La perdita di chance lavorative è un requisito imprescindibile per il riconoscimento dell'assegno di divorzio?

06 Giugno 2023

La questione che si pone il Collegio, con l'ordinanza interlocutoria, è se il riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi possa avvenire anche indipendentemente dal sacrificio, da parte dell'ex coniuge debole, di concrete aspettative professionali.
Massima

È di interesse nomofilattico la questione se il riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi possa avvenire anche indipendentemente dal sacrificio, da parte dell'ex coniuge debole, di concrete aspettative professionali.

La questione

La questione che si pone il Collegio, con l'ordinanza interlocutoria, è se il riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi possa avvenire anche indipendentemente dal sacrificio, da parte dell'ex coniuge debole, di concrete aspettative professionali. Si tratta quindi accertare se la cd. perdita di chance rappresenta un requisito imprescindibile per la determinazione dell'an dell'assegno o se incida solo sul quantum.

Le soluzioni giuridiche

La Prima sezione della Corte di Cassazione evidenzia che secondo l'indirizzo interpretativo seguito con la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018, ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, il mero divario economico, seppur spiccato, tra gli ex coniugi, rileva solo se causalmente collegato al comprovato sacrificio da parte del coniuge debole di concrete aspettative professionali a favore della famiglia e del matrimonio, in termini di perdita di chance.

L'esame che l'interprete è chiamato a condurre secondo l'indirizzo giurisprudenziale predominante, che si è diffuso dopo il revirement delle Sezioni Unite, attiene al principio secondo cui, posto che l'assegno divorzile assolve una imprescindibile funzione assistenziale e, in pari misura, anche una funzione compensativa e perequativa, qualora vi sia uno squilibrio effettivo, e di non modesta entità, tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, occorre accertare se tale squilibrio sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all'interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto.

La Corte si sofferma in particolare sulla natura perequativo compensativa dell'emolumento, che discende dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà: il fermo richiamo, come effettuato dalle Sezioni Unite nel 2018, agli artt. 2, 3 e 29 Cost., permette infatti di riconoscere negli apporti che ciascun coniuge ha dato alla vita familiare, il fondamento per eventuali successive autonome pretese di carattere economico, tali da assicurare a ciascuno, e in particolare al coniuge “debole”, l'adeguata partecipazione a quanto costruito insieme all'altro durante il matrimonio. Non si tratta quindi di garantire l'autosufficienza economica secondo un parametro astratto, bensì un livello reddituale che sia adeguato all'effettivo contributo fornito dal coniuge economicamente meno forte alla formazione del patrimonio familiare e di quello personale di ciascuno: in sostanza, è necessario riequilibrare gli effetti patrimoniali che derivano dallo scioglimento del vincolo, considerati gli sforzi e i sacrifici compiuti da una parte durante il matrimonio, senza che rilevi la ricostituzione del tenore di vita endoconiugale.

La Corte menziona in particolare il doversi tener conto delle aspettative professionali sacrificate, che corrisponde di fatto all'indirizzo prevalentemente seguito dalla Corte di legittimità e dalle Corti di merito. Ma la questione, da risolvere, è se la perdita di occasioni professionali rappresenti un presupposto per il riconoscimento dell'assegno oppure se incida, invece, solo sulla sua quantificazione.

La problematica non è certo di scarso rilievo: se non v'è dubbio che con la cessazione del vincolo coniugale chi abbia sacrificato ogni aspettativa lavorativa per dedicarsi alla famiglia, assolvendo un ruolo endofamiliare trainante e consentendo all'altro coniuge di spendere tutte le proprie energie e risorse nella propria attività lavorativa, perseguendo una condizione di benessere, abbia diritto, in quanto parte economicamente svantaggiata, ad essere compartecipe di quel benessere mediante una attribuzione patrimoniale che tenda a riequilibrare le posizioni, diverso è il caso di chi, pur dedicandosi alla famiglia in modo nettamente prevalente, se non esclusivo rispetto all'altro coniuge, abbia anche continuato a coltivare la propria professione.

In quest'ultimo caso, non ravvisandosi un sacrificio alle aspirazioni lavorative, si tende a negare il diritto all'assegno divorzile.

Tuttavia, specie laddove non ci sia stato alcun trasferimento di ricchezza durante il matrimonio o con la separazione che abbia in qualche modo compensato il “sacrificio”, l'essersi speso su un duplice fronte “lavorativo”, ossia casalingo e professionale, potrebbe conservare il proprio valore, tutt'al più riducendosi l'ammontare dell'emolumento.

Data la rilevanza della questione, di interesse nomofilattico, ne viene ritenuta opportuna la trattazione in pubblica udienza.

Osservazioni

L'esigenza di considerare, ai fini dell'assegno divorzile e in attuazione dei precetti costituzionali di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, il contributo personale ed economico, assorbito nella riconosciuta funzione perequativo compensativa dell'assegno divorzile secondo la ricostruzione offerta dalle Sezioni Unite con la sentenza 18278/2018, era già stata avvertita con la riforma del diritto di famiglia del 1975, che ne affidava la risposta all'operatività della comunione legale quale regime patrimoniale primario; la giurisprudenza, invece, dopo la legge sul divorzio del 1970, aveva considerato il criterio del contributo quale cardine della regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi al momento dello scioglimento del matrimonio. Successivamente alla novella del 1987, è seguita una fase di ridimensionamento dell'importanza del citato criterio, relegato a indice per la determinazione del quantum dell'assegno, laddove il giudizio cui parametrare l'an era dato dall'adeguatezza o meno dei mezzi a disposizione del richiedente.

Le Sezioni Unite nel 2018 intervengono per dirimere il contrasto insorto relativamente alla natura e alla funzione dell'assegno divorzile, dopo che nel 1990 avevano predicato il riferimento al tenore di vita precedentemente goduto dai coniugi (Cass. civ., sez.un., 29 novembre 1990 n. 11490), mentre nel 2017 la Cassazione aveva formulato il riferimento al possesso in capo al coniuge richiedente di mezzi (o alla capacità di procurarseli) tali da consentirgli una esistenza libera e dignitosa (Cass. civ.. 10 maggio 2017 n. 11504).

Ma l'approdo cui la Suprema Corte è di recente giunta, rappresenta invero un punto di avvio, e non di partenza, come attesta l'analisi della giurisprudenza successiva che lascia spazio a interpretazioni divergenti.

Non è questa la sede per una compiuta disamina delle rilevanti questioni che si sono via via poste, ma per cercare di far chiarezza sul tema che la prima sezione della Corte pone con l'ordinanza in esame, occorre soffermarsi sulla funzione perequativo compensativa dell'assegno, che trova fondamento nella solidarietà post coniugale quale espressione del principio costituzionale di uguaglianza.

La corretta declinazione del principio costituzionale di solidarietà, in altre parole, nella fase patologica del rapporto si estrinseca nella necessaria valorizzazione della componente compensativa dell'assegno, al fine di ristorare il coniuge che abbia sopportato rilevanti sacrifici in funzione dei bisogni della famiglia.

All'assegno è quindi attribuita una funzione equilibratrice delle posizioni attuali che sono espressione delle scelte attuate durante il matrimonio, contemplando un conseguente dovere di contribuzione del coniuge forte a favore di quello debole in modo da renderlo partecipe del benessere che il primo ha raggiunto, in attuazione di un progetto di vita condiviso. Il contributo personale ed economico alla conduzione della famiglia rispecchia quindi il dovere sancito dall'art. 143 c.c. di contribuzione ai bisogni della famiglia che, in ragione dell'indirizzo familiare optato dai coniugi (art. 144 c.c.) è, nella fase fisiologica del rapporto, una manifestazione del principio di uguaglianza.

Premessa dunque la valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti, in caso di evidente disparità, il giudizio per il riconoscimento dell'assegno avrà ad oggetto in particolare la sussistenza di un nesso causale tra il divario economico e il contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune, oltre che di quello personale di ciascuno, in rapporto alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto, essendo l'assegno finalizzato a consentire al coniuge richiedente il raggiungimento, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare. In particolare, tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. Questo è quanto emerge dalla lettura delle decisioni sia di merito che di legittimità.

Resta tuttavia problematico un aspetto, ossia quello dell'attribuzione di un preciso valore economico ai sacrifici e alle rinunce affrontate dalla parte debole nell'interesse della famiglia e nella cura dei figli. Si tende per lo più ad assegnare rilevanza alla cd. perdita di chance, ossia alla prova, da parte del richiedente, di aver perso opportunità lavorative concrete oppure aver affrontato rinunce a realistiche possibilità di carriera (tra le tante, da ultimo Cass. civ., sez. I, ord., 15 maggio 2023, n. 13224 e Cass. civ., sez. I, ord., 20 aprile 2023, n. 10614). In sintesi, si finisce per attribuire all'assegno la funzione di indennizzare una perdita e laddove la perdita di aspettative lavorative concrete non ci stata, l'assegno è tendenzialmente negato.

Ma il sacrificio che rileva è necessariamente solo quello delle aspettative professionali e della rinuncia ad opportunità di carriera?

Il punto è che, come illustre dottrina (M. Sesta, L'assegno di divorzio: in viaggio di ritorno al tenore di vita? In Fa. Dir. 1/2022 p. 79 ss.) ha correttamente evidenziato, la sentenza delle Sezioni Unite del 2018 contiene un riferimento ai sacrifici delle chance professionali nella parte motiva, mentre non ne fa menzione il principio di diritto che conclude il provvedimento («ai sensi della l. n. 898/1970, art. 5, comma 6, dopo le modifiche introdotte con la l. n. 74/1987, il riconoscimento dell'assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto»).

La questione a modesto parere di chi scrive è la seguente: se alla luce del principio costituzionale di uguaglianza e solidarietà, l'assegno assolve alla funzione di riequilibrare le posizioni economiche dei partner al momento del divorzio, mediante un'attribuzione patrimoniale volta a riconoscere la rilevanza, non solo economica ma anche in termini di capitale umano, del maggior impegno profuso in particolare da uno dei due coniugi per la famiglia e i figli, nell'ambito di un progetto di vita condiviso, che vedeva l'altro dedicarsi prevalentemente o esclusivamente all'attività professionale, conseguentemente incrementando il personale patrimonio ed alimentando il personale successo professionale, per quale ragione considerare solo la totale abnegazione della parte debole, e non anche dare rilievo al sacrificio di chi, pur prendersi cura della famiglia e dei figli anche in via sostitutiva dell'altro, esonerandolo da ogni incombenza domestica, sì da agevolarne il successo professionale ed economico, abbia anche continuato ad espletare un'attività lavorativa?

Posto che la funzione compensativa e perequativa dell'assegno divorzile poggia sul principio costituzionale di uguaglianza e solidarietà coniugale, non si vede perché eluderne l'operatività proprio nel caso in cui, se vogliamo, il sacrificio diviene duplice, in termine di impiego di risorse ed energie umane. Diversamente ragionando si svilirebbe di contenuto la funzione compensativa dell'assegno divorzile, negandone l'essenza.

Se ad operare è il principio di autoresponsabilità nel senso di assunzione responsabile delle conseguenze delle scelte fatte durante la vita matrimoniale, il che vale per entrambi i coniugi, sia per quello che si dedica in via prevalente o esclusiva alla famiglia che dell'altro, uno spazio resta anche nel caso in cui non si ravvisi lo specifico sacrificio ad aspettative professionali.

Tutt'al più, quando non si ravvisi una concreta perdita di opportunità professionali, sarà ragionevole tenerne conto, in senso riduttivo, ai fini della quantificazione dell'assegno, ma non sarà eliso il diritto a vederselo riconoscere. Tanto più se, come nel caso sottoposto all'attenzione della Corte, nessun riequilibrio sia stato effettuato durante il matrimonio o successivamente per il tramite di specifiche attribuzioni patrimoniali, come ad esempio il trasferimento di beni.

Finora, questa linea interpretativa è stata seguita in misura minimale: due sono i precedenti noti, l'ordinanza n. 29195/2021 della Corte di Cassazione e la sentenza del Tribunale di Modena del 15 novembre 2021.

Si attende dunque la decisione all'esito della discussione in pubblica udienza: l'auspicio è che questa sia l'occasione per segnare un ulteriore passo avanti nella direzione dell'attuazione dei principi costituzionali sottostanti all'assegno divorzile, giungendo a riconoscere una portata più ampia alla rilevanza del sacrificio di un coniuge per il bene della famiglia.

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