati a sostegno degli stessi.

Il caso

La vicenda posta all'attenzione del giudice amministrativo di secondo grado riguarda una domanda di revocazione, proposta ai sensi degli artt. 106 c.p.a. e 395, comma 1, n. 4, c.p.c., di una sua precedente sentenza con cui è stato accolto l'appello proposto dalle Amministrazioni resistenti, con riforma della pronuncia del giudice di prime cure e conferma della legittimità dell'interdittiva antimafia adottata dalla Prefettura di Viterbo, da cui sono scaturiti i discendenti provvedimenti lesivi adottati dal G.S.E. e dalla Agea consistenti, rispettivamente, nella risoluzione della convenzione stipulata e nella decadenza e revoca del provvedimento di concessione degli incentivi riconosciuti in favore dell'azienda ricorrente.

Nel giudizio di primo grado il T.A.R. Lazio ha accolto il ricorso ritenendo assorbente il prospettato vizio di istruttoria che avrebbe inficiato la legittimità dell'azione amministrativa, atteso che gli elementi di valutazione presi in esame ai fini dell'adozione della determinazione impugnata sarebbero stati eccessivamente risalenti nel tempo, oltre ad essere riconducibili a un soggetto che ricopriva una posizione subalterna e, dunque, ininfluente rispetto alla gestione dell'azienda.

Col ricorso revocatorio in argomento, la parte privata ha denunciato la sussistenza di tre errori revocatori, tra i quali viene in rilievo quello di interesse ai fini dell'odierna disamina, che consiste nel denunciato omesso esame, da parte del giudice amministrativo di appello, dei motivi rimasti assorbiti in primo grado ritualmente riproposti nel giudizio di seconde cure, ai sensi dell'art. 101, co. 2, del codice del processo amministrativo.

La questione

La questione giuridica sottesa alla decisione in commento riguarda la possibilità, o meno, che la mancata pronuncia su tutte le censure riproposte in appello, ai sensi dell'art. 101, co. 2, c.p.a., per effetto dell'accoglimento in via assorbente da parte del T.A.R. di una delle doglianze proposte con l'atto introduttivo, possa determinare la sussistenza di un errore di fatto revocatorio.

L'esatta perimetrazione della fattispecie di cui all'art. 395, co. 1, n. 4, c.p.c. rappresenta uno degli aspetti maggiormente controversi in materia di revocazione, essendo legata alla necessità di individuare se, e in quali casi, l'omessa valutazione di una domanda, ovvero di un motivo di ricorso o di una eccezione, possa integrare un'ipotesi di errore rilevante ai fini della revocazione ovvero debba essere inquadrata nell'ambito degli errori di diritto per violazione del principio di necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all'art. 112 del codice di rito civile.

Le soluzioni giuridiche

Con riferimento alla specifica questione di cui sopra, il Collegio ha anzitutto precisato i contorni della domanda di parte, avuto riguardo allo specifico errore revocatorio consistente nell'omesso esame del motivo di ricorso rimasto assorbito in primo grado e ritualmente riproposto in appello, ai sensi dell'art. 101, co. 2, del codice di rito amministrativo.

In particolare, parte ricorrente aveva proposto davanti al giudice di prime cure due mezzi di impugnazione: uno di carattere procedimentale, avente ad oggetto la violazione delle norme poste a tutela della partecipazione dei privati nel procedimento amministrativo, e uno di tipo sostanziale, afferente al difetto di istruttoria e di motivazione.

Il T.A.R. ha riconosciuto carattere assorbente al secondo profilo di doglianza ai fini dell'accoglimento del ricorso, non pronunciandosi sulla rimanente censura.

Nella successiva fase di appello il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza di prime cure, accogliendo l'appello delle amministrazioni intervenute avuto riguardo al prefato secondo motivo, omettendo tuttavia di pronunciarsi sulla prima censura rimasta assorbita in primo grado e riproposta in tale ulteriore fase processuale.

Nel successivo giudizio revocatorio, qui di interesse, il Consiglio di Stato ha ritenuto meritevole di accoglimento, limitatamente al prefato primo motivo di carattere procedimentale e al solo piano rescindente, la censura proposta dalla parte ricorrente, ritenendola comunque non meritevole di accoglimento sul piano rescissorio.

Ai fini dell'ammissibilità e della fondatezza sul piano rescindente della doglianza proposta nel giudizio di revocazione, è stato rilevato che del prefato primo motivo di ricorso, assorbito in primo grado e riproposto nel giudizio di appello, nella sentenza revocanda, non viene fatta alcuna menzione, con discendente omesso esame di una delle censure riproposte ai sensi dell'art. 101, co. 2. c.p.a. che, come più volte ribadito dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. V, 11 maggio 2015 n. 5657), può determinare la sussistenza di un errore di fatto rilevante ai fini della revocazione, quantomeno nei casi in cui detta omissione sia il risultato di una svista dell'organo giudicante.

Dalla motivazione della sentenza in commento si evince come il Collegio abbia ritenuto tale omessa pronuncia come il risultato di un errore determinato da una mera dimenticanza, che avrebbe dunque portato l'organo giudicante a ritenere insussistente un motivo di ricorso invero ritualmente riproposto in appello, come ictu oculi evincibile dalla documentazione presente nel fascicolo processuale.

Per quanto attiene alla seconda censura di tipo sostanziale, invece, il Collegio ha ritenuto non meritevole di fondamento l'errore revocatorio denunciato dalla parte ricorrente, col quale quest'ultima avrebbe operato una sorta di “scissione” dell'attività posta in essere dal giudice nell'esame della doglianza in commento, ritenendo che l'organo giudicante di prime cure si fosse pronunciato soltanto su alcune delle questioni sollevate con il secondo motivo di impugnazione di carattere sostanziale.

A parere del Collegio, invero, non possono essere effettuate delle distinzioni, avuto riguardo ad un motivo di ricorso, tra profili di doglianza esaminati e non, atteso che tale approccio determinerebbe non pochi problemi in sede di applicazione dell'art. 101, co. 2, c.p.a., secondo il quale devono intendersi rinunciate le (sole) domande e/o eccezioni dichiarate assorbite o, comunque, non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano state espressamente riproposte nell'atto di appello, oltre che in sede di revocazione.

Ammettendo che ogni mancata pronuncia su un singolo tema o argomento sviluppato dalle parti nell'ambito di un unico motivo di gravame possa assurgere ad un ipotesi di assorbimento in senso tecnico, finirebbe per essere frustrato il naturale effetto devolutivo dell'appello, onerando le parti di riproporre qualsiasi tipologia di argomento che non trovi espressa menzione nella sentenza oggetto di impugnazione, dilatando, al contempo e, in maniera irragionevole, le funzioni del rimedio della revocazione per omessa pronuncia.

A parere dei giudici di Palazzo Spada, dunque, la corretta ermeneusi della richiamata disposizione di cui all'art. 101, co. 2, c.p.a., deve essere intesa nel senso di imporre la riproposizione in appello delle sole domande e/o dei motivi di ricorso non esaminati e non anche, dunque, delle singole argomentazioni contenute negli stessi mezzi di impugnazione.

Osservazioni

Dal punto di vista concettuale, va anzitutto ribadito come l'errore di fatto revocatorio, per essere rilevante ai sensi dell'art. 395, co. 1, n. 4, c.p.c., deve soddisfare tre requisiti individuati dalla giurisprudenza: 1) derivare da una mera errata ovvero omessa percezione del contenuto materiale degli atti del giudizio, che abbia indotto il giudice ad adottare una decisione appuntata su un falso presupposto fattuale, ritenendo esistente un fatto escluso per tabulas dalla documentazione versata in atti, ovvero considerando come inesistente una circostanza documentalmente dimostrata; 2) deve attenere a un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia motivato in maniera espressa; 3) deve assurgere al rango di elemento decisivo della decisione revocanda, necessitando quindi di un nesso causale tra l'erronea presupposizione e la pronuncia resa (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 14 maggio 2015, n. 2431).

A ciò va aggiunto che l'errore revocatorio, per poter essere considerato tale, debba essere rilevabile ictu oculi, ossia con immediatezza, senza necessità di argomentazioni induttive o di defatiganti indagini esegetiche (Cons. Stato, sez IV, 13 dicembre 2013, n. 6006), oltre a dover risultare evidente, dalla lettura della sentenza, che in nessun modo il giudice abbia preso in esame una o più censure ritualmente proposte, venendo in rilievo una totale omissione nell'esame delle stesse e non un mero difetto di motivazione della decisione (cfr., Cons. Stato, sez. V, 5 aprile 2016, n. 1331; Cons. Stato, 22 gennaio 2015, n. 264; Cons. Stato, sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4099).

Seguendo tale impostazione, è possibile evidenziare come l'errore revocatorio afferisca all'attività preliminare di lettura e di percezione degli atti effettuata dal giudice, non potendo coinvolgere la successiva attività di valutazione e di ponderazione del contenuto delle domande delle parti ai fini della decisione che, semmai, in caso di errori e/o omissioni, si risolve in un errore di giudizio, non censurabile mediante il rimedio della revocazione che, diversamente opinando, si trasformerebbe in un ulteriore e non previsto grado del processo.

In altri termini, deve ritenersi integrare la fattispecie dell'errore di fatto revocatorio il mancato esame di uno dei motivi di ricorso nell'erronea supposizione, conseguente ad una svista, dell'inesistenza del motivo stesso, sicché non sussiste detto errore di percezione ove il giudice abbia preso in esame tutti i motivi di ricorso e abbia fondato la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con quei motivi, tale che in questa restino assorbite anche le questioni che, nella prospettazione di parte, sarebbero state trascurate.

Il caso odierno prende a riferimento, in primo luogo, la fattispecie dell'errore revocatorio che si configura nell'ipotesi di omessa pronuncia da parte dell'organo giudicante su una censura di parte ricorrente assorbita in primo grado e non esaminata in sede di appello dell'organo giudicante.

Si tratta di una questione estremamente controversa che, come in precedenza anticipato, pone il problema di delimitare in maniera attenta l'area di operatività degli errori revocatori per renderli il più possibile separati e distinguibili dalla diversa categoria degli errori di diritto.

In passato, alcune pronunce, avuto riguardo al travisamento di significato di una censura, hanno considerato, con un approccio evidentemente estensivo, la possibile configurabilità di un vizio revocatorio anche in tali casi (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2009, n. 2929; Cons. Stato, 19 febbraio 2008, n. 535).

La giustizia ordinaria, con particolare riferimento alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, ha talvolta aderito a un approccio ermeneutico più restrittivo (Cass., sez. VI, 6 giugno 2016, n. 11530), valorizzando il portato letterale della disposizione di cui all'art. 395, co. 1, n. 4, del codice di rito civile. In tale decisione del giudice di legittimità è stato sostenuto come la fattispecie dell'omesso esame di un motivo di ricorso, rilevante ai fini del rimedio revocatorio, necessita per la sua configurabilità non solo, e non tanto, della completa assenza di ogni giustificazione in diritto delle ragioni del mancato esame di un motivo presente nel ricorso, che da sola costituisce mera dimenticanza, quanto piuttosto, e soprattutto, della circostanza dirimente che tale omissione sia il frutto di una supposizione erronea dell'organo giudicante, consistente nell'esclusione dell'esistenza del mezzo di impugnazione invero esistente.

Avuto riguardo alla seconda questione affrontata dalla sentenza del giudice amministrativo di appello in commento, nella quale è stato affermato che non costituisce errore di fatto revocatorio la mancata presa di posizione dell'organo giudicante su tutte le argomentazioni poste a sostegno dalla parte ricorrente ai motivi di ricorso proposti, va evidenziato come, sulla medesima questione, anche l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato abbia già avuto modo di pronunciarsi in senso conforme in tempi recenti (Cons. Stato, Ad. Plen., 27 luglio 2016, n. 21).

Con tale decisione, in particolare, il supremo consesso amministrativo, muovendo dalla ontologica distinzione intercorrente tra motivi di ricorso e argomentazioni poste a sostegno degli stessi, ha ritenuto non configurabile la fattispecie dell'errore di fatto revocatorio nel caso in cui l'omessa pronuncia del giudice abbia ad oggetto non il mancato esame di tutti i motivi prospettati con il gravame, quanto piuttosto il mancato riferimento a tutti gli argomenti e/o agli aspetti sviluppati dalla parte a sostegno delle proprie ragioni.