La notifica a mezzo PEC inviata a indirizzo mail di posta ordinaria è nulla

Redazione scientifica
09 Giugno 2023

In caso di invio della notificazione con modalità telematiche ai sensi dell'art. 3-bis l. n. 53/1994 da una casella PEC ad una casella di posta elettronica ordinaria del destinatario, la notifica, in presenza della ricevuta di accettazione, è nulla e non inesistente.

La Corte di cassazione, nella sentenza in esame, ha esaminato il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza della Corte d'appello, con il quale la ricorrente denunciava l'errore commesso dalla Corte territoriale per aver ritenuto di superare l'eccezione di improcedibilità del gravame, pur a seguito della specifica contestazione dell'inesistenza della prima notifica del ricorso in appello, effettuata presso la e-mail di posta ordinaria e non nelle forme della posta elettronica certificata.

Preliminarmente i giudici hanno rilevato come dalla narrativa del ricorso per cassazione, in sé coerente con il provvedimento impugnato con i restanti atti, risultava che alla prima udienza fissata per la discussione della causa in appello, l'appellante, essendo l'appellata rimasta contumace, chiese rinvio per depositare gli atti relativi alla notificazione. Ancor prima della successiva udienza, tuttavia, l'appellante chiese l'autorizzazione alla rinnovazione della notificazione, dando atto di aver erroneamente proceduto alla prima notificazione presso la casella di posta ordinaria del destinatario. Alla successiva udienza, la Corte territoriale aveva proceduto dapprima ad acquisire il fascicolo di primo grado, rinviando ad ulteriore udienza. In tale udienza, la Corte d'appello aveva quindi disposto la rinnovazione della notificazione, eseguita la quale l'appellata si era costituita, eccependo l'improcedibilità del gravame. Tale eccezione era stata però rigettata dalla Corte territoriale, sul presupposto che la notifica fosse stata in quel modo tentata presso l'indirizzo mail dichiarato dal difensore della controparte, che vi era stata “accettazione” da parte del sistema telematico, per quanto poi mancasse la ricevuta di avvenuta consegna e che quindi si trattasse di notifica nulla e non inesistente.

Ciò premesso, la Suprema Corte ha rigettato il motivo di ricorso, ribadendo l'orientamento secondo cui la notificazione eseguita presso la casella e-mail ordinaria non possa ritenersi a priori inesistente, ma soltanto nulla. In proposito, i giudici muovono dai principi di fondo stabiliti dalle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., n. 14916/2016, secondo cui «l'inesistenza della notificazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell'atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione..», e tali elementi consistono «a) nell'attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività…b); nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall'ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba considerarsi ex lege eseguita) restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l'atto venga restituito al mittente…».

Ebbene, fuori discussione il primo requisito, stante il fatto che il difensore è per legge abilitato alla notifica telematica, il tema riguarda la sussistenza del secondo presupposto richiesto dal principio di diritto. A riguardo, viene evidenziato che in tema di notificazione telematica, l'invio presso una casella di posta ordinaria, è certamente tale da incidere sulla capacità comunicativa dell'atto, oltre che sulla possibilità stessa di documentare l'avvenuta ricezione, ma ciò non significa che sia mancata una fase di consegna, di cui sono incerti gli esiti comunicativi ultimi, ma che non può essere assimilato al caso della mera restituzione al mittente. Si deve a riguardo considerare che l'art. 3-bis l. n. 53/1994 individua il momento di perfezionamento della notifica per il mittente in quello della generazione della ricevuta di avvenuta accettazione ai sensi dell'art. 6 d.P.R. n. 68/2005.

È vero che l'accettazione, secondo il citato art. 6 prova soltanto l'avvenuta spedizione di un messaggio di posta elettronica certificata, ma la ricezione del dato telematico da parte del gestore di posta elettronica del mittente, comporta di regola l'avvio altresì del flusso telematico verso il destinatario (art. 5 d.P.R. cit.). La mancanza di quest'ultimo, per il solo fatto che la casella del destinatario cui la comunicazione elettronica venga inviata sia una casella di posta ordinaria, non può del resto essere presunta, anche perché la notificazione è stata tentata presso una casella che non era per nulla estranea al destinatario stesso, in quanto viceversa quell'indirizzo era stato dal medesimo indicato nei propri atti difensivi.

Non si può, allora, secondo i giudici, parlare di «notificazione inesistente» perché, a fronte dell'intervenuta accettazione dell'atto da parte del gestore di posta elettronica, non si può presumere il mancato verificarsi del successivo transito telematico di dati verso il destinatario. Gli esiti di tale transito non sono noti, ma non avendosi contezza di una totale assenza di quel transito di dati telematici, non si può neppure predicarne una totale assenza.

In conclusione, secondo i giudici, «in caso di invio della notificazione con modalità telematiche ai sensi dell'art. 3-bis l. n. 53/1994 da una casella PEC ad una casella di posta elettronica del destinatario, la notifica, in presenza di ricevuta di accettazione, deve ritenersi nulla e non inesistente, non potendosi presumere – salvo prova contraria – la totale assenza di un inoltro telematico di dati presso il destinatario, di cui restano solo incerti gli esiti e dovendosi quindi ritenere sussistente una fase di consegna, seppure non vi sia prova del perfezionamento della notificazione e dunque l'atto non sia in sé idoneo a raggiungere gli effetti suoi propri».

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