Verifiche preliminari ed immediata conversione del rito ordinario in semplificato di cognizione

Roberto Masoni
29 Maggio 2023

La questione affrontata dall'ordinanza concerne la possibilità, già in sede di verifiche preliminari, di disporre il mutamento del rito, da ordinario a semplificato di cognizione, senza necessità di passare attraverso il vaglio dell'udienza di prima comparizione delle parti ed i connessi adempimenti procedurali.
Massima

I termini che la legge assegna alle parti per il deposito di memorie integrative (art. 171-ter c.p.c.) sono sottratti alla discrezionalità del giudice.

In forza di interpretazione costituzionalmente orientata, il giudice può ex officio disporre la conversione del rito ordinario di cognizione a quello semplificato in assenza di profili di complessità oggettiva e soggettiva della lite (art. 183-bis c.p.c.), anche prima dell'udienza di prima comparizione delle parti ed in assenza di contraddittorio sul punto specifico, in particolare in sede di verifiche preliminari (art. 171-bis c.p.c.).

Il caso

Costituitosi in giudizio il convenuto che ha avanzato istanza di chiamata del terzo, il decreto in esame ha dato conto che il procedimento era stato iscritto a ruolo in data 6 marzo us. con notifica dell'atto di citazione effettuata in data 20 febbraio scorso. A questo punto, il giudicante ha ritenuto di assoggettare la causa al nuovo rito processuale entrato in vigore il 28 febbraio 2023, fornendo peculiare interpretazione della norma transitoria (art. 35 d.lgs. n. 149/2022), laddove la stessa distingue tra “procedimenti pendenti” (o, meglio, già pendenti a quella data) e cause “instaurate successivamente” ad essa.

Fatta questa premessa, il Tribunale ha evidenziato che la chiamata di terzo e la successiva possibile ulteriore chiamata di altri soggetti in garanzia e manleva, potrebbe determinare “la moltiplicazione esponenziale delle memorie ex art. 171-ter c.p.c., che andrebbero ogni volta depositate ex novo in seguito ai necessari successivi differimenti di udienza”, evidenziando l'effetto di appesantimento dello svolgimento del processo in contrasto col canone di ragionevole durata.

La pronunzia epigrafata ha ritenuto inapplicabile al nuovo rito l'orientamento interpretativo maturato vigendo il precedente rito processuale che permette al giudice di rigettare la richiesta di concessione dei termini per deposito di memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., quando egli ritenga di invitare le parti a precisare le conclusioni, con assegnazione della causa in decisione. L'assunto si fonda sul novellato dato letterale che dispone il decorso dei termini di deposito delle memorie ex art. 171-ter c.p.c. a prescindere dall'intervento di un provvedimento giudiziale al riguardo e che perciò priva il giudicante di ogni facoltà discrezionale al riguardo.

Pertanto, preoccupato dello “abnorme esponenziale moltiplicarsi delle memorie integrative che oggettivamente complica la trattazione ed in assenza di un'apprezzabile contropartita (rectius di utilità di economia processuale”), il g.i. piacentino ha ritenuto, già in questa sede di verifiche preliminari, di disporre la conversione del rito da ordinario in semplificato, a fronte di controversia priva di profili di complessità soggettiva ed oggettiva.

L'ordinanza ha con ciò disposto la conversione del rito da ordinario in semplificato di cognizione, con prosecuzione del giudizio nelle forme di cui all'art. 281-decies c.p.c., autorizzando la chiamata del terzo.

La questione

La questione affrontata dall'ordinanza concerne la possibilità, già in sede di verifiche preliminari, di disporre il mutamento del rito, da ordinario a semplificato di cognizione (art. 281-decies e ss. c.p.c.), senza necessità di passare attraverso il vaglio dell'udienza di prima comparizione delle parti (art. 183 c.p.c.) ed i connessi adempimenti procedurali (art. 171-ter c.p.c.).

Le soluzioni giuridiche

Scartata la possibilità, sotto la vigenza delle nuove disposizioni processuali, di non concedere i termini per deposito delle memorie integrative a fronte di chiamata di terzo (come è invece consentito fare secondo l'interpretazione maturata nella vigenza dell'art. 183, comma 6, c.p.c.), la pronunzia osserva che l'art. 183-bis c.p.c. concede al giudicante la facoltà di disporre la conversione del rito formalmente solo all'esito della udienza di prima comparizione delle parti. Tuttavia, la stessa motiva la possibilità di disporre ex officio il mutamento del rito anche “prima dell'udienza”, sulla scorta di un'interpretazione costituzionalmente orientata ex artt. 24 e 111 Cost., evidenziando che tale vincolo normativo colliderebbe con i poteri direttivi del giudice intesi “al più sollecito e leale svolgimento del procedimento” (art. 175 c.p.c.). La prospettiva ricostruttiva testè esposta si colloca così nell'ottica di evitare “l'abnorme esponenziale moltiplicarsi delle memorie integrative in grado di complicare la trattazione”, che può incidere negativamente sul celere svolgimento del processo. Concludendo con l'affermare che la soluzione può garantire “un rito più celere ed efficace”.

Osservazioni

I. Per dare un senso effettivo alle nuove disposizioni introdotte dal legislatore della riforma processuale, le stesse vanno calate nel tessuto connettivo ordinamentale preesistente. Affinchè il loro contento venga inteso correttamente, secondo una lettura interpretativa sistematica, non settoriale che, questa sola, rischierebbe di attribuire alle novellate disposizioni riformate un significato distorto ed una prospettiva fuorviante, rispetto ad una visione complessiva dell'articolato.

L'esigenza di garantire allo snodo cruciale delle verifiche preliminari del processo ordinario di cognizione (art. 171-bis c.p.c.) un significato di “sistema” emerge dallo sforzo interpretativo e motivazionale compiuto dalla pronunzia del Tribunale di Piacenza. La stessa, seppure a fronte di un dato normativo lessicalmente contrastante (l'art. 183-bis c.p.c., che ammette la conversione del rito solo all'esito dell'udienza di cui all'art. 183 c.p.c.), ha valorizzato, in ottica sistematica e funzionalistica, il senso delle verifiche preliminari per ammetter già in questa sede preliminare, ante udienza, la conversione del rito.

Un percorso motivazionale siffatto trova fondamento in una lettura “costituzionalmente orientata” degli snodi che caratterizzano il nuovo rito (come precisa il decreto).

E' abbastanza trasparente (oltrechè ovvio) che il mutamento del rito al termine dell'udienza di prima comparizione delle parti, in una controversia priva di complessità, può sortire un distonico effetto boomerang rispetto alla speditezza del processo. Onerare i difensori delle parti al deposito di tre memorie integrative ciascuno (molto spesso atti dotati di considerevole dimensione e consistenza quantitativa, in spregio all'art. 121 c.p.c.), le parti a comparire personalmente in udienza per sottoporsi ad interrogatorio libero e tentativo di conciliazione, oltrechè il giudice allo studio della vertenza compulsando il contenuto di ben sei memorie integrative con i relativi atti introduttivi, sembra rivelarsi fuorviante rispetto agli obiettivi di semplificazione e velocizzazione del processo; obiettivi che il legislatore delegante ha esplicitamente posto (si veda in esordio l'art. 1 della legge delega) a fondamento della riforma processuale.

D'altro canto, la proficuità del mutamento del rito è direttamente proporzionale alla celerità con cui lo stesso viene disposto rispetto alla trattazione della causa.

In quest'ottica, ben si intendono i tentativi compiuti dagli interpreti (come anche dalla pronunzia in epigrafe) di fornire una lettura (parzialmente correttiva) delle nuove disposizioni processuali e, in particolare dello snodo cruciale costituito dalle verifiche preliminari, secondo una prospettiva anti letterale in grado di recuperare (e non certo di contraddire) gli obiettivi ed i valori incarnati dalla riforma, coniugati con criteri di efficienza, oltrechè di buono ed ordinato governo del processo (obiettivo questo già scolpito a chiare lettere nel disposto affidato all'art. 175 c.p.c., ma nella prassi in larga parte obliato).

E' stato così ipotizzato che in questa sede di controlli iniziali il giudice non sia vincolato ad effettuare unicamente i riscontri rigidamente codificati nel primo comma dell'art. 171-bis c.p.c.

In particolare, suggerendo che, una volta riscontrata l'assenza della condizione di procedibilità della domanda, il giudice possa già in questa sede rimettere le parti in mediazione o in negoziazione assistita, forte del dato positivo che ammette il giudiziale rilievo “non oltre la prima udienza” (e perciò, implicitamente, anche ante udienza; art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28/2010 ed art. 3 d.l. n. 132/2014); come pure, della considerazione secondo cui la questione riguardante ammissibilità e procedibilità della domanda, in quanto dotata di rilievo meramente processuale, non sconta l'esigenza del previo contraddittorio delle parti ex art. 101 c.p.c. (Cass. civ. 20 marzo 2017, n. 7053; Sul punto, LAI, il quale evidenzia come la scelta legislativa di rimettere tale riscontro all'udienza di prima comparizione può avere l'effetto di “mortificare le chance di raggiungere una composizione stragiudiziale della controversia”).

Ancora, si è ipotizzato che, tramite il decreto ex art. 171-bis c.p.c., il g.i. possa indicare ai difensori l'utilità (o meno) del tentativo di conciliazione delle parti da esperire all'udienza di prima comparizione. E, in caso negativo, potendosi disporre, se del caso, la cartolarizzazione della medesima udienza, ai sensi dell'art. 127-ter c.p.c.

Ancora, si è autorevolmente ipotizzato che il giudice possa fissare un'udienza per tentativo di conciliazione ed interrogatorio libero delle parti ai sensi degli artt. 117 e 185 c.p.c. (in forza della facoltà di fissarla “in qualunque stato e grado del processo”), senza previo deposito di memorie integrative ex art. 171-ter c.p.c.; udienza antecedente a quella ex art. 183 c.p.c., che dovrebbe essere contestualmente differita (COSTANTINO).

Come si vede, le esposte soluzioni interpretative correttive tutte tendono univocamente al recupero, in ottica di flessibilità e di buon funzionamento del sistema giurisdizionale, del contenuto assai rigido della cruciale disposizione di governo dell'art. 171-bis c.p.c.. L'obiettivo non sembra tanto essere quello di comprimere i diritti difensivi, ma al contrario di far funzionare al meglio la macchina della giustizia civile, un interesse pubblico di carattere generale.

II. Secondo questa ipotesi interpretativa, il giudice sarebbe chiamato a pianificare il futuro svolgimento del processo che non necessariamente si dipana seguendo un unico percorso, dato che la legge processuale permette di seguire molteplici strade, alternative, adattando in modo elastico e flessibile la procedura alle esigenze del caso concreto.

In quest'ottica resta valorizzato il ruolo e la funzione esplicata dal g.i., collocato al centro del processo di cognizione e che, nella pronunzia del decreto ex art. 171-bis c.p.c., può rinvenire un utile strumento di esercizio e di effettiva attuazione dei poteri direttivi del processo che gli sono istituzionalmente assegnati (ex art. 175 c.p.c.); poteri e facoltà deputate alla programmazione del successivo iter processuale, indicando le tappe ulteriori.

La valorizzazione dei caleidoscopici contenuti rinvenibili nel decreto ex art. 171-bis c.p.c. si pone in ottica consentanea rispetto alla ratio legis, ovvero agli obiettivi fissati dal PNRR, rivolti alla velocizzazione, semplificazione, oltrechè a concretamente garantire ragionevole durata del processo.

Valorizzando il ruolo attivo e propulsivo, non certo statico, del giudice istruttore, al centro del processo cognizione, le innovazioni portate dalla riforma processuale possono acquisire un senso effettivo ed essere lette in una nuova, moderna ottica, in grado di condurre ad un mutamento di abitudini e di prassi consolidate nell'esercizio della giurisdizione civile.

In quest'ottica, la riforma processuale sembra esigere una sorta di riconversione culturale del giudice civile che, dopo il 28 febbraio scorsi, è chiamato a confrontarsi con una nuova sfida di professionalità, oltrechè ad un particolare impegno nello studio del fascicolo di causa, per indirizzare e pianificare il successivo iter processuale, tenendo conto delle peculiarità del caso concreto; assumendo per così dire il timone, come fa il capitano di una nave che “durante il viaggio ha la responsabilità della rotta” (CALAMANDREI).

Riferimenti
  • Calamandrei, Istituzioni di diritto processuale civile, Padova, 1941, 240.
  • Costantino, Il processo di cognizione di primo grado, in La riforma della giustizia civile, a cura di COSTANTINO, Bari, 2021, 173.
  • Pezzella, Riforma del processo civile: come cambia la fase introduttiva di trattazione del processo civile di cognizione di primo grado, in www.giustiziacivile.com, 11 novembre 2022.
  • Delle donne, La fase introduttiva, la prima udienza e i provvedimenti del giudice istruttore, in La riforma Cartabia del processo civile, a cura di TISCINI, Pisa, 2023, 294.
  • Luiso, Il nuovo processo civile, Milano, 2023.
  • Masoni, Riforma del processo civile: verifiche preliminari e valorizzazione del decreto di fissazione dell'udienza, in IUS Processo civile (ius.giuffrefl.it), 22 marzo 2023.
  • Lai, Le nuove regole per l'introduzione della causa nel rito ordinario di cognizione, in Judicium, 27 aprile 2023.