Alle Sezioni Unite la questione della ricorribilità in cassazione del c.d. travisamento della prova

Roberta Metafora
18 Maggio 2023

La Corte di cassazione, chiarita la nozione di travisamento della prova, esamina il difficile problema relativo alla deducibilità di tale vizio all'interno del sistema delle impugnazioni ordinarie, giungendo a prospettare l'opportunità di far valere la questione ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell'art. 115 c.p.c.
Massima

Va rimessa al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite la questione relativa alla possibilità di censurare per cassazione ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell'art. 115 c.p.c. il travisamento della prova.

Il caso

Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. gli eredi di un notissimo pittore agivano nei confronti di un'importante Galleria d'arte della Capitale per ottenere la condanna alla restituzione di un quadro dipinto dal de cuius. A fondamento della domanda gli attori deducevano che nel 1965 il quadro, che si trovava presso una pinacoteca di Milano, era stato consegnato da quest'ultima alla Galleria convenuta ai fini della sua esposizione nell'ambito di una mostra itinerante, ma che, una volta terminata quest'ultima, l'opera, nonostante fosse stata richiesta in restituzione, era rimasta presso la Galleria di Roma, al punto che quest'ultima, parecchi anni dopo, l'aveva inserita nel proprio Catalogo sul presupposto di averla ormai acquisita in proprietà, di conseguenza rifiutando la formale richiesta di restituzione del quadro avanzata in via stragiudiziale dagli eredi del pittore.

Il Tribunale adito, acquisita la documentazione prodotta dagli attori, sul presupposto del carattere confessorio delle affermazioni contenute nelle lettere versate in atti, riteneva provato che il dipinto, fosse stato consegnato dal Pittore, per il tramite della Galleria milanese, alla Galleria della Capitale in virtù di un rapporto di comodato, in tal modo escludendo che fosse intervenuta alcuna attività materiale indicativa della eventuale interversione della detenzione in possesso, per cui condannava la Galleria d'arte a restituire l'opera.

La decisione veniva tuttavia riformata dal giudice di secondo grado, il quale, a fondamento della sua decisione, escludeva il carattere confessorio delle lettere prodotte in giudizio e, di conseguenza, la configurabilità del contratto di comodato.

Le questioni

Avverso la decisione di appello veniva proposto ricorso per cassazione. I ricorrenti osservavano come il giudice di seconde cure avesse fatto mal governo dell'art. 116 c.p.c. pretendendo di esercitare il potere di libero apprezzamento delle prove in relazione a prove invece che avevano valore di prova legale, senza peraltro indicare le ragioni per le quali aveva escluso il carattere confessorio delle missive versate in atti; inoltre, era denunciata la violazione dell'art. 115 c.p.c. per travisamento della prova nella parte in cui la corte d'appello aveva ritenuto irrilevante sia il fatto che fosse stato il pittore stesso a scegliere l'opera da inviare per la mostra itinerante per il tramite della Galleria milanese sia la circostanza che dalle lettere prodotte risultasse palesemente che il quadro fosse stato ceduto alla convenuta a titolo di comodato. In altre parole, ad avviso dei ricorrenti, la corte territoriale aveva stravolto le risultanze processuali, utilizzando informazioni probatorie del tutto diverse ed inconciliabili con quelle contenute nelle lettere prodotte nel giudizio.

Le soluzioni giuridiche

La Terza sezione della Cassazione, con l'ordinanza in commento condivide i rilievi dei ricorrenti, ritenendo che la corte d'appello, nell'escludere il carattere confessorio delle lettere, sia incorsa non solo nel vizio motivazionale, non avendo in alcun modo spiegato le ragioni della sua scelta, ma altresì nella violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. avendo «palesemente travisato il contenuto oggettivo delle prove documentali».

Ciò premesso, il Collegio giudicante prende posizione sulla nozione di travisamento della prova, osservando come essa si distingua «dal travisamento del fatto, in quanto implica (non una valutazione del fatto, ma) una constatazione o un accertamento che una data informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale».

Ciò premesso, osserva che se è vero che la parte non può censurare tramite il ricorso per cassazione la circostanza che il giudice abbia scelto un elemento informativo in luogo di un altro comunque desumibile dal materiale probatorio, né può «ridiscutere in sede di legittimità le modalità attraverso le quali il giudice di merito ha valutato, dopo averlo selezionato, il materiale probatorio ai fini della ricostruzione dei fatti di causa» è altrettanto indubbio che essa «può denunciare l'inesistenza di una informazione probatoria, che, proprio perché inesistente, illegittimamente è stata posta a fondamento della decisione di merito», giacché tale errore esclude in radice, sul piano processuale, la stessa “esistenza” di un giudizio, a differenza dell'errore di valutazione della prova, il quale dà luogo ad un giudizio errato, che può essere denunciato solo al giudice del merito.

Ad avviso della Corte, allora, deve escludersi che possano essere posti legittimamente a base della decisione sia i «dati informativi riferibili a fonti mai dedotte in giudizio dalle parti» (si pensi ad un testimone che non è mai stato interrogato o a un documento che non è mai stato prodotto), sia gli elementi informativi risultanti da mezzi di prova ritualmente ammessi ed assunti, ma che «si sostanziano nell'elaborazione di contenuti informativi che non si lasciano in alcun modo ricondurre, neppure in via indiretta o mediata, alla fonte alla quale il giudice di merito ha viceversa inteso riferirle». Laddove ciò accada, occorre ammettere la possibilità di dedurre il vizio tramite un rimedio impugnatorio, non essendo utili allo scopo né il ricorso per cassazione per omesso esame di un fatto decisivo di cui all'art. 360, n. 5 c.p.c., né la revocazione per errore di fatto.

In particolare, non è invocabile l'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., il quale, permettendo l'impugnazione della sentenza nell'ipotesi di omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, ha riguardo a un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo; nemmeno è spendibile il motivo di cui all'art. 395, n. 4 c.p.c., in quanto relativo ad un errore su un fatto non controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare in senso difforme da quanto risultante dagli atti del giudizio. Per la Corte, infatti, il travisamento della prova, «ha ad oggetto le prove proposte dalle parti, oggetto di discussione (diversamente che nell'ipotesi di errore revocatorio) su cui il giudice si sia espressamente pronunciato (diversamente che nell'ipotesi di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c.)».

Invero, la questione circa la denunciabilità in cassazione della questione relativa al travisamento della prova è frutto della recente riduzione dell'ambito del sindacato sulla motivazione operata dalla novella dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. di cui alla l. n. 134/2012.

Sennonché, non può ritenersi preclusa la possibilità di denunciare in cassazione il travisamento della prova, in quanto ciò appare in contrasto con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo in tema di limiti alla impugnabilità delle sentenze, avendo quest'ultima più volte precisato che è possibile dichiarare inammissibile un'impugnazione per ragioni formali, ma solo quando la causa di inammissibilità: a) sia espressamente prevista dalla legge; b) sia prevedibile ex ante; c) sia prevista dalla legge; d) non sia frutto di una interpretazione “troppo formalistica”; e) risulti comunque da un orientamento consolidato; f) sia chiara ed univoca.

In particolare, «la (pretesa) incensurabilità in Cassazione del travisamento della prova, […] verrebbe a rappresentare una ipotesi di inammissibilità non espressamente prevista dalla legge, non prevedibile con certezza ex ante, e nemmeno risultante da un orientamento consolidato».

Escluso che possa ammettersi la non ricorribilità per cassazione del travisamento della prova e, pur tuttavia, che tale vizio possa essere ricondotto nell'alveo dell'art. 360 n. 5 c.p.c., la Terza Sezione prospetta la sua riconducibilità nell'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per violazione dell'art. 115 c.p.c.

In particolare, per la Corte, «il travisamento della prova censurabile in cassazione, ai sensi dell'art. 360, n. 4, c.p.c., per violazione dell'art. 115 c.p.c., postula: a) che l'errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (demostrandum), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (demostratum), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l'errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi oggettivamente risultanti dal materiale probatorio ed inequivocamente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di mera probabilità, ma di assoluta certezza».

L'ordinanza in esame precisa espressamente di essere ben a conoscenza di un orientamento interpretativo di segno opposto rispetto a quanto sostenuto, in virtù del quale il c.d. travisamento della prova viene ritenuto deducibile quale motivo di revocazione ai sensi dell'art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c.

Stando ad un indirizzo consolidato presso la stessa Corte di cassazione (si v. tra tutte Cass. 3 novembre 2020, n. 24395), infatti, l'errore determinato dall'inesatta percezione da parte del giudice di merito di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, è deducibile quale errore di fatto revocatorio poiché consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che ha portato il giudice ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso, oppure l'inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, senza che su quel fatto, non «controverso» tra le parti, il giudice abbia reso un qualsiasi giudizio.

La sussistenza di un precedente in contrasto con quanto opinato dalla Terza Sezione nell'ordinanza in commento, induce pertanto il Collegio a trasmettere gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite al fine di risolvere il contrasto di giurisprudenza appena segnalato.

Osservazioni

La decisione de qua, assai articolata e complessa, offre lo spunto per alcuni brevi riflessioni.

Essa affronta il tema, delicatissimo, del virtuale concorso dei mezzi ordinari di impugnazione costituiti da ricorso per cassazione e revocazione (art. 398, comma 4, c.p.c.), escludendolo proprio sul presupposto, del tutto condivisibile, per cui il rimedio della revocazione non riguarda gli errori di giudizio in senso stretto e si rende esperibile sempre che «il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare».

Ciò premesso, è proprio sul «travisamento della prova» inerente ad un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare che la tenuta del sistema delle impugnazioni impone di venire saggiata, dal momento che mettendo a confronto l'attuale art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. con l'art. 395, n. 4 c.p.c. emerge con evidenza l'incapacità delle due norme di “ospitare” il c.d. travisamento della prova.

Non è certo questa la sede per affrontare l'interpretazione dell'art. 360, comma 1, n. 5 e per ricordare i numerosi contributi offerti dalla dottrina riguardo al tormentato percorso legislativo che ha caratterizzato la disciplina dell'errore nella motivazione delle sentenze e della sua deducibilità in cassazione. Vi è un unico dato da evidenziare: la scelta operata dalla riforma del 2012 in favore di un marcato restringimento delle maglie del controllo sulla motivazione ha sin da subito evidenziato la sua inadeguatezza, tanto da spingere la stessa Suprema Corte a far rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta, ammettendo il controllo di legittimità per i casi di omessa e contraddittoria motivazione. L'(ormai) storica sentenza delle Sezioni unite n. 8053/2014 rappresenta tuttavia solo il primo passo verso la riapertura di nuovi spazi di sindacato sulla motivazione, come d'altronde comprova la decisione che qui si commenta.

Il restringimento dell'ambito di operatività dell'art. 360, comma 1, n. 5, infatti, sta pian piano determinando un incremento dell'area applicativa del vizio di violazione delle norme sul procedimento, il quale si sta progressivamente facendo carico di chiudere nel circolo delle impugnazioni ordinarie la fattispecie del travisamento delle prove.

Siamo così di fronte ad un'inversione di tendenza: sino ad oggi la Corte di Cassazione, per l'evidente esigenza di contenere un contenzioso la cui quantità non è in grado di fronteggiare, ha patrocinato gli interventi riduttivi del legislatore poi realizzatisi con le riforme del 2006 e del 2012; ora, invece, per la necessità di dare giustizia al singolo caso deciso ma, soprattutto, per la tendenza sempre più marcata di dettare le regole di condotta per il genere di giudizi rapportabili a quel caso, sta manifestando un rinnovato interesse per il giudizio di fatto (la cui separazione dal giudizio di diritto è invero assai difficile, se non addirittura impossibile).

Testimone delle difficoltà qui solo appena accennate è il vizio del travisamento delle prove, non essendo possibile ammettere un sistema giuridico che non offra sicura tutela in tutti i casi in cui il giudice abbia travisato il fatto o le prove, anche alla luce della circostanza che, oggi, per effetto della modifica operata dalla legge n. 18/2015 all'art. 3 della legge n. 117/1988, è prevista la condanna dello Stato per i provvedimenti giudiziari emessi in base a travisamento del fatto o delle prove.

Riferimenti
  • Bove, Giudizio di fatto e sindacato della corte di cassazione: riflessioni sul nuovo art. 360 n. 5 c.p.c., in Il giusto processo civile 2012, 677 ss.;
  • Lombardo, Il sindacato di legittimità della Corte di Cassazione, Torino 2015, 131 ss.;
  • Passanante, Le sezioni unite riducono al "minimo costituzionale" il sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 179 ss.;
  • Raponi, Vizio di motivazione e ragionamento presuntivo, in Democrazia e diritti sociali, 2020, 2, 1 ss.;
  • Poli, Logica e Razionalità nella ricostruzione giudiziale dei fatti, in Riv. dir. proc., 2020, 515 ss.;
  • Poli, Diritto alla prova scientifica, obbligo di motivazione e sindacato in sede di legittimità, in Giust. civ., 2018, 428 ss., 457 ss.;
  • Rasia, La crisi della motivazione nel processo civile, Bologna 2016, 180 ss.