L'uso fungibile di revoca e annullamento del contratto non determina il potere concretamente esercitato e il riparto di giurisdizione

Marco Calaresu
15 Maggio 2023

Occorre prescindere dal nomen iuris utilizzato dall'amministrazione in termini di revoca e annullamento del contratto, dovendo invece valorizzare la circostanza che il provvedimento è diretto alla risoluzione contrattuale a motivo del grave inadempimento alle obbligazioni, con la conseguenza che la cognizione sui comportamenti e sugli atti relativi alla fase esecutiva del rapporto contrattuale spetta al giudice ordinario.

Il caso. Una società ha impugnato, tra gli altri, la nota con la quale il Comune, constatata la mancata effettuazione dei lavori malgrado i ripetuti solleciti, ha disposto la revoca della determinazione di affidamento dei lavori di ricostruzione di un immobile privato danneggiato dal sisma del 2002 e, congiuntamente, l'annullamento del contratto d'appalto con essa stipulato.

La difesa comunale ha innanzitutto eccepito la carenza di giurisdizione in considerazione del fatto che il provvedimento impugnato è intervenuto nella fase esecutiva del contratto di appalto stipulato con la ricorrente, determinandone la risoluzione per i gravi inadempimenti contrattuali alla stessa ascrivibili.

Sulla qualificazione degli atti amministrativi in ragione della effettiva volontà e del potere concretamente esercitato. Nell'accogliere l'eccezione prospettata dalla difesa comunale, il TAR evidenzia preliminarmente che nonostante l'amministrazione comunale abbia nominalmente disposto la revoca della determinazione di affidamento dei lavori e, congiuntamente, l'annullamento del relativo contratto d'appalto stipulato con la ricorrente, occorre richiamare il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui: “Gli atti amministrativi vanno, dunque, qualificati per il loro effettivo contenuto, per quanto effettivamente dispongono, non già per la sola qualificazione che l'autorità, nell'emanarli, eventualmente ed espressamente conferisca loro” (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, n. 5648/2022 e in senso analogo ex multis Cons. Stato, sez. IV, n. 2836/2015; Cons. Stato, sez. V, n. 4756/2004; id., V, n. 6316/2003; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, n. 1923/2018; id., n. 60/2017)”. A dispetto delle formulazioni “revoca” e “annullamento” utilizzate alle pagine 4 e 5 del provvedimento impugnato, il Comune, mediante questo, abbia inteso sostanzialmente risolvere in danno il contratto d'appalto stipulato con la ricorrente, avvalendosi, pertanto, dell'istituto di cui all'art. 108, comma 3, del d.lgs. n. 50/2016, e, ancor più (siccome applicabile ratione temporis), dell'art. 136 d.lgs. n. 163/2006.

Ad avviso del TAR, infatti, il provvedimento impugnato si innestata univocamente nel solco delle procedure che, riguardando la c.d. “fase esecutiva” dell'appalto, pertengono alla cognizione propria del Giudice Ordinario. Trova pertanto applicazione l'orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui, “in materia di appalti, l'atto che, pur autoqualificandosi come revoca e richiamando le disposizioni che tale potere disciplinano, si fonda [come nella fattispecie in scrutinio ndr] su una serie di inadempimenti delle obbligazioni scaturenti dal rapporto contrattuale, è privo di contenuto provvedimentale, quando, tenuto conto del suo contenuto sostanziale, esso non può dirsi frutto della spendita di potere pubblicistico, ma dell'esercizio del diritto potestativo di risolvere il contratto, spettante alla stazione appaltante ai sensi dell'art. 108, d.lgs. n. 50/2016, coinvolgendo non già violazioni di regole dell'azione amministrativa, bensì diritti soggettivi inerenti a un rapporto di natura privatistica, riservato alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario” (cfr. T.A.R. Sardegna, sez. II, n. 15/2021; T.A.R. Veneto, sez. II, n. 994/2019)”.

Negli stessi termini, la giurisprudenza ha infatti osservato che “gli atti posti in essere dalla stazione appaltante nell'ambito di un rapporto contrattuale, anche se denominati come atti di annullamento o di revoca dell'aggiudicazione, non sono dissimili, per loro natura, dalle dichiarazioni negoziali che un privato pone in essere nell'esercizio di diritti potestativi o di facoltà riconosciutegli dalla legge o dal contratto. Infatti, in tema di contratti della p.a., la caducazione in autotutela di atti prodromici alla conclusione del contratto postula la giurisdizione del giudice amministrativo soltanto nell'ipotesi in cui l'esercizio del potere autoritativo di annullamento abbia la funzione di sindacare la legittimità degli atti appartenenti alla sequela procedimentale di carattere discrezionale che ha preceduto la successiva contrattazione con il privato” (cfr. in tal senso T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, n. 1395/2018 e in senso conforme: T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, n. 2267/2017; T.A.R. Sardegna, sez. I, n. 160/2017; T.A.R. Marche, sez. I, n. 353/2016; Cons. Stato, sez. V, n. 2562/2015; id., sez. V, n. 4025/2014; id., sez. IV, n. 3482/2011; Cass., SS.UU., n. 23600/2017; id., n. 14555/2015; id., n. 22554/2014)”.

Conclusioni. Il TAR ha ribadito il principio generale in virtù del quale nelle procedure ad evidenza pubblica aventi ad oggetto l'affidamento di servizi o lavori pubblici, la cognizione dei comportamenti e degli atti relativi alla fase esecutiva del rapporto contrattuale, a dispetto delle espressioni utilizzate dall'amministrazione per qualificare il provvedimento adottato in tale fase, spetta alla giurisdizione del giudice ordinario.

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