Come regolare i rapporti tra ex

08 Giugno 2023

Due ex coniugi sono ancora proprietari al 50% della casa familiare dove ha sempre vissuto la signora. A quest'ultima è stato revocato sia l'assegno divorzile che l'assegnazione della casa. Al fine di regolare i loro rapporti potrebbe lui lasciarle il suo 50% senza che si configuri una donazione?

La risposta al quesito proposto dipende dalla presenza o meno di rapporti obbligatori ancora pendenti tra gli ex coniugi.

Sebbene lo scioglimento del vincolo matrimoniale determini la cessazione di ogni dovere reciproco tra i coniugi, permane tra di essi un certo grado di solidarietà post coniugale; in particolare, ove le condizioni patrimoniali di uno di essi siano inferiori a quelle dell'altro, può essere disposta, se richiesta, la devoluzione di un assegno di divorzio (art. 5 l. n. 898/1970 c.d. legge sul divorzio). Nella stessa sede il giudice decide sull'assegnazione della casa familiare, tenendo conto prioritariamente dell'interesse dei figli, ove esistenti, e delle condizioni economiche dei coniugi, al fine di favorire il coniuge più debole (art. 6 l.d.).

L'assegno divorzile può essere modificato o soppresso se sopravvengono giustificati motivi di fatto (art. 9 l. d.), ad esempio in caso di cessazione dello stato di bisogno del beneficiario, nuove nozze o instaurazione di una connivenza stabile. Ugualmente può essere revocata l'assegnazione della casa familiare, con annotazione a margine della trascrizione originaria.

Nella specie, ove con la revoca dell'assegno post-matrimoniale e del provvedimento di assegnazione della casa familiare disposti in favore dell'ex moglie, siano cessate ed estinte tutte le obbligazioni gravanti sull'ex marito in favore della stessa in conseguenza del divorzio, il trasferimento della quota di comproprietà pari al 50% della casa familiare non può considerarsi solvendi causa. Sul punto si osserva che gli altri diritti patrimoniali spettanti all'ex coniuge, quali ad esempio, il diritto ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto di lavoro e il diritto all'assegno successorio trovano considerazione solo ove sia attuale il diritto all'assegno di divorzio, di guisa che, venuto meno quest'ultimo, all'ex coniuge non spettano nemmeno gli altri diritti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio.

Esclusa la possibilità di considerare il trasferimento a titolo di adempimento, ove non ricorra in capo al cedente un reale spirito di liberalità, bensì la mera intenzione di trasferire la quota di comproprietà dell'immobile all'ex moglie “al fine di regolare i loro rapporti” e, quindi, presumibilmente, al fine di scongiurare eventuali e future controversie giudiziarie, la causa del trasferimento potrebbe configurarsi di tipo transattivo. La causa transattiva si contraddistingue, infatti, per l'effettuazione ad opera delle parti di reciproche concessioni dirette a conciliare una lite già in corso ovvero ad evitare il sorgere tra di loro di future controversie (art. 1965 c.c.). Potrebbe discutersi, in tal caso, se il trasferimento immobiliare da parte del solo ex marito, cui corrisponda, quale controprestazione, la rinuncia dell'ex moglie ad impugnare i provvedimenti di revoca dell'assegno divorzile e di assegnazione della casa coniugale ovvero a richiederli nuovamente in futuro, al mutare delle circostanze che ne hanno eventualmente giustificato la revoca, possa costituire un idoneo accordo transattivo. Sul presupposto della modificabilità e revocabilità dei provvedimenti emessi in sede di divorzio, si ritiene dare al quesito risposta positiva, soprattutto in considerazione del carattere non più solo assistenziale dell'assegno divorzile, come riconosciuto dalla Suprema Corte (Cass. S. U. n. 32198/2021), e del suo possibile adempimento una tantum, anche mediante il trasferimento di un bene, precludente la possibilità di proporre successive domande di contenuto economico.

Sul piano fiscale, la configurazione dell'accordo quale accordo transattivo comporta l'applicazione dell'imposta proporzionale di registro sul trasferimento, pari al 2% o al 9%, a seconda che si tratti o meno di prima casa di abitazione ai sensi della nota II bis dell'art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, e non, quindi, dell'imposta sulle successioni e donazioni che, nel caso di specie, essendo cessato ogni rapporto di coniugio tra le parti, sarebbe pari all'8%.

Tuttavia, non sembra possa ragionevolmente negarsi che tale accordo possa rientrare tra i “contratti della crisi coniugale”, la cui causa è proprio quella di definire in modo non contenzioso e tendenzialmente definitivo la crisi, e, pertanto, tra quelli che la Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 4144/2021, considera atti realizzativi degli accordi coniugali"” da farsi rientrare nella nozione di “atti relativi al procedimento di separazione o divorzio” ex art. 19 l. n. 74/1987. Alla luce della giurisprudenza in materia (Cass. sent. n. 2111/2016 e n. 3110/2016) sembrerebbero, infatti, agevolabili anche gli atti di trasferimento tra coniugi che, pur potendo essere ricondotti ad uno schema negoziale tipico, assumono una connotazione funzionale specifica alla sistemazione degli assetti post crisi coniugale (CNN Notizie, 7 marzo 2016).

Con la citata ordinanza 17 febbraio 2021 n. 4144, la Corte di Cassazione ha affermato che " L'agevolazione va, quindi, riconosciuta in riferimento ad atti e convenzioni posti in essere nell'intento di regolare (...) i rapporti patrimoniali tra i coniugi conseguenti allo scioglimento del matrimonio, o alla separazione personale, compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o attuino il trasferimento della proprietà di beni mobili ed immobili all'uno o all'altro coniuge”.

Nel caso in cui sussistano, invece, rapporti obbligatori ancora pendenti tra gli ex coniugi, eventualmente consistenti in ratei dell'assegno divorzile revocato non pagati durante il periodo di vigenza ovvero ulteriori obbligazioni pecuniarie poste a carico dell'ex marito dall'autorità giudiziaria e non corrisposte, il trasferimento della quota di comproprietà dell'immobile può configurare una dazione in luogo dell'adempimento (c.d. datio in solutum, art. 1197 c.c.). Trattasi di figura contrattuale con la quale il soggetto debitore, in luogo dell'adempimento della prestazione originariamente pattuita, si accorda con il creditore per l'esecuzione di una differente prestazione a titolo satisfattorio, la quale può consistere anche nel trasferimento di un diritto reale immobiliare. In tal caso l'estinzione della prestazione originaria si verifica al momento dell'esecuzione della nuova prestazione che, nei contratti traslativi di proprietà, coincide con la prestazione del consenso legittimamente manifestato dalle parti ai sensi dell'art. 1376 c.c.

Anche in tal caso, sul piano fiscale, costituendo la datio in solutum modalità esecutiva di un'obbligazione precedentemente assunta, ad essa si applicherà l'imposta proporzionale di registro sul trasferimento, pari al 2% o al 9%, a seconda che si tratti o meno di prima casa di abitazione ai sensi della nota II bis dell'art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 e non, quindi, l'imposta sulle successioni e donazioni (legge n. 286/2006).

Riguardo a tale ultima ipotesi, occorre precisare due aspetti giuridicamente rilevanti. In primo luogo, la datio in solutum non dovrebbe essere soggetta ad azione revocatoria, in quanto, ai sensi dell'art. 2901 comma 3 c.c., non è soggetto a revoca l'adempimento di un debito scaduto. In secondo luogo, nonostante tale trasferimento avvenga a titolo di adempimento di obblighi assunti in sede divorzile, ad esso non potrà applicarsi l'agevolazione fiscale prevista dall'art. 19 della legge n. 74/1987, in quanto non naturalmente correlato al procedimento di scioglimento del matrimonio.

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