Diritto all’aborto: per la Corte EDU le ricorrenti non hanno dimostrato un reale rischio di essere personalmente minacciate dalla legge polacca sull'IGV

La Redazione
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16 Giugno 2023

La Corte EDU, con decisione dell'8 giugno 2023 (n. 4188/21), ha dichiarato irricevibile il ricorso di alcune associazioni pro-aborto polacche, senza tuttavia rispondere nel merito: le ricorrenti, ritiene la Corte, non hanno fornito la prova di essere state direttamente e personalmente minacciate dalle modifiche della legge sull'aborto in Polonia. Le conseguenze di quest'ultima, per le ricorrenti, sono dunque troppo lontane e astratte affinché possano pretendere la qualità di «vittima», ai sensi della CEDU. In discussione è la decisione della Corte costituzionale polacca del 22 ottobre 2020 che ritiene l'aborto eugenetico contrario ai principi costituzionali del rispetto della vita umana e della dignità di cui gli esseri umani sono rivestiti da prima della nascita.

Con decisione dell'8 giugno 2023, la Corte EDU è stata chiamata a pronunciarsi sul divieto dell'aborto eugenetico in Polonia per mezzo di un ricorso promosso da otto cittadine polacche nate tra il 1980 e il 1993.

Il 22 giugno 2017, un gruppo di 104 parlamentari ha presentato alla Corte costituzionale una richiesta volta a far giudicare incostituzionali gli articoli 4a (1)2 e 4a (2) della legge polacca sulla pianificazione familiare (protezione del feto umano e condizioni nelle quali l'interruzione di gravidanza è autorizzata, c.d. «la legge del 1993»). Tali disposizioni riguardavano l'aborto legale a causa di anomalie fetali. Tuttavia, la procedura fu abbandonata. In seguito, Il 19 novembre 2019, una richiesta simile è stata presentata da un gruppo di parlamentari e, con sentenza del 22 ottobre 2020, la Corte costituzionale polacca ha giudicato gli articoli 4a (1)2 e 4a (2) della legge del 1993 incompatibili con la Costituzione. Tale sentenza avrebbe avuto effetto a partire dal 27 gennaio 2021.

In tutto il paese si susseguirono manifestazioni di massa.

È in tale contesto che le ricorrenti hanno presentato i loro ricorsi dinanzi alla Corte EDU, utilizzando un modulo di richiesta precompilato che era stato caricato dall'organizzazione non governativa polacca FEDERA, accompagnato da pareri giuridici redatti dal Commissario per i diritti dell'uomo della Repubblica di Polonia, la Fondazione polacca per i diritti dell'uomo e il Consiglio degli avvocati polacchi.

Tra le otto ricorrenti, diverse hanno sostenuto di sentirsi direttamente interessate dalla misura anti-IVG, essendo tutte in età fertile. Due di esse ritenevano di incorrere in un rischio maggiore di rimanere incinte di un bambino malformato, mentre altre due erano in gravidanza al momento della presentazione della domanda nel 2021. Le altre ricorrenti affermavano di aver previsto una gravidanza o di aver smesso di cercarla in seguito alla sentenza della Corte costituzionale polacca del 2020, in quanto temevano di non ricevere cure mediche adeguate dallo Stato nel caso in cui il bambino di cui fossero state eventualmente incinte avesse presentato una malformazione grave.

Senza pronunciarsi nel merito, la Corte ha respinto tali domande sulla base del fatto che le ricorrenti non abbiano prodotto elementi ragionevoli e convincenti che dimostrassero l'esposizione ad un rischio reale di essere direttamente lese dalle modifiche della legge 2020. Inoltre, non hanno prodotto parti in relazione alle loro specifiche situazioni personali, il che, a parere della Corte, rende impossibile la loro valutazione.

Le conseguenze per le ricorrenti delle modifiche della legge del 2020 sono dunque troppo lontane e astratte affinché possano pretendere la qualità di «vittima», ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Inoltre, per quanto riguarda gli argomenti dedotti dalle ricorrenti relativamente alla questione che la loro vita o la loro salute potrebbero essere a rischio in caso di problemi medici durante una futura gravidanza, o che non potrebbero ricevere cure adeguate, la Corte constata che l'articolo 4a(1)11 della legge del 1993 che autorizza l'aborto in caso di gravidanza che mette in pericolo la vita o la salute di la madre è ancora in vigore.