Abuso del diritto di ricorso davanti alla Corte EDU per gli avvocati che hanno frammentato ingiustificatamente la procedura per ottenere gli onorari

Valeria Piccone
Valeria Piccone
12 Giugno 2023

Con decisione del 16 maggio 2023, la Corte EDU ha configurato come “abuso del diritto” i ricorsi di avvocati italiani che, sia in Italia che difronte alla Corte EDU, avevano frammentato istanze creditorie dei loro clienti e di sé stessi quali antistatari, i successivi ricorsi "Pinto" e le conseguenti azioni esecutive mediante "ordinanze di assegnazione". La frammentazione ingiustificata di procedure di esecuzione introdotte a livello interno relativamente a decisioni e sentenze «Pinto», hanno moltiplicato le indennità per onorari di avvocati dovute ai ricorrenti e di prolungare la durata del procedimento. Pertanto, secondo la Corte EDU, le domande multiple presentate dai ricorrenti costituiscono un abuso del diritto di ricorso previsto dall'art. 35 § 3 della CEDU.

Con decisione del 16 maggio 2023 (ricorso n. 2394/22 e altri 18), la Corte europea dei diritti dell'uomo ha dichiarato all'unanimità inammissibili "per abuso del diritto" ricorsi di avvocati italiani che, sia in sede nazionale, sia innanzi alla stessa Corte, avevano frammentato istanze creditorie dei loro clienti e di sé stessi quali antistatari, i successivi ricorsi "Pinto" e le conseguenti azioni esecutive mediante "ordinanze di assegnazione".


La decisione è definitiva.

La decisione riconosce non costituire violazione il mancato pagamento da parte delle autorità statali delle spese legali riconosciute ai ricorrenti dalle “ordinanze di assegnazione” – ordinanze esecutive finalizzate all'attuazione decisioni o sentenze emesse ai sensi della l. n. 89 del 2001 (“Legge Pinto”, rimedio avente ad oggetto procedimenti giudiziari eccessivamente lunghi). I ricorrenti sono avvocati che agivano in questo caso come avvocati antistatari (avvocati che hanno coperto le spese legali e di altro tipo per i loro clienti e sono stati liquidati direttamente dai tribunali).

La Corte ha ritenuto che le domande multiple presentate dai ricorrenti costituissero un abuso del diritto di ricorso ai sensi dell'art. 35 § 3 (a) (criteri di ammissibilità) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.