Il percepimento dell'indennità di accompagnamento non giustifica la revoca o la riduzione dell'assegno di mantenimento del figlio
13 Giugno 2023
Massima
La circostanza che un minore benefici, in ragione della patologia da cui è affetto, di pensione di invalidità, ovvero di indennità di accompagnamento, non comporta il venir meno del diritto del genitore convivente a percepire il mantenimento da parte dell'altro genitore, in proporzione ai redditi di quest'ultimo, al fine di fare fronte alle esigenze di organizzazione domestica e di cura, educazione e istruzione del minore, tenuto conto della finalità meramente assistenziale delle suddette provvidenze, le quali non escludono l'obbligo di mantenimento da parte del genitore, direttamente derivante dagli art. 147 e 337-ter c.c. Il caso
Nell'ambito di un giudizio di modifica delle condizioni economiche pattuite in sede di divorzio Tizio ha domandato la revoca e/o la riduzione dell'assegno, pari a € 300,00 mensili, versato alla ex moglie Caia per il mantenimento del figlio con lei convivente ma affetto da invalidità. A fondamento della richiesta avanzata Tizio ha dedotto, quale circostanza sopravenuta, il percepimento da parte della ex moglie dell'indennità di accompagnamento erogata dall'INPS. Il Tribunale non ha accolto la domanda del ricorrente sul presupposto che Tizio fosse già consapevole all'epoca del divorzio della presentazione da parte della ex moglie della domanda per il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento. Tale sentenza è stata confermata anche dalla Corte d'Appello che ha respinto l'impugnazione di Tizio rilevando , altresì, che l'indennità di accompagnamento non può essere presa in considerazione ai fini della rideterminazione degli obblighi di mantenimento del padre nei confronti del figlio, trattandosi di misura avente finalità puramente assistenziale. L'ex marito ha, quindi, proposto ricorso per Cassazione eccependo tra i motivi proposti:
La Suprema Corte di Cassazione, con l'ordinanza in commento, ha respinto il ricorso presentato. Per i Giudici di legittimità: a) l'accordo raggiunto dagli ex coniugi sulla misura dell'assegno di mantenimento del figlio già teneva conto del futuro percepimento dell'indennità di accompagnamento essendo il ricorrente consapevole già all'epoca del divorzio non solo della presentazione da parte della ex moglie della domanda all'Inps ma anche della condizione di invalidità in cui si trovava il figlio. b) l'indennità di accompagnamento è da considerarsi una misura assistenziale erogata dall'INPS funzionale a coprire le cure e prestazioni riabilitative di cui il minore necessita. Essa è diretta a pareggiare i maggiori costi che la gestione di un minore affetto da patologia invalidante implica. Pertanto, non può ritenersi una risorsa economica della quale si debba tenere conto in punto di determinazione dell'assegno di mantenimento. La questione
Il percepimento dell'indennità di accompagnamento da parte del genitore affidatario e convivente con il figlio minore affetto da patologia invalidante può comportare la revoca o riduzione dell'assegno di mantenimento dovuto dall'altro genitore? Le soluzioni giuridiche
1) I presupposti della revisione delle disposizioni della sentenza di divorzio. Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione si sofferma preliminarmente a esaminare la portata applicativa della norma di cui all'9 legge n. 898 del 1970 (così come modificato dall'art. 2, l. n. 436/1978 e dall'articolo 13 l. n. 74/1987. Tale disposizione normativa prevede che «qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli articoli 5 e 6». Le sentenze di divorzio passano in cosa giudicata rebus sic stantibus, rimanendo cioè suscettibili di modifica quanto ai rapporti economici o all'affidamento dei figli in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile. (Cfr. Cass. n. 6639/2023; Cass. n. 2953/2017, Cass. n. 4768/2018 e Cass. n. 11177/2019). Si premette che per poter richiedere la modifica o la revoca dei provvedimenti assunti in sede di separazione e di divorzio: a) occorre che il provvedimento sia passato in giudicato ritenendo la giurisprudenza inammissibili per «mancanza di oggetto» eventuali richieste di modica avanzate in pendenza dei termini per l'impugnazione (cfr. Cass. civ., 22 aprile 2002, n. 5861); b) occorre la sussistenza di fatti sopravvenuti (c.d. quid novi) nelle condizioni economiche degli ex coniugi, idonei ad alterare il pregresso assetto patrimoniale realizzato al momento del divorzio (Cass. civ., 20 gennaio 2020, n. 1119). Infatti, non ogni minimo mutamento comporta la necessità di una diversa disciplina dei rapporti in oggetto, ma occorre una verifica in concreto da parte del Giudici dell'incidenza della circostanza nuova allegate sull'equilibrio voluto dalle parti o dal Tribunale al momento dell'emissione della decisione (cfr. Cass. civ., 30 ottobre 2013, n. 24515. La giurisprudenza (Cass. civ., 28 novembre 2017, n. 28436) ha stabilito, infatti che i "giustificati motivi", la cui sopravvenienza consente di rivedere le determinazioni adottate in sede di separazione o divorzio sono ravvisabili nei fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale la sentenza era stata emessa o gli accordi erano stati stipulati, con la conseguenza che esulano da tale oggetto i fatti preesistenti, ancorché non presi in considerazione in quella sede per qualsiasi motivo (Cass. n. 32529/2018). Non potranno, pertanto, essere posti a fondamento della domanda di modifica o di revoca né il mutato orientamento giurisprudenziale su un determinato tema (cfr. Cass. civ., sez. I, 20 gennaio 2020, n. 1119 e Cass. civ., sez. I, 25 gennaio 2021, n. 1749) né i fatti preesistenti la separazione ed il divorzio che non siano stati presi in considerazione dalle parti o dal Giudice (cfr. Cass. civ., sez. I, 8 aggio 2008, n. 11488 e Cass. civ., sez. I, 2 gennaio 2010, n. 1096). Inoltre, in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, resta esclusa la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte in giudizio (cfr. Cass. civ., sez. I, 3 febbraio 2017, n. 2953; Cass. civ., sez. VI, 7 luglio 2020, n. 18528 e Cass. civ., sez. I, 9 maggio 2022, n. 14581). È necessaria, invece, la sopravvenienza di circostanze nuove tali da incidere sull'assetto economico voluto e concordato dalle parti al momento del divorzio Il Giudice nell'ambito di un giudizio di modifica ex art. 9 l. 898/1970 è tenuto poi a verificare non solo il sopraggiunto mutamento delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma anche la sua idoneità ad incidere sull'assetto patrimoniale precedente, secondo un'analisi comparativa delle rispettive condizioni economiche delle parti. La Corte di Cassazione ha infatti ribadito come principio generale che «In tema di revisione dell'assegno di mantenimento dei figli, sia minorenni che maggiorenni non autosufficienti, occorre accertare che la sopravvenuta modifica delle condizioni economiche dei genitori sia idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale, con la conseguenza che «il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell'entità dell'assegno» (...) «ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento dell'attribuzione dell'emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in quale misura, le circostanze sopravvenute abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e ad adeguare l'importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale». Tali principi devono applicarsi anche ai figli nati fuori dal matrimonio. (Cass. civ. 30 giugno 2021, n. 18608; Cfr. Cass. civ., 15 ottobre 2020, n. 22269; Cass. civ., sez. I, 2 maggio 2007, n. 10133; Cass. civ., sez. VI, 20 giugno 2014, n. 14143; Cass. civ., sez. VI, 11 gennaio 2016, n. 214; Cass. civ., sez. I, 14 dicembre 2018, n. 32529). Nell'ordinanza in commento la Corte di Cassazione chiarisce che il percepimento dell'indennità di accompagnamento rappresenta un “fatto pregresso” inidoneo a poter giustificare una eventuale revisione dell'assegno del figlio minore invalido essendo il ricorrente già stato conoscenza, al momento della stipula degli accordi di divorzio con la ex moglie, che tale indennità sarebbe stata comunque percepita in ragione dell'avvenuta presentazione della domanda all'Ente pubblico (Inps). Secondo i Giudici di legittimità l'erogazione dell'indennità era quindi circostanza prevedibile, oltre che facilmente verificabile considerato non solo l'esercizio condiviso della responsabilità genitoriale, ma anche il fatto che il ricorrente avrebbe potuto acquisire presso l'INPS le informazioni relative all'esito della domanda, così come aveva il diritto di chiederle all'altro genitore. Il giudice in sede di revisione non può, quindi, prendere in esame fatti anteriori alla definitività del titolo stesso o che comunque avrebbero potuto essere fatti valere con gli strumenti concessi per impedirne la definitività. (Cass. civ., 9 gennaio 2020 n. 283; Cass. civ.,15 giugno 2022, n. 19302).
2) L'indennità di accompagnamento e il contributo al mantenimento del figlio minore Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione evidenzia, altresì, che il percepimento dell'indennità di accompagnamento da parte del genitore convivente con il figlio minore disabile non può comunque giustificare la riduzione del contributo per il mantenimento del figlio invalido trattandosi di misura avente natura e funzione completamente diversa da quelle dell'assegno. L'indennità di accompagnamento è una prestazione economica, erogata a domanda dall'Inps, a favore dei soggetti mutilati o invalidi totali per i quali è stata accertata l'impossibilità di deambulare senza l'aiuto di un accompagnatore oppure l'incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita. Spetta a tutti i cittadini in possesso dei requisiti sanitari residenti in forma stabile in Italia, indipendentemente dal reddito personale annuo e dall'età. Essa non rileva ai fini reddituali in quanto non costituisce incremento di ricchezza, ma rappresenta solo un importo riconosciuto a titolo meramente compensativo o risarcitorio a favore delle situazioni di "disabilità" (Cons. Stato, sez. III, n. 6371/2018; n. 1458/2019)”. La Corte di Cassazione chiarisce, infatti, che l'indennità di accompagnamento serve per fare fronte alle cure e prestazioni riabilitative di cui il bambino invalido necessita. Non può quindi ritenersi una “risorsa economica” della quale si potrebbe tenere conto per ridurre gli obblighi di mantenimento dell'altro genitore essendo la stessa una misura assistenziale volta anche a contenere inevitabilmente l'aumento dei maggiori costi (in termini di cure) legati alla patologia invalidante del minore. La corresponsione dell'assegno di mantenimento è, invece, la modalità con cui un genitore, generalmente quello non collocatario in via prevalente, provvede indirettamente e periodicamente alle spese connesse alle esigenze dei figli somministrando all'altro un importo con lo scopo di assicurare alla prole il soddisfacimento delle attuali esigenze e ad assicurargli uno standard di vita tendenzialmente analogo a quello goduto in costanza di convivenza dei genitori. Questo assegno viene chiamato “assegno perequativo” in quanto esso ha la funzione di equilibrare il peso economico e personale che grava su ciascun genitore per far fronte alle esigenze di vita dei figli. Il mantenimento è inclusivo di tutte le spese che concorrono a organizzare stabilmente l'organizzazione della vita dei figli in modo idoneo a provvedere a tutte le loro necessità di cura, educazione assistenza morale e materiale. Il dovere di mantenere i figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti, come la giurisprudenza ha più volte ribadito (Cass. civ,, sez. I, 22 novembre 2000, n. 15063; Cass. civ., sez. I, 26 maggio 2004, n. 10124; Cass. civ., sez. I, 22 marzo 2005, n. 6197), trova il proprio fondamento nel fatto stesso della procreazione e non certo nel tipo di legame sentimentale e giuridico sussistente tra i genitori. Si tratta di principio fondante il vigente sistema giuridico da considerarsi operante sia in costanza di matrimonio o di convivenza, sia nella fase di disgregazione dell'unione per separazione, divorzio o cessazione della convivenza: entrambi i genitori sono quindi chiamati a provvedervi proporzionalmente alle loro sostanze e secondo le loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Il diritto dei figli ad essere mantenuti e il correlativo obbligo gravante sui genitori trova il proprio fondamento sia a livello costituzionale che codicistico. L'art. 30 Cost., tra le altre disposizioni, prevede che sia dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. L'art. 315-bis c. 1 c.c., rubricato “diritti e doveri dei figli”, dispone che il figlio abbia diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. L'art. 317-bis c. 1 c.c., rubricato “concorso al mantenimento”, prevede che i genitori debbano adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. L'art. 337-ter c. 2 c.c., rubricato “provvedimenti riguardo ai figli”, stabilisce che il giudice adotti i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa; L'art. 337-ter c. 4 c.c. dispone che il giudice fissi la misura e il modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento. Ogni genitore provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando vari parametri. La Corte di Cassazione, nella pronuncia in commento, richiamando i principi consolidati in materia ricorda, che è dovere dei genitori (e non dello Stato) provvedere al mantenimento dei propri figli evidenziando in particolar modo che l'assegno di mantenimento assolve ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione, fin quando l'età dei figli stessi lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione (Cass. 4145/2023; Cass. 16739/2020; Cass. n. 6197/2005; Cfr. Cass. 4203/2006; Cass. n. 6197/2005; Cass. n. 26587/ 2009; Cfr. anche Trib. Lucca, sent. 27 luglio 2022 n. 800; App. Messina, sent. 28 febbraio 2023 n. 862). Partendo da tali premesse si può ben comprendere la profonda divergenza che esiste tra l'assegno di mantenimento e l'indennità di accompagnamento nonché la ragione per cui la Corte di Cassazione abbia escluso che quest'ultima, laddove percepita, potessegiustificare una riduzione del contributo al mantenimento della prole. L'assegno di mantenimento del figlio come visto è diretto a fronte alle sue necessità ed esigenze ordinarie e straordinarie (comprese quelle di cura ed educazione) secondo uno standard di soddisfacimento correlato a quello economico e sociale della famiglia. L'indennità di accompagnamento al contrario è, invece, una misura assistenziale pubblica finalizzata a far fronte all'invalidità del beneficiario poiché lo Stato è tenuto a farsi carico non certo dei doveri genitoriali, ma della condizione di specifico svantaggio che riguarda la persona in attuazione dei doveri di solidarietà propri del nostro sistema costituzionale. Osservazioni
L'ordinanza in commento appare del tutto ineccepibile sotto il profilo della coerenza logica giuridica non solo per avere il pregio di aver analizzato i presupposti della modifica delle condizioni di divorzio, sulla scorta dei consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità di merito, ma anche per aver riconosciuto adeguata tutela economica al minore affetto da invalidità introducendo il principio per cui le misure assistenziali erogate dallo Stato, quali appunto l'indennità di accompagnamento, non possono affievolire gli obblighi di mantenimento dei figli gravanti sui genitori. Sarebbe del resto, iniquo oltre che strumentale, ridurre e/o revocare l'assegno perequativo corrisposto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio invalido solo perché in quanto anche beneficiario dell'indennità di accompagnamento dal momento che la patologia invalidante influisce sulla qualità della vita implicando per il genitore che se ne occupa l'accollo di ulteriori spese fisse e variabili importanti per le sua assistenza e per le cure mediche che si aggiungono a quelle legate al mantenimento ordinario (coperte dall'assegno). |