È inesistente il decreto del GD per l'acquisizione di somme in possesso di terzi che ne contestano la spettanza al fallimento

Fabio Signorelli
18 Maggio 2023

La Corte si conforma ad un orientamento di legittimità in tema di provvedimenti urgenti che il giudice delegato può emettere, ai sensi dell'art. 25, comma 1 lett. b) l. fall., ai fini della conservazione del patrimonio, nel caso in cui tali provvedimenti colpiscano terzi titolari di un diritto incompatibile con l'acquisizione.
Massime

Si deve considerare giuridicamente inesistente o “abnorme”, per carenza assoluta di potere, in quanto diretto all'acquisizione di somme in possesso di terzi che ne contestano la spettanza al fallimento, il decreto di acquisizione del giudice delegato, adottato ai sensi dell'art. 25 l. fall., in luogo dell'azione in via ordinaria per la declaratoria di inefficacia di un giroconto bancario.

La c.d. inesistenza giuridica o nullità radicale di un provvedimento avente contenuto decisorio, erroneamente emesso da un giudice carente di potere o dal contenuto abnorme, irriconoscibile come atto processuale di un determinato tipo, può essere fatta valere non solo in ogni tempo, mediante un'azione di accertamento negativo, ma anche con la tempestiva attivazione dei normali mezzi di impugnazione, che costituiscono rimedi alternativi alla c.d. actio nullitatis, ove ricorra l'interesse della parte ad una espressa rimozione dell'atto processuale viziato, materialmente esistente.

In base al principio della prevalenza della sostanza sulla forma, per stabilire la natura di un provvedimento è necessario avere riguardo non già alla sua forma esteriore o alla denominazione adottata, bensì al suo contenuto sostanziale ed all'effetto giuridico che esso è destinato a produrre.



Il caso

Una società, anziché trasferire un'ingente somma di denaro ad una propria partecipata, per un mero errore materiale trasferiva detta somma di denaro sul conto corrente di un fallimento e il giudice delegato, ai sensi degli artt. 25 (ora art. 123 ccii) e 44 (ora art. 144 ccii) l. fall., inaudita altera parte, disponeva l'acquisizione all'attivo fallimentare di detta provvista, dichiarando l'inefficacia del successivo ordine di bonifico dal conto corrente del fallimento a quello della società partecipata. Le due società proponevano reclamo davanti al Tribunale competente spiegando che la somma di denaro in questione era destinata a fornire alla partecipata, già aggiudicataria di un capannone industriale del fallimento, i mezzi finanziari per concorrere ad una nuova asta per mobili e macchinari contenuti all'interno del capannone medesimo. Il reclamo, con il quale era stata sostanzialmente proposta un'azione di ripetizione dell'indebito, veniva, tuttavia, respinto i) sia perché – secondo la motivazione adottata - il giudice delegato aveva legittimamente emesso un provvedimento urgente per la conservazione del patrimonio del fallito; ii) sia perché risultavano insussistenti i diritti esclusivi rivendicati dai terzi incompatibili con l'acquisizione, ai sensi del predetto art. 25 l. fall.; iii) sia, infine, perché non era stata data contezza delle ragioni che avrebbero giustificato una valida ripetizione dell'indebito, limitandosi le reclamanti a dedurre l'errore materiale, senza allegare documenti o fornire indizi utili che deponessero a loro favore.

Il provvedimento del Tribunale di Cosenza veniva impugnato mediante ricorso per cassazione articolato in quattro motivi, due dei quali venivano accolti, mentre gli altri due dichiarati assorbiti. In particolare, per quello che in questa sede maggiormente interessa, la ricorrente deduceva che i) l'art. 25, comma 1, n. 2) l. fall. escludeva la possibilità di emettere decreti di acquisizione che incidano su diritti di terzi che rivendichino un proprio diritto incompatibile con l'acquisizione e che ii) il provvedimento del giudice delegato di acquisizione di somme di denaro giacenti su conti correnti di terzi fosse abnorme e giuridicamente inesistente e, come tale, aggredibile sia con l'actio nullitatis sia con i normali mezzi d'impugnazione.

Tali motivi venivano accolti dalla Suprema Corte di cassazione che, decidendo nel merito, dichiarava l'inesistenza giuridica del decreto di acquisizione del giudice delegato al fallimento.



La questione e le soluzioni giuridiche

La breve sentenza in commento ribadisce il consolidato orientamento della Corte di cassazione sulla base del quale il giudice delegato può emettere decreti di acquisizione alla massa attiva del fallimento, di beni o somme in possesso del fallito, del coniuge del fallito contro il quale si faccia valere la presunzione muciana, ovvero di terzi consenzienti, non anche di beni o somme in possesso di terzi dissenzienti.

I decreti di acquisizione, definiti dalla giurisprudenza ormai risalente come atti di giurisdizione esecutiva, possono riguardare soltanto beni che siano chiaramente ed incontestabilmente di proprietà del fallito e che, per le ragioni più svariate, non sia stato possibile ricomprendere immediatamente nell'attivo fallimentare (si fa l'esempio di autoveicoli intestati al fallito o di altri beni mobili del fallito non rinvenuti in sede di redazione dell'inventario, perché detenuti da terzi).

L'art. 25, comma 1, n. 2), l. fall., ha cura di precisare che i decreti di acquisizione non possono essere emessi quando incidono su diritti di terzi che rivendichino un proprio diritto incompatibile con l'acquisizione. In proposito, è stato fatto osservare che la norma introduce una sostanziale “parità delle armi”, in quanto, come il terzo rivendicante deve proporre una domanda giudiziale nelle forme dell'art. 103 l. fall., così il curatore non può conseguire il possesso di beni di cui è controversa l'appartenenza a terzi, ma deve instaurare un'ordinaria azione di cognizione piena.

Orbene, nel caso in esame, la Suprema corte rilevava che la somma in contestazione era già stata accreditata in restituzione dal curatore sul conto della società partecipata, valorizzando, in tal modo, il possesso “dissenziente” della beneficiaria del bonifico effettuato dalla società partecipante per le necessità finanziarie della partecipata. Il vulnus del decreto di acquisizione è lapalissiano: la somma di denaro in parola era già stata accreditata sul conto corrente della reale beneficiaria per i fini istituzionali di quest'ultima e, dunque, il giudice delegato non avrebbe giammai potuto emettere, tanto più inaudita altera parte, un provvedimento di acquisizione di tali somme di denaro in possesso di un terzo che ne contestava la spettanza al fallimento, in aperta violazione di legge.

La sentenza in commento, infine, sempre nel solco di una consolidata giurisprudenza, conferma che, qualora venga adottato un provvedimento, avente natura decisoria, intrinsecamente nullo, inesistente o “abnorme”, non solo è possibile contrastarlo in ogni tempo, ma si possono utilizzare a tali fini, oltre all'azione di accertamento negativo (actio nullitatis), i normali mezzi di impugnazione (secondo i casi: appello o ricorso per cassazione), che devono essere esperiti secondo le regole loro proprie, ove ricorra l'interesse della parte ad una rapida rimozione dell'atto processuale viziato, anche se materialmente esistente, interesse che coincide con quello del sistema, che tende ad espellere dall'ordinamento i provvedimenti processuali errati o abnormi. La sentenza in commento precisa, ad abundantiam, che la natura decisoria di un provvedimento deve essere stabilita sulla base del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, in relazione al contenuto sostanziale ed all'effetto giuridico che esso è destinato a produrre, sottolineando che, nel caso di specie, il decreto del Tribunale di Cosenza aveva un contenuto sostanziale di sentenza dichiarativa di inefficacia, ai sensi dell'art, 44 l. fall., del trasferimento della somma di denaro dal Fallimento alla società partecipata.