Per la Corte Suprema degli Stati Uniti le piattaforme online non sono responsabili per i contenuti, anche di stampo terroristico, postati dagli utenti

La Redazione
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19 Maggio 2023

Con un'attesissima pronuncia la Corte Suprema USA ha sancito che le piattaforme online non possono essere considerate responsabili – né dunque perseguite legalmente – per i contenuti, anche di propaganda a sostegno di organizzazioni terroristiche, pubblicati dagli utenti. Pertanto, le stesse piattaforme non possono essere perseguite per favoreggiamento del terrorismo.

La Corte Suprema USA si è espressa, lo scorso 18 maggio 2023, in favore dei principali colossi informatici su due diversi casi, stabilendo che le aziende non sono legalmente responsabili per i contenuti di propaganda a sostegno delle organizzazioni terroristiche pubblicati dai loro utenti.

Il primo caso, Twitter v. Taamneh, riguardava i familiari di una vittima dell'attentato avvenuto in un locale di Istanbul il 1° gennaio 2017 per mano dell'ISIS. Questi ritenevano infatti che le aziende informatiche non avessero provveduto tempestivamente alla moderazione dei contenuti social attraverso la rimozione dei post del gruppo terroristico, rendendosi così in parte responsabili del tragico accaduto.

In questo caso la Corte Suprema ha stabilito che la piattaforma social non ha favorito il terrorismo quando ha ospitato post creati da membri dell'ISIS.

Il secondo caso, Gonzalez v. Google, coinvolgeva la famiglia di una studentessa universitaria americana, vittima dell'attacco terroristico di Parigi del 2015. I parenti della vittima sostenevano che l'algoritmo della maggiore piattaforma di creazione di contenuti video (al tempo di proprietà del colosso informatico) avesse incoraggiato la diffusione di contenuti di stampo terroristico riconducibili all'ISIS, indirettamente causando la morte della figlia.

In questo secondo caso la Corte si è espressa con un parere non firmato, limitandosi a confermare la sentenza di un tribunale di grado inferiore che proteggeva le piattaforme social da molteplici azioni legali per la moderazione dei contenuti, ritenendo così l'azienda informatica leader non perseguibile per favoreggiamento.

Nelle due sentenze la Corte non si è pronunciata direttamente, come si pensava, sulla Sezione 230 del Communications Decency Act, una legge degli Stati Uniti risalente al 1996 che protegge le aziende informatiche da azioni legali relative ai contenuti pubblicati dagli utenti, in particolar modo sui post resi pubblici sui social network.