Iure repraesentationis: alla stirpe non può essere attribuito più di quanto spetterebbe al capostipite
15 Maggio 2023
La Corte di Cassazione ha quindi risolto il dubbio interpretativo e il contrasto dottrinale che ne era seguito sull'inciso “quando non si ha rappresentazione” contenuto nell'art. 552 c.c., tarpando le ali anche a coloro che avidamente miravano ad avere più di quanto concretamente gli spettasse. La norma infatti prevede che il legittimario che rinunzia all'eredità, quando non vi è rappresentazione, può sulla disponibile ritenere le donazioni o conseguire i legati a lui fatti; ma quando non vi è stata espressa dispensa dall'imputazione, se per integrare la legittima spettante agli eredi è necessario ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni, restano salve le assegnazioni, fatte dal testatore sulla disponibile, che non sarebbero soggette a riduzione se legittimario avesse accettato l'eredità, e si riducono le donazioni e legati fatti a quest'ultimo. La disposizione mira, secondo la prevalente opinione dottrinale, ad evitare che le donazioni non dispensate da imputazione ricevute in vita dal legittimario che intende rinunciare non vadano a gravare sulla posizione degli altri legittimari, in quanto porrebbero essere in potenziale pericolo, ai fini della riduzione, tutte le donazioni ovvero le altre disposizioni mortis causa che, ove vi fosse stata accettazione di eredità, sarebbero state immuni dalla riduzione, in quanto gravanti sulla disponibile. La norma però pone un dubbio interpretativo su chi debba gravare la donazione senza espressa dispensa da imputazione nell'ipotesi in cui, per effetto della rinuncia e per il meccanismo della rappresentazione, subentrino i discendenti in luogo del rinunciante. A mente del terzo comma dell'art. 564 c.c., il legittimario che subentra per la presentazione deve imputare alla propria quota di riserva le donazioni e legati dispensati da imputazioni fatte al proprio ascendente, ma ciò comporterebbe, secondo parte della dottrina, una situazione di iniquità in considerazione del fatto che i rappresentanti, pur non avendo tratto alcun beneficio dalle donazioni ricevute dal loro ascendente, dovrebbero comunque imputarle alla loro quota nel momento in cui intendano agire in riduzione. Al fine di rendere tollerabile tale apparente iniquità, alcuni autori hanno sostenuto che l'inciso contenuto nell'art. 552 c.c., con il riferimento la rappresentazione, comporterebbe la possibilità per il donatario di ritenere le donazioni in caso di rinuncia solo in assenza di rappresentazione, mentre laddove operi questo istituto quanto ricevuto per donazione si trasmetterebbe automaticamente a favore dei rappresentanti. La Corte di Cassazione, invece, ha ritenuto di aderire all'opinione prevalente della dottrina la quale ritiene che, ove si verifichi il subentro dei discendenti del rinunciante, le stesse donazioni e i legati vanno fatti gravare sull'indisponibile e quindi sulla quota di legittima nel quale sono subentrati rappresentanti che, per effetto delle predette previsioni, sono tenuti a procederne all'imputazione. La Cassazione ha infatti sottolineato che in tale previsione non sussiste alcun profilo di iniquità in quanto la norma si pone in maniera coerente rispetto al principio secondo cui la divisione avviene per stirpi, e con la regola per cui ad una stirpe, ancorché in seguito dell'operatività della rappresentazione non può essere attribuito più di quanto sarebbe spettato il capostipite. Tutto quanto sopra premesso, la Suprema Corte ha quindi stabilito che, ai sensi dell'art. 552 c.c., il legittimario che rinuncia all'eredità ha diritto di ritenere le donazioni o di conseguire legati a lui fatti, anche nel caso in cui operi la rappresentazione, senza che i beni oggetto dei legati o delle donazioni si trasmettano ai rappresentanti, fermo restando però l'onere di quest'ultimi di dover imputare le stesse disposizioni alla quota di legittima nella quale subentrano iure repraesentationis.
Fonte: dirittoegiustizia.it
|