La perdita della cittadinanza non può derivare da una mera dichiarazione, necessitando l'espressa rinuncia
17 Maggio 2023
Il caso. Il Tribunale competente riconosceva la cittadinanza italiana ad una cittadina brasiliana, residente in Brasile e discendente da persone migrate in Brasile alla fine del 1800; sosteneva sussistere discendenza diretta in linea paterna da avo italiano atteso che il bisnonno non era stato naturalizzato cittadino brasiliano, non aveva mai perso la cittadinanza italiana e l'aveva trasmessa iure sanguinis al figlio e ai suoi discendenti, né risultava documentata alcuna rinuncia espressa alla cittadinanza italiana. Avverso tale pronuncia veniva proposto appello dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ed al Ministero dell'Interno, resisteva l'appellata. Il giudice del gravame accoglieva l'impugnativa e condannava l'appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. Avverso tale provvedimento veniva proposto ricorso per cassazione sulla scorta di due motivi; le amministrazioni intimate non si costituivano, mentre la ricorrente depositava memoria illustrativa. Disamina dei motivi di censura. Con il primo motivo la ricorrente denunciava la violazione e falsa applicazione dell'art. 7 l. n. 555/1912 e dell'art. 5 Regio Decreto n. 949/1912, nonché dell'art. 2697 c.c. e 101, comma 2, c.p.c. La ricorrente censurava la ratio principale della sentenza impugnata basata sulla rinuncia tacita alla cittadinanza italiana da parte della nonna poiché, secondo la legislazione vigente all'epoca del matrimonio (1929), non era ammissibile la rinuncia tacita alla cittadinanza italiana. Secondo la Corte d'Appello la rinuncia tacita alla cittadinanza italiana sarebbe configurabile nel fatto che la nonna, in occasione del matrimonio, si fosse dichiarata cittadina brasiliana. In realtà, la legge vigente all'epoca considerava come unico caso di rinuncia tacita per l'acquisto spontaneo della cittadinanza straniera la fissazione all'estero della propria residenza. Per la perdita della cittadinanza era quindi necessario un atto consapevole e volontario di acquisizione della cittadinanza straniera. Con successiva l. n. 91/1992, all'art. 11 si precisa che all'acquisto della cittadinanza straniera, pur se accompagnato dal trasferimento all'estero della residenza non implica necessariamente la perdita della cittadinanza italiana a meno che l'interessato non vi rinunci con atto consapevole e volontario. Peraltro, recentemente, proprio con riferimento al Brasile, sono intervenute le Sezioni Unite sancendo un principio di diritto di annoverabilità della cittadinanza tra i diritti fondamentali. Con riferimento al secondo motivo, la ricorrente denunciava la violazione e falsa applicazione dell'art. 804 c.p.c., nonché dell'art. 101, comma 2, c.p.c. La ricorrente osservava che non esisteva alcun provvedimento di adozione del Tribunale dei minorenni brasiliano e che all'epoca dell'adozione (1961), l'istituto in Brasile era regolato dall'art. 375 del codice civile brasiliano del 1916, vigente sino al 2002, che prevedeva a tal fine la redazione di un atto pubblico davanti al notaio, pertanto, non vi era alcun provvedimento giudiziario da sottoporre al vaglio delle autorità italiane. L'atto pubblico di adozione era valido ed efficace in Brasile e non era richiesto alcuna accertamento dell'efficacia dell'atto attributivo di status e privo del carattere patrimoniale e contrattuale. Infatti, l'art. 375 del codice civile brasiliano, all'epoca vigente, prevedeva che l'adozione si facesse per scrittura pubblica, non tollerante termini e condizioni e quindi con atto notarile. In conclusione, il ricorso veniva accolto, rinviando alla Corte territoriale competente, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Fonte: dirittoegiustizia.it
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