La moglie può prelevare somme dal conto corrente cointestato?

Emanuela Ravot
31 Maggio 2023

La moglie non può prelevare somme dal conto corrente cointestato, quando il versamento di denaro o titoli del marito non è donazione indiretta al coniuge.
Massima

Il coniuge non può prelevare somme di denaro presenti sul conto corrente cointestato, se questo proviene dal versamento del marito effettuato per mere ragioni di opportunità, ove non si configuri un'ipotesi di donazione indiretta, in presenza dell'animus donandi al momento del versamento medesimo.

Il caso

La vicenda origina da una pronuncia della Corte d'Appello di Bologna in parziale riforma della decisione di primo grado che aveva condannato il coniuge alla restituzione al marito della somma prelevata, in pendenza di separazione, dal conto cointestato, ritenendo dimostrata, sulla base delle risultanze istruttorie, la provenienza dell'importo de quo da una donazione di titoli azionari della madre al proprio figlio, in costanza di matrimonio. Avverso tale decisione la moglie proponeva ricorso per Cassazione, affidato a tredici motivi, nei confronti del marito che resisteva con controricorso. Lamentava in particolare, la donna, come il Giudice avesse errato nel considerare le azioni, originariamente di proprietà della suocera, quali donazioni al figlio ed escluse dalla comunione legale. Lamentava, poi, la circostanza che, quand'anche ne fosse stato provato l'atto di liberalità di detti beni mobiliari, da qualificare in termini di beni personali del marito, il versamento in questione dovesse essere considerato una donazione indiretta nei suoi confronti, in quanto trasferito nel conto deposito titoli cointestato ai coniugi, solo successivamente all'acquisto, le azioni essendo rimaste inizialmente sul deposito titoli intestato alla madre; oltre ad essere stato utilizzato, attingendo al conto, nel corso del tempo, per le spese della famiglia.

La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione respinge il ricorso, con la condanna della moglie al rimborso delle spese processuali, indicando in motivazione l'infondatezza e l'inammissibilità delle numerose censure. Si evidenzia in particolare il difetto di specificità della doglianza della ricorrente relativa alla raggiunta prova della donazione effettuata dalla madre al figlio in costanza di matrimonio, circa l'asserita questione della vendita simulata delle azioni tra gli stessi, diretta a dissimulare, a suo dire, una donazione nulla per mancanza della forma dell'atto pubblico, e circa l'inammissibilità̀ delle prove testimoniali assunte in primo grado. La Corte, nelle ragioni della decisione, rileva quanto affermato nella sentenza impugnata. Specificamente, nella fattispecie dedotta in giudizio la ricorrente aveva assunto che, anche essendo ritenuta provata la donazione al marito da parte della madre, il solo fatto che il coniuge avesse depositato i titoli azionari nel conto cointestato, avrebbe comportato una donazione indiretta a suo favore. La Corte d'appello aveva escluso il raggiungimento della prova dell'esistenza dell'"animus donandi” al momento del versamento, prova cui era onerata la ricorrente per la validità della medesima e per poter qualificarla come tale, con apprezzamento ed esame, necessariamente rigoroso, di tutte le circostanze di fatto del singolo caso. A completamento dell'iter logico argomentativo riportato in motivazione, la Suprema Corte perviene alla considerazione della censura della ricorrente come istanza esplicantesi inammissibilmente in una«diversa valutazione delle risultanze istruttorie, trascurando in proposito la competenza esclusiva demandata al giudice di merito anche con riferimento alla sussistenza sia dei presupposti per il ricorso alle presunzioni sia dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione» (cfr. Cass. 4 maggio 2005 n. 9225).

Si ribadisce l'esigenza per la Corte, anche in forza della funzione essenzialmente nomofilattica che la contraddistingue, di conoscere i fatti di una causa solo nella misura in cui sia indispensabile per valutare i rimedi accordati dalla legge per motivare un ricorso davanti alla medesima e quando i fatti stessi risultino dagli atti già acquisiti nel procedimento nelle fasi precedenti del processo.

La questione

Il tema dell'ordinanza annotata attiene all'ambito di applicazione delle disposizioni di cui all'art. 1854 c.c. e art. 1298 c.c., in una fattispecie particolare riguardante un rapporto di conto corrente cointestato ai coniugi, ove, in generale, ai sensi di quest'ultima norma, le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente. La questione trattata riguarda specificamente l'ipotesi, verificatasi in pendenza di separazione della coppia, del prelievo dal conto da parte della moglie di somme, in ordine alle quali vi era stato il versamento, in precedenza, in maniera “fittizia” e per mera necessità del momento, del marito.

Le soluzioni giuridiche

La fattispecie si inquadra in un contesto normativo che attiene agli effetti della cointestazione tra più persone di un conto corrente bancario e di un conto deposito titoli, con facoltà̀ di compiere operazioni anche separatamente.

Il dato legislativo fornito dall'art. art. 1854 c.c. (Conto corrente intestato a più persone), prevede che “nel caso in cui il conto sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto.” Al riguardo, l'art. 1298 c.c., secondo comma, precisa che, nei rapporti interni tra i depositanti, le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente. Si osserva, in motivazione, come la presunzione circa l'eguaglianza delle quote di conto bancario cointestato rappresenti una presunzione legale juris tantum che dà luogo all'inversione dell'onere probatorio, ossia l'onere di fornire la prova contraria viene posto a carico della parte che deduce una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione medesima. La presunzione può̀ essere superata attraverso presunzioni semplici, purché́ gravi, precise e concordanti (al riguardo, si v. in giurisprudenza, proprio in tema di rapporti fra coniugi, Cass. 1° febbraio 2000, n. 1087, ove sulla base di fatti secondari è stata ritenuta provata l'appartenenza al marito delle somme depositate su un conto corrente cointestato ai coniugi).

La Suprema Corte rileva come, nella fattispecie, fosse stata dedotta in giudizio dal marito la proprietà̀ esclusiva dei titoli azionari, quali beni personali, frutto di donazione della propria madre, non entrati neppure nella comunione legale tra i coniugi; mentre la ricorrente assumeva che il solo fatto che il coniuge avesse depositato i suddetti titoli azionari nel conto cointestato avrebbe comportato una donazione indiretta a suo favore, per la validità della quale, non era richiesta la forma dell'atto pubblico, essendo sufficiente l'osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità. Qui in evidenza il richiamo a pronunce di legittimità, secondo cui “la possibilità che costituisca donazione indiretta la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, qualora la predetta somma, all'atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari, è legata all'apprezzamento dell'esistenza dell'“animus donandi” consistente nell'accertamento che, al momento della cointestazione, il proprietario del denaro non avesse altro scopo che quello di liberalità” (si v. Cass. civ. Sez. II, 12 novembre 2008, n. 26983, ove il riferimento anche a Cass. 10 aprile 1999, n. 3499; cfr. Cass., Sez. U., 27 luglio 2017, n. 18725; Cass. 22 settembre 2000, n. 12552). Con la consequenziale necessità di un esame rigoroso di tutte le circostanze del caso, nei limiti in cui risultino tempestivamente provate in giudizio da chi ne abbia interesse; nella specie, i giudici di merito avevano escluso il raggiungimento della prova dell'intento liberale, cui era onerata la ricorrente, avendo il coniuge affermato che il deposito dei titoli nel conto cointestato era stato «del tutto fittizio e discendente da mere ragioni di opportunità».

Nelle motivazioni, si rileva come, per la corte di merito, confermando la decisione di primo grado, sulla base delle risultanze istruttorie, il marito avesse dimostrato che la somma prelevata nelle more della separazione, era di sua proprietà̀ esclusiva in quanto proveniente integralmente dall'originaria donazione indiretta delle azioni effettuata dalla madre al figlio, rientrante nell'esclusione dalla comunione legale tra i coniugi di cui all'art. 179, comma 1, lett. b), c.c. (si v. al riguardo, Cass. civ. sez. I, 5 giugno 2013, n. 14197; Cass. civ. Sez. II, ord. 16 luglio 2021, n. 20336; per la necessità di una dichiarazione espressa del coniuge acquirente sulla provenienza dal patrimonio personale del bene e sulla sua esclusione dalla comunione, in riferimento all'art. art.179 comma 1 lett.f c.c., cfr. Cass. civ. sez. II, 5 maggio 2010, n. 10855, che ha limitato la necessità della dichiarazione nel caso in cui la provenienza del corrispettivo dell'acquisto dal patrimonio personale non risulti da circostanze oggettive; quanto all'art. 195 c.c., per il coniuge che rivendichi, al momento dello scioglimento della comunione, la metà dei beni ricevuti in donazione dall'altro coniuge, cui spetta dare la prova relativa, una prova libera, quindi anche una prova testimoniale o indiziaria, si v. Cass. civ. sez. I, 18 agosto 1994, n. 7437; Cass.civ. sez. III, 14 maggio 2003, n. 7372).

Osservazioni

La Suprema Corte perviene alla decisione della fattispecie sottoposta alla sua attenzione, con argomentazioni che si inseriscono all'interno degli orientamenti giurisprudenziali prevalenti e, per quel che può essere di interesse in questa sede, in un contesto di separazione tra coniugi. In precedenza, come sopra rilevato, si è avuto ad affermare che, nel conto corrente cointestato a più persone anche con facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, tutti i loro rapporti interni vengono disciplinati dall'art. 1298, comma 2, c.c., in base al quale i debiti e i crediti si suddividono in parti uguali, salvo che non risulti diversamente e non dall'art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca (al proposito, si v. Cass. 27 luglio 2022, n. 23403, in tema di successione ereditaria, secondo la quale, ove il saldo attivo del conto corrente risulti provenire dal versamento di un solo correntista va escluso che gli altri intestatari del conto corrente possano avanzare diritti sul predetto saldo).

A completamento, pare opportuno fare un breve cenno in ordine alla natura e alla valenza probatoria attribuibile al cd. fissato bollato, citato nell'ordinanza annotata come strumento per il trasferimento dei titoli azionari, in relazione all'infondatezza, rilevata nel provvedimento, delle censure della ricorrente riferite alla prova della donazione di detti beni mobiliari da parte della madre al figlio. L'excursus storico, riportato nella pronuncia, ne indica l'operatività e la richiesta, in passato, per i contratti di borsa, solo a fini fiscali, quale dichiarazione che le parti facevano al fisco in relazione ad atti a forma libera e per ottenere la liquidazione coattiva del rapporto in caso di inadempimento. Come evidenziato nell'ordinanza della Suprema Corte, la legge 2 gennaio 1991 n.1, “Disciplina dell'attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull'organizzazione dei mercati mobiliari”, ha introdotto l'obbligo della forma scritta per il conferimento dell'incarico ad operare sul mercato mobiliare. In precedenza, non era richiesta, per la valida stipulazione di un mandato a concludere un contratto di borsa, la forma scritta né «ad substantiam» né «ad probationem». Per orientamento giurisprudenziale, anche precedente, consolidato, tale documento, utile ai fini della ricostruzione del contenuto dell'operazione che le parti avevano inteso compiere, «sul piano civile è suscettibile di apprezzamento come elemento meramente indiziario, sicché́ non integra, di per sé, prova dell'avvenuto versamento del prezzo di vendita dei titoli» (Cass. civ., sez. II, 22 settembre 2014, n. 19912).In applicazione alla fattispecie, oggetto del provvedimento annotato, viene rilevato dai Giudici come dal fissato bollato relativo al trasferimento dei titoli azionari dalla madre al figlio, non potesse emergere la prova scritta di una compravendita o di un trasferimento a titolo oneroso, la cui valenza risultava suscettibile solo di apprezzamento «come elemento indiziario».

Trattasi di materia riguardante la gestione patrimoniale di titoli con rilevazione contabile, anche per il tramite di operazioni ora analiticamente documentate da “note di eseguito” (già “fissato bollato”; in generale, sul tema cfr. https://www.consob.it/web/investor-education/i-singoli-servizi-di-investimento).

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