L'affidamento del cane nello scioglimento della relazione affettiva
18 Maggio 2023
Massima
La breve relazione sentimentale che non ha nemmeno condotto le parti alla convivenza, non determina il diritto di visita dell'animale da parte dell'ex fidanzata. Il caso
Una signora adiva il Tribunale di Padova affinchè fosse accertata la sua qualità di comproprietaria del cane, acquistato nel corso della sua precedente relazione affettiva, nonché lo scioglimento della relativa comunione con affidamento dell'animale avanzando inoltre la richiesta del risarcimento dei danni patrimoniali ed emotivi. A seguito della costituzione in giudizio del convenuto, che negava la sussistenza della comunione nonchè la carenza di legittimazione attiva dell'attrice, il Tribunale di Padova, pur ritenendo dimostrata documentalmente la proprietà del cane in capo al convenuto, riconosceva, nell'interesse dell'animale, il diritto dell'attrice alla frequentazione dell'animale. La Corte di Appello di Venezia, adita dal proprietario del cane, in parziale riforma della sentenza appellata, respingeva le richieste della donna condannandola, anche, al pagamento delle spese legali. Proponeva dunque ricorso in Cassazione la donna sostenendo che la Corte d'Appello aveva negato, senza motivazione e senza ammettere l'interrogatorio formale volto a dimostrare la comproprietà del cane, la sussistenza del legame affettivo con lo stesso. Interessanti risultano le motivazioni con le quali la Suprema Corte respinge il ricorso della ricorrente che ora andiamo ad esaminare. La questione
L'ordinanza in questione tratta un argomento che da alcuni anni ha visto un esponenziale aumento della conflittualità laddove, al verificarsi della crisi relazionale della coppia, i componenti della stessa avanzano dei contrastanti diritti in ordine alla frequentazione dell'animale domestico dopo la separazione, al pari di quanto succede per i figli. Le soluzioni giuridiche
Essendo in questa materia il quadro normativo del tutto carente, non vi è dubbio che, alla luce dell'indubbio legame affettivo tra le persone ed i propri animali, ed alla luce della unanime definizione di questi ultimi quali esseri senzienti, la normativa più vicina alla regolamentazione della fattispecie sia quella relativa all'affidamento del figlio. Al vuoto normativo ha sopperito negli anni la giurisprudenza con statuizioni tendenti a consentire il mantenimento del legame affettivo con l'animale ponendo l'accento sull'interesse materiale e spirituale dell'animale stesso nei confronti della coppia separanda. Una ordinanza del 2008 emessa dal Tribunale di Foggia, ad esempio, ha stabilito che in caso di separazione, il giudice può disporre che l'animale di affezione, già convivente con la coppia, sia affidato ad uno dei coniugi con l'obbligo di averne cura e statuire a favore dell'altro il diritto di prenderlo, di tenerlo con sé per alcune ore nel corso dei giorni. Questa ordinanza è molto importante perché, nell'affermare la preminenza del valore affettivo del cane e del diritto di mantenere con lui un legame costruito nel tempo, sostanzialmente avalla il concetto che “padrone del cane” deve intendersi in senso ampio, ovvero come colui che vive con l'animale all'interno del nucleo familiare, a prescindere dalla intestazione presso l'anagrafe canina. Tant'è che, nel caso affrontato dal Tribunale di Foggia con il provvedimento sopra citato, affidava l'animale conteso al marito in quanto ritenuto quello più idoneo ad occuparsene dal punto di vista affettivo e della crescita indipendentemente dall'intestazione formale dello stesso alla moglie, alla quale veniva assicurato il solo “diritto di vista”. Ordinanza, questa, molto importante perché se ne evince che il Giudice può ben disporre che l'animale di affezione sia affidato ad uno dei coniugi con la conseguenza che, analogicamente a quanto avviene per i figli, anche per il cane si può parlare di affidamento condiviso. Ed è rivoluzionaria, in questo senso, la sentenza del tribunale di Cremona dell'11.6.2008 adito da una coppia che ricorreva alla separazione giudiziale proprio a causa della contesa dei loro due cani. Nel decidere di equiparare gli animali domestici alla prole e di dovere applicare tutte le garanzie previste per l'affido condiviso dei figli minori, il Tribunale di Catania invitava i coniugi a trovare un accordo che potesse loro garantire di prendersi cura dei cani congiuntamente anche in riferimento alle tempistiche ripartendosi nella misura del 50% ciascuno le spese per il loro mantenimento. E così avvenne. In ogni caso, i numerosi casi che si sono occupati di “affidamento” del cane con le conseguenti ripartizioni fra diritti e doveri dei coniugi o conviventi, hanno sempre riguardato ipotesi di separazioni consensuali. Ciò perché, con sentenza n. 176 del 2013, il Tribunale di Milano sosteneva che in caso di procedimento di separazione giudiziale, l'organo giudicante non potesse regolamentare l'affidamento dell'animale domestico posto che i poteri del Giudice in ordine ai provvedimenti accessori sono determinati in modo puntuale dalla legge che non contempla statuizioni relative agli animali di proprietà del nucleo familiare ed al loro mantenimento. In altre parole, quando si tratta di benessere dell'animale, in sede contenziosa, i Giudici hanno il potere di statuire o meglio, di suggerire, le migliori modalità di gestione del cane (o dell'animale domestico) in caso di separazione al di là della mera intestazione formale della proprietà dello stesso, nel senso che il microchip, che definisce chi è il padrone del cane, non è vincolante rispetto alla effettiva gestione dell'animale laddove la coppia si separa perché ciò che prevale è il rapporto effettivo instauratosi con il cane da parte dei soggetti interessati ed il loro apporto nella cura e affetto a lui dimostrato e riservato. Nel caso di specie, l'esame sui cui si fonda il rigetto del ricorso della signora al riconoscimento, non solo della comproprietà del cane, ma anche del suo diritto di visita verso lo stesso, ha ad oggetto la valutazione della tipologia del rapporto instauratosi tra le parti. Per quanto riguarda il primo punto, infatti, agevole è stata la ferma decisione degli ermellini in considerazione della copiosa ed esauriente documentazione prodotta dal convenuto circa la di lui proprietà del cane (comprovato acquieto, comprovanti pagamenti di cure veterinarie, documenti attestanti la proprietà e certificato di assicurazione). Ma l'elemento più interessante concerne l'avallo da parte dei Giudici della Suprema Corte di quanto già evidenziato dalla Corte d'Appello, ovvero la carenza dei presupposti relativi alla instaurazione di una famiglia di fatto tra le parti. La Corte, infatti, sulla base del requisito della carenza del minimo requisito della convivenza e della brevità della relazione (4 mesi), ha ritenuto che mancasse la prova dell'instaurazione di un significativo rapporto tra la ricorrente ed il cane. Nel caso di specie, sottolinea la Corte, non si trattava nemmeno di famiglia di fatto, non essendosi mai instaurata la convivenza tra le parti, e l'appellata (ora ricorrente) non era stata in grado di dimostrare che in quel breve lasso temporale avesse instaurato con l'animale un rapporto tale da fare presumere che le potesse essere riconosciuto alcun diritto di visita nei confronti del cane. Viene pertanto confermata la linea giurisprudenziale che, in quanto essere senziente e degno di tutela “affettiva”, per ottenere il diritto di mantenerne la frequentazione ed il rapporto con l'animale domestico in caso di crisi della coppia, deve essere dimostrato il legame affettivo creatosi all'interno di un nucleo familiare in cui stabilmente e continuativamente i componenti della coppia di lui si sono occupati dal punto di vista materiale e morale. Osservazioni
La prima osservazione doverosa riguarda il vuoto normativo: ancora oggi, nonostante la copiosa giurisprudenza di merito e di legittimità, chiamata costantemente a pronunciarsi sulla materia, non esiste una norma che disciplina le sorti degli animali domestici nel caso di separazione tra coniugi e conviventi. Nel caso, dunque, in cui non si raggiunga un accordo, il Giudice potrebbe pronunciarsi anche sulla sua incompetenza a decidere in sede giudiziale, sperando, invece, che inviti le parti, anche su sue indicazioni, a trovare una bonaria composizione in ordine ai diritti e doveri morali e materiali delle parti, cui deve fare eco il preminente interesse dell'animale a mantenere il raggiunto significativo rapporto con entrambi i membri della famiglia e ad essere da entrambi mantenuti, ivi incluse le ripartizioni in punto spese veterinarie e mantenimento cibo. È da tempo che in Parlamento giace una proposta di legge che introduca una norma finalizzata a regolamentare l'affidamento degli animali domestici in caso di separazione, divorzio o cessazione della convivenza. La proposta prevederebbe a chi affidare l'animale, al coniuge che si dimostra più in grado di garantire un maggiore benessere all'animale, al di là della mera intestazione di proprietà dello stesso, oltre alla previsione che, alla formazione del convincimento del Giudice, sia necessario ascoltare, oltre ai coniugi o conviventi, anche gli eventuali figli ed esperti del comportamento animale. Tale disegno di legge, comunicato alla Presidenza il 27.4.2028, propone l'introduzione dell'art. 455-ter c.c. che “– In caso di separazione dei coniugi proprietari o detentori di un animale familiare, o in caso di scioglimento dell'unione civile, il tribunale competente per la separazione, in mancanza di un accordo tra le parti, sentiti i coniugi e, se del caso, i familiari conviventi e la prole, nonché esperti di comportamento animale, nell'esclusivo interesse dell'animale, affida lo stesso in via esclusiva al coniuge che ne garantisce il migliore benessere psicofisico ed etologico. Qualora sussistano volontà e opportunità per il benessere dell'animale comune, lo stesso è affidato in via condivisa, con obbligo di dividere le spese. La proprietà dell'animale, desunta dalla documentazione anagrafica, è unicamente criterio orientativo per il giudice, che decide, nell'esclusivo interesse dell'animale, quale sia la persona che può garantirne il migliore benessere, a condizione che non si provi che l'animale ha avuto un rapporto esclusivo con chi ne risulta proprietario. Nel caso di cessazione della convivenza di fatto, ai sensi dei commi 36 e 37 dell'articolo 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76, o quando la questione sorga successivamente al procedimento di separazione dei coniugi o di scioglimento dell'unione civile, per l'affidamento di animali familiari è competente a decidere il giudice di pace del luogo dell'ultima residenza comune degli interessati, ferma restando l'applicazione delle altre disposizioni del presente articolo per l'individuazione del soggetto affidatario”. Suprema Corte di Cassazione, |