Le modifiche al “rito appalti e concessioni” a seguito del nuovo Codice dei contratti pubblici

09 Giugno 2023

Il presente contributo offre un sintetico commento sulle più rilevanti modifiche apportate dal nuovo codice dei contratti pubblici al rito speciale in materia di procedure di affidamento di appalti e concessioni.
Premessa

Il nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36) interviene in modo mirato sul rito speciale applicabile alle procedure di affidamento.

In particolare, le nuove disposizioni, contenute all'art. 209 del citato decreto legislativo, non alterano l'impianto previsto dal codice del processo amministrativo, ma - a parte la modifica meramente formale del testo di alcuni articoli del codice di rito per assicurarne il coordinamento con la disciplina sostanziale e alcune novità di dettaglio di cui non è possibile dar conto nel presente scritto - incidono essenzialmente su tre aspetti: (i) l'ancoraggio del dies a quo ai fini della proposizione dell'azione di annullamento alla piena conoscibilità dei profili lesivi dell'atto da impugnare; (ii) l'azione di rivalsa e di risarcimento dei danni nei confronti dell'operatore economico che ha beneficiato di un'aggiudicazione illegittima; (iii) l'incentivo a definire il tema risarcitorio mediante accordo nel processo di cognizione.

Il dies a quo dell'azione di annullamento

L'art. 120, comma 2, c.p.a., per come modificato dal comma secondo dell'art. 209 del nuovo codice dei contratti pubblici, prevede che il termine di impugnazione decorre, per il ricorso principale e per i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione dell'aggiudicazione (art. 90 d.lgs. n. 36/2023) oppure dal momento in cui gli atti sono messi a disposizione con l'accesso ex lege (art. 36, commi 1 e 2, d.lgs. n. 36/2023); per i bandi e gli avvisi con cui si indice una gara che siano autonomamente lesivi, il termine decorre dalla pubblicazione di cui agli artt. 84 e 85 d.lgs. n. 36/2023.

Per comprendere il significato di tali disposizioni, giova anzitutto osservare che il nuovo codice dei contratti pubblici conferma la distinzione tra proposta di aggiudicazione e provvedimento di aggiudicazione (art. 17 del nuovo codice), ossia l'atto che rende definitiva ed efficace l'individuazione dell'aggiudicatario all'esito dei doverosi controlli sui requisiti e della valutazione di conformità della proposta all'interesse pubblico. Il fatto che il termine non decorra a fronte della sola proposta di aggiudicazione è coerente con il principio di necessaria attualità dell'interesse a ricorrere; tanto che anche il termine dilatorio per la stipula del contratto decorre “dall'invio dell'ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione” (art. 18, comma 3, del nuovo codice).

Inoltre, la reintroduzione dell'accesso ex lege (art. 36 del nuovo codice), ovverosia automatico e immediato mediante consultazione della documentazione resa disponibile sulla piattaforma digitale (tutti i verbali, dati, atti e informazioni della procedura, espressamente comprendendovi le offerte dei primi cinque candidati nelle parti che il committente non ha ritenuto di dover oscurare), valorizza la piena conoscibilità dei profili di eventuale illegittimità della procedura ai fini della decorrenza dei termini per l'impugnazione. La modifica ha lo scopo di evitare che l'operatore economico sia onerato dall'introdurre un ricorso “al buio”, per evitare di incorrere nella decadenza, senza conoscere in modo specifico le possibili censure da sollevare in giudizio.

Scompare invece ogni riferimento alla piena conoscenza acquisita aliunde, cui faceva riferimento il comma 5 dell'art. 120 del codice dei contratti pubblici (vd. però Cons. Stato, Ad. Plen., 2 luglio 2020, n. 12) e che, come noto, rileva in via generale a fini della decorrenza dei termini per l'impugnazione ai sensi dell'art. 41, comma 2, c.p.a.; la compiuta regolamentazione in via speciale della decorrenza dei termini e, in particolare, l'irrilevanza della piena conoscenza comunque acquisita dell'atto, persegue l'obiettivo di assicurare una maggiore certezza in ordine all'individuazione del dies a quo.

Di tal guisa, il legislatore del nuovo codice ha voluto anche stabilire a quale determinato livello di conoscibilità dell'atto ancorare la decorrenza del termine per l'impugnazione; l'esclusione di altre forme comporta, in particolare, l'irrilevanza di standard di conoscenza diversi da quelli acquisibili mediante il ricevimento o l'accesso alle informazioni e ai documenti che la stazione appaltante o l'ente concedente devono obbligatoriamente mettere a disposizione dei concorrenti.

Il che ovviamente non esclude del tutto che possa sorgere la necessità di formulare un'istanza di accesso agli atti qualora – si tratta, ovviamente, di un'ipotesi patologica – non sia stato consentito l'accesso ex lege; in tal caso, deve ritenersi che il termine decorra dal momento in cui l'accesso è consentito.

L'azione di rivalsa e di risarcimento dei danni

Il nuovo codice interviene, altresì, sulla tutela risarcitoria e, nello specifico, aggiunge al comma 1 dell'art. 124 c.p.a. un secondo periodo, in forza del quale “Il giudice conosce anche delle azioni risarcitorie e di quelle di rivalsa proposte dalla stazione appaltante nei confronti dell'operatore economico che, con un comportamento illecito, ha concorso a determinare un esito della gara illegittimo”.

La novità, come si legge nella relazione illustrativa della commissione istituita presso il Consiglio di Stato per la redazione del nuovo codice, sviluppa una soluzione già prefigurata dalla pronuncia dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 12 maggio 2017 n. 2 e si raccorda con l'art. 41, comma secondo, c.p.a., nella parte in cui prevede che “Qualora sia proposta azione di condanna, anche in via autonoma, il ricorso è notificato altresì agli eventuali beneficiari dell'atto illegittimo”.

La disposizione è evidentemente correlata al principio di buona fede e di tutela dell'affidamento, espressamente enunciato all'art. 5 del nuovo codice, e in particolare al comma quarto, là dove si prevede che “Ai fini dell'azione di rivalsa della stazione appaltante o dell'ente concedente condannati al risarcimento del danno a favore del terzo pretermesso, resta ferma la concorrente responsabilità dell'operatore economico che ha conseguito l'aggiudicazione illegittima con un comportamento illecito”.

L'intervento normativo fa riferimento, a ben vedere, a due distinte azioni: una di rivalsa, tesa a trasferire in tutto o in parte sul beneficiario dell'aggiudicazione illegittima il danno risarcito dall'amministrazione al terzo, con l'importante differenza che la stazione appaltante o l'ente concedente rispondono a prescindere da colpa trattandosi di tutela per equivalente rispetto a quella in forma specifica (C.G.U.E., 30 settembre 2010, C-314/09, Stadt Graz; Cons. Stato, Sez. V, 25 febbraio 2016, n. 772); l'altra di autonoma richiesta di risarcimento dei danni, ossia per chiedere il ristoro di un danno subito dalla stessa stazione appaltante (o ente concedente), e dunque al di fuori del caso in cui l'amministrazione sia stata destinataria di una condanna risarcitoria.

Per entrambe, la giurisdizione del giudice amministrativo si giustifica sia per evitare ipotesi di frazionamento della giurisdizione sia per il fatto che si tratta di materia di giurisdizione esclusiva, con l'ulteriore considerazione che entrambe le azioni postulano un giudizio il cui thema decidendum investe necessariamente anche le complessive modalità di esercizio del potere (di quelle che danno luogo a invalidità e di quelle, ad esempio la scorrettezza, che causano solo responsabilità).

Può inoltre osservarsi che l'attenzione dedicata dal legislatore al tema muove dalla constatazione che il presente contesto ordinamentale prevede, anche se non incentiva, plurime ipotesi di tutela per equivalente rispetto a quella specifica, per di più corroborata dalla ricostruzione in termini oggettivi della responsabilità dell'amministrazione. Da qui la necessità, evidenziata anche nella prefata relazione, di prevedere espressamente un rimedio per ripartire in modo più equo il peso economico derivante dal “fallimento” della procedura di selezione dell'aggiudicatario; sempreché, giova ribadirlo, l'aggiudicatario abbia effettivamente compiuto un illecito, ossia abbia con dolo o colpa determinato o concorso a cagionare l'illegittima aggiudicazione.

Peraltro, l'art. 5, comma terzo, del nuovo codice molto opportunamente precisa che non ricorre un'ipotesi di legittimo affidamento, e dunque neppure si pone la questione della successiva rivalsa dell'amministrazione, “se l'illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti” (vd. anche Cons. Stato, Ad. Plen., nn. 5/2018, 19-20/2021).

Si tratta della “trasposizione” – mutatis mutandis – sul piano della relazione giuridica tra amministrazione e privati di quanto previsto all'art. 1338 c.c. con riguardo ai rapporti privatistici, ossia della responsabilità in capo alla parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità, non ne ha dato notizia all'altra parte, così generando un affidamento in ordine alla validità del negozio; affidamento che è tutelato purché – lo prevede espressamente l'art. 1338 c.c. – “senza colpa”.

La differenza tra le due disposizioni (a parte ovviamente la divergenza tra l'agire amministrativo e quello dei privati) sta proprio in ciò, che la colpa sussiste (dunque, l'affidamento non è tutelato), almeno secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente, ove l'invalidità derivi dalla violazione di una norma imperativa o proibitiva di legge, o di altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, cioè tali da dover essere note, per presunzione assoluta, alla generalità dei cittadini, ovvero tali, comunque, da potere essere conosciute attraverso un comportamento di normale diligenza (ex multis, Cass., Sez. III, 18 maggio 2016, n. 10156).

Il riferimento specifico alla illegittimità “agevolmente rilevabile” nel nuovo codice dei contratti pubblici, e non tout court alla “colpa” di cui all'art. 1338 c.c., aiuta l'interprete ad evitare che l'affidamento possa essere sempre escluso in ragione del fatto che l'agire dell'amministrazione è retto da norme generalmente imperative, che il privato ha l'onere di conoscere. Una soluzione più flessibile, sicuramente più confacente alla complessità delle regole che spesso caratterizzano la disciplina dei pubblici poteri.

Rimane, invece, esclusa dalla giurisdizione amministrativa l'eventuale domanda risarcitoria che un concorrente volesse esperire nei confronti di un altro partecipante alla procedura di affidamento, atteso che “l'art. 103 Cost. non consente di ritenere che il giudice amministrativo possa conoscere di controversie di cui non sia parte una P.A., o soggetti ad essa equiparati” (Cass., Sez. Un., n. 19677/2016).

La condanna sui criteri e l'accordo sul risarcimento

Infine, l'art. 209, quarto comma, del nuovo codice dei contratti pubblici introduce all'art. 124 c.p.a. un nuovo comma terzo, in forza del quale “Ai sensi dell'articolo 34, comma 4, il giudice individua i criteri di liquidazione del danno e assegna un termine entro il quale la parte danneggiante deve formulare una proposta risarcitoria. La mancata formulazione della proposta nel termine assegnato o la significativa differenza tra l'importo indicato nella proposta e quello liquidato nella sentenza resa sull'eventuale giudizio di ottemperanza costituiscono elementi valutativi ai fini della regolamentazione delle spese di lite in tale giudizio, fatto salvo quanto disposto dall'articolo 91, primo comma, del codice di procedura civile”.

La novità, come si legge nella relazione illustrativa elaborata dal Consiglio di Stato, mira a favorire la rapida definizione del tema risarcitorio nell'ambito dell'unico giudizio di cognizione, evitando l'attivazione del secondo giudizio di ottemperanza previsto dall'art. 34, comma 4, per il caso del mancato accordo tra le parti.

L'obiettivo è corroborato dal almeno tre aspetti.

Il primo è che, a differenza di quanto previsto in via generale dall'art. 34, comma 4, c.p.a., le parti non possono opporsi alla c.d. condanna sui criteri.

Il secondo è che è previsto un disincentivo economico nei casi di mancata osservanza dell'onere ovvero di formulazione di una proposta significativamente divergente rispetto al danno effettivamente risarcibile: il giudice ne può tenere conto ai fini della regolamentazione delle spese di lite.

Il terzo è che il danneggiato deve valutare con particolare attenzione la proposta conciliativa, atteso che, in caso di rifiuto ingiustificato della stessa, le spese del giudizio di ottemperanza sarebbero poste a suo carico ove si pervenisse a una liquidazione del risarcimento in misura non superiore a quella indicata nella proposta di accordo (in base al principio di causalità, di cui l'art. 91, comma 1, secondo periodo - richiamato dalla disposizione in commento - è chiara espressione).

Giova comunque osservare che la funzionalità dell'istituto, quale strumento più snello di definizione del tema risarcitorio, dipenderà necessariamente anche dalla cura con cui il giudice della cognizione determinerà i criteri per il risarcimento.

La loro individuazione presuppone, infatti, una delibazione in ordine all'effettiva sussistenza, non solo dell'an, ma anche del quantum debeatur, seppure non individuato nel suo preciso ammontare.

Invero, se così non fosse, si dovrebbe conseguentemente ritenere che il giudice dell'ottemperanza sia chiamato a svolgere un tipico giudizio di cognizione (accertamento dell'effettiva spettanza di un quantum e relativa liquidazione), che sarebbe fatalmente simile a quello che il giudice ordinario nel processo di cognizione svolge in seguito a una sentenza di condanna generica ex art. 278 c.p.c. Si verificherebbe così una duplice criticità: un giudizio di ottemperanza (ancora più) anomalo perché avente ad oggetto una tipica azione di cognizione; la surrettizia introduzione nel processo amministrativo di una forma di condanna non prevista dal codice, in quanto ritenuta contrastante con l'interesse alla celere definizione della responsabilità dell'Amministrazione (Cons. Stato, Ad. Plen., 8 ottobre 2009, n. 5).

Tali considerazioni conducono a ritenere che i criteri sulla liquidazione non possano essere generici, ma precisi ed aderenti al caso concreto. Diversamente ragionando, si riproporrebbero i problemi testé ricordati, con la trasposizione - in via di fatto - nel rito dell'ottemperanza di un'azione di cognizione non più coerente con l'attuale portata di tale giudizio (vd. soppressione del comma 4 dell'art. 112 c.p.a. ad opera dell'art. 1, comma 1, lett. cc), n. 2, del d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195).

In conclusione

Le novità legislative sono particolarmente apprezzabili per il metodo e per il contenuto: intervenire sul codice di rito senza particolari stravolgimenti - “il processo migliore è quello che non fa parlare di sé”, rammentano diversi processualisti - ma in modo mirato, modificando ciò che dato origine ad alcuni contrasti interpretativi (la disciplina sul dies a quo) e introducendo alcuni strumenti incentrati sulla rilevanza che la tutela per equivalente riveste nell'ambito del contenzioso in materia dei contratti pubblici (le novità in tema di rivalsa e risarcimento).

Guida all'approfondimento

R. DE NICTOLIS, Codice del processo amministrativo commentato, Milano, V ed., maggio 2023.

M. A. SANDULLI, Il contenzioso sui contratti pubblici, in www.giustizia-amministrativa.it, 28 marzo 2023.

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