Proroga del termine ex art. 44 CCII: cui prodest la negazione in caso di istanza di liquidazione giudiziale “successiva”?

Luca Jeantet
16 Maggio 2023

L'articolo analizza la norma contenuta all'art. 44, comma 1, lett. a) CCII, in particolare laddove viene stabilito che la proroga del termine per il deposito della documentazione prescritta non può essere disposta dal Tribunale nel caso in cui siano state avanzate domande per l'apertura della liquidazione giudiziale, senza distinguere tra domande presentate prima del ricorso prenotativo e domande presentate dopo di esso.

L'art. 44, comma 1, lettera a), del Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza (“CCII”) stabilisce che il Tribunale “fissa un termine compreso tra trenta e sessanta giorni, prorogabile su istanza del debitore in presenza di giustificati motivi e in assenza di domande per l'apertura della liquidazione giudiziale”, senza distinguere tra domande che siano state presentate prima del ricorso prenotativo oppure dopo la sua presentazione. Sul punto, la relazione illustrativa al CCII, giustifica la scelta adottata dal Legislatore nella formulazione dell'art. 44 CCII, nell'intento, a ben vedere “evidente”, di “scoraggiare l'utilizzo del concordato come strumento di difesa (e differimento) dalla trattazione della richiesta di liquidazione giudiziale”

Dinnanzi a questa mancata distinzione, occorre chiedersi se la presentazione di un'istanza di liquidazione giudiziale in pendenza del termine concesso dal Tribunale ai sensi dell'art. 44 CCII possa essere di ostacolo alla richiesta di una sua proroga.

La situazione ipotizzata è, dunque, quella in cui il debitore attivi il procedimento unitario con ricorso prenotativo non già quale rimedio protettivo, e potenzialmente dilatorio, dinnanzi ad un'iniziativa di un proprio creditore, ma quale scelta autonoma volta a consentire la migliore soddisfazione dei propri creditori attraverso uno dei molteplici strumenti oggi messi a disposizione dal CCII.

Il dato letterale del disposto di cui all'art. 44 CCII, anche alla luce di quanto esposto nella relazione illustrativa, non sembrerebbe lasciare margine di dubbio e dovrebbe condurre, dunque, ad una risposta affermativa.

Tuttavia, questa risposta affermativa potrebbe certamente legittimare abusi da parte di creditori, mentre dall'altra parte, invece, un'interpretazione sistematica della norma dovrebbe consentire una (preferibile e) diversa risposta negativa.

In particolare, il ventaglio degli strumenti messi a disposizione dal CCII consente al debitore che si trova in uno stato di tensione finanziaria, e che non sia ancora in grado di prospettare ai propri creditori uno scenario risolutivo del proprio indebitamento, l'opportunità di “giocarsi” una chance diversa dalla liquidazione giudiziale, presentando la domanda di cui all'art. 44CCII con riserva di deposito della documentazione ristrutturativa completa.

L'importante opportunità di questa fase interinale andrà utilizzata per maturare una visione programmatica e strategica, sia con riferimento allo strumento da scegliere, sia sul progetto di ristrutturazione da implementare con lo stesso, anche tenendo conto delle reazioni dei creditori. Tuttavia, affinché il procedimento per l'accesso ad uno strumento di regolazione della crisi non si risolva in un'abusiva dilazione al fine di ritardare l'apertura del concorso liquidatorio giudiziale, costituisce una modalità operativa certamente corretta e diligente quella costituita dall'esposizione, se pur in sintesi, nella domanda ab origine, del percorso che, allo stato, si aspira di intraprendere, nonché quella di adempiere alla previsione dettata dal comma 1, lett. c), dell'art. 44 CCII con riferimento agli obblighi informativi periodici.

Pertanto, ed in presenza, da un lato, di un percorso ristrutturativo anche se solo ad una “fase embrionale” e, dall'altro, di tutti i requisiti oggettivi e soggettivi richiesti dal CCII, non si comprende perché la presentazione di un'istanza di liquidazione giudiziale in pendenza del termine concesso dal Tribunale ai sensi dell'art. 44 CCII potrebbe essere di ostacolo ad un'eventuale richiesta di proroga.

Ed invero, alla stregua di quanto ritenuto in passato con riguardo al concordato “in bianco”, la giurisprudenza (Cass. Civ., 27 novembre 2019, n. 31051; Cass. Civ., 12 marzo 2020, n. 7117) ha più volte sottolineato come anche la domanda prenotativa di cui all'art. 44 CCII è già domanda di accesso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza di cui all'art. 2, comma 2, lett. m-bis)(con ciò intendendosi quelle “misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell'impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio, o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi”), perché l'opzione consentita al debitore di procrastinare il deposito della documentazione, piuttosto che di presentarla unitamente alla domanda introduttiva, non modifica la natura del procedimento introdotto, non lo trasforma in un'attività prodromica alla presentazione di uno strumento di regolazione negoziale della crisi, ma già di per sé costituisce l'avvio del procedimento di regolazione della crisi e dell'insolvenza, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di forma della domanda e di effetti derivanti dal deposito della stessa.

Pertanto, ancora, non si comprendono le motivazioni per cui, in presenza di un vero e proprio procedimento di regolazione della crisi e dell'insolvenza, il Tribunale - nel caso di istanza di liquidazione - non dovrebbe accogliere ab origine l'eventuale richiesta di proroga al debitore.

A tanto si aggiunga che l'art. 7 CCII è chiaro nello stabilire che il procedimento unitario deve proseguire con l'esame prioritario della domanda diretta a regolare la crisi con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale.

La corsia preferenziale per l'ipotesi di soluzione alternativa della crisi è, dunque, condizionata alla contestuale sussistenza di tre circostanze, che il Tribunale è chiamato a vagliare in via immediata. È quindi ben possibile che, già al momento della proposizione della domanda con riserva, si palesi la prima delle circostanze esposte e che la domanda, così come formulata, sia manifestamente inammissibile. In tal caso, l'istanza di regolazione della crisi perderà la “priorità” riconosciuta dalla norma rispetto alla domanda di liquidazione giudiziale che quindi potrà essere immediatamente esaminata.

Se ciò è vero ed alla condizione che, allo scadere del termine assegnato dal Tribunale, il debitore dimostri di avere svolto un'attività adeguata ed idonea, secondo un giudizio prognostico di ammissibilità e fattibilità, a consentire l'elaborazione di una proposta che sia giuridicamente ed economicamente, a monte, ammissibile e, a valle, fattibile, allora la facoltà di richiesta di proroga non potrebbe essere mai pregiudicata, salvo il solo caso in cui un'istanza di liquidazione giudiziale sia stata presentata prima del deposito del ricorso ex art. 44 CCII.

A voler diversamente interpretare la disposizione in esame, verrebbero legittimate iniziative abusive da parte dei creditori dell'imprenditore, che potrebbero presentare istanza di liquidazione giudiziale addirittura il giorno prima della scadenza del termine originario per il deposito di istanza di proroga dei termini, al solo ed esclusivo fine di pretermettere, in modo esiziale, la procedura ristrutturativa.

Va da sé che simili iniziative – che, in concreto, potrebbero avere finalità puramente emulative, quando non estorsive o ricattatorie – non potrebbero, ed anzi non dovrebbero, essere meritevoli di tutela nel nostro ordinamento.

La conseguenza è che un'istanza di liquidazione giudiziale radicata successivamente al deposito di un ricorso ai sensi dell'art. 44 CCII (così come alla sua iscrizione a Registro delle Imprese) non dovrebbe poter mai ostacolare la richiesta di proroga del termine concesso dal Tribunale, anche perché questa proroga andrebbe a vantaggio di quello stesso creditore che avesse domandato la liquidazione giudiziale.

Inoltre, v'è da aggiungere che l'art. 63, comma 2, CCII, mal si concilia con una tale interpretazione dell'art. 44, comma 1, lett. a) CCII, stante la differenza dei termini indicati nelle rispettive norme. Se infatti, l'art. 63, comma 2, CCII richiede che l'ente creditore, affinchè il debitore possa fruire della transazione fiscale, debba far pervenire il proprio assenso entro 90 giorni dal deposito della domanda di transazione, un'interpretazione estensiva dell'art. 44, comma 1, lett. a), CCII risulterebbe estremamente lesiva del debitore, fornendo un'arma in più al creditore, poiché quest'ultimo termine sarebbe più breve (30 o 60 giorni) rispetto a quello dei 90 giorni. Pertanto, in una siffatta ipotesi, non sarà possibile per il debitore ottenere l'omologa forzosa della transazione fiscale da parte del Tribunale, come d'altronde una risposta nei termini da parte delle amministrazioni finanziarie.

Pur essendo comprensibile la volontà del Legislatore di voler evitare la proposizione di concordati o di accordi di ristrutturazione dei debiti finalizzati esclusivamente a dilazionare la richiesta di liquidazione, resta il problema di far coincidere i termini e, dunque, rendere compatibili gli strumenti per la risoluzione della crisi, in pendenza di una domanda di liquidazione giudiziale.

Certo è che, allo stato, al debitore viene limitata la possibilità di poter ottenere l'omologa forzosa della proposta di transazione fiscale in pendenza di una domanda di liquidazione giudiziale, con conseguenti dubbi sulla costituzionalità delle norme in esame.

Dello stesso avviso risultano essere taluni giudici di merito (Tribunale Catania sez. IV, 19 gennaio 2023; Tribunale Roma 6.03.2023 ritiene necessari i 90 giorni per la formazione del silenzio rifiuto di cui all'art.63 comma 2 e 2-bis), che hanno ritenuto che il diniego della necessità del decorso dei 90 giorni precluderebbe all'imprenditore, nei cui confronti sia stata presentata domanda di apertura della liquidazione giudiziale, la possibilità di far richiesta di transazione fiscale, in quanto - in tale ipotesi - i termini di cui all'art. 44 CCII sarebbero al massimo di 60 giorni e ciò sarebbe “gravoso, nonché abrogativo del dato normativo suindicato, che invece consente certamente di presentare un accordo di ristrutturazione del debito successivamente alla presentazione di un'istanza di liquidazione giudiziale, possibilità che andrebbe preclusa nella fattispecie in esame ed in ogni altra simile".

Pertanto, una diversa interpretazione del dettato normativo dell'art. 44 CCII dovrebbe necessariamente condurre ad un finale scontato ed irrimediabile, nel senso di rendere impossibile per il debitore di fruire appieno di uno degli strumenti forniti dal CCII per il risanamento della crisi a causa del deposito di una istanza di liquidazione giudiziale (per l'analogo problema in caso di accordi di ristrutturazione cfr. F. Lamanna, Il possibile conflitto negli accordi di ristrutturazione tra termine concesso a seguito di domanda con riserva e termine per aderire alla proposta di transazione fiscale, in www.ilFallimentarista.it, 14 febbraio 2023).

Ciò, tuttavia non avverrebbe se si seguisse l'impostazione data dal Tribunale di La Spezia che, pur ritenendo preclusiva alla proroga un'istanza di liquidazione giudiziale successiva, ha comunque ritenuto di fissare udienza ai sensi dell'art. 47, comma 4, CCII in un arco temporale sostanzialmente pari a quello che sarebbe stato accordato in caso di concessione della proroga suddetta (Trib. La Spezia, ord., 23 dicembre 2022).

In questo modo, e salva la necessità di gestire la situazione derivante dalla caducazione delle misure protettive, il debitore non vedrebbe leso il proprio diritto alla ristrutturazione e potrebbe, in occasione dell'udienza ai sensi dell'art. 47, comma 4, CCII ed in caso di completamento della relativa attività, chiedere al Tribunale di sospendere ogni decisione sull'istanza di liquidazione giudiziale proprio in virtù del principio di priorità d'esame dello strumento minore rispetto all'alternativa concorsuale, maggiore ed ultima (anzi, ultimativa).

Pertanto, un'interpretazione marcatamente letterale dell'art. 44, comma 1, lett. a), CCII sarebbe da guardare con sfiducia, poiché porterebbe alla possibilità di un abuso creditorio, rendendo così vanificate le finalità del percorso ristrutturativo immaginato, ed intrapreso, dal debitore.