La tutela giurisdizionale amministrativa e il precontenzioso ANAC nel nuovo Codice dei contratti pubblici

Marco Lipari
06 Giugno 2023

Il codice dei contratti pubblici contiene importanti novità sul versante della tutela giurisdizionale. Le modifiche si collegano alle innovazioni sostanziali in materia di conoscenza legale degli atti della procedura e mirano a risolvere la controversa questione della decorrenza del termine di proposizione del ricorso. Altre norme razionalizzano il funzionamento del processo davanti al giudice amministrativo e riformano l'istituto del precontenzioso davanti all'ANAC. In particolare, sono interamene riscritti gli articoli 120, 121 e 124 del CPA, riguardanti il rito speciale, l'inefficacia del contratto per gravi violazioni e la tutela risarcitoria. Nel suo complesso, la disciplina del sistema della tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo è migliorata. Permangono, però, alcune criticità, legate ai limiti della delega, che non prevede espressamente interventi sul processo, e alla opinabilità di alcune scelte del legislatore delegato.
1. Le nuove regole incidenti sulla tutela giurisdizionale amministrativa nel Codice n. 36/2023. Il problema dei limiti della delega legislativa

Il nuovo Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36), tra le tante positive novità, contiene numerose disposizioni che toccano, direttamente o indirettamente, il processo e la tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo.

In linea generalissima, è plausibile ritenere che il netto miglioramento della normativa sostanziale, resa decisamente più chiara, razionale e semplice, avrà un impatto effettivo sul versante del contenzioso, riducendo, a monte, le occasioni di lite e agevolandone la pronta soluzione.

Potrebbe essere sufficiente un esempio. La precisa tipizzazione delle ipotesi di illecito professionale, che comportano l'esclusione dei concorrenti dalle gare, stabilita dall'art. 98, è senz'altro idonea a limitare il potere di valutazione discrezionale assegnato alle stazioni appaltanti. Le determinazioni di ammissione o di esclusione degli offerenti, quindi, saranno molto meno opinabili, agevolando la verifica della loro legittimità, con drastica diminuzione della litigiosità.

Ferma restando questa notazione di fondo, è opportuno concentrare l'attenzione sulle disposizioni del codice espressamente dedicate al tema del contenzioso davanti al giudice amministrativo, preso in considerazione dal legislatore sotto diverse angolazioni.

Schematizzando, le disposizioni più rilevanti riguardano i seguenti distinti microsettori:

a) La riscrittura completa degli articoli 120, 121 e 124 del codice del processo amministrativo (art. 129), cui si collega la previsione dell'articolo 5;

b) La pubblicità (articoli 27 e seguenti), le comunicazioni (art. 90) relative agli atti della procedura (articoli 9 e ss), l'accesso e le modalità della tutela giurisdizionale concernenti la conoscibilità delle offerte (articoli 35 e 36), in relazione agli effetti che tali regole provocano sul processo;

c) I pareri di precontenzioso dell'ANAC (art. 220);

d) Il rapporto tra la pendenza del contenzioso e lo sviluppo sostanziale della procedura di affidamento (artt. 17-18);

e) La nullità e l'effetto di non apposizione delle le clausole che prevedono cause ulteriori di esclusione, non stabilite dal codice (art. 10);

f) Il regime transitorio.

In linea preliminare, va sciolto un nodo di fondo. La legge di delega n. 78/2022 omette qualsiasi specifico riferimento testuale al processo amministrativo, che non è considerato né nella definizione dell'oggetto, né nella formulazione dei criteri attuativi.

L'unico collegamento esplicito con i rimedi giurisdizionali è costituito dalla previsione contenuta nell'articolo 1, comma 2, lettera ll), che indica il seguente criterio puntuale:

ll) estensione e rafforzamento dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, anche in materia di esecuzione del contratto.

Il legislatore delegante, diversamente da quanto era avvenuto nel 2016, ha ritenuto non prioritario l'intervento sulle norme processuali, ritenute già sufficientemente adeguate alla disciplina europea e prive di significative criticità. Inoltre, il legislatore delegante non ha nemmeno considerato la necessità di trasferire nel codice, a regime, alcune, o tutte, le disposizioni processuali sperimentate nella fase emergenziale, che restano riferite soltanto a particolari contratti collegati all'attuazione del PNRR.

A stretto rigore, quindi, alla luce del testo della delega, non vi è alcuno spazio formale per modificare le vigenti regole processuali.

Resterebbe solo la possibilità – niente affatto marginale - di agire sulla disciplina dei rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale amministrativa (gli “ADR”). Infatti, il citato criterio della legge n. 78/2022 contiene l'importante precisazione secondo cui, attraverso l'attuazione della delega, è possibile estendere e rafforzare i rimedi alternativi al processo, anche per le controversie rientranti nella giurisdizione amministrativa.

Il legislatore delegato, tuttavia, ha dimostrato, al riguardo, una certa timidezza, evitando di percorrere, fino in fondo, la strada additata dal Parlamento. Il codice contempla soltanto poche modifiche del sistema di tutela precontenziosa dinanzi all'ANAC. In tale cornice è particolarmente emblematica la stessa scelta lessicale delle nuove norme codicistiche, le quali evitano accuratamente l'utilizzazione di espressioni che facciano riferimento alla tutela alternativa a quella giurisdizionale. I pareri dell'ANAC sono ancora inquadrati formalmente nella logica del precontenzioso.

Peraltro, come sarà chiarito infra, le decisioni dell'ANAC sembrano perdere, adesso la fisionomia di fasi eventuali, intermedie, nel procedimento di risoluzione delle controversie, per assumere i connotati di rimedi propriamente alternativi al processo giurisdizionale.

Il codice ha comunque ritenuta opportuna l'introduzione di diverse regole riguardanti proprio la tutela davanti al giudice amministrativo togato. Da qui scaturiscono gli interrogativi riguardanti la piena coerenza con delega.

In linea di massima, il potere di intervento del legislatore delegato è legittimamente estensibile, con le dovute cautele, ad alcuni, circoscritti, profili della disciplina di carattere processuale.

In quest'ambito si collocano, certamente, le norme che riguardano gli effetti del contenzioso sul procedimento sostanziale di affidamento.

Nessun dubbio, poi si pone in relazione alla legittimità delle disposizioni che regolano gli effetti sul processo delle comunicazioni e della pubblicità degli atti di gara.

Molto più problematica è la conformità alla delega delle disposizioni che:

- Modificano l'ambito applicativo dell'art. 120 del CPA, o altri aspetti del rito, non direttamente correlati alle disposte innovazioni sostanziali;

- Ampliano il perimetro oggettivo della giurisdizione amministrativa;

- Riformano la disciplina dell'azione risarcitoria per equivalente;

- Introducono il nuovo rito speciale in materia di accesso alle offerte (art. 36).

Per riconoscere la conformità alla delega di queste disposizioni si potrebbe sostenere che la legge n. 78/2022 ha, in fondo, un oggetto amplissimo, contemplando l'intero universo dei contratti pubblici. Se è carente un criterio specifico concernente la tutela giurisdizionale in senso stretto, non vi sarebbe, però, nemmeno un divieto assoluto di incidere su questi profili.

Non si dovrebbe dimenticare, del resto, che il criterio cardine della delega, consistente nel fedele adeguamento al diritto dell'Unione europea, costituisce la base per razionalizzare tutte le disposizioni legislative in materia di contratti pubblici, comprese quelle di natura processuale.

In ogni caso, alcuni degli interventi sul processo, racchiusi nel decreto n. 36/2023, hanno una funzione di semplice correzione formale del testo previgente, o perseguono una finalità meramente chiarificatrice, diretta a recepire indirizzi giurisprudenziali consolidati, o a sciogliere alcuni precedenti dubbi interpretativi.

In quest'ottica, allora, le modifiche delle regole processuali si potrebbero inscrivere nella logica di semplificazione, che caratterizza l'intero impianto normativo e vincola puntualmente l'esercizio della delega.

Il problema della compatibilità delle norme processuali con la legge di delega, tuttavia, resta aperto. Nei seguenti paragrafi si focalizzerà l'attenzione sui singoli punti più critici.

2. L'art. 129 del Codice n. 36/2023 e la riscrittura integrale del rito appalti contenuta negli articoli 120, 121 e 124 del CPA

Sia per l'aspetto qualitativo sia per quello quantitativo, l'intervento più corposo e importante riferito al processo amministrativo è contenuto nell'art. 129 del Codice n. 36/2023. L'articolo contempla la quasi integrale riscrittura del rito appalti, mediante la totale sostituzione degli articoli 120, 121 e 124 del codice del processo amministrativo.

La necessità di un'urgente modifica dell'art. 120 del CPA era da tempo evidenziata. Detta esigenza era puntualmente mirata ad un unico, rilevantissimo aspetto: la definizione, quanto più precisa, chiara e semplice, della decorrenza del termine di proposizione del ricorso di primo grado.

L'inizio del termine di ricorso, in coerenza con i principi generali del processo amministrativo, si connette, evidentemente, ai meccanismi di conoscibilità legale degli atti sostanziali della procedura di affidamento.

Pertanto, anche in assenza di un esplicito criterio di delega, è pacifico che il legislatore delegato abbia il potere di adeguare le disposizioni processuali strettamente connesse a quelle relativa alla pubblicità e alla comunicazione degli atti, destinate a definire il momento di decorrenza del termine di ricorso.

Anzi, nella ricordata logica della semplificazione, detto potere diviene un vero e proprio dovere, considerata l'ovvia esigenza di eliminare dall'art. 120 gli erronei rinvii alle vecchissime disposizioni del codice n. 163/2006.

Per contro, risulta problematico individuare una solida base giustificativa delle ulteriori modifiche apportate alla disciplina del processo, comprese quelle che potrebbero presentare una portata meramente ricognitiva del diritto vivente.

Ancora più forti sono i dubbi circa la rispondenza ai criteri di delega del nuovo rito specialissimo in materia di accesso, che pure completa il quadro delle regole riferite alla conoscenza degli atti di gara e alla decorrenza del termine di impugnazione.

3. La riformulazione integrale dell'art. 120: la conferma dell'impianto originario e i profili innovativi

L'articolo 209 del Codice n. 36/2023 prevede la totale riscrittura di ben tre articoli del codice del processo amministrativo, riguardanti il rito appalti: gli articoli 120, 121 e 124 (1).

La radicale riformulazione di uno o più articoli di legge è opportuna e necessaria quando si tratta di introdurre una disciplina completamente nuova.

La stessa tecnica risulta utile quando, pur non cambiando l'impostazione complessiva della disciplina, il nuovo articolo costituisce il risultato di un accurato drafting, diretto a correggere i riscontrati difetti del testo sostituito.

Al di fuori di queste ipotesi, la scelta della riscrittura integrale di disposizioni legislative deve essere attentamente ponderata, perché presenta qualche inconveniente.

- Può diventare molto faticosa l'individuazione delle modifiche recate dal nuovo articolo. Per scoprirle, occorre effettuare una disagevole lettura a fronte della vecchia e della nuova disposizione.

- La nuova numerazione dei commi dell'articolo, o la loro diversa dislocazione, richiede uno sforzo supplementare di attenzione (2).

- Le variazioni letterali del testo, anche se concepite come mere operazioni stilistiche, possono comportare, oggettivamente, l'insorgenza di nuove questioni ermeneutiche di non univoca soluzione.

Inoltre, proprio la scelta della completa riscrittura del rito speciale di cui all'art. 120 e delle regole contenute negli articoli 121 e 124, potrebbe acutizzare i dubbi circa la rispondenza alla legge delega. Questa sembrerebbe consentire solo interventi chirurgici, strettamente connessi alla modifiche sostanziali apportate alla disciplina. La sostituzione totale degli articoli, invece, si presenta come una riforma radicale, che richiederebbe una robusta base nella legge di delega.

La riscrittura ex novo dell'art. 120 non ne ha rivoluzionato l'impianto complessivo, ma le differenze letterali rispetto al vecchio testo sono numerose. Alcune di queste sono ben evidenziate nel “testo a fronte” elaborato dalla Commissione speciale, mentre altre sono più nascoste.

I) È rivisto, sotto più aspetti, l'ambito di applicazione del rito speciale.

II) Si impone l'obbligo (peraltro non sanzionato) della indicazione, negli atti di parte e del giudice, del codice identificativo di gara - CIG.

III) È ridisciplinata, ex novo, in relazione a molteplici profili, la decorrenza del termine di proposizione del ricorso.

IV) Si modifica la regola riguardante la disciplina del termine per la proposizione del ricorso incidentale.

V) È parzialmente riscritta la regola concernente la notifica del ricorso presso la sede reale dell'amministrazione statale.

VI) Si introducono alcune previsioni riguardanti i termini intermedi della fase decisoria.

VII) Si stabilisce l'esenzione del ricorso per motivi aggiunti dal pagamento del contributo unificato.

VIII) Si regola la durata delle misure cautelari subordinate a cauzione.

IX) Si cambia la disciplina riguardante le decisioni del giudice chiamato a pronunciarsi sulla domanda cautelare.

X) È soppressa la previsione del comma 10, secondo cui “Tutti gli atti di parte e i provvedimenti del giudice devono essere sintetici e la sentenza è redatta, ordinariamente, nelle forme di cui all'articolo 74.”;

XI) La numerazione dei commi è, inevitabilmente, modificata in modo significativo, così come la norma che individua i commi applicabili ai giudizi di impugnazione.

4. La ridefinizione dell'ambito applicativo del rito speciale di cui all'art. 120: le concessioni; i contratti disciplinati dal Codice n. 36/2023; gli atti dell'ANAC

Anzitutto, il nuovo comma 1 dell'art. 120 intende realizzare l'obiettivo di meglio definire il perimetro applicativo del rito speciale.

Il punto trattato è molto delicato, per due ragioni concorrenti.

Anzitutto, proprio in questo contesto emerge, con la massima criticità, il tema della coerenza con la legge di delega. È molto dubbio, infatti, che il codice possa allargare, o restringere, il campo di applicazione del rito speciale.

In secondo luogo, nel merito, alcune delle soluzioni indicate dal nuovo articolo 120 risultano opinabili.

La ridefinizione dell'ambito oggettivo del rito speciale riguarda:

- L'espressa estensione alle concessioni;

- Il collegamento – biunivoco – tra l'art. 120 e i soli affidamenti disciplinati dal Codice n. 36/2023 ;

- La sottoposizione al rito speciale di tutte le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti dell'ANAC, anche in assenza della congiunta impugnazione di atti delle procedure di affidamento.

La prevista estensione del rito speciale alle concessioni è certamente utile e persegue una funzione chiarificatrice e ricognitiva dell'assetto normativo vigente.

La formula prescelta dal legislatore, tuttavia, fa sorgere un dubbio interpretativo.

La disposizione considera “Gli atti delle procedure di affidamento e di concessione…”. Secondo l'art. 176 del Codice n. 36/2023 , peraltro, le concessioni sono contratti, che, al pari degli appalti, vengono aggiudicati all'esito di procedure di affidamento.

La dizione del nuovo art. 120 andrebbe intesa, ragionevolmente, come diretta a comprendere nel proprio ambito esclusivamente gli atti delle procedure di affidamento degli appalti e delle concessioni. La lettera della disposizione, invece, potrebbe leggersi nel senso che il rito speciale comprenda tutti gli atti comunque, riferiti alle concessioni, compresi quelli riguardanti fasi diverse dall'affidamento, estendendosi pure alle controversie sull'esecuzione.

Tale ultima opzione interpretativa, oltre a suscitare problemi di conformità alla delega, sembrerebbe comportare anche una inammissibile estensione della giurisdizione amministrativa alla fase esecutiva dei contratti di concessione.

Nella condivisibile prospettiva di riordino lessicale delle disposizioni processuali, sarebbe opportuno adeguare all'art. 120, così riscritto, anche la formulazione dell'art. 119, comma 1, lettera a), che non menziona le concessioni.

Resta fermo che, anche in mancanza dell'auspicato adeguamento testuale, l'art. 119 è applicabile, in via residuale, alle controversie riguardanti l'affidamento delle concessioni. Opera, infatti, l'art. 120, comma 3, secondo cui “Salvo quanto previsto dal presente articolo e dai successivi, si applica l'articolo 119”.

5. L'art. 120 del CPA su applica solo ai contratti disciplinati dal Codice n. 36/2023?

Il punto più importante – e critico - della riformulazione dell'articolo consiste nella puntuale nuova definizione dell'ambito applicativo del rito specialissimo di cui all'art. 120, incentrata sull'esplicito richiamo alle fonti regolatrici delle procedure di affidamento dei contratti pubblici.

Il perimetro dell'art. 120 è ora determinato mediante una dizione che istituisce una piena corrispondenza biunivoca tra il rito speciale regolato dall'art. 120 CPA e i soli contratti disciplinati dal Codice dei contratti pubblici n. 36/2023. Il punto va meglio chiarito.

A) Tutte le controversie riguardanti le procedure di affidamento dei contratti di cui al Codice n. 36/2023 ricadono, certamente, nel perimetro del rito speciale. Sotto questo primo aspetto, non vi è alcuna alterazione rispetto all'assetto previgente: è pacifico che le controversie relative all'affidamento dei contratti, disciplinati dal vecchio codice n. 50/2016, ricadono nel campo di applicazione dell'art. 120 CPA.

B) Ma, stando alla formula dell'art. 120, soltanto i contratti soggetti alla disciplina del Codice n. 36/2023 (e non altri) rientrano nel raggio di azione del rito specialissimo. Questa limitazione oggettiva della portata del rito speciale rappresenta una significativa novità.

È molto dubbio che questa innovativa restrizione dell'ambito applicativo del rito speciale sia consentita dalla legge di delega. Nel merito, poi, non si comprende l'utilità di questa scelta, che pare in contrasto con la finalità di semplificazione e omogeneità delle regole processuali.

La questione riguarda l'individuazione del regime processuale delle controversie riguardanti i contratti “esclusi” dal Codice n. 36/2023 e di quelli tuttora disciplinati da norme speciali extracodicistiche.

Dette liti restano assoggettate alla sola disciplina prevista dall'art. 119 del CPA, in virtù della previsione di cui al comma 1, lettera a), che comprende, indistintamente, tutte le controversie relative ai “provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture” e non soltanto quelle disciplinate dal codice dei contratti pubblici.

L'introduzione di questo innovativo doppio binario processuale, potrebbe essere giustificata in base a due argomenti.

A) La maggior parte delle regole specifiche dell'art. 120 del CPA richiamano espressamente, o presuppongono logicamente, proprio le disposizioni sostanziali del codice dei contratti: basterebbe indicare la disciplina sulla decorrenza del termine di ricorso.

B) L'esigenza di massima velocizzazione del processo, che caratterizza il rito di cui all'art. 120 CPA, riguarda soltanto i contratti rientranti nell'ambito sostanziale del nuovo codice (3).

Non sembra, tuttavia, che i menzionati argomenti siano idonei a giustificare la scelta legislativa. Del resto, finora, l'applicazione del rito di cui all'art. 120 a tutte le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture non ha creato particolari problemi.

La prevista riscrittura della sfera oggettiva di applicazione del rito speciale può comportare ulteriori criticità.

Emerge, intanto, la persistente asimmetria testuale dell'art. 120, rispetto alla previsione di cui all'art. 133, lettera e), numero 1, la quale definisce la giurisdizione esclusiva sulle controversie in materia di contratti pubblici con una dizione molto più ampia, per giunta diversa da quella contenuta nell'articolo 119: “Le controversie relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell'aggiudicazione ed alle sanzioni alternative”. Non si intravedono serie ragioni per mantenere ancora questo disallineamento lessicale, che produce inevitabili incertezze applicative.

Sotto l'aspetto formale, poi, la rubrica dell'art. 120, rimasta immodificata nonostante la radicale riformulazione letterale della disposizione, presenta un vistoso difetto di coordinamento, che si aggiunge al già segnalato mancato adeguamento all'inclusione delle concessioni nel perimento applicativo del rito speciale.

La rubrica dell'articolo 120 è stata riscritta mantenendo la censurabile tecnica del “rinvio muto” al precedente art. 119, comma 1, lettera a).

Si tratta di una modalità espressiva delle disposizioni legislative ripetutamente stigmatizzata, alla luce dei consolidati criteri della migliore regolamentazione formale, stabiliti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Poteva essere questa l'occasione buona per compiere l'opportuno miglioramento lessicale della rubrica, mediante il più congruo e comprensibile riferimento esplicito all'oggetto specifico dell'articolo: le controversie soggette al rito speciale.

Tale persistente e inelegante rinvio muto, peraltro, non solo è criticabile sotto l'aspetto formale, ma continua ad essere oggettivamente impreciso.

Infatti, l'articolo 119, comma 1, lettera a), in seguito alle modifiche poste dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145, contempla anche, sorprendentemente, la controversie riguardanti i provvedimenti di ammissione ed esclusione dalle competizioni professionistiche.

L'articolo 120, invece, disciplina non tutte le controversie contemplate dall'articolo 119, comma 1, lettera a), ma solo quelle riguardanti l'affidamento dei contratti pubblici.

Inoltre, il richiamo muto all'art. 119, comma 1, lettera a), comporta un altro rilevante elemento di confusione.

L'isolata rubrica del nuovo art. 120, invero, potrebbe indurre a ritenere che tutte le controversie in materia di affidamento dei contratti di lavori pubblici, servizi e forniture, contemplate dall'art. 119, comma 1, lettera a) siano tuttora soggette al rito specialissimo di cui all'art. 120.

Questa era, in effetti, la situazione esistente prima dell'entrata in vigore del Codice n. 36/2023. Ma, come si è visto, ora il comma 1 dell'art. 120 limita la portata applicativa della disposizione ai soli contratti disciplinati dal Codice n. 36/2023 e non si riferisce più a tutti i contratti menzionati dall'art. 119, comma 1, lettera a).

Va ricordato, ancora, come già anticipato, che il persistente rinvio muto non sembra tenere conto della necessità di includere nell'art. 119 il riferimento alle concessioni.

6. L'impugnazione autonoma e isolata dei provvedimenti dell'ANAC

Le ulteriori innovazioni riguardanti il perimetro applicativo dell'art. 120 suscitano minori problemi interpretativi.

Molto importante è, in tal senso, la modifica della norma secondo cui tutti i provvedimenti dell'ANAC, purché riferiti al settore dei contratti pubblici, sono adesso impugnabili con il rito di cui all'art. 120 CPA, anche indipendentemente dalla contestuale impugnazione di altri connessi provvedimenti della procedura di affidamento.

La precedente dizione dell'art. 120, infatti, induceva a ritenere che l'impugnazione isolata di un provvedimento dell'ANAC fosse soggetta alla sola disciplina dell'art. 119, ma non a quella dell'art. 120.

Solo per l'impugnazione dei pareri di precontenzioso il codice n. 50/2016 stabiliva espressamente l'assoggettamento al rito di cui all'art. 120.

Ora, la norma è inequivoca nello stabilire che tutti i provvedimenti dell'ANAC, in quanto riferiti alla materia dei contratti pubblici, sono sempre soggetti al rito di cui all'art. 120, anche se non impugnati contestualmente ad atti connessi della procedura di affidamento.

Ciò consente di affermare che anche i pareri di precontenzioso di cui al nuovo art. 220 siano ora impugnabili con questo rito, ancorché la nuova disciplina introdotta dal Codice n. 36/2023 abbia fatto cadere, forse con troppa fretta, l'espresso rinvio all'art. 120, contenuto della previgente disciplina.

In questo caso, l'innovazione è diretta a semplificare le regole processuali, eliminando l'ingiustificata disparità di trattamento processuale derivante dalla circostanza che l'atto dell'ANAC sia impugnato isolatamente o congiuntamente ad altro atto.

Ciò dovrebbe consentire di sciogliere ogni dubbio circa la conformità dell'innovazione ai criteri di delega.

7. L'obbligatoria indicazione del CIG - codice identificativo di gara negli atti di parte e del giudice. Le conseguenze dell'omissione

Merita di essere segnalata anche la previsione riguardante l'obbligo di indicare in tutti gli atti di parte e del giudice il CIG (codice identificativo di gara).

L'utilità della prescrizione è indubitabile, ancorché non sia prevista alcuna conseguenza derivante dalla omissione, né per le parti, né per il giudice.

La possibilità di integrare gli atti del giudice con il procedimento di correzione è un senz'altro un rimedio opportuno, ma forse ancora insufficiente. Né sembra legittimo ipotizzare, che, in mancanza di norme ad hoc, il giudice possa tenere conto dell'omissione realizzata dalla parte nell'ambito della decisione relativa alle spese di lite.

È però plausibile ritenere che l'effettiva applicazione della regola possa essere assicurata, in concreto, mediante adeguati accorgimenti tecnici del processo telematico.

8. La nuova complessa regolamentazione della decorrenza del termine di proposizione del ricorso. La correlazione con la disciplina della pubblicità e accessibilità degli atti e con le norme sulle comunicazioni

La nuova formulazione dell'art. 120 del CPA intende sciogliere, con la massima precisione l'intricato nodo della decorrenza del termine di notificazione del ricorso introduttivo.

La questione è di notevole complessità, come ben evidenziato dalla pronuncia dell'Adunanza Plenaria 2 luglio 2020 n. 12, la quale, dopo avere accuratamente ricostruito l'evoluzione della disciplina e della giurisprudenza in materia, ha cercato di fare chiarezza sul punto.

Si tratta, infatti, di conciliare due esigenze potenzialmente conflittuali:

a) Accertare, nel più breve tempo possibile, se il provvedimento è diventato inoppugnabile o ha formato oggetto di ricorso;

b) Assicurare la pienezza del diritto di difesa degli operatori economici;

Il migliore equilibrio tra le due contrapposte esigenze può ottenersi mediante un sistema che offra agli interessati la possibilità di conoscere agevolmente e rapidamente tutti gli atti della procedura.

Il nuovo codice ha agito decisamente in questa direzione, rivedendo nel dettaglio le regole in materia di pubblicità, accesso agli atti e comunicazioni.

Il disegno normativo, chiarissimo nel suo insieme, presenta ancora un certo grado di complessità e, forse, non risulta del tutto idoneo a risolvere definitivamente i problemi applicativi.

A parte alcuni interrogativi riguardanti il regime transitorio, che saranno approfonditi infra, le maggiori criticità emergenti dalla nuova normativa sono le seguenti.

A) Non è del tutto chiaro il rapporto tra le comunicazioni agli operatori economici, cui è obbligata la stazione appaltante, e la disponibilità telematica dei documenti di gara, con particolare riguardo alle ipotesi in cui il caricamento degli atti sulla piattaforma informatica sia incompleto o avvenga in ritardo.

B) Risultano incerte le conseguenze derivanti dalla soppressione dell'espresso riferimento alla “conoscenza effettiva”, quale presupposto alternativo alla conoscibilità legale degli atti, comunque idoneo a determinare la decorrenza del termine di ricorso.

C) Non risulta individuata con sufficiente precisione la decorrenza del termine di ricorso In presenza di provvedimenti di secretazione delle offerte o di mancata disponibilità in favore dei concorrenti classificati oltre il quinto posto.

D) Non è adeguatamente chiarita la decorrenza del termine di proposizione del ricorso incidentale.

L'art. 120, comma 2, secondo periodo, prevede, anzitutto che “il termine decorre, per il ricorso principale e per i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all'articolo 90 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo di attuazione della legge n. 78 del 2022 oppure dal momento in cui gli atti sono messi a disposizione ai sensi dell'articolo 36, commi 1 e 2, del medesimo codice dei contratti pubblici.”

Nella sua prima parte, tale dizione intende individuare un'ipotesi puntuale di conoscibilità legale certa, correttamente ancorata alla nuova regolamentazione sostanziale delle comunicazioni, disciplinate nel dettaglio dall'art. 90 (Informazione ai candidati e agli offerenti).

L'articolo indica, con precisione:

I) Gli atti soggetti a comunicazione;

II) I destinatari;

III) Le modalità informatiche di adempimento dell'obbligo;

IV) Il termine di effettuazione, stabilito in cinque giorni dall'adozione degli atti soggetti a comunicazione;

V) Il contenuto.

9. La decorrenza del termine e la “messa a disposizione degli atti”

Il puntuale collegamento dell'inizio del termine di ricorso con la comunicazione ex art. 90, potrebbe risolvere, definitivamente, in modo univoco e chiaro, la questione della decorrenza.

Si tratterebbe solo di delineare meglio in quali casi la comunicazione, pur materialmente eseguita, non è idonea determinare la decorrenza, a causa della sua irregolarità o incompletezza.

Tuttavia, l'art. 120 del CPA aggiunge, accanto al riferimento alla comunicazione di cui all'art. 90, la previsione secondo cui il termine decorre “oppure dal momento in cui gli atti sono messi a disposizione ai sensi dell'articolo 36, commi 1 e 2, del medesimo codice.

Il disegno legislativo, quindi, si complica mediante il riferimento, alternativo, alla conoscibilità degli atti, derivante dall'attuazione del richiamato art. 36, il quale stabilisce quanto segue.

1. L'offerta dell'operatore economico risultato aggiudicatario, i verbali di gara e gli atti, i dati e le informazioni presupposti all'aggiudicazione sono resi disponibili, attraverso la piattaforma di approvvigionamento digitale di cui all'articolo 25 utilizzata dalla stazione appaltante o dall'ente concedente, a tutti i candidati e offerenti non definitivamente esclusi contestualmente alla comunicazione digitale dell'aggiudicazione ai sensi dell'articolo 90.

2. Agli operatori economici collocatisi nei primi cinque posti in graduatoria sono resi reciprocamente disponibili, attraverso la stessa piattaforma, gli atti di cui al comma 1, nonché le offerte dagli stessi presentate.”

In questo quadro, occorre allora interrogarsi sul significato della formula contenuta nell'art. 120, con particolare riguardo alla previsione secondo cui la decorrenza è correlata, alternativamente e disgiuntamente, alla comunicazione ex art. 90 e alla messa a disposizione degli atti ex art. 36.

La dizione legislativa sembra trascurare che, a stretto rigore, la comunicazione di cui all'art. 90 e la “messa disposizione” degli atti di cui all'art. 36 dovrebbero essere contestuali.

Sicché, per rendere coerente il sistema, la decorrenza avrebbe dovuto essere riferita, congiuntamente e cumulativamente, alla comunicazione, purché accompagnata dalla messa a disposizione degli atti.

A fronte della diversa formula lessicale adottata dall'art. 120, quindi, si tratta di stabilire come vada identificata, in concreto, la decorrenza del termine.

Schematicamente, potrebbero verificarsi tre differenti situazioni.

- A) La stazione appaltante rispetta correttamente entrambi gli articoli 90 e 36, provvedendo alla regolare e puntuale comunicazione e alla contestuale messa a disposizione integrale degli atti della procedura;

- B) La stazione appaltante effettua esattamente la comunicazione ex art. 90, ma omette o ritarda la messa a disposizione degli atti ai sensi dell'art. 36;

- C) La stazione appaltante non esegue regolarmente la comunicazione prevista dall'art. 90, ma, ciò nonostante, provvede alla corretta messa disposizione degli atti ex art. 36.

Nell'ipotesi A) non sembrano esserci problemi applicativi. Il termine per la proposizione del ricorso inizia senz'altro a decorrere a partire dal momento in cui risulta realizzato il contestuale adempimento dei due obblighi gravanti sulla stazione appaltante.

Nell'ipotesi di cui alla lettera B), la lettera dell'art. 120 induce a ritenere che la comunicazione sia idonea, comunque, a determinare la decorrenza del termine, benché gli atti della procedura non siano stati ancora resi disponibili.

Questo esito, però, si pone in frontale conflitto con i principi della giurisprudenza comunitaria e con quanto statuito dall'Adunanza Plenaria.

È allora inevitabile una lettura teleologica della norma. Pertanto, nonostante l'intervenuta comunicazione di cui all'art. 90, il termine per la proposizione del ricorso non può decorrere, fino a quando l'amministrazione non abbia puntualmente messo a disposizione tutti gli atti di gara in conformità a quanto prescritto dall'art. 36. A tele conclusione si perviene osservando che lo stesso articolo 90 prevede che la comunicazione debba indicare le modalità di accesso agli atti resi disponibili. In assenza di tale effettiva disponibilità, la comunicazione deve reputarsi incompleta e inidonea a determinare l'effetto tipico di inizio della decorrenza.

Ancora più problematica è l'ipotesi di cui alla lettera C). La formula testuale della disposizione dovrebbe intendersi nel senso che, in assenza della prescritta comunicazione, anche la sola messa a disposizione degli atti, determinandone comunque la conoscibilità legale, comporta l'inizio della decorrenza del termine di ricorso.

Anche questo esito non convince. Il “caricamento” degli atti nella piattaforma informatica consente all'operatore economico l'immediato accesso. Tuttavia, fino a quando non è effettuata la formale comunicazione dell'atto, la sua conoscibilità è solo potenziale. Né si può pretendere che l'operatore controlli costantemente il contenuto della piattaforma stessa e il suo eventuale aggiornamento.

Potrebbe accadere, peraltro, che, indipendentemente dalla esistenza, o meno, di un onere di controllo sui contenuti della piattaforma informatica, sia dimostrato che l'operatore economico abbia concretamente effettuato un accesso, acquisendo contezza degli atti caricati dalla stazione appaltante.

Potrebbe accadere, inoltre, che l'operatore economico “prelevi” direttamente il documento informatico caricato sulla piattaforma.

Tali eventualità pongono in rilievo una questione ulteriore, riguardante la possibile rilevanza della conoscenza effettiva degli atti, ai fini della decorrenza del termine di ricorso, in mancanza di formale comunicazione.

10. La soppressione del testuale riferimento alla “conoscenza effettiva” come fatto idoneo a determinare la decorrenza del termine di ricorso

La nuova formulazione dell'art. 120, infatti, apre un problema interpretativo più generale (e forse più grave), collegato alla intervenuta soppressione dell'inciso (contenuto nella precedente versione dell'articolo), secondo cui, “in ogni altro caso”, il termine per la proposizione del ricorso decorre dalla “conoscenza dell'atto”.

La relazione di accompagnamento al Codice n. 36/2023 nulla spiega in ordine alla effettiva portata della variazione testuale, destinata ad assumere un rilevantissimo impatto pratico.

Essa potrebbe assumere due significati antitetici.

- Per una prima tesi, si tratta di una modifica sostanziale, diretta a semplificare la soluzione della questione della decorrenza. Ora, soltanto la comunicazione ex art. 90, oppure la “messa a disposizione” degli atti ex art. 36 (sia pure con le ricordate criticità) possono comportare l'inizio della decorrenza del termine. Non vi è più spazio per fatti equipollenti, come la conoscenza effettiva dell'atto.

- Per una seconda opinione la soppressione dell'inciso costituisce un mero alleggerimento formale dell'art. 120, destinato ad eliminare l'inutile richiamo ad una regola generale, comunque applicabile in virtù della regola del rinvio interno.

È molto probabile che l'intenzione del legislatore delegato sia stata quella di definire con chiarezza la questione della decorrenza del termine, eliminando una cospicua fetta di contenzioso riguardante la verifica di tempestività del ricorso svolta accertando la sussistenza, o meno della conoscenza effettiva degli atti. Si pensi alla lunga diatriba sulla rilevanza della partecipazione dei rappresentanti delle imprese alle sedute del seggio di gara, ai fini della conoscenza dei provvedimenti e della correlata decorrenza dei termini di ricorso.

Non è scontato, però, che l'interpretazione della giurisprudenza condurrà a questo risultato, che avrebbe potuto essere raggiunto, con certezza, soltanto attraverso la previsione esplicita della irrilevanza della conoscenza effettiva.

Al riguardo, è utile ricordare l'evoluzione normativa che aveva portato alla previgente formulazione dell'art. 120.

Il decreto legislativo n. 53/2010, modificando il codice n. 163/2010, aveva disciplinato, a suo tempo, la decorrenza del termine di ricorso, ancorandola testualmente alla sola comunicazione, senza prevedere espressamente la salvezza della conoscenza effettiva.

Secondo la giurisprudenza, tuttavia, la regola della conoscenza effettiva assumeva, comunque e sempre, portata generale, trovando applicazione anche nel rito speciale introdotto dal decreto legislativo n. 53/2010.

Pertanto, alla luce del diritto vivente, il codice del processo amministrativo aveva ritenuto di esplicitare che anche nel rito speciale ex art. 120 opera la regola generale che attribuisce rilievo alla conoscenza effettiva (4).

Ora la nuova formulazione dell'art. 120 ripropone una problematica del tutto analoga a quella riguardante la disciplina di cui al citato decreto legislativo n. 53/2010.

Non è pronosticabile quale soluzione interpretativa risulterà alla fine prevalente, ma è molto probabile che, anche in sede giurisprudenziale, emergeranno i contrasti.

11. La decorrenza del termine di ricorso in presenza di atti secretati, ai sensi dell'art. 35 del Codice n. 36/2023. L'incompleto coordinamento con l'art. 120 e la previsione dell'art. 36, comma 9

Va poi precisato che, per complicare il quadro, la decorrenza di cui all'art. 120 del CPA resta ferma anche nel caso in cui siano stati secretati i documenti allegati alle offerte, per ragioni di riservatezza. Ciò è esplicitamente stabilito dall'art. 36, comma 9, del Codice n. 36/2023, in riferimento all'accesso ai documenti: “9. Il termine di impugnazione dell'aggiudicazione e dell'ammissione e valutazione delle offerte diverse da quella aggiudicataria decorre comunque dalla comunicazione di cui all'articolo 90.

La dislocazione di tale ultima importantissima previsione in una fonte diversa dall'art. 120 del CPA avrebbe dovuto essere certamente evitata, per consentire un migliore coordinamento sistematico tra le diverse regole sostanziali e processuali.

Quanto meno, sarebbe stato necessario prevedere, all'interno dell'art. 120, un preciso rinvio alla disciplina dell'accesso, come disciplinato dagli articoli 35 e 36. Infatti, tale complessa regolamentazione appare finalizzata proprio allo scopo di definire con precisione il momento di decorrenza del termine di proposizione del ricorso.

Il problema più grave posto dall'art. 36, comma 9, peraltro, non riguarda tanto la sua discutibile e infelice collocazione formale, quanto, piuttosto, il suo contenuto.

La disposizione, infatti, è destinata ad assumere effetti dirompenti sulla complessiva disciplina della decorrenza del termine di ricorso, ponendo seri interrogativi in relazione alla sua compatibilità con il diritto di difesa della parte interessata.

È noto che una fetta non marginale del contenzioso ruota intorno ai contenuti dell'offerta dell'aggiudicatario e può investire proprio i profili riservati di tale offerta. Si pensi al caso frequente delle controversie riguardanti il giudizio di non anomalia dell'offerta dell'aggiudicatario, giudizio basato su giustificazioni espressamente collegate a componenti secretate dell'offerta stessa.

Il codice affronta questo complesso argomento, dettando una disciplina molto analitica, incentrata sui seguenti principi.

- È definito un criterio generale di larga accessibilità agli atti di gara, con riferimento anche all'accesso civico;

- È confermata la regola del differimento dell'accesso alle offerte;

- È confermata anche la previsione secondo cui non sono accessibili le componenti riservate delle offerte, fermo restando il diritto di accesso finalizzato alla tutela in giudizio;

- È introdotta la regola secondo cui la conoscibilità reciproca delle offerte, mediante il caricamento nella piattaforma informatica, è però soggettivamente circoscritta ai soli primi cinque graduati all'esito della gara;

- È stabilita la nuova regola secondo cui il provvedimento di “secretazione” delle offerte è soggetto all'onere di impugnazione da parte del soggetto interessato, mediante un apposito inedito rito accelerato:

- È però affermato che la pendenza del termine per il ricorso in materia di accesso e la pendenza del relativo giudizio non incidono mai sulla decorrenza del termine di ricorso avverso l'aggiudicazione, che resta ancorato alla comunicazione, come stabilito dal citato articolo 36, comma 9.

In altre parole, nelle ipotesi dei documenti secretati correlati alle offerte, l'interessato che intenda conoscerli, per valutare l'opportunità della proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l'aggiudicazione, ha a disposizione unicamente lo strumento del rito specialissimo in materia di accesso di cui all'art. 36.

Si trova, quindi, in una posizione molto svantaggiata, perché può vantare una pretesa all'accesso attivabile solo con lo strumento processuale, soggetto, peraltro, al brevissimo termine decadenziale di dieci giorni (vedi infra).

L'attivazione di tale giudizio, già di per sé gravosa, però, non ha alcun effetto sospensivo sul termine di proposizione del ricorso contro l'aggiudicazione, che decorre comunque dalla comunicazione, come chiarito dal citato articolo 36, comma 9. L'intervenuta conoscenza successiva dei documenti secretati, eventualmente ottenuta all'esito del giudizio, potrebbe determinare, tutt'al più, il presupposto per la valida proposizione di motivi aggiunti.

Il sistema legislativo così delineato è piuttosto complicato e non mancherà di alimentare discussioni.

Ad una prima sommaria valutazione, si deve ritenere che il legislatore, nella problematica composizione tra i diversi interessi in gioco, abbia accordato netta prevalenza all'esigenza di certa e rapida definizione del contenzioso, sacrificando le contrapposte ragioni di difesa.

Tale ratio è ben scolpita dalla disciplina racchiusa nell'art. 36, comma 9, che prevede la normale decorrenza del breve termine di ricorso contro l'aggiudicazione, anche in un'ipotesi nella quale è evidente l'incompletezza della conoscenza essenziale degli atti di gara, incompletezza riferibile proprio al nucleo centrale delle censure proponibili dall'interessato.

Per altro verso, la disciplina legislativa, per realizzare il divisato scopo dell'accelerazione, è vistosamente sbilanciata a favore dell'operatore economico (aggiudicatario) che faccia valere il proprio interesse alla riservatezza industriale e commerciale, a scapito delle contrapposte ragioni dell'impresa che vanti la pretesa alla trasparenza.

Per superare le indicate criticità potrebbero essere presi in considerazione alcuni correttivi alla disciplina introdotta dal codice.

I) Nel caso in cui il concorrente abbia proposto il ricorso per l'accesso, di cui all'articolo 36, il termine per il ricorso avverso l'aggiudicazione dovrebbe essere opportunamente sospeso, almeno fino alla decisione di primo grado. Coerentemente, la decorrenza del termine per la proposizione del ricorso andrebbe differito di dieci giorni, beninteso, nei soli casi in cui l'offerta dell'aggiudicatario sia stata secretata.

II) In una prospettiva più generale, andrebbe meglio delineato l'ambito in cui è lecita la secretazione, stabilendo con chiarezza che essa cede comunque il passo all'accesso, senza necessità di promuovere un giudizio, quando i documenti prodotti sono stati valutati dalla stazione appaltante ai fini dell'ammissione dell'offerta o dell'attribuzione del punteggio.

Per meglio comprendere la portata della regola relativa alla decorrenza del termine di ricorso avverso l'aggiudicazione è comunque opportuno rinviare all'analisi della complessa disciplina riguardante la conoscibilità delle offerte dei concorrenti, insieme alle modalità procedimentali e processuali attraverso cui è esercitabile il diritto di accesso (vedi infra, paragrafi 24-31).

12. La decorrenza del termine di notifica del ricorso nel caso di omessa pubblicità del bando. Gli affidamenti in house

Anche il nuovo comma 3 dell'art. 120, è utilmente migliorato, sia sul piano formale che su quello contenutistico.

La norma regola la decorrenza del termine di notificazione del ricorso nelle ipotesi di omessa pubblicità del bando.

Le modifiche testuali riguardano:

- L'esplicito riferimento ai casi di affidamento in house, che, ovviamente, prescindono dalla esistenza di un bando;

- La previsione secondo cui va precisato, nell'avviso di aggiudicazione, l'indicazione del sito ove sono visionabili gli atti e i documenti presupposti.

A tale riguardo si deve ritenere che l'omissione di tale adempimento impedisce la decorrenza del termine, poiché non opera la previsione dell'art. 90, riguardante i destinatari delle comunicazioni.

13. La decorrenza del termine per la notificazione del ricorso incidentale: che cosa cambia?

Qualche interrogativo potrebbe riguardare la precisa decorrenza del termine di proposizione del ricorso incidentale, alla luce della modifica normativa ora introdotta dal legislatore delegato.

La nuova formulazione dell'art. 120, infatti, mantiene, sì, il corretto rinvio alla disciplina generale dell'art. 42 del CPA, ma, senza una chiara ragione, elimina il riferimento specifico, contenuto nella versione precedente, alla decorrenza.

Si potrebbe ragionevolmente ritenere, tuttavia, che l'innovazione sia meramente esteriore, appartenendo al novero delle operazioni stilistiche. Questa soluzione sembrerebbe preferibile. Resterebbe pertanto confermata la precedente disciplina, per cui il termine (dimezzato) per la notifica del ricorso incidentale decorre, in ogni caso, dalla notifica del ricorso principale, senza alcun rilievo della concreta “messa a disposizione degli atti” della procedura o del perfezionamento della comunicazione di cui all'art. 90.

Restano, però, due dubbi.

Anzitutto, ci potrebbe chiedere se, nel contesto della nuova disciplina, diretta a favorire la più intensa protezione del diritto di difesa delle parti, possa ritenersi giustificata l'ipotizzata differenza di trattamento del ricorso principale e del ricorso incidentale.

Mentre il ricorrente principale potrebbe attendere il verificarsi degli eventi che rappresentano il necessario presupposto per l'esercizio del suo diritto di difesa (segnatamente, la piena disponibilità degli atti della procedura), il ricorrente incidentale è invece inesorabilmente soggetto alla diversa decorrenza collegata, oggettivamente, alla notifica del ricorso principale.

In secondo luogo, resta aperta la questione generale relativa alla possibilità di differire la decorrenza del termine di notifica del ricorso incidentale, in relazione alle censure la cui concreta proponibilità derivi dalla sopravvenuta conoscenza di atti.

Si noti che questo secondo tema assume ulteriori criticità in relazione al ricorso incidentale con cui la parte intenda articolare censure relative ai profili dell'offerta del ricorrente, documentati in atti “secretati”, ai sensi dell'art. 36.

Come sarà meglio illustrato infra, l'articolo 37 prevede che il ricorso contro la secretazione vada proposto entro dieci giorni, decorrenti, sempre, dall'aggiudicazione.

Ma tale previsione di un termine decadenziale ancorato all'aggiudicazione potrebbe avere senso e giustificazione soltanto quando l'operatore economico, non vincitore della gara, miri ad ottenere piena conoscenza della documentazione, secretata, prodotta dall'aggiudicatario. Non si comprende invece, perché anche l'aggiudicatario stesso abbia l'onere di proporre il ricorso accelerato per l'accesso alle offerte classificate dopo di lui, quando, non avendo ricevuto la notifica di alcun ricorso principale, evidentemente, non potrebbe avere alcun interesse a conoscere le parti riservate delle offerte degli altri operatori economici, sobbarcandosi i costi e gli oneri di un ricorso giurisdizionale.

È allora aperta una diversa opzione interpretativa, secondo cui, anche per il ricorso incidentale, il decorso del termine inizia, sì dalla notifica del principale, ma resta sempre subordinato anche alla sussistenza delle condizioni di cui al comma 2.

In tal senso, allora, potrebbe riconoscersi portata innovativa e non meramente formale alla modifica consistente nella soppressione del riferimento alla decorrenza. Questa, infatti, dovrebbe essere regolata anche dall'art. 120 e non già da solo art. 42.

Tuttavia, anche questa opzione ermeneutica, per quanto praticabile, non riuscirebbe a spiegare l'utilità dell'espresso richiamo all'art. 42, che, ovviamente, andrebbe in ogni caso applicato anche al rito speciale, in virtù della regola generale del rinvio interno previsto dal CPA.

Per quanto riguarda, poi, il rito superspeciale in materia di accesso, un'interpretazione sistematica ragionevole, rispettosa del principio di effettività della tutela giurisdizionale, dovrebbe condurre alla conclusione secondo cui per l'aggiudicatario il termine di dieci giorni previsto dall'art. 36 decorre dalla notifica del ricorso contro l'aggiudicazione.

A complicare il quadro si pone, in ogni caso, la già citata previsione di cui all'art. 36, comma 9, che sembra andare in una direzione ancora diversa, stabilendo che “Il termine di impugnazione dell'aggiudicazione e dell'ammissione e valutazione delle offerte diverse da quella aggiudicataria decorre comunque dalla comunicazione di cui all'articolo 90”.

Nella generalità dei casi, l'interesse concreto all'impugnazione dell'ammissione di offerte diverse da quelle dell'aggiudicatario, potrebbe essere ravvisato proprio in capo all'aggiudicatario stesso, destinatario di un ricorso principale per l'annullamento dell'atto di affidamento del contratto.

Da qui potrebbe sorgere il dubbio che l'articolo 36, comma 9, per la sua formulazione letterale, incida, indirettamente, anche sul termine di proposizione del ricorso incidentale, stabilendo che esso decorra, comunque, dalla comunicazione di cui all'art. 90, se diretto a contestare la legittimità dell'ammissione alla gara del ricorrente.

Evidentemente, però, l'imprecisa dizione legislativa dovrebbe essere intesa nel senso che essa riguarda solo la disciplina del ricorso principale, mentre, per il ricorso incidentale vale, ancora, la disciplina già illustrata.

14. La notifica del ricorso alla sede reale della stazione appaltante

Il nuovo comma 4 dell'art. 120 riformula anche la disciplina della notifica alla sede reale della stazione appaltante difesa dall'Avvocatura dello Stato, apportando due modifiche.

a) La disposizione ora include, opportunamente, anche l'ipotesi della notifica all'ente concedente. Si tratta di una integrazione in linea con l'affermata precisazione del perimetro applicativo del rito speciale, riferito anche alle concessioni.

b) Nella nuova norma scompare la previsione secondo cui l'onere di notifica alla sede reale riguarda la sola ipotesi di impugnazione dell'aggiudicazione definitiva.

Tuttavia, poiché rimane inalterata, evidentemente, la finalizzazione di tale notifica alla operatività della sospensione obbligatoria della stipulazione, la portata della norma è, nella sua sostanza, immutata.

15. La fase decisoria del rito ex art. 120. La definizione dei termini “intermedi” del giudizio e il diritto di difesa delle parti. La necessità di una migliore razionalizzazione dei tempi del processo accelerato

Il comma 5 della nuova versione dell'art. 120 CPA riproduce, con alcune variazioni, il precedente comma 6, riguardante la fase decisoria del rito speciale.

La disposizione contiene, anzitutto, una lieve differenza di drafting grammaticale, priva di conseguenze concrete, riguardante la più corretta definizione dei presupposti del “giudizio immediato” svolto in sede cautelare, conseguente alla congiunta richiesta delle parti.

Inoltre, risultano meglio delineati i termini delle fasi intermedie del processo.

In particolare, si chiarisce che la fissazione dell'udienza di discussione, nel rispetto del termine finale di 45 giorni dalla scadenza del termine di costituzione delle parti (in sostanza, facendo il calcolo complessivo, risultante anche dai dimezzamenti: 75 giorni decorrenti dal perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario) deve però garantire il rispetto dei termini (dimezzati) per il deposito di memorie e documenti. La locuzione “memorie” comprende, senza alcun dubbio, anche le memorie di replica.

L'innovazione risolve il dubbio derivante dalla precedente dizione dell'art. 120, che, preoccupata di fissare il termine finale di celebrazione dell'udienza, aveva trascurato di rimodulare i termini a difesa, posti a garanzia del diritto di difesa delle parti e finalizzati alla migliore organizzazione del processo.

Va notato, peraltro, che, in tal modo, i problemi di coordinamento non sono stati risolti compiutamente. Infatti, anche nella vigente dizione si è trascurato di richiamare esplicitamente la fondamentale previsione dell'art. 71, comma 5, riguardante gli avvisi di udienza. È superfluo rammentare che la piena applicazione di tale disposizione è necessaria per rendere effettivo il diritto di difesa delle parti.

Sembra tuttavia logico ritenere che, nonostante l'omissione, anche tale termine (dimezzato) debba essere rispettato per garantire la regolarità del giudizio, in virtù della regola generale del rinvio interno.

Le ricordate modifiche normative, seppure non riconducibili ad un preciso criterio di delega, presentano una valenza ricognitiva dell'assetto normativo vigente.

La nuova dizione della norma, tuttavia, non contiene alcuna innovazione diretta a superare la pacifica tesi giurisprudenziale secondo cui il ricordato termine di 45 giorni per la celebrazione dell'udienza ha natura ordinatoria (al massimo “sollecitatoria”).

È lecito interrogarsi, allora, sulla concreta efficacia dell'attuale disciplina del processo accelerato e sulla possibile razionalizzazione di alcuni suoi aspetti.

Deve notarsi, in primo luogo, la singolarità della rigida previsione relativa ai brevissimi termini di celebrazione dell'udienza e al loro coordinamento con i termini dimezzati di cui agli articoli 71 e 73, che può emergere da un concreto esempio.

La “finestra temporale” che consente di rispettare sia il termine finale di 45 giorni, sia il termine dilatorio di trenta giorni tra l'avviso di udienza e la sua celebrazione è già di per sé molto esigua. Ma non è improbabile che il ricorrente possa decidere di depositare il ricorso in prossimità della scadenza dei quindici giorni a sua disposizione, o al limite, proprio l'ultimo giorno.

Pertanto la citata “finestra temporale” potrebbe assottigliarsi, fino al caso estremo (ma niente affatto improbabile) in cui, depositato il ricorso proprio il quindicesimo giorno, vi sarebbe un solo giorno utile per celebrare l'udienza nel rispetto dei termini.

Pare evidente, che per garantire un più razionale sviluppo del giudizio, tutta la sequenza dei termini dovrebbe essere rimeditata.

Va aggiunta un'ulteriore notazione, indispensabile per comprendere il concreto funzionamento della determinazione temporale del giorno di udienza.

La norma, anche nella sua formulazione attuale, indica il solo termine (finale) di 45 giorni entro cui deve (dovrebbe) essere celebrata l'udienza.

Non utilizza, invece, la consueta formula che il CPA prevede per definire, razionalmente, la tempistica di celebrazione delle udienze nella maggior parte dei riti speciali accelerati: la “prima udienza utile”, decorsi determinati termini dilatori, a tutela del diritto di difesa delle parti, come stabilito, fra l'altro, nei riti camerali ex art. 87 o nel rito cautelare.

Ciò comporta, a stretto rigore, che, secondo la lettera dell'art. 120 CPA, il giudice, se non ha già calendarizzato udienze ordinarie compatibili con il rispetto del termine finale di 45 giorni, sarebbe tenuto a fissare apposita udienza, anche straordinaria.

Si noti che, a fronte di dizioni analoghe, effettivamente il giudice fissa effettivamente udienze straordinarie, come avviene nel rito elettorale preparatorio.

Come è noto, tuttavia, la prassi applicativa qualifica tranquillamente l'indicato termine dei 45 giorni come meramente ordinatorio e, pertanto, in concreto, non risultano mai fissate udienze straordinarie ex art. 120.

In questa cornice, a fronte di un “processo vivente”, che ha profondamente rimodellato i termini del rito speciale, pur garantendo una straordinaria e apprezzata velocità di definizione del contenzioso, sarebbe da considerare l'ipotesi di utilizzare il citato modello processuale di cui all'art. 87, che prevede ragionevoli, ma rapidissimi tempi di definizione del giudizio, stabilendo, eventualmente, più precise regole circa la perentorietà dei termini di conclusione del giudizio, eventualmente stabilendo, un realistico termine massimo insuperabile.

16. Gli approfondimenti istruttori in sede cautelare. La soppressione dell'obbligo di adottare espresse decisioni interinali sulla domanda cautelare

Il comma 6 del nuovo art. 120 prevede un'importante innovazione, forse non adeguatamente sottolineata dalla relazione di accompagnamento.

Secondo la disposizione, nella sede cautelare il giudice “provvede ai necessari approfondimenti istruttori”, anche in caso di rigetto dell'istanza cautelare (5).

All'introduzione di questo nuovo comma, si accompagna l'eliminazione del precedente comma 8, secondo il quale “8. Il giudice decide interinalmente sulla domanda cautelare, anche se ordina adempimenti istruttori, se concede termini a difesa, o se solleva o vengono proposti incidenti processuali.

La condivisibile finalità della norma è evidente: l'udienza camerale, anche oltre la sua funzione principale e tipica, riguardante la decisione dell'incidente cautelare, è sempre l'occasione per verificare la completezza dell'istruttoria, nella prospettiva della successiva definizione del merito.

In questo modo, il legislatore sviluppa e completa il principio, espresso nella previgente versione dell'art. 120, secondo il quale, anche in caso di richiesta di adempimenti istruttori, il giudice deve comunque pronunciarsi, esplicitamente, sull'istanza cautelare, stabilendo se essa sia accolta o respinta, anche ai fini degli effetti sullo stand still processuale.

Restano aperte, tuttavia, alcune riserve sulla reale utilità dell'innovazione, che non supera del tutto le perplessità suscitate dalla precedente dizione.

In linea generale, infatti, il giudice, se ritiene necessaria un'istruttoria per definire la domanda cautelare, ha sempre il potere e il dovere di stabilire se, interinalmente, vadano adottate, o meno, misure cautelari provvisorie.

Anche la pronuncia istruttoria “pura”, che rinvia all'esito dell'adempimento interlocutorio, la decisione cautelare di definizione della fase, si risolve, in ultima analisi, nel temporaneo rigetto, implicito ma chiaro, dell'istanza.

In ogni caso, in presenza di una pronuncia meramente istruttoria, oggi le parti non potrebbero avere alcun dubbio circa la persistente efficacia degli atti impugnati e dell'obbligo di proseguire la procedura, alla luce delle precise nuove disposizioni, già analizzate, che vietano categoricamente la sospensione, correlata meccanicamente alla pendenza del contenzioso.

Si deve aggiungere, poi, che, in ogni caso, anche la sospensione automatica derivante dalla proposizione della domanda cautelare (stand still processuale) ha un limite temporale massimo, individuato nella “pubblicazione del provvedimento cautelare di primo grado”. La formula potrebbe essere intesa nel senso di comprendere qualsiasi decisione emessa in sede cautelare, ancorché di carattere istruttorio. Ne deriva la conseguenza che la pronuncia interlocutoria, anche se “dimentica” di pronunciarsi espressamente sull'istanza cautelare determina, comunque, il venir meno dell'effetto sospensivo.

La limitazione temporale dell'effetto sospensivo automatico era ancora più netta secondo la disciplina dell'art. 32, comma 11, del codice n. 50/2016, la quale, per la durata dell'effetto sospensivo, prevedeva il limite temporale massimo di venti giorni.

Ora, il nuovo articolo 120 non riproduce più la regola della necessaria statuizione circa la provvisoria decisione cautelare, ritenendola, condivisibilmente, poco utile.

Ma occorre interrogarsi circa le ricadute derivanti dalla nuova formulazione dell'art. 18, comma 4, del Codice n. 36/2023, che, per la sospensione automatica non contempla più il limite temporale massimo dei venti giorni.

È forse possibile ritenere, allora, che, oggi, nella nuova formulazione, venuta meno la previsione del limite temporale massimo della sospensione automatica, l'espressa decisione interinale del giudice potrebbe evitare un differimento del termine, non accompagnato da un giudizio prognostico di apprezzamento favorevole di fumus e periculum.

Ora, il nuovo art. 120 stabilisce che il giudice, già in sede cautelare, in una coerente logica acceleratoria, possa (e debba) assumere ogni utile decisone istruttoria finalizzata alla decisione del merito, così “saltando” il passaggio costituito dall'udienza “intermedia” di discussione e con l'ulteriore vantaggio rappresentato dalla rapida pubblicazione della pronuncia istruttoria emessa in sede camerale.

In questo modo, la nuova regola si connette al principio generale di cui all'art. 55, comma 12, secondo cui il giudice, “in sede di esame della domanda cautelare, adotta, su istanza di parte, i provvedimenti necessari per assicurare la completezza dell'istruttoria.

La nuova disciplina chiarisce espressamente, peraltro, che:

- Il potere istruttorio del giudice non è finalizzato alla sola decisione cautelare, ma riguarda proprio il merito del giudizio, superando alcuni dubbi, di ordine generale, riguardanti l'esatta portata dell'art. 55;

- Detto potere istruttorio è esercitabile anche in assenza di istanza di parte; pure in questo caso, la previsione ha il pregio di sciogliere alcune precedenti incertezze applicative.

17. La durata delle misure cautelari sottoposte a cauzione

Il comma 9 riproduce la previsione di cui al precedente comma 8-bis, introducendo un'importante variazione.

Il vecchio testo, dopo avere individuato i presupposti per l'imposizione della cauzione, stabilisce che “Tali misure sono disposte per una durata non superiore a sessanta giorni dalla pubblicazione della relativa ordinanza, fermo restando quanto stabilito dal comma 3 dell'articolo 119.”

Tale dizione poteva essere interpretata nel senso che tutte le misure cautelari, indipendentemente dalla subordinazione a cauzione, non possano eccedere la durata di sessanta giorni.

Ora, la nuova formulazione adottata dal codice supera il dubbio, stabilendo che la durata della misura subordinata alla cauzione è indicata nell'ordinanza. In ogni caso, poi, “Resta fermo quanto stabilito dal comma 3 dell'art. 119”.

Dunque, oggi è pacifico che solo la durata delle misure sottoposte a cauzione è subordinata ad un limite temporale, peraltro, stabilito discrezionalmente dal giudice. La dizione utilizzata lascia intendere che il giudice potrebbe anche omettere di indicare espressamente il limite temporale della misura, la quale, in tal caso resterebbe assoggettata alle regole generali.

Ci si potrebbe chiedere, tuttavia, perché, nella riformulazione del comma, sia rimasta intatta la prevista salvezza di quanto stabilito dall'art. 119, comma 3.

Sotto un primo aspetto, infatti, l'applicazione dell'articolo 119, in via residuale, è già prevista in termini generali.

Sotto un secondo aspetto, è singolare che detta salvezza sia stabilita soltanto all'interno del comma che disciplina specificamente le misure cautelari soggette a cauzione. Non si comprenderebbe, infatti, perché l'articolo 119 non possa trovare applicazione in tutte le ipotesi.

In terzo luogo, l'indicata salvezza aveva una spiegazione nel contesto della prevista limitazione temporale delle misure cautelari, che non poteva superare i sessanta giorni. Caduta questa previsione, l'applicabilità dell'articolo 119, comma 3, diventa poco utile.

Ma, da altro e decisivo punto di vista, proprio la concreta applicabilità della regola contenuta nell'articolo 119, comma 3, va considerata del tutto teorica nel rito appalti, perché concretamente superata dalle specifiche regole dedicate dall'articolo 120 alla fase decisoria.

Al proposito, va ricordato che l'articolo 119 comma 3 contempla il meccanismo dell'accelerazione del merito, disposta dal giudice in sede cautelare. In presenza dei presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora, il giudice deve fissare l'udienza di discussione, calendarizzata dopo la scadenza dei trenta giorni.

Ma questa peculiare accelerazione del merito presenta poca utilità nel rito appalti, considerando le apposite regole che stabiliscono:

- L'ordinaria definizione del merito già in sede cautelare;

- L'obbligatoria celebrazione dell'udienza nel termine di settantacinque giorni dalla notificazione del ricorso.

Facendo un rapido calcolo, è astrattamente possibile che, applicando l'articolo 119, comma 3, l'udienza di merito possa essere anticipata di qualche giorno. Ma è anche possibile il paradossale effetto opposto: l'applicazione pedissequa dell'articolo 119, comma 3, potrebbe determinare, infatti, il superamento del termine di settantacinque giorni.

18. I motivi aggiunti per l'impugnazione di atti connessi e la soppressione dell'obbligo di corrispondere un ulteriore importo di contributo unificato

Il comma 7 del nuovo art. 120 conferma il principio secondo cui i nuovi atti della medesima procedura vanno impugnati con motivi aggiunti.

La novità più importante concerne la previsione secondo cui tale ricorso è esentato dal pagamento del contributo unificato, in sintonia con i principi espressi dal diritto euro unitario e dalla giurisprudenza della CGUE.

Proprio il riferimento al diritto eurounitario dovrebbe costituire la base giustificativa della sua compatibilità con la delega, pur in mancanza di un criterio esplicito.

Potrebbe essere necessario, per esigenze di coordinamento formale, adeguare il testo unico delle spese di giustizia alla modifica normativa, che, a ben vedere, non ha riflessi processuali diretti.

Resta da chiedersi, poi, se la disposizione, nella parte in cui determina una riduzione del gettito tributario non comporti la necessità di un chiarimento circa la sua copertura finanziaria.

Per quanto riguarda l'ambito temporale della sua applicazione, sembra preferibile ritenere che la norma abbia natura fiscale, per cui essa si applica (solo) ai ricorsi per motivi aggiunti depositati dopo la sua entrata in vigore.

19. La soppressione delle regole specifiche sulla sinteticità degli atti di parte e del giudice

Nel nuovo articolo 120 scompare la previsione del comma 10, secondo cui “Tutti gli atti di parte e i provvedimenti del giudice devono essere sintetici e la sentenza è redatta, ordinariamente, nelle forme di cui all'articolo 74.”

In tal modo, il legislatore compie una condivisibile operazione di coordinamento.

Il principio di chiarezza e di sinteticità, infatti, ha una portata generale ed è superfluo ribadirlo nell'art. 120.

La previsione poteva essere intesa come una inopportuna limitazione del diritto di difesa, proprio in un settore che dovrebbe esigere, invece, la più estesa possibilità di articolare difese scritte.

Appariva piuttosto singolare, poi, la dizione incentrata sul richiamo alla sola regola della sinteticità, senza considerazione della chiarezza.

Con riguardo ai provvedimenti del giudice, poi, la disposizione era già stata superata dalla più analitica regolamentazione della fase decisoria, che definisce analiticamente le modalità di redazione della pronuncia.

20. La riscrittura, essenzialmente formale, dell'art. 121 del CPA

Le norme relative all'inefficacia del contratto e alle sanzioni alternative non subiscono modifiche di rilievo. Il solo art. 121 è adeguato, sul piano meramente formale, alle innovazioni sostanziali del codice e alle modifiche dell'art. 120 del CPA.

In particolare, sono opportunamente modificati i rinvii agli articoli del nuovo Codice dei contratti pubblici.

Secondo il nuovo comma 1, “Il giudice che annulla l'aggiudicazione o gli affidamenti senza bando di cui al comma 2 dell'articolo 120 dichiara l'inefficacia del contratto nei seguenti casi:”.

In tal modo, è più lineare l'ambio applicativo della previsione, riferito espressamente anche agli affidamenti senza bando.

Per una più chiara formulazione della disposizione, ma senza particolari conseguenze pratiche, è collocata in un autonomo comma la previsione, già esistente, secondo la quale “Il giudice precisa, in funzione delle deduzioni delle parti e della valutazione della gravità della condotta della stazione appaltante o dell'ente concedente e della situazione di fatto, se la declaratoria di inefficacia è limitata alle prestazioni ancora da eseguire alla data della pubblicazione del dispositivo o se essa opera in via retroattiva.”

In tal modo, poi, il nuovo comma contiene un esplicito riferimento alle concessioni.

Lo stesso riferimento all'ente concedente è ora inserito nel comma 6, insieme ad una lieve correzione grammaticale, anch'essa priva di effetti concreti (6).

In questo caso restano alcune perplessità circa l'opportunità di riscrivere interamente tutto l'articolo.

21. La completa riformulazione dell'art. 124 del CPA e la portata sostanziale delle innovazioni. Le azioni di rivalsa della stazione appaltante e l'articolo 5 del Codice n. 36/2023: il problema della coerenza con la delega e l'ambito della giurisdizione esclusiva amministrativa

Anche l'art. 124 del CPA è interamente sostituito.

Nella completa riscrittura dell'art. 124 emergono molteplici motivi di interesse, perché si tratta di un'operazione sostanziale e non meramente formale.

Anzitutto, merita attenzione l'importantissima innovazione riguardante la prevista cognizione del giudice amministrativo sulle controversie proposte dalla stazione appaltante e dal concedente nei confronti dell'aggiudicatario.

La norma completa la disciplina di cui all'articolo 5, comma 4, secondo cui “Ai fini dell'azione di rivalsa della stazione appaltante o dell'ente concedente condannati al risarcimento del danno a favore del terzo pretermesso, resta ferma la concorrente responsabilità dell'operatore economico che ha conseguito l'aggiudicazione illegittima con un comportamento illecito.

La disposizione è assai apprezzabile, sia nella parte sostanziale, che riconosce, implicitamente, la sussistenza della pretesa della stazione appaltante ad ottenere il ristoro dei pregiudizi economici subiti per effetto dei comportamenti illeciti dell'aggiudicatario, sia nella parte processuale in cui intende “concentrare” la cognizione delle controversie nel corpo del processo di cui all'art. 124 CPA.

Il contenuto della norma, peraltro, è riconducibile, anzitutto, al presupposto riconoscimento della giurisdizione amministrativa esclusiva su tale tipo di controversie, ancorché non sia toccato, formalmente, l'art. 133 del CPA.

Proprio questo punto determina alcune criticità. È forse plausibile ritenere che la norma abbia correttamente interpretato la portata del vigente art. 133 del CPA e, quindi, non presenti alcuna reale portata innovativa, limitandosi alla ricognizione dell'assetto vigente.

Al riguardo, tuttavia, va ricordato che se la giurisprudenza amministrativa tende effettivamente a riconoscere la giurisdizione esclusiva, la posizione interpretativa delle Sezioni Unite non è affatto univoca e sembra orientata in senso opposto.

La formulazione scelta dal legislatore per definire l'oggetto delle controversie di cui all'art. 124 CPA è incentrata sull'espressione “comportamento illecito”. Questa locuzione potrebbe risultare indicativa, semmai, di una vicenda assai distante dal “potere amministrativo”. Ciò potrebbe indurre le Sezioni Unite della Cassazione a confermare la propria tesi (forse opinabile, ma ancora di recente confermata) circa la riconducibilità di controversie di questo tipo a vicende del tutto estranee al procedimento e, quindi, non conoscibili dal giudice amministrativo, nemmeno in sede di giurisdizione esclusiva.

In sintesi, la norma in esame, seppure diretta a “semplificare” e a concentrare le tutele, è esposta a un duplice rischio di incostituzionalità sia per eccesso di delega, poiché, come già ricordato, nessuna previsione della legge si riferisce al riparto della giurisdizione e la soluzione scelta non è, al momento, ancora consolidata nella giurisprudenza regolatrice della Cassazione, sia per violazione dei criteri delineati dalla Corte costituzionale, secondo la quale è legittima la norma che prevede la giurisdizione esclusiva amministrativa solo se essa riguarda controversie correlate ad un potere amministrativo.

È dunque auspicabile un rapido chiarimento legislativo, a meno che non si verifichi prima un revirement delle Sezioni Unite.

22. La previsione esplicita della decisione di condanna al risarcimento per equivalente limitata ai soli criteri di liquidazione del danno

Di estremo interesse è poi la previsione del nuovo comma 3 dell'art. 124.

La disposizione si suddivide in due periodi.

Il primo di essi richiama la disciplina generale di cui all'art. 34, comma 4, del CPA concernente la cosiddetta “condanna con criteri”. Mediante tale pronuncia, il giudice amministrativo, dopo avere riconosciuto la fondatezza circa l'an della pretesa risarcitoria, non ne determina immediatamente il quantum, ma si limita a fissare i criteri dell'offerta che l'amministrazione danneggiante dovrà sottoporre al danneggiato.

Tale meccanismo processuale è ora esteso espressamente alle controversie risarcitorie in materia di appalti e concessioni.

L'intento dell'innovazione è trasparente: agevolare la rapida definizione del giudizio, anche quando esso ha per oggetto le pretese risarcitorie per equivalente. La condanna limitata ai criteri di liquidazione, poi, ha il vantaggio di favorire una soluzione della controversia concordata tra le parti.

Restano però alcuni dubbi sul concreto modo di funzionamento del meccanismo ora introdotto dal legislatore e sulla effettiva utilità della modifica legislativa.

La prima perplessità ermeneutica riguarda l'esatto significato del rinvio all'art. 34, comma 4. Il previsto raccordo tra la norma speciale e la norma generale è effettuato utilizzando l'ambigua formula “ai sensi”. Non è del tutto chiaro, allora, se la disposizione generale trovi, o meno, integrale applicazione anche nel settore degli appalti.

Si aprono, al riguardo, due possibili interpretazioni.

A) Secondo la prima, la disciplina dell'art. 34, comma 4, è richiamata solo come indicazione della cornice dei principi espressi da tale norma, i quali devono essere adattati al contesto peculiare degli appalti.

B) Secondo l'altra tesi, invece, la normativa di cui all'art. 34 deve essere applicata integralmente.

Tale ultima lettura risulta, obiettivamente, più convincente e meglio aderente alla lettera del nuovo art. 124.

Ne deriva, allora, che:

- La determinazione della condanna limitata ai soli criteri di quantificazione del danno, in luogo della precisa liquidazione, costituisce soltanto una facoltà del giudice e non già un dovere inderogabile; non rappresenta, nemmeno, la soluzione da adottare in via meramente preferenziale;

- Tale tipo di pronuncia è ammessa, ma solo in “mancanza di opposizione delle parti”.

Se si segue questa interpretazione, pienamente coerente con la dizione dell'art. 120, allora, la nuova norma finisce per risultare quasi del tutto inutile. D'altro canto, nell'esperienza pratica, l'applicazione dell'art. 34 nel settore dei contratti pubblici è stata tutt'altro che infrequente.

La disposizione potrebbe conservare, tuttavia, una limitata funzione positiva, solo allo scopo di mitigare la portata letterale del comma 1, dell'art. 124, il quale, correlando il risarcimento al solo danno “provato”, potrebbe intendersi quale previsione volta ad imporre al danneggiato un pesante onere probatorio, che non potrebbe essere mai attenuato mediante l'utilizzazione del meccanismo generale di cui all'art. 34, comma 4.

Ma, appunto, come già ricordato, gli indirizzi seguiti dal giudice amministrativo sembrano già favorevoli all'interpretazione secondo cui, l'applicazione dell'art. 34, comma 4, non si pone in contraddizione con le regole in materia di onere della prova del danno subito.

Probabilmente, in una prospettiva de iure condendo, per semplificare in modo drastico la definizione dei giudizi risarcitori mediante l'utilizzazione più larga condanna limitata ai criteri, si potrebbe valutare se eliminare il presupposto della “mancata opposizione” delle parti, e stabilire che il giudice procede obbligatoriamente, o quanto meno di regola, mediante l'applicazione dell'art. 34, comma 4.

23. Le spese processuali nel rito eventuale di ottemperanza: un incentivo concreto all'esecuzione spontanea e corretta della sentenza di condanna limitata ai soli criteri di liquidazione?

Il secondo periodo dell'art. 124, comma 3, persegue, visibilmente, lo scopo di incentivare la tempestività e l'esattezza della liquidazione del credito risarcitorio proposta dalla stazione appaltante al danneggiato, in attuazione della pronuncia di “condanna con criteri”.

Come è noto, secondo la regola generale racchiusa nell'art. 34, in caso di mancanza della proposta di liquidazione o di contestazioni sul suo ammontare, la parte interessata può attivare il rapido rimedio del giudizio di ottemperanza.

L'art. 124 stabilisce, ora, alcune particolari regole, dirette a sanzionare, sul terreno delle spese processuali, la stazione appaltante che non formuli tempestivamente la proposta liquidatoria o la determini in modo inadeguato.

In questa parte, l'effetto “monitorio” della disposizione è indiscutibile, ancorché la sua reale portata innovativa è, a conti fatti, meno significativa.

Va ricordato, al proposito, che l'attuale disciplina riguardante la condanna alle spese processuali è ormai incentrata sul necessario collegamento oggettivo con il presupposto della soccombenza.

La compensazione è ora ammessa solo nei pochissimi casi tassativi indicati dall'art. 92 del codice di procedura civile, richiamati dal CPA: novità delle questioni o contrasti giurisprudenziali (7), e, per effetto della sentenza additiva della Corte costituzionale (19 aprile 2018 n. 77), altre analoghe gravi ed eccezionali ipotesi, tra cui va annoverata l'assoluta novità in fatto della vicenda contenziosa.

Al riguardo, la Cassazione è molto rigorosa nell'individuazione dei presupposti della compensazione e afferma costantemente la necessità di un'adeguata motivazione. Il deficit motivazionale è stato altresì attestato in ipotesi di richiamo a circostanze espresse con una formula generica, quali ad esempio "la natura della controversia e le alterne vicende dell'iter processuale" (Cass. n. 10042/2018; n. 22310/2017; n. 9186/2018); la "peculiarità della materia del contendere" (Cass. n. 11217/2016); “la buona fede dell'appellante pur soccombente” (Cass. n. 20617/2018). Si tratta, sottolinea la Corte di affermazioni di mero principio, ipoteticamente ricollegabili a qualsiasi procedimento e, pertanto, inidonee a consentire il necessario controllo.

In tale quadro, già prima della sostituzione dell'art. 124, la parte soccombente nel giudizio di ottemperanza deve essere condannata alle spese di giudizio, salvi i casi particolarissimi.

Nella prassi accade ancora che il giudice amministrativo trascuri la corretta applicazione delle norme sulla condanna alle spese del soccombente. Non è infrequente la generica dizione “sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese”.

Tuttavia, già alla luce della disciplina vigente generale; il ricorrente, ottenuta una pronuncia favorevole, all'esito del giudizio di ottemperanza ex art. 34 CPA, comma 4, ha pieno diritto all'integrale ristoro delle spese di lite, da liquidarsi in conformità alle regole ministeriali sui compensi professionali.

Non si comprende allora, perché, stando alla lettera dell'art. 124, il ricorrente potrebbe avere titolo al rimborso delle spese di lite solo in caso di “significativa differenza” tra la somma proposta dalla stazione appaltante e quella liquidata dalla sentenza.

In tal modo, infatti, la disposizione rischia di determinare una conseguenza paradossale, limitando e non già rafforzando la portata della regola generale che pone le spese di lite a carico della parte soccombente.

Non va dimenticato, poi, che nel contenzioso riguardante il pagamento di somme di denaro, la misura delle spese legali spettanti alla parte vittoriosa è di norma ancorata, in base alle tabelle ministeriali, al valore della controversia risultante all'esito del giudizio (8). Pertanto, la determinazione concreta della misura delle spese di lite è già, in forza dell'attuale disciplina, strettamente proporzionata all'entità della divergenza tra la somma proposta dalla stazione appaltante e la somma accertata dal giudice.

Piuttosto, nella statuizione sulle spese il giudice dovrebbe considerare un altro elemento, costituito dalla divergenza tra la richiesta formulata dalla parte ricorrente e la liquidazione determinata all'esito del giudizio. In tal caso, infatti, entra in gioco il criterio generale della soccombenza parziale.

Infine, va sottolineato che l'ipotizzato effetto incentivante della norma è ulteriormente attenuato dall'ampio margine di apprezzamento riservato al giudice, non solo nella parte in cui la disposizione utilizza la formula elastica “significativa differenza”, sia nella parte in cui la norma stabilisce che tale differenza è semplicemente “valutata” ai fini della regolamentazione delle spese, senza imporre alcun particolare vincolo, nemmeno di carattere motivazionale.

24. La nuova disciplina sostanziale e processuale della conoscibilità delle offerte dei concorrenti. Il procedimento di accesso e la tutela giurisdizionale

Per meglio comprendere la portata della regola relativa alla decorrenza del termine di ricorso avverso l'aggiudicazione è necessario fermare l'attenzione sulla complessa disciplina riguardante la conoscibilità delle offerte dei concorrenti.

La scansione procedimentale attraverso cui si realizza l'accesso alla documentazione di gara è descritta minuziosamente dai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 36.

Il comma 1 indica, anzitutto, i dati documentali che devono essere messi a disposizione, su piattaforma informatica, in favore di tutti i candidati “non definitivamente esclusi”, secondo la formulazione ripresa dalla normativa comunitaria.

La norma non indica espressamente se, in tale ambito soggettivo, vadano compresi anche i candidati esclusi, ma ancora in termini per proporre ricorso. Tuttavia, questa soluzione appare la più coerente con i criteri di derivazione comunitaria.

Il comma 1 stabilisce che tale messa a disposizione debba avvenire “contestualmente” alla comunicazione digitale di cui all'art. 90.

Peraltro, la dizione può essere ragionevolmente intesa nel senso che la messa a disposizione può avvenire anche in un momento anteriore. In tal modo, del resto, assumerebbe un senso la già illustrata formula disgiuntiva utilizzata dal nuovo art. 120 del CPA, per indicare la decorrenza del termine di proposizione del ricorso, alternativamente riferita alla comunicazione di cui all'art. 90 e alla disponibilità degli atti.

Il comma 2 dell'art. 36 stabilisce, poi, che le offerte degli operatori economici, ancorché non riservate, vadano rese disponibili “reciprocamente” soltanto ai primi cinque operatori della graduatoria.

In questa parte limitatrice, la norma ha, presumibilmente, lo scopo di semplificare gli oneri della stazione appaltante e, al tempo stesso, persegue la finalità di anticipare la protezione della riservatezza degli operatori economici, impedendo l'immediata conoscibilità delle offerte da parte di soggetti che, per la loro posizione in graduatoria, non espongono un evidente interesse differenziato.

Sembra però difficile giustificare una limitazione della trasparenza così forte, tenuto conto che per gli aspetti effettivamente “riservati” delle offerte la disciplina del precedente articolo 35 e dello stesso articolo 36 prevede regole di tutela ben mirate e molto efficaci. Inoltre, tali documenti, non essendo riservati, sono suscettibili di accesso civico.

Il comma 3 dell'art. 36, poi, stabilisce che la comunicazione di cui all'art. 90 deve indicare anche i provvedimenti di oscuramento delle offerte, adottati ai sensi dell'articolo 35, comma 4, lettera e).

25. Il processo superspeciale in materia di accesso agli atti riservati delle offerte. Le particolari regole del rito: l'inedita commistione tra il giudizio ex art. 116 CPA e i termini del giudizio cautelare

Tale ultima previsione si connette alle regole strettamente processuali, previste dai commi 4 e seguenti dello stesso articolo 36. Lavoro di altro sottogruppo

In particolare, il comma 4 introduce un nuovo rito superspeciale, diretto a risolvere le controversie riguardanti la legittimità delle decisioni con cui la stazione appaltante accoglie, o respinge, le richieste di oscuramento dei dati riservati, allegati alle offerte, formulate dagli operatori economici concorrenti.

Anzitutto, la norma chiarisce che tali determinazioni, siano esse di accoglimento o di reiezione della richiesta di oscuramento, sono impugnabili ai sensi dell'articolo 116 del CPA (il rito speciale in materia di accesso e trasparenza), ma con una sensibile riduzione dei termini processuali, a cominciare da quello di notifica del ricorso introduttivo.

Il primo aspetto innovativo della disciplina attiene, quindi, ad un profilo a cavallo fra l'aspetto sostanziale e quello processuale della pretesa all'accesso. Ora la disciplina chiarisce che la determinazione di oscuramento adottata dalla stazione appaltante deve intendersi quale diniego (preventivo) di ogni ipotizzabile richiesta di accesso, o, quanto meno, di quelle proponibili dagli operatori partecipanti alla gara, diniego suscettibile di diventare inoppugnabile in assenza di tempestivo ricorso.

In altri termini, una volta intervenuta la decisione della stazione appaltante sulla richiesta di oscuramento, l'operatore economico interessato non può attivare il procedimento sostanziale diretto ad ottenere l'accesso ai documenti, attendendone l'esito, ma deve immediatamente contestare in giudizio la determinazione della stazione appaltante.

Quindi, in forza della nuova disciplina de codice, si realizza una singolare inversione procedimentale rispetto alla comune disciplina dell'accesso. Secondo la normativa generale, infatti, anche a fronte del possibile conflitto tra accesso e riservatezza, il procedimento è attivato da chi intende conoscere i documenti. Nell'articolo 36, invece, è il titolare del diritto alla riservatezza ad assumere l'iniziativa di un procedimento sostanziale che si conclude con la determinazione circa l'ostensibilità, o meno, dell'atto.

In secondo luogo, il ricorso giurisdizionale è soggetto a termini brucianti, poiché deve essere notificato e depositato entro soli dieci giorni dalla comunicazione digitale dell'aggiudicazione.

La formula legislativa si riferisce, indistintamente, a tutti i ricorsi avverso le decisioni riguardanti le richieste di oscuramento, siano esse di accoglimento o di reiezione.

Si pongono, allora, le seguenti questioni.

La norma dovrebbe essere intesa nel senso che la conoscenza (legale od effettiva) della determinazione riguardante l'oscuramento, intervenuta prima della comunicazione dell'aggiudicazione, non è idonea a determinare la decorrenza del termine per il ricorso ex art. 116 CPA.

Ciò è coerente sia con la notazione che, fino al momento dell'aggiudicazione, l'operatore economico non vincitore non ha interesse a conoscere le offerte degli altri concorrenti, sia con la previsione dell'art. 35, comma 2, lettera d), secondo cui l'accesso è sempre differito “in relazione alle offerte e ai verbali relativi alla valutazione delle stesse e agli atti, dati e informazioni a questa presupposti, fino all'aggiudicazione”.

La norma risulta perfettamente logica, quindi, in relazione ai ricorsi, proposti dagli operatori economici, diversi dall'aggiudicatario, contro gli atti che dispongono l'oscuramento.

Appare meno giustificata, invece, nella parte in cui, intesa alla lettera, essa si dovrebbe applicare anche in caso di impugnazione (da parte dell'aggiudicatario o di altri concorrenti) delle determinazioni che respingono le rispettive richieste di oscuramento. Per questi soggetti, infatti, la lesione derivante dall'atto che consente l'ostensibilità dell'offerta è immediata e non vi è ragione di differire la decorrenza del termine di impugnazione al momento della comunicazione dell'aggiudicazione.

La spiegazione dovrebbe consistere nella circostanza che, essendo l'accesso sempre differito ex lege (in forza del citato art. 35), l'interesse della parte all'annullamento del rigetto di oscuramento dovrebbe sorgere solo al momento della comunicazione dell'aggiudicazione, quando i documenti potrebbero essere messi a disposizione dei primi cinque classificati.

D'altro canto, il concorrente che non si classifica tra i primi cinque concorrenti ha la certezza che nessun atto relativo alla propria offerta sarà reso disponibile. Da qui la scelta legislativa, probabilmente rafforzata anche dalla preoccupazione di evitare la moltiplicazione dei contenziosi. Va aggiunto, poi, che solo all'esito della gara potrebbero essere individuati i potenziali controinteressati nel giudizio riguardante la conoscibilità degli atti

Probabilmente, per semplificare e accelerare la procedura, sarebbe più semplice stabilire che, invece, gli atti di reiezione della richiesta di oscuramento devono essere impugnati immediatamente dal destinatario, con il rito superspeciale.

Nella versione finale del comma 4 è stato aggiunto un periodo (assente nel testo licenziato dal Consiglio di Stato), secondo cui le parti intimate “possono costituirsi entro dieci giorni dal perfezionamento della notifica”. Si intende che, nello stesso termine, esse potranno esercitare le facoltà indicate dall'art. 46 del CPA.

Va notato, tuttavia, che nella norma nulla si dice in ordine ai termini di proposizione del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, che l'art. 116, comma 1, del CPA, certamente applicabile in virtù dell'espresso richiamo contenuto nell'articolo 36, fissa in trenta giorni.

Per esigenze di coerenza sistematica, anche essi dovrebbero essere sottoposti al termine (di notifica e di deposito) di dieci giorni. Ma tale previsione esplicita manca e, fino all'adozione di un'auspicabile norma correttiva, bisognerebbe effettuare una problematica operazione analogica, riferita a norme di chiara natura eccezionale.

26. La sospensione dell'ostensione degli atti non secretati, in pendenza del termine di impugnazione del provvedimento di diniego della richiesta secretazione

Molto opportunamente, il comma 5 dell'art. 36 prevede che “Nel caso in cui la stazione appaltante o l'ente concedente ritenga insussistenti le ragioni di segretezza indicate dall'offerente ai sensi dell'articolo 35, comma 4, lettera a), l'ostensione delle parti dell'offerta di cui è stato richiesto l'oscuramento non è consentita prima del decorso del termine di impugnazione delle decisioni di cui al comma 4.”

Tuttavia, la disposizione non indica che cosa accade qualora il ricorso sia effettivamente e tempestivamente presentato nei termini: si verifica una proroga ex lege della prevista sospensione, come sembrerebbe logico?

Per prassi, in analoghe situazioni, le stazioni appaltanti prima di consentire l'accesso, attendono, prudentemente, l'esito della lite. Ma nessuna disposizione prevede esplicitamente un effetto sospensivo automatico.

Va aggiunto che, nella vigenza del nuovo codice, nessuna stasi del procedimento di affidamento è ammessa, nemmeno in pendenza del contenzioso. Sicché anche la citata prassi “prudenziale” potrebbe risultare non più lecita.

È quindi necessario intervenire su questo importante aspetto della disciplina.

27. I disincentivi all'abuso delle richieste di oscuramento: i rimedi previsti saranno efficaci?

Il comma 6 dell'art. 36 contiene un'interessante disposizione, diretta a scoraggiare l'uso distorto e strumentale della richiesta di segretazione e oscuramento delle offerte.

“Nel caso di cui al comma 4 la stazione appaltante o l'ente concedente può inoltrare segnalazione all'ANAC la quale può irrogare una sanzione pecuniaria nella misura stabilita dall'articolo 222, comma 9, ridotta alla metà nel caso di pagamento entro trenta giorni dalla contestazione, qualora vi siano reiterati rigetti di istanze di oscuramento.”

Lo scopo della norma è evidente e certamente condivisibile: prevenire gli abusi delle richieste di oscuramento.

Restano però alcune incertezze sul concreto modo di funzionamento della disposizione e sulla sua concreta attitudine ad evitare i paventati abusi.

Anzitutto, se la norma introduce una vera e propria ipotesi di “illecito”, cui si connette una sanzione, la stazione appaltante dovrebbe essere obbligata e non meramente facoltizzata ad effettuare la segnalazione all'ANAC, qualora riscontri la possibile sussistenza della violazione.

Coerentemente, si dovrebbe ritenere, poi, che, in ogni caso, il potere sanzionatorio dell'Autorità possa esercitarsi anche su sollecitazione di altri soggetti interessati (ad esempio, altri operatori economici) o d'ufficio.

Non è espressamente previsto, invece, un autonomo potere (o dovere) di segnalazione in capo al giudice amministrativo, che ben potrebbe accertare la situazione di potenziale illecito. Ma, anche in assenza di una norma ad hoc, è ragionevole ritenere che, già adesso, il giudice possa investire l'ANAC della vicenda.

In secondo luogo, la formula legislativa “reiterati rigetti” è piuttosto generica. Potrebbe intendersi, letteralmente, come riferita ad ogni situazione in cui sia stata respinta più di un'istanza formulata dallo stesso operatore economico.

Non è precisato, poi, se, per configurarsi la “reiterazione” si debba trattare di rigetti disposti dalla stessa stazione appaltante (come appare preferibile) o se possano rilevare anche le molteplici decisioni di reiezione adottate da diverse stazioni appaltanti.

Piuttosto, la formula “reiterati” potrebbe far pensare che si deve trattare di rigetti relativi a istanze identiche o quanto meno analoghe. Tale notazione permetterebbe di individuare anche il presupposto soggettivo dell'illecito soggetto a sanzione. L'operatore economico ha sempre il diritto di chiedere l'oscuramento di determinati dati allegati all'offerta; ma tale facoltà incontra il limite oggettivo della ormai appurata infondatezza della pretesa avanzata in precedenti situazioni identiche. E, in prospettiva, tale certezza potrebbe essere rafforzata nei casi in cui sia intervenuta una sentenza del giudice amministrativo all'esito del giudizio sull'accesso ex art. 36.

Sarà interessante verificare, allora, quanto la disposizione potrà effettivamente realizzare l'auspicato effetto deterrente.

Probabilmente, il risultato potrebbe essere conseguito attraverso una puntualizzazione, in sede giurisprudenziale, dei casi (limitati) in cui l'oscuramento è effettivamente consentito.

De iure condendo, peraltro, sarebbe forse utile definire meglio, già in ambito sostanziale, il preciso rapporto tra l'esigenza di segretezza e la tutela degli operatori economici concorrenti. Il criterio guida dovrebbe essere duplice:

- Tutti gli elementi dell'offerta destinati a incidere effettivamente sulla sua ammissione alla gara e sulla sua valutazione, ancorché astrattamente riservati, devono essere resi sempre conoscibili, qualora la richiesta di accesso è correlata alla tutela giurisdizionale dell'operatore economico;

- La protezione della riservatezza commerciale prevale, comunque, nei confronti di chi faccia valere una pretesa alla conoscenza degli atti, ma non dimostri la titolarità un interesse concreto alla tutela giurisdizionale; pertanto, la riservatezza costituisce, un limite insuperabile per l'esercizio dell'accesso civico.

28. Lo svolgimento del processo di accesso superspeciale. L'applicazione dei termini dimezzati del rito cautelare

Il comma 7 disciplina la fase propriamente processuale del nuovo giudizio in materia di accesso.

L'elemento caratterizzante del giudizio è rappresentato dalla fissazione di brevissimi termini di trattazione e decisione: si applicano, infatti, i termini del rito cautelare, ridotti alla metà.

È appena il caso di osservare che il rito è costruito come una “variante” del processo in materia di accesso, di cui all'articolo 116, che è già soggetto al dimezzamento dei termini (anche nella fase cautelare, pacificamente ammessa anche in tutti i giudizi camerali di merito), in virtù del rinvio all'art. 87.

Tuttavia, è palese che il comma 7 dell'art. 36 non intende determinare un ulteriore dimezzamento di tali ristrettissimi termini.

In sostanza, quindi, l'udienza camerale non potrà essere celebrata prima del decorso di dieci giorni dalla notificazione del ricorso e di cinque dal suo deposito.

Il termine di dieci giorni, poi, è ben sincronizzato con il menzionato termine, parimenti di dieci giorni, previsto per la costituzione delle parti.

È comunque possibile (in forza delle regole generali del CPA) che il ricorrente chieda (ed ottenga) un'ulteriore riduzione dei termini, fino alla metà.

La portata dei rinvio ai soli termini dell'art. 55 del CPA (e non alla disposizione nel suo complesso) fa sorgere il dubbio riguardante la precisa calendarizzazione dell'udienza. Ma sembra preferibile ritenere che operi la regola di cui all'art. 55 stesso (coerente, del resto, con il rito di cui all'art. 116 e del rinvio all'art. 87), secondo cui va fissata la prima camera di consiglio utile, dopo la scadenza del menzionato doppio termine di dieci giorni (dalla notifica) e cinque giorni (dal deposito).

D'altro canto, la prevista rapidità del rito si accompagna alla scelta legislativa di non indicare il termine finale entro cui l'udienza di discussione deve essere comunque tenuta.

È pacifico, poi, che il richiamo all'art. 55 del CPA e ai suoi termini non trasformi il rito in cautelare. Ne consegue, fra l'altro, che il giudizio resta soggetto alla sospensione feriale.

In linea astratta, il ricorrente potrebbe presentare anche una domanda cautelare, compresa altresì l'istanza di misure monocratiche. Ciò potrebbe avvenire, verosimilmente, nelle ipotesi in cui sia impugnato il provvedimento di non oscuramento, tenendo conto che l'art. 36, come ricordato, non attribuisce efficacia sospensiva alla mera proposizione del ricorso.

Più improbabile, ma non inammissibile, è la proposizione di istanze di misure monocratiche nella fattispecie simmetrica di contestazione del provvedimento di oscuramento, anche perché, secondo esperienza, il giudice preferisce evitare l'immediata ostensione dei documenti, prima di una valutazione collegiale.

Una particolare regola contenuta nell'art. 36 riguarda, poi, il termine di deposito della sentenza, fissato in soli cinque giorni.

Occorre chiarire il significato della formula – inusuale - “è deciso alla medesima udienza”, certamente finalizzata a garantire la rapida chiusura della fase decisoria.

Essa potrebbe intendersi nel senso che non sono ammessi rinvii di sorta dell'udienza di discussione, ma ciò si porrebbe in contrasto con i principi generali: basterebbe citare i casi in cui occorrano approfondimenti istruttori, vi siano impedimenti dei difensori, occorra integrare il contraddittorio, rinnovare una notifica.

Si potrebbe forse ipotizzare, allora, che, in base alla norma, l'esito della decisione debba essere comunque reso noto lo stesso giorno dell'udienza. Ma, allora, sarebbe stata necessaria una previsione esplicita dell'obbligo di pubblicazione del dispositivo.

Ancora, potrebbe ritenersi che, con tale previsione, sia sancito l'obbligo del collegio di assumere la decisione lo stesso giorno dell'udienza; ma, del resto questa è la prassi comune e non sembra necessario ribadirla.

In conclusione, allora, la formula utilizzata deve considerarsi essenzialmente “sollecitatoria” e volta a richiamare l'attenzione del giudice sull'esigenza di una decisione tempestiva.

Il puntuale riferimento alla “sentenza in forma semplificata” potrebbe apparire superfluo, poiché trova comunque applicazione la disciplina generale dell'art. 116 e dell'art. 87.

Tuttavia, in tal modo, il legislatore, utilizzando il vocabolo “sentenza”, intende ribadire il carattere decisorio della pronuncia, ancorché innestata su un processo modellato sul rito cautelare.

Da sottolineare, invece, l'espressa previsione di un'estrema, ulteriore, semplificazione motivazionale, che può essere validamente attuata mediante il richiamo alle argomentazioni di parte.

Il comma 8 chiarisce, poi, che il “rito” (e i termini) di cui ai commi 4 e 7 si applicano anche ai giudizi di impugnazione.

29. Il rinvio residuale al rito speciale di cui all'art. 116 del CPA

La formula introduttiva del comma 4 rende evidente che, per quanto non espressamente disciplinato, trova applicazione l'art. 116 del CPA.

Si aprono, allora, alcune questioni.

La più delicata riguarda la compatibilità con il “rito incidentale” previsto dall'art. 116, comma 2: si veda, infra, il paragrafo 31.

30. Il rito di accesso superspeciale è conforme alla legge delega?

La valutazione di insieme del nuovo “rito” (così definito dal comma 8) previsto dall'art. 36 pone in rilievo la coesistenza di molteplici aspetti positivi, cui si affiancano alcuni dubbi.

Si deve aggiungere, in conclusione, che sussiste un interrogativo di fondo, correlato alla compatibilità della nuova disciplina con i criteri contenuti nella legge delega, che non sembrano dare spazio ad interventi così incisivi sulla tutela giurisdizionale.

L'aggancio potrebbe essere costituito, forse, dai ripetuti richiami alla trasparenza contenuti nell'articolo 1, comma 1, nonché nel comma 2, lettera e), lettera i), lettera z, lettera aa).

Tali indicazioni dovrebbero essere sufficienti per giustificare un intervento normativo che tocca l'accesso sia nella sua dimensione sostanziale e procedimentale, sia nei suoi inscindibili aspetti processuali.

31. La decorrenza del termine per l'impugnazione dell'aggiudicazione in caso di secretazione dell'offerta dell'aggiudicatario. L'iperprotezione della pretesa alla riservatezza commerciale dell'aggiudicatario

In questo contesto, è necessario svolgere una valutazione complessiva sulla nuova disciplina, riguardante il rapporto tra la secretazione delle offerte e la decorrenza del termine di proposizione del ricorso, con particolare riguardo alla citata previsione dell'art. 36, comma 9, secondo cui il termine decorre comunque dalla comunicazione ex art. 90, fermo restando l'onere dell'interessato di agire in giudizio per conseguire l'annullamento del provvedimento di secretazione dell'offerta dell'aggiudicatario.

Sul piano empirico, questo assetto normativo suscita non poche perplessità.

Si pensi al caso, molto frequente, in cui il secondo classificato dubiti della legittimità dell'ammissione alla gara dell'aggiudicatario, sospettando l'anomalia dell'offerta, corredata da giustificazioni secretate dalla stazione appaltante.

L'operatore economico dovrà precipitarsi a proporre il ricorso contro l'atto di secretazione. In teoria, proponendo il ricorso lo stesso giorno della comunicazione dell'aggiudicazione e depositandolo immediatamente, l'interessato potrebbe contare sulla fissazione del ricorso ad una camera di consiglio calendarizzata la prima udienza dopo la scadenza del termine dilatorio di dieci giorni dalla notifica.

Ma, anche ipotizzando la convergenza di tutte le circostanze più favorevoli, è molto probabile che la decisione sull'accesso intervenga dopo la scadenza del termine per la proposizione del ricorso contro l'aggiudicazione, o, comunque, soltanto pochissimi giorni prima della relativa scadenza.

Dunque, in tali situazioni (si ripete: niente affatto improbabili) l'operatore economico potrebbe essere costretto a proporre:

- Un ricorso per ottenere l'accesso ai documenti;

- Un ricorso al buio, per l'annullamento dell'aggiudicazione.

Le criticità del meccanismo di tutela stabilito ora dal codice sono piuttosto evidenti, ancorché sia difficile individuare un adeguato bilanciamento tra le diverse esigenze in potenziale conflitto.

Si può osservare, infatti, che, nonostante la forte velocizzazione del nuovo rito sull'accesso relativo ai profili secretati delle offerte, difficilmente la decisione finale del giudice potrà intervenire prima della scadenza del termine per la proposizione del ricorso contro l'aggiudicazione. E se anche ciò avvenisse, nella migliore delle ipotesi, la pronuncia sarà pubblicata solo pochissimi giorni prima del decorso dei trenta giorni. A ciò va aggiunto che la stazione appaltante, per quanto diligente, potrebbe anche ritardare la concreta esecuzione della sentenza di accoglimento. Insomma: il tempo per predisporre un'adeguata difesa potrebbe essere davvero troppo esiguo o, molto più probabilmente, mancare del tutto.

Questa situazione comporta, inevitabilmente, molte incertezze.

In concreto, l'operatore economico che agisce per l'accesso ai documenti dovrebbe sempre proporre ricorso (al buio) contro l'aggiudicazione: anzi, a stretto rigore, se, nelle more del giudizio sull'accesso, scadesse il termine per il ricorso contro l'aggiudicazione, il TAR dovrebbe dichiarare improcedibile il ricorso, perché verrebbe meno il necessario requisito della finalizzazione dell'accesso alla tutela in giudizio.

Ma, allora, se l'operatore economico è, di fatto, sempre “costretto” alla proposizione del ricorso “al buio” contro l'aggiudicazione, viene forse meno l'esigenza di un separato rito speciale sull'accesso.

Molto più semplice appare, allora, ciò che avviene nella prassi attuale: l'utilizzazione dello strumento generale del ricorso di annullamento, accompagnato dall'istanza di accesso.

In tali ipotesi, la decisione sull'istanza potrebbe essere adottata in sede cautelare, così come recentemente chiarito dalla giurisprudenza.

Nel nuovo disegno legislativo, tuttavia, l'opzione del ricorso ex art. 116, comma 2, sembra consentita solo a condizione che il ricorso sia proposto nel termine brevissimo di dieci giorni dalla comunicazione dell'aggiudicazione, poiché, altrimenti, l'interessato decade dall'azione per l'accesso.

Difficile giustificare la ragionevolezza di tale conclusione: l'inoppugnabilità della questione riguardante l'ostensibilità dei documenti allegati all'offerta risulta prevalente rispetto alla stessa esigenza di certezza sulla inoppugnabilità dell'aggiudicazione.

Si dovrebbe allora esplorare la possibilità di ritenere che il rito speciale di cui all'art. 36 non preclude l'utilizzazione dello strumento generale di cui all'art. 116, comma 2, che resterebbe soggetto, in tal caso, all'ordinario termine.

Va ribadito che il meccanismo di cui all'art. 36, attentamente studiato, sembra determinare una significativa anomalia già riferita al profilo procedimentale dell'accesso e del suo rapporto con l'oscuramento, derivante da un coordinamento forse non del tutto adeguato tra gli articoli 35 e 36.

Il punto va spiegato in dettaglio.

Come è noto, in linea generale (secondo la lineare disciplina di cui alla legge n. 241/1990), la pretesa all'accesso si realizza, in prima battuta, attraverso una determinazione assunta dall'amministrazione, che può accogliere o respingere la richiesta.

Il “procedimento” di accesso può assumere connotazioni più complesse quando è in rilievo la riservatezza dei soggetti in terzi. In tali circostanze, l'amministrazione deve operare un delicato bilanciamento tra la posizione del richiedente e quella del controinteressato. Sul piano procedimentale, la normativa generale impone che, a tal fine, sia garantita la partecipazione del terzo titolare del diritto alla riservatezza, che deve essere messo in condizione di esporre il proprio punti di visto, formulando un'eventuale opposizione.

Peraltro, l'amministrazione non è vincolata affatto all'opposizione manifestata dal controinteressato, ancorché, in concreto, questa finisca assai spesso per condizionare la decisione di rigetto della richiesta di accesso.

Ora, il meccanismo dell'articolo 36 sembra determinare un diverso assetto, che mira a proteggere l'operatore economico titolare del diritto alla riservatezza, assicurando anche una rapida definizione del rapporto con la pretesa all'accesso.

A fronte della richiesta dell'operatore economico che formula la propria offerta, indicando i profili “riservati” della documentazione, la stazione appaltante, è tenuta ad assumere una determinazione “preventiva” riguardante l'ostensibilità, o meno, delle parti dell'offerta asseritamente riservate.

Se la determinazione della stazione appaltante è di rigetto, l'operatore interessato sarà tenuto ad impugnarla tempestivamente (anche se non è chiarissimo con quale rito: ordinario, accesso ex art. 116 CPA o nuovissimo rito ex art. 36?).

Viceversa, se la determinazione della stazione appaltante è di accoglimento della richiesta di oscuramento, l'art. 36 prevede un onere di impugnazione della parte interessata alla conoscenza, entro il brevissimo termine decadenziale di dieci giorni dalla comunicazione dell'aggiudicazione.

In altre parole, dalla lettura sistematica della nuova disciplina, emerge la conclusione che la determinazione di oscuramento “cristallizza” sul piano procedimentale sostanziale la pretesa all'accesso degli operatori economici concorrenti.

Chi vuole conoscere gli atti oscurati, insomma, non potrebbe attivare il procedimento ordinario sostanziale di accesso di cui alla legge n. 241/1990 e ai regolamenti attuativi, ma avrebbe l'onere di imboccare direttamente – e assai rapidamente - l'unica strada prevista dalla norma: il ricorso giurisdizionale accelerato.

Si pone, allora, il seguente interrogativo.

In presenza di una richiesta stragiudiziale di accesso relativa ad atti oscurati, la stazione appaltante dovrà considerarla sempre inammissibile? O potrebbe decidere, comunque, di pronunciarsi sull'istanza, confermando l'oscuramento, o, al contrario, ammettendo l'accesso?

Tale possibilità potrebbe essere riconosciuta, quanto meno in presenza dei presupposti di cui all'art. 21-nonies?

E il nuovo atto di eventuale diniego o di accoglimento andrebbe impugnato con il rito superspeciale o con quello ex art. 116? La tesi secondo cui l'unico mezzo di tutela riconosciuto all'operatore economico sia quella giurisdizionale non persuade.

È forse vero che tale soluzione semplifica molto gli oneri dell'amministrazione, ma, al tempo stesso, introduce un irragionevole aggravio degli Uffici giudiziari.

In ogni caso, è palese il pregiudizio subito dal ricorrente a fronte di una iper-protezione dell'aggiudicatario, tanto poco giustificata in un contesto decisamente proiettato verso la massima espansione della trasparenza delle procedura di gara, che è condizione imprescindibile per la tutela della concorrenza.

Probabilmente, alla base delle opinabili scelte compiute dal codice n. 36, vi è la difficoltà, oggettiva, di sincronizzare le prescrizioni contenute nelle direttive europee (che fanno espresso riferimento alla tutela della riservatezza delle imprese) con la disciplina nazionale in materia di accesso e tutela dei dati personali.

A questo riguardo è sufficiente osservare che sin dalla primigenia formulazione contenuta nella legge n. 241 del 1990, la disciplina affermava due regole nitide e chiare:

a) Anche la riservatezza “commerciale” e industriale costituisce un limite all'accesso;

b) Tuttavia, la riservatezza cede quando l'accesso è necessario per la tutela di un diritto, tanto più quando è collegato alla necessità della difesa in giudizio.

Le direttive europee non hanno alterato affatto questa impostazione e non sembra affatto che intendano enfatizzare la tutela della riservatezza delle imprese oltre i loro limiti generali. Hanno però introdotto la precisazione secondo cui la protezione dei dati riservati è subordinata ad una richiesta motivata di parte.

La ratio della previsione non è quella di ampliare l'ambito degli atti riservati, ma quella di orientare preventivamente le determinazioni delle stazioni appaltanti.

Sotto il profilo procedimentale, la decisione di oscuramento dovrebbe comportare l'effetto di delimitare il novero dei documenti suscettibili di piena pubblicità, ma, ragionevolmente, dovrebbe lasciare aperta la possibilità di accogliere istanze di accesso finalizzate alla tutela in giudizio della parte richiedente.

In tale cornice, allora, non potrà negarsi, in capo ai concorrenti, la facoltà di accedere a quelle componenti dell'offerta che, pur astrattamente riconducibili a diritti riservati, sono state valutate dalla stazione appaltante, ad esempio nel giudizio di anomalia o nella attribuzione dei punteggi dell'offerta tecnica

32. Le innovazioni riguardanti i pareri di precontenzioso dell'ANAC nell'art. 220 del Codice n. 36/2023. La scelta del legislatore delegato di non introdurre rimedi propriamente alternativi alla tutela processuale

Il sistema del precontenzioso dinanzi all'ANAC risulta in diverse parti modificato.

Come già illustrato, il codice sceglie di intervenire nella materia in modo apparentemente piuttosto cauto, senza sfruttare, sino in fondo, l'ampia opportunità, offerta dalla delega, che avrebbe permesso di potenziare gli strumenti di tutela propriamente alternativi ai rimedi giurisdizionali, anche per le controversie riguardanti la fase di affidamento dei contratti.

In sostanza, rimane largamente confermato l'impianto complessivo del vecchio codice, riguardante i pareri di precontenzioso dell'ANAC: non è introdotto alcuno strumento nuovo o ulteriore, ma si apportano alcune importanti variazioni alla previgente disciplina.

L'intento perseguito dal legislatore delegato è, comunque, quello di semplificare il sistema e renderlo più appetibile alle parti pubbliche e private.

Occorre verificare, tuttavia, se l'obiettivo avuto di mira sia stato effettivamente conseguito, analizzando gli elementi innovativi della disciplina.

Nella nuova dizione dell'art. 220 del Codice n. 36/2023 scompare, intanto, la vecchia previsione circa l'efficacia obbligatoria e vincolante del parere per le parti che vi abbiano preventivamente acconsentito.

Si prevede, invece, una limitazione del potere di impugnazione del parere in capo all'operatore economico che abbia richiesto il parere “o vi abbia aderito”. Tale diritto di ricorso è circoscritto alla sola “violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia.”

Di contro, la stazione appaltante o l'ente concedente che non intendano conformarsi al parere comunicano, con provvedimento da adottare entro quindici giorni, le relative motivazioni alle parti interessate e all'ANAC. In tali eventualità, l'ANAC, a sua volta, può proporre il ricorso di cui al comma 3 dello stesso articolo 220, contro le determinazioni di non conformazione al parere, adottate della stazione appaltante.

Il legislatore ha inteso superare le ambiguità della precedente disciplina, che prevedeva l'efficacia “vincolante” del parere, senza tuttavia chiarire la concreta portata sostanziale (e processuale) di tale qualificazione.

Le incertezze della normativa del codice n. 50/2016 erano acuite, poi, dalla circostanza che il parere, per quanto dotato di efficacia vincolante, era comunque impugnabile da tutti gli interessati, senza alcuna limitazione.

Inoltre, la sua vincolatività era a “geometria variabile” soggettiva, poiché essa operava solo nei riguardi delle parti che vi avessero preventivamente aderito.

Ora, invece, sembra venuta meno ogni possibile distinzione preventiva tra i pareri vincolanti e quelli non vincolanti, poiché la loro disciplina è, in linea di massima, unitaria.

Senonché, lo stesso articolo 220, pur eliminando qualsiasi riferimento all'efficacia vincolante del parere, non si preoccupa di indicare, positivamente, la natura e gli effetti della determinazione adottata dall'ANAC.

Il problema dell'efficacia del parere, quindi, non è risolto del tutto, ma piuttosto, accantonato.

D'altro canto, seppure manca una previsione riguardante l'indicazione dell'efficacia sostanziale del parere, sono introdotte delle nuove disposizioni che, indirettamente, ne regolano gli effetti, con particolare riguardo al regime di impugnazione dell'atto.

Tale regime non è unitario, ma si differenzia sotto il profilo soggettivo, in funzione della parte considerata (stazione appaltante od operatore economico) e in funzione della circostanza che la parte abbia, o meno, richiesto il parere o vi abbia aderito.

Dunque, la precedente criticabile “geometria variabile” dell'efficacia vincolante sostanziale del parere di precontenzioso è sì superata, ma, al suo posto è ora introdotta una non meno problematica geometria variabile soggettiva, rilevante sul piano processuale e sui mezzi di tutela delle parti.

In particolare, l'articolo 220 distingue le posizioni delle parti private da quella della stazione appaltante; e distingue ancora, in seno alle parti private, due categorie di soggetti:

a) quelle che hanno richiesto il parere o vi hanno aderito;

b) tutte le altre parti, che non hanno aderito al parere.

Le indicate differenze riguardano, testualmente, soltanto il potere di impugnazione dei pareri. La normativa non spiega, espressamente, quali siano gli eventuali riflessi sostanziali dell'indicata distinzione sulle posizioni delle parti.

La condizione della stazione appaltante di fronte al parere sembra definita in modo nitido.

Indipendentemente dalla circostanza che essa abbia richiesto o meno il parere (o vi abbia preventivamente aderito), la stazione appaltante ha sempre il potere di “non conformarsi” al parere, con atto motivato, da adottare entro quindici giorni. Si deve ritenere che tale termine decorre dalla conoscenza legale del parere stesso.

Dunque, sotto un primo aspetto, la stazione appaltante si trova in una peculiare situazione di “privilegio”, perché non ha alcun onere di impugnare il parere (ad essa sfavorevole) in sede giurisdizionale, potendosi limitare ad adottare un atto di motivato dissenso.

Di contro, tuttavia, a tutela della certezza dei rapporti giuridici, la determinazione di non conformazione va adottata entro il brevissimo termine di quindici giorni.

Non è chiaro se la stazione appaltante, anziché adottare il previsto provvedimento di “non conformazione” possa decidere di agire direttamente davanti al giudice amministrativo, impugnando il parere.

La soluzione affermativa sembrerebbe preferibile, poiché, altrimenti si provocherebbe una ingiustificata limitazione della tutela processuale della stazione appaltante, la quale ben potrebbe avere interesse ad attivarsi per ottenere una decisione del giudice idonea a definire il merito della controversia.

Se si aderisce a questa interpretazione, però, sembrerebbe non ben coordinato il termine di quindici giorni per l'adozione dell'atto di “non conformazione” con il termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso giurisdizionale.

Resta fermo, peraltro, che il decorso del termine di quindici giorni previsto per l'adozione del provvedimento di dissenso dal parere, non può qualificarsi come tacita acquiescenza: anche dopo la sua scadenza la stazione appaltante potrebbe sempre proporre il ricorso giurisdizionale.

Poiché, fino alla scadenza del termine di trenta giorni, permane l'incertezza circa la definitività del parere, non sembra del tutto giustificata l'asimmetrica previsione di un termine di soli quindici giorni per l'adozione del provvedimento motivato di dissenso.

La brevità del termine per l'adozione dell'atto di non conformazione al parere, inoltre, comporta la pratica difficoltà di assicurare il diritto di partecipazione procedimentale alle parti interessate. Ciò provoca l'emersione di un'altra rilevante criticità, perché la stazione appaltante potrebbe dissociarsi dal parere senza garantire un adeguato contraddittorio alle parti interessate. Non potrebbe reputarsi idonea, a tal fine, la partecipazione svolta nella precedente fase dinanzi all'ANAC.

33. La natura giuridica e gli effetti del parere di precontenzioso

Come si è detto, l'art. 220 non indica, espressamente e positivamente, quali siano gli effetti del parere di precontenzioso.

La questione va correttamente affrontata muovendo dall'unico dato normativo certo, riferito all'illustrato regime di contestazione e impugnazione del parere.

Per dare coerenza a tale normativa è inevitabile concludere che il parere dell'ANAC, una volta scaduti i termini per il ricorso giurisdizionale e per l'adozione della motivata “non conformazione”, diventa inoppugnabile e costituisce l'unica fonte di regolamentazione del rapporto giuridico controverso.

Questa efficacia vincolante è evidente per la stazione appaltante, indipendentemente dalla circostanza che essa abbia aderito, o meno, al parere.

Ma detta efficacia vincolante va riconosciuta anche nei confronti delle parti, a prescindere dalla loro adesione, o meno, al parere.

Per impedire la produzione degli effetti giuridici del parere, la parte interessata, infatti, ha l'onere di proporre ricorso giurisdizionale avverso il parere.

L'onere di impugnazione sussiste in capo a tutte le parti “soccombenti” davanti all'ANAC. A tale esito si perviene osservando che l'art. 220 contempla le parti che abbiano richiesto il parere (o vi abbiano aderito) al solo fine di definire i motivi di ricorso proponibili.

Inoltre, essendo soppressa ogni distinzione tra i pareri vincolanti e quelli non vincolanti, l'effetto derivante dal parere non consente di differenziare la posizione delle parti.

Si tratta di stabilire, allora, quale sia la portata oggettiva della riconosciuta efficacia dei pareri di precontenzioso, anche al fine di individuare gli strumenti di tutela a disposizione delle parti.

Il punto è certamente complesso: già nel precedente assetto normativo risultava difficile collocare il sistema di precontenzioso nell'ambito di istituti conosciuti. Il rimedio, infatti, presenta caratteri peculiari, solo in parte assimilabili a quelli dei ricorsi amministrativi (in particolare dei gerarchici impropri), a quelli dei giudizi arbitrali, e a quelli dei procedimenti di autotutela.

Un criterio interpretativo da tenere presente, oggi, è costituito dalla indicazione della legge delega, la quale considera puntualmente le forme di tutela alternative ai rimedi giurisdizionali.

Questo dato suggerisce di attribuire al “parere” dell'ANAC un contenuto propriamente decisorio, con effetti sostanziali corrispondenti a quelli della pronuncia del giudice togato.

La prima conseguenza di questa opinione è che il parere dell'ANAC, anche quando accerta l'illegittimità dell'atto contestato in sede di precontenzioso non richiede di essere recepito in un'apposita determinazione della stazione appaltante.

Il parere potrebbe quindi determinare effetti corrispondenti a quelli annullatori, conformativi e ripristinatori della sentenza del giudice.

Ne deriverebbe, allora, l'ulteriore conseguenza secondo cui, a fronte dell'inerzia della stazione appaltante o dell'adozione di atti contrastanti con il parere, l'interessato potrebbe agire con l'azione di ottemperanza.

La fattispecie, infatti, ben potrebbe rientrare nell'ambito dell'articolo 114, comma 1, lettera d) del CPA, che considera le sentenze passate in giudicato e gli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell'ottemperanza, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione”.

Seguendo questa linea interpretativa, quindi, l'accresciuta “forza” dell'intervento dell'ANAC potrebbe risultare adeguatamente valorizzata.

L'ipotizzata equiparazione del parere di precontenzioso alla pronuncia del giudice impone, comunque, di affrontare un tema che l'art. 220 omette di considerare.

Occorre chiarire se la richiesta di parere sia soggetta allo stesso termine decadenziale previsto dall'art. 120 per il ricorso giurisdizionale.

Nell'assetto previgente la tesi prevalente era nel senso che la richiesta non fosse sottoposta a termini decadenziali. Tale conclusione, peraltro, era coerente con la previsione di un'efficacia differenziata del parere ANAC. Inoltre, era largamente condizionata dall'idea che il precontenzioso abbia connotati essenzialmente volontari e conciliativi.

Alla luce della nuova disciplina, invece, risulta preferibile l'opinione secondo cui il rimedio giustiziale di cui all'art. 220, sia soggetto, quanto mento per analogia, al termine decadenziale di trenta giorni, previsto sia dall'art. 120 del CPA, sia dalla disciplina generale del ricorso gerarchico improprio.

Resta aperta la possibilità, per tutte le parti coinvolte, di richiedere tardivamente, ma congiuntamente, l'emissione del parere.

34. La disparità sostanziale e processuale tra le parti: il privilegio attribuito alla stazione appaltante e le sue possibili giustificazioni. Gli effetti dell'inerzia: consolidamento dell'efficacia vincolante del parere?

Superati i dubbi circa l'attitudine del parere ad assumere effettivamente la funzione di rimedio alternativo alla tutela giurisdizionale, la disciplina dell'art. 220 comporta alcune criticità.

Anzitutto, non appare del tutto giustificata la posizione privilegiata riconosciuta alla stazione appaltante, la quale può semplicemente “dissociarsi” dal parere dell'ANAC, senza necessità di proporre un ricorso giurisdizionale, diretto a denunciarne l'illegittimità.

Questo potere di assumere una decisione difforme dal parere ha portata generale e sussiste anche nei casi in cui la stazione appaltante abbia aderito alla richiesta di parere.

Inoltre, in tale secondo caso, la decisione di non conformarsi al parere potrebbe basarsi, motivatamente, anche su ragioni riguardanti il procedimento dinanzi all'ANAC o i profili fattuali della controversia. Non è ripetuta, infatti, la limitazione del potere di impugnazione giurisdizionale prevista per la parte che abbia aderito al parere.

Si potrebbe ritenere, forse, che la prevista disciplina sia coerente con la scelta legislativa di assegnare alla determinazione dell'ANAC l'efficacia di un “parere meramente endoprocedimentale”. L'avviso espresso dall'Autorità sarebbe prodromico alla decisione conclusiva di un tipico procedimento di autotutela, avviato dall'iniziativa dall'interessato, ma sempre intestato alla stazione appaltante. Questa, a fronte del parere dell'ANAC, conserverebbe il potere di concludere il procedimento di precontenzioso e di scegliere, alternativamente una delle seguenti soluzioni:

- La decisione di dissociazione motivata dal parere;

- La conferma espressa dei contenuti decisori del parere, senza necessità di alcuna motivazione ulteriore o specifica;

- La conferma tacita, del parere, derivante dall'inerzia, protratta per quindici giorni senza adozione di alcun provvedimento; seguita dalla mancata impugnazione del parere nel termine di trenta giorni.

In questa prospettiva, allora, il potere di “dissociazione” dal parere non costituirebbe un privilegio accordato a una delle parti in lite, ma sarebbe la coerente conseguenza del ruolo riservato alla stazione appaltante in un peculiare procedimento di riesame.

35. La limitazione delle censure proponibili dalle parti che abbiano richiesto il parere o vi abbiano aderito

La norma prevede, poi, una limitazione dei mezzi di censura del parere, proponibili dalla parte che abbia richiesto il parere o abbia aderito alla richiesta di parere.

La disposizione contiene, letteralmente, una duplice restrizione:

- La parte non può proporre censure riguardanti la violazione delle regole procedimentali, che governano il procedimento di adozione del parere dell'ANAC);

- La parte non può proporre censure attinenti a profili di fatto (non di diritto) del contenzioso sottoposto all'esame dell'Autorità.

È difficile comprendere le ragioni di questa regola e della duplice limitazione che essa prevede e sussistono seri dubbi sulla legittimità della previsione.

A stretto rigore, proprio la parte che ha richiesto il parere, o vi abbia aderito, infatti, dimostra di avere riposto piena fiducia nel procedimento precontenzioso dinanzi all'ANAC, confidando nella correttezza del suo svolgimento e nella “giustizia” del suo esito, anche in relazione alla esatta valutazione degli elementi fattuali della controversia.

Ed allora, perché negare a questa parte (e ad essa soltanto), il diritto di proporre censure riguardanti il rispetto delle regole che disciplinano il procedimento precontenzioso? Forse, si pensa che l'immunità riconosciuta in tal modo all'Autorità possa stimolare il ricorso alla tutela precontenziosa?

Se, invece, l'intento del legislatore è quello di deformalizzare il procedimento, sarebbe preferibile agire sul piano sostanziale, mediante una netta semplificazione dell'iter. Senza trascurare poi, che dovrebbe estendersi anche ai pareri di precontenzioso la disciplina di cui all'art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990, circa la non annullabilità dell'atto per ragioni meramente formali, non incidenti sul suo contenuto dispositivo.

Altrettanto inspiegabile è il divieto di proporre censure attinenti al “fatto” oggetto del parere. Se l'ANAC ha commesso un errore riguardante tale aspetto della controversia, è necessario assicurare piena tutela alla parte. E, anche in questo caso, non pare che esentare l'ANAC da ricorsi che propongono censure attinenti al “fatto” possa rappresentare un incentivo al precontenzioso: al contrario, determinerebbe un grave deficit di fiducia nei confronti dell'organo, libero di commettere “errori di fatto”, non più rimediabili davanti al giudice togato.

In ogni caso, non è chiaro perché siano distinti i poteri di impugnazione del parere spettanti alle parti, distinguendo le censure proponibili, in funzione della posizione assunta nel procedimento precontenzioso.

36. Le regole processuali applicabili ai ricorsi contro i pareri di precontenzioso

Altri dubbi applicativi vanno riferiti alle regole processuali riguardanti l'impugnazione del parere.

Anzitutto, la norma sopprime il riferimento espresso all'applicazione del rito di cui all'art. 120 CPA, contenuto nel vecchio articolo 211 del codice n. 50/2016. La modifica, però, non ha particolari conseguenze, alla luce dell'ampia dizione del nuovo art. 120, che comprende, ora tutti i ricorsi contro provvedimenti ANAC, riferiti al settore dei contratti pubblici, anche senza connessione con l'impugnazione di altri atti.

Il punto critico del nuovo impianto legislativo riguarda la previsione dell'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 220, secondo il quale nel caso in cui la stazione appaltante decida di non conformarsi al parere di precontenzioso, l'ANAC “può proporre il ricorso di cui al comma 3”, ossia la speciale azione per l'impugnazione “dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante”, proponibile qualora l'Autorità “ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”.

Si tratta di stabilire se:

a) Il ricorso è sempre proponibile, o, per la sua ammissibilità, occorre verificare la presenza dei presupposti sostanziali previsti dal comma 3 dell'art. 120 (gravità delle violazioni);

b) Per la proposizione del ricorso occorra seguire, o meno, l'intero iter procedimentale descritto dalla norma, attivando la preventiva messa in mora della stazione appaltante, mediante l'emissione di un nuovo parere.

La soluzione preferibile è nel senso che l'ANAC sia sempre legittimata a proporre il ricorso, senza necessità di verificare che si tratti di contratti di “rilevante impatto” e di “gravi violazioni”. Ciò perché l'ANAC, attraverso l'intervento precontenzioso, si è già occupata della vicenda e, pertanto, è opportuno riconoscerle sempre il potere di difendere in giudizio il proprio parere, indipendentemente dall'impatto del contratto e dalla gravità delle violazioni.

Per la proponibilità del ricorso, poi, risulta certamente superflua l'attivazione del procedimento di messa in mora della stazione appaltante, dal momento che il “dialogo” con le parti è già stato puntualmente garantito nell'ambito del precontenzioso e il suo rinnovo costituirebbe un inutile aggravio procedimentale.

Si deve ritenere, poi, che, in conformità ai principi generali, la determinazione della stazione appaltante è senz'altro impugnabile anche dalle altre parti interessate, vincitrici nel procedimento di precontenzioso.

37. La nullità e la “non apposizione” delle clausole concernenti le cause di esclusione non previste dalla legge, secondo l'art. 10, comma 2 del Codice n. 36/2023. La ricognizione degli orientamenti espressi dall'Adunanza Plenaria e gli ulteriori profili innovativi. Verso il tramonto delle clausole escludenti?

Un'altra norma del Codice n. 36/2023 è destinata ad assumere un notevole impatto sulla disciplina del giudizio amministrativo, nonostante la sua collocazione attuale sia estranea alla sede processuale.

Si tratta dell'articolo 10, comma 2, il quale stabilisce la regola secondo cui “Le cause di esclusione di cui agli articoli 94 e 95 sono tassative e integrano di diritto i bandi e le lettere di invito; le clausole che prevedono cause ulteriori di esclusione sono nulle e si considerano non apposte.

La norma, collocata nell'ambito dei principi, all'evidente scopo di enfatizzarne il rilievo, recepisce, ma con una significativa modifica testuale, la previsione originaria dell'articolo 83, comma 8, ultimo periodo, del codice n. 50/2016, secondo cui “I bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.

La differenza rispetto alla disciplina previgente è visibilmente originata dall'esigenza di adeguare la disciplina scritta al diritto giurisprudenziale scaturito dai principi espressi dall'Adunanza Plenaria, con la nota decisione n. 22 del 2020.

Secondo la citata pronuncia, la nullità della clausola, ai sensi dell'art. 83, comma 8, del d. lgs. n. 50 del 2016, configura un'ipotesi di nullità parziale, limitata alla clausola emanata in contrasto con la legge, da considerare non apposta, che non si estende all'intero provvedimento, il quale conserva natura autoritativa.

Per comprendere la portata del principio affermato, è opportuno sottolineare che, secondo la pronuncia, rientra nel campo di applicazione dell'articolo 83, comma 8, la clausola del disciplinare di gara che subordini l'avvalimento dell'attestazione SOA alla produzione, in sede di gara, dell'attestazione SOA anche della stessa impresa ausiliata.

La decisione afferma che siffatta clausola si pone in contrasto con gli artt. 84 e 89, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016. Aggiunge, peraltro, che tale violazione si colloca all'interno della previsione di cui all'art. 83, comma 8, costituendo una “prescrizione” a pena di esclusione, non prevista dal codice.

La Plenaria, poi, spiega quali siano le conseguenze derivanti dall'accertata “non apposizione” della clausola della lex specialis di gara, con riferimento ai successivi atti della stazione appaltante, applicativi della clausola stessa. In particolare, la Plenaria individua la sorte dei concreti provvedimenti di esclusione, basati sulla clausola “non apposta”.

Tali provvedimenti non sono nulli, ma annullabili. Ne deriva che essi devono essere impugnati con l'azione generale di annullamento, nel termine decadenziale previsto dall'art. 120.

In sintesi, la Plenaria ha preliminarmente assegnato una portata molto ampia alla previsione dell'art. 83, comma 8, interpretando la locuzione “prescrizioni”. Questa dizione non riguarda le sole regole formali dei bandi di gara in senso stretto, quali le modalità di presentazione delle offerte e le altre prescrizioni sullo svolgimento della gara imposte ai partecipanti, ma comprende anche le clausole relative ai requisiti sostanziali di partecipazione.

Nel caso di specie, la prescrizione riguardante l'onere (stabilito a pena di esclusione) di presentazione dell'attestazione SOA dell'impresa ausiliata non riguarda solo il dato materiale e formale della produzione del documento probatorio, ma attiene al requisito sostanziale, relativo alla effettiva titolarità dell'attestazione.

La Plenaria ha poi delineato la nozione di “non apposizione” (parziale) della clausola contra legem, ai sensi dell'art. 83, comma 8, affermando, non solo che essa non deve essere contestata con l'azione di annullamento (come è del tutto pacifico), ma anche che essa non deve essere nemmeno impugnata con l'azione generale di nullità, prevista dall'art. 30 del CPA.

Ha però evidenziato che il provvedimento applicativo della clausola considerata “non apposta” deve essere impugnato con l'azione di annullamento, perché non può considerarsi nullo. La Plenaria, infatti, ha respinto la tesi, pure prospettata dall'ordinanza di rinvio, dell'invalidità derivata: per la Sezione remittente, il provvedimento applicativo di un atto presupposto nullo non può che essere, a sua volta, nullo.

Il nuovo articolo 10 si allinea, decisamente, alla tesi della Plenaria, dando cittadinanza legislativa, anche nel campo amministrativo, alla categoria della nullità parziale, con effetto di “non apposizione” (9). La stessa disposizione stabilisce, peraltro, alcune ulteriori innovazioni.

Si possono svolgere, al riguardo, le seguenti osservazioni.

È assai probabile che il citato articolo 83, comma 10, e i suoi immediati antecedenti legislativi, intendessero stigmatizzare essenzialmente (e forse soltanto) le cosiddette “clausole della ceralacca”, ossia le prescrizioni meramente formali, sancite a pena di inammissibilità delle offerte, che provocavano, in passato, notevole contenzioso, dagli esiti incerti.

Si trattava delle prescrizioni riguardanti, in particolare, le modalità di chiusura e sigillamento delle buste recanti le offerte, la documentazione a corredo, il “formato” delle pagine, l'utilizzazione di moduli predisposti dalla stazione appaltante, oppure del mezzo di invio, dell'orario di consegna.

Al riguardo, la casistica era sterminata e l'evoluzione della giurisprudenza era risultata piuttosto complessa.

L'orientamento prevalente era sintetizzabile in questi punti:

a) La stazione appaltante è titolare di un amplissimo potere di regolare ex ante le modalità formali di presentazione delle offerte;

b) Tuttavia, le clausole devono essere ragionevoli e non possono rendere impossibile o eccessivamente difficoltosa la presentazione delle offerte o creare effetti discriminatori;

c) Nel dubbio, dette clausole vanno interpretate in modo da garantire la più ampia partecipazione dei concorrenti;

d) Dette clausole possono essere impugnate congiuntamente al provvedimento di esclusione, poiché non sono inquadrabili nell'ambito delle clausole “escludenti”, soggette all'onere di immediata impugnazione.

In tale quadro interpretativo, sufficientemente chiaro, tuttavia, le imprese erano costrette a dedicare un'attenzione sproporzionata alle regole formali della gara e il rischio di contenzioso era molto forte.

Da qui la scelta legislativa di eliminare in radice il potere delle stazioni appaltanti di stabilire prescrizioni formali a pena di esclusione. La soppressione integrale di tale facoltà si accompagna all'espressa previsione della nullità, e non già della mera annullabilità, di siffatte clausole.

In questa vicenda normativa, la sanzione forte della nullità, invece, non sembrava immediatamente estensibile alle clausole del bando aventi per oggetto i requisiti sostanziali di ammissione delle offerte o dei concorrenti. Non pareva riguardare, fra l'altro, le clausole riguardanti l'utilizzabilità dello strumento dell'avvalimento.

Il nuovo testo legislativo, aderendo alla ricordata interpretazione della Plenaria, segue una strada del tutto diversa e considera, in generale, tutte le “cause di esclusione” e non “le prescrizioni a pena di esclusione”. Il mutamento lessicale della disciplina è evidente.

Non dovrebbero esserci più dubbi, quindi, che, ora, la nullità comprende sia le clausole riguardanti prescrizioni formali del bando, in senso stretto, stabilite “a pena di esclusione”, sia clausole riferite alle cause di esclusione e, simmetricamente, ai requisiti di partecipazione.

La formulazione prescelta dal legislatore, tuttavia, lascia intatto un dubbio interpretativo, riguardante l'esatta portata della norma.

A stretto rigore, infatti, l'articolo 10 si riferisce testualmente alle sole “cause di esclusione”: l'espressione è ripetuta due volte. Sul piano rigorosamente letterale, quindi, la disposizione parrebbe riguardare soltanto i casi in cui la clausola stabilisca che l'operatore economico vada escluso, in presenza di determinate circostanze. Non contemplerebbe, invece, le ipotesi in cui le clausole prevedano i requisiti positivi di ammissione.

Si può ragionevolmente ritenere, tuttavia, che la norma, intesa nella sua ratio e non soltanto nella sua lettera, consideri, insieme alle ipotesi (peraltro non frequenti) in cui il bando stabilisce, negativamente, l'esclusione di concorrenti mancanti di determinate condizioni, anche il caso simmetrico in cui la clausola stabilisca positivamente determinati requisiti di ammissione alla gara.

È questa, del resto, proprio l'ipotesi considerata dalla citata Plenaria del 2020: la clausola contestata non prevedeva affatto una “causa di esclusione”, ma disciplinava, positivamente, i requisiti di ammissione alla gara, mediante l'avvalimento, imponendo la titolarità dell'attestazione SOA anche in capo all'impresa ausiliata.

Ciò chiarito, è piuttosto evidente, allora, la portata dirompente della norma.

Se si intende correttamente il testo legislativo, ora tutte le clausole “escludenticontra legem sono da considerare “non apposte”: pertanto non sono soggette all'onere di immediata impugnazione, né con l'azione di annullamento, né mediante l'azione di nullità.

Benché la nuova norma non lo dica espressamente, peraltro, dovrebbe restare fermo il principio enunciato dalla Plenaria. Nonostante l'effetto di “non apposizione” della clausola, la parte interessata ha sempre l'onere di impugnare l'eventuale atto applicativo di esclusione, nel termine decadenziale di trenta giorni, decorrente dalla sua conoscenza legale.

Quali sono le concrete conseguenze del nuovo assetto normativo?

Non vi è dubbio che il descritto risultato ermeneutico abbia il pregio di sottolineare la cogenza della regola di tassatività delle cause di esclusione, regola che il Codice n. 36/2023 eleva addirittura al rango di principio generale.

Resta però da chiedersi se, in tal modo, non risulti eccessivamente sacrificata l'esigenza di certezza sul corretto svolgimento della gara, esigenza che è stata costantemente alla base della costruzione giurisprudenziale della categoria delle “clausole escludenti” del bando e del correlato onere di immediata impugnazione gravante sui concorrenti.

L'originaria disciplina dell'art. 83, comma 10, riferita alla nullità delle (sole) prescrizioni formali non comportava le indicate criticità, poiché, all'epoca, era assolutamente pacifico che le clausole riguardanti le modalità di presentazione delle offerte non avessero carattere immediatamente lesivo.

Ora, se, come è probabile, resterà ferma la conclusione della Plenaria secondo cui i provvedimenti di esclusione basati su una clausola di bando considerata “non apposta” sono annullabili, il risultato finale della riforma sembra risolversi nella sostanziale eliminazione (o, per lo meno, del drastico ridimensionamento) della categoria delle “clausole escludenti” soggette all'onere di immediata impugnazione.

È difficile giudicare se questa conclusione avrà, o meno, effetti benefici sull'efficienza della gara: la maggiore tutela appresta al concorrente ingiustamente escluso comporterà, inevitabilmente, un significativo differimento della decisione sulla legittimità della clausola. Inoltre, non può trascurarsi che, in passato, la costruzione giurisprudenziale della figura della clausola escludente, e del correlato onere di immediata impugnazione non sembrava porsi in contrasto con i principi relativi all'effettività della tutela.

38. La pendenza del contenzioso e la sua inidoneità ad incidere sul procedimento sostanziale di affidamento

Il codice dedica diverse norme agli effetti della pendenza del contenzioso sui procedimenti sostanziali di affidamento.

Si tratte di disposizioni certamente conformi ai criteri di delega, volte a superare una delle cause di rallentamento delle procedure di affidamento.

È noto, infatti, che anche quando il giudice amministrativo respinge le domande di annullamento o di sospensione dell'aggiudicazione, le stazioni appaltanti sospendono prudenzialmente il procedimento, attendendo la definizione del contenzioso.

Ora, invece, il legislatore, sviluppando alcune idee già emerse in occasione della normativa emergenziale, stabilisce perentoriamente che la pendenza del contenzioso non deve determinare alcuna interruzione dell'iter procedimentale.

A tale proposito meritano di essere segnalate le già citate regole di cui all'art. 17, commi 3 e 10.

Molto opportunamente, le disposizioni stabiliscono che la procedura di affidamento può conoscere pause legittime solo nei casi tassativamente indicati.

La pendenza del contenzioso, pertanto, non comporta alcuna automatica sospensione, benché, in tali casi, resti aperta la possibilità, per la stazione appaltante, di adottare formali “provvedimenti di autotutela”.

La formula adoperata è, volutamente, piuttosto ampia e generica e non richiama espressamente gli istituti tipici di cui alla legge n. 241/1990.

È però ragionevole ritenere che, nell'ambito dell'art. 17, vadano comprese anche (se non soprattutto) le determinazioni cautelari, con cui la stazione appaltante valuta l'opportunità di sospendere l'iter procedimentale. In conformità ai principi generali e in linea con la ratio della norma speciale, il provvedimento di sospensione dovrà motivare adeguatamente la scelta compiuta, senza potersi limitare alla mera citazione della pendenza del contenzioso.

La norma in esame si raccorda visibilmente con il meccanismo della sospensione della stipulazione (“stand still”), anch'essa tipizzata e circoscritta.

A tale proposito, l'art. 18, comma 3, conferma la durata di 35 giorni della prima sospensione (“stand still sostanziale”), termine decorrente dall'invio ai concorrenti e ai candidati dell'ultima comunicazione ex art. 90.

Resta quindi confermato il disallineamento tra la durata del termine sospensivo (35 gg.) e la durata del termine per la notifica del ricorso contro l'aggiudicazione (30 gg.).

Probabilmente, il legislatore delegato, nel disciplinare, ex novo, la durata del termine sospensivo, avrebbe potuto tenere conto che, nel nuovo contesto interamente digitalizzato della procedura, le comunicazioni via PEC (comprese quelle effettuate ai sensi dell'art. 90) arrivano ormai ai destinatari in tempo reale, senza soluzione di continuità tra invio e ricezione.

Altrettanto immediata è la conclusione del procedimento di notifica telematica del ricorso (che va fatta al domicilio reale della stazione appaltante statale): invio e ricezione della notifica avvengono contestualmente.

Perciò, non è più del tutto giustificata la dilatazione temporale della sospensione della stipulazione per cinque giorni ulteriori rispetto alla scadenza del termine di proposizione del ricorso. Come è noto, la vecchia disciplina, risalente al 2010, era collegata al sistema delle comunicazioni cartacee tradizionali. In tale contesto tecnologico si spiegava l'opportunità di sospendere la stipulazione per 35 giorni (anziché 30), considerando la fisiologica distanza temporale tra il momento in cui le comunicazioni “partono” e quello in cui esse pervengono effettivamente agli operatori economici, nonché l'altrettanto ordinario intervallo temporale (all'epoca) tra l'invio e il perfezionamento della notifica del ricorso giurisdizionale.

De iure condendo (magari già in sede di correttivo), il legislatore potrà valutare l'opportunità di “guadagnare” cinque preziosi giorni per accelerare la stipulazione, riducendo la sospensione a trenta giorni, o conservare l'attuale assetto, più “prudenziale”.

Anche l'art. 18, comma 7, del nuovo codice conferma la regola secondo la quale la pendenza del contenzioso, di per sé, non deve ritardare lo sviluppo della procedura:

7. La mancata o tardiva stipula del contratto al di fuori delle ipotesi di cui ai commi 5 e 6 costituisce violazione del dovere di buona fede, anche in pendenza di contenzioso.

La norma riguarda, evidentemente, sia la stazione appaltante, sia l'affidatario, ma incide, obiettivamente, sulla tempestiva conclusione della procedura.

È appena il caso di osservare che, nonostante la lettera della norma faccia salvi i soli casi di cui ai commi 5 e 6 dello stesso articolo, riguardanti la sospensione “automatica” della stipulazione, nessuna violazione dei doveri di buona fede potrebbe imputarsi, ovviamente, alle parti, in presenza di decisioni del giudice, cautelari o di merito, che sospendono o precludono la stipulazione.

Il citato comma 7, peraltro, non compie alcun riferimento esplicito alla salvezza dei poteri di autotutela della stazione appaltante.

Anche in tale ipotesi, può comunque trovare applicazione la citata regola dell'art. 17, atteso il suo riferimento generale alla “procedura” e alla sospensione dell'aggiudicazione, costituente il presupposto indefettibile della stipulazione del contratto.

Resta poi ferma (e assume carattere logicamente prevalente) la regola del comma 2, secondo cui l'esercizio dei poteri di autotutela è sempre idoneo a sospendere il termine di sessanta giorni per la stipulazione dei contratti. Non sembrerebbe coerente consentire la sospensione del termine per la stipulazione, senza, allo stesso tempo, rimodulare le responsabilità delle parti.

39. I problemi particolari della disciplina processuale transitoria. Il principio tempus regit actum delle regole processuali e le questioni specifiche aperte. Il problema della operatività della nuova disciplina concernente la decorrenza del termine di ricorso

Il quadro della disciplina transitoria definito dal Codice n. 36/2023 è piuttosto complesso e si riflette anche sull'applicazione delle nuove regole processuali.

A) In linea generale, infatti, le disposizioni del codice, seppure entrate in vigore il 1° aprile 2023, acquistano efficacia il 1° luglio 2023 (art. 229, comma 2). Tra queste è compreso l'art. 209, che contiene la già illustrata riscrittura degli articoli 120, 121 e 124 del CPA.

B) Dette norme dovrebbero essere applicate, a partire dal 1 luglio, secondo il consueto criterio tempus regit actum, anche ai giudizi in corso, ma non agli atti compiuti secondo la normativa previgente. Non sono previste, infatti, norme specifiche riguardanti il regime transitorio delle regole processuali.

C) Tuttavia, a decorrere dalla data in cui il codice acquista efficacia, ai sensi dell'articolo 229, comma 2, le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016 continuano ad applicarsi esclusivamente ai procedimenti in corso (art. 226, comma 2). La disposizione indica, analiticamente, che cosa debba intendersi per “procedimenti in corso”, utilizzando un criterio riferito ai profili sostanziali della vicenda.

D) Detto criterio conduce ad affermare che ai procedimenti in corso alla data del 1 luglio non si applicano le disposizioni di cui all'art. 10,

E) Peraltro, ai sensi dell'art. 225, acquistano efficacia, a partire dal 1° gennaio 2024 numerose disposizioni, tra le quali si devono segnalare tutte le norme (procedimentali e processuali) in materia di pubblicità e di accesso agli atti (ma non quelle concernenti le comunicazioni di cui all'art. 90, che acquistano efficacia dal 1 luglio 2023, al pari delle disposizioni riguardanti il processo e i pareri di precontenzioso).

Proprio l'ultima scelta legislativa è destinata a provocare qualche serio problema applicativo, con riguardo alla disciplina concernente la precisa individuazione della decorrenza del termine di proposizione del ricorso.

Il punto critico è il seguente.

Il nuovo articolo 120 entra in vigore il 1° luglio 2023. La decorrenza del termine di ricorso però è correlata alla comunicazione di cui all'art. 90, “oppure dal momento in cui gli atti sono messi a disposizione ai sensi dell'articolo 36, commi 1 e 2, del medesimo codice dei contratti pubblici.

L'art. 90 entra in vigore, anch'esso, il 1° luglio 2023, ma non è applicabile ai procedimenti in corso a tale data. Sicché, già sotto tale profilo, la nuova disciplina della decorrenza del termine è destinata a slittare in avanti, comprendendo solo i procedimenti iniziati a partire dal 1° luglio.

La disciplina dell'art. 36, invece, entra in vigore solo a partire dal 1° gennaio 2024 e, comunque, riguarda i soli procedimenti iniziati dopo tale data.

L'unica parte innovativa della norma che entra in vigore il 1° luglio 2023 è quella riguardante la soppressione della conoscenza effettiva quale fatto idoneo a determinare la decorrenza del termine.

In assenza di un'apposita normativa transitoria, il quadro che ne deriva è piuttosto confuso.

La soluzione più semplice potrebbe essere la seguente.

La nuova disciplina della decorrenza del termine di ricorso è strettamente collegata alla nuova regolamentazione sostanziale delle comunicazioni e dell'accesso, che va considerata in modo unitario e inscindibile.

Ne deriva che essa potrà trovare applicazione solo quando dette regole saranno applicabili, tutte, a pieno regime. In sintesi: l'art. 120, nella parte riguardante la decorrenza del termine di ricorso, sarà applicabile soltanto ai procedimenti iniziati dopo il 1° gennaio 2024. Fino a tale data, pertanto, continua ad operare la previgente normativa, così come interpretata dall'Adunanza Plenaria.

Note

(1) Dal punto di vista formale della “tecnica legislativa”, l'opzione di prevedere, all'interno di un codice, disposizioni destinate a novellare gli articoli di un preesistente, diverso codice, potrebbe suscitare qualche riserva. Un'alternativa poteva essere quella di inserire la “novella” tra le disposizioni finali, o di coordinamento e prevedere, nel corpo del codice n. 36/2023 una norma generale di rinvio alla disciplina della tutela giurisdizionale stabilita dal codice del processo amministrativo, in analogia a quanto stabilito, a suo tempo, nel codice n. 163/2006.

(2) È questo il motivo per cui, secondo le regole di redazione degli atti normativi, quando si aggiunge un comma ad un articolo, questo deve sempre avere la numerazione bis, ter, eccetera, anche quando l'aggiunta riguarda l'ultimo comma. Ciò non comporta affatto una “complicazione”, ma sottolinea il carattere emendativo della nuova disposizione.

(3) Il problema potrebbe essere superato, tuttavia, ritenendo che, ormai, il codice n. 36/2023 comprende tutti i contratti di lavori, servizi e forniture: non esisterebbero, in concreto, contratti soggetti solo all'art. 119, ma non all'art. 120.

(4) Come ricordato, dal punto di vista letterale, l'art. 120 attribuisce rilievo alla conoscenza effettiva “in ogni altro caso”. Il significato di tale espressione non è univoco. Dal punto di vista letterale è forse possibile ritenere che essa riguarderebbe i casi di impugnazione di atti diversi dall'aggiudicazione e dal bando. Ma la giurisprudenza ha invece attribuito alla norma una valenza più ampia, consistente nella estensione, anche al rito appalti della previsione generale del CPA, secondo cui, in ogni caso, la conoscenza effettiva determina la decorrenza del termine di proposizione del ricorso.

(5) “6. In caso di istanza cautelare, all'esito dell'udienza in camera di consiglio e anche in caso di rigetto dell'istanza, il giudice provvede ai necessari approfondimenti istruttori.”

(6) La precedente formula “la stazione appaltante abbia posto in essere” è sostituita dalla locuzione “la stazione appaltante o l'ente concedente ha seguito”.

(7)“Se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero.”

(8) Secondo l'art. 5, comma 1, del Decreto del Ministero della giustizia 10 marzo 2014, n. 55 (Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247): “Nei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, si ha riguardo di norma alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata. In ogni caso si ha riguardo al valore effettivo della controversia, anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti, quando risulta manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile o alla legislazione speciale.”

(9) La costruzione della Plenaria è vistosamente ispirata da alcune acquisizioni del diritto civile, riguardanti la disciplina della “invalidità parziale”. Le norme legislative che prevedono espressamente la conseguenza della “non apposizione” di determinate clausole contrattuali o negoziali contrarie alla legge hanno l'evidente scopo di chiarire che nelle ipotesi considerate, ferma restando la “nullità”, l'invalidità lascia intatto, per il resto, il contratto o il negozio.

Nella costruzione della Plenaria il riferimento alla “non apposizione” comporta una conseguenza ulteriore, perché non solo intende precisare che l'invalidità non si estende alle restanti parti del bando, ma determina la sottrazione alle regole della nullità dell'atto amministrativo, con particolare riguardo alle modalità attraverso cui essa si fa valere in giudizio.

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