Relazione sulle ricadute del nuovo Codice dei contratti pubblici sul processo amministrativo a cura dell’Ufficio studi della Giustizia amministrativa

Ufficio studi e formazione della Giustizia amministrativa
16 Giugno 2023

Si pubblica il testo della Relazione dell'Ufficio studi e formazione della Giustizia amministrativa, in cui si esaminano i punti di ricaduta del nuovo Codice dei Contratti pubblici sul processo amministrativo. Si evidenziano i principali nodi problematici emergenti, prospettando sia le possibili opzioni interpretative sia, in taluni casi, un possibile criterio di risoluzione della questione.
1. Premessa *

* La Relazione dell'Ufficio studi e formazione della Giustizia amministrativa che si pubblica, è a cura dei Consiglieri di Stato Francesco Gambato Spisani (§§ 2, 3 e 4) e Giovanni Tulumello (§ 9) e dei Consiglieri di Tribunale Amministrativo Regionale Ida Raiola (§§ 7 e 8) e Paolo Nasini (§§ 5 e 6), con il coordinamento del Presidente di sezione di Tribunale Amministrativo Regionale Nicola Durante e del Presidente di sezione del Consiglio di Stato Vincenzo Neri

Nel nuovo Codice dei Contratti pubblici di cui al d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, entrato in vigore il 1° aprile 2023 (articolo 229, comma 1), ma le cui disposizioni – con le eccezioni indicate negli articoli 224 e 225 – acquistano efficacia dal 1° luglio 2023 (articolo 229, comma 2) sono presenti molteplici norme di rilievo processuale, incidenti sia sulle forme di tutela delle posizioni giuridiche coinvolte nella contrattualistica pubblica (quanto alla fase che precede l'affidamento dell'appalto o della concessione mediante la stipula dell'atto negoziale) sia su aspetti tecnico - procedurali del rito.

Lo studio intende focalizzare i punti di ricaduta del Codice nel processo amministrativo, individuando i principali nodi problematici emergenti (quanto meno in una prima lettura del nuovo corpus normativo) e prospettando sia le possibili opzioni interpretative sia, in taluni casi, un possibile criterio di risoluzione della questione.

2. Esenzione dal contributo unificato per i motivi aggiunti nei ricorsi in tema di gare: aspetti e problemi - Riferimenti normativi

L'articolo 120, comma 7, del codice del processo amministrativo, così come modificato, con efficacia dal 1° luglio 2023 dall'articolo 209 comma 1 lettera a) del d.lgs. 31 marzo 2023 n. 36, nuovo codice dei contratti pubblici, dispone ora testualmente:

«I nuovi atti attinenti alla medesima procedura di gara sono impugnati con ricorso per motivi aggiunti, senza pagamento del contributo unificato».

La norma innova rispetto al regime previgente in cui l'impugnazione di questi atti comportava il pagamento di un nuovo contributo unificato, di importo fra l'altro piuttosto oneroso. Pur nel silenzio della relazione al nuovo codice sul punto specifico, è ragionevole pensare che la logica della modifica sia da ricercare proprio nelle critiche avanzate sia dagli operatori del settore sia dal ceto forense, i quali ultimi avevano evidenziato come un contributo unificato dall'importo troppo elevato, ove reiterato in caso di motivi aggiunti, in linea di fatto ostacolasse lo stesso esercizio del diritto di azione costituzionalmente garantito.

Come detto, ai sensi dell'articolo 229 comma 1 del d.lgs. 36/2023, la norma, come tutto il codice, entra in vigore dal 1° aprile 2023; ai sensi però del comma 2 essa acquista “efficacia” alla successiva data del 1° luglio 2023.

2.1 - Ricostruzione della normativa presupposta

Come è noto, la disciplina del contributo unificato, ovvero del “biglietto di ingresso” dovuto per instaurare un processo, a copertura dei relativi costi, è prevista in generale nel titolo I della parte II del d.P.R. 30 maggio 2002 n.115, “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”. In questa sede è sufficiente ricordare che l'importo relativo per i “ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato” e quindi senza una maggiorazione per i ricorsi avanti a quest'ultimo, è fissato dall'articolo 13, comma 6 bis, del T.U. e che, ai sensi del comma 6 bis 1, “per ricorsi si intendono quello principale, quello incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande nuove”.

Per la materia che qui interessa, ovvero il rito appalti, l'articolo 13, comma 6-bis, lettera d), prevedeva: il contributo dovuto è di euro 2.000 quando il valore della controversia è pari o inferiore ad euro 200.000; per quelle di importo compreso tra euro 200.000 e 1.000.000 il contributo dovuto è di euro 4.000 mentre per quelle di valore superiore a 1.000.000 di euro è pari ad euro 6.000”.

Si tratta, come si è detto, di importi all'evidenza abbastanza onerosi, tenuto conto oltretutto che nel caso di impugnazione degli atti di una gara di appalto la proposizione di motivi aggiunti contenenti una domanda nuova, e quindi soggetti ad un contributo ulteriore, è evenienza notoriamente piuttosto comune, verificandosi in tutti i casi in cui, impugnata l'esclusione dalla gara, essa prosegua con l'aggiudicazione.

A fronte di ciò, la scelta del legislatore è stata quella di esentare i motivi aggiunti dal contributo.

Tralasciando un rilievo di tecnica legislativa - l'esenzione è contenuta nel codice del processo amministrativo, che in generale di contributo unificato non si occupa, laddove meglio essa avrebbe trovato posto nell'articolo 10 del T.U. 115/2002, che prevede in via generale tutte le relative esenzioni - nel merito, la scelta stessa appare frutto dell'ampia discrezionalità di cui il legislatore dispone, discrezionalità che si muove fra due poli, entrambi definiti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (1).

2.2 - Quesiti proposti

A fronte di ciò, ci si è chiesti:

a) se l'esenzione in parola si applichi ai motivi aggiunti depositati dal 1° aprile 2023, ovvero come si è visto dalla data di entrata in vigore del codice;

b) se l'esenzione stessa si applichi invece soltanto ai motivi aggiunti depositati dal 1° luglio 2023, ovvero dalla data di efficacia del codice;

c) ovvero ancora se l'esenzione si applichi soltanto ai motivi aggiunti depositati dal 1° luglio 2023, a condizione che essi riguardino procedure nelle quali i relativi bandi ed avvisi siano stati pubblicati dopo la stessa data del 1° luglio 2023.

2.3 - Risposta ai quesiti e suggerimento

Per rispondere, è possibile riferirsi anzitutto alle soluzioni già elaborate in passato, in occasione di altre modifiche legislative al regime del contributo unificato: in linea di principio, siamo di fronte ad una norma processuale, per la quale vale la regola tempus regit actum; in mancanza quindi di uno specifico regime transitorio, l'esenzione si applica soltanto ai procedimenti instaurati successivamente alla modifica (2).

Nel caso di specie, un regime transitorio sul punto non è previsto, perché, come risulta a semplice lettura, le norme transitorie, di coordinamento e finali del codice, contenute negli articoli 225 e 226, trattano di altro; ci si deve però chiedere quali siano effettivamente i “procedimenti instaurati successivamente alla modifica” ai quali l'esenzione si applica, dato il disposto già citato dell'articolo 229, che prevede un distinto termine per l'entrata in vigore, al 1° aprile 2023, e per l'efficacia, al 1° luglio 2023, del codice.

In termini logici, prima che giuridici, sembra impossibile applicare un'esenzione fiscale prevista da una norma che è sì formalmente in vigore, ma è dichiarata ancora inefficace dallo stesso legislatore.

Al quesito sub a) si deve quindi rispondere nel senso che i motivi aggiunti depositati a partire dal 1° aprile e fino al 30 giugno 2023 rimangano soggetti al pagamento del contributo, secondo le norme del d.P.R. n. 115/2002 già esaminate.

Ciò posto, si osserva che la norma di esenzione, ovvero il comma 7 del novellato articolo 120 c.p.a., non distingue i motivi aggiunti cui l'esenzione stessa si applica in base al procedimento in cui essi sono presentati, ovvero non richiede, come requisito ulteriore, che essi si riferiscano a gare indette dopo la data di inizio di efficacia del nuovo codice appalti. Né a tale risultato sembra si possa pervenire in via di interpretazione, data la già ribadita natura processuale della norma, che si applica quindi agli atti posti in essere nel momento in cui essa è efficace.

Ai quesiti sub b) e c) si deve pertanto rispondere che l'esenzione andrà applicata a tutti i motivi aggiunti depositati dal 1° luglio 2023 in poi, indipendentemente dalla data in cui la gara cui si riferiscono è stata indetta.

È peraltro doverosa una cautela.

Come recentemente ricordato, se pure ad altro proposito, dal Segretariato generale della Giustizia amministrativa, “ogni valutazione in ordine all' an e al quantum della pretesa impositiva è e resta riservata in via esclusiva, in sede amministrativa, all'Ufficio impositore e, nell'eventuale sede giurisdizionale, al Giudice tributario” (3).

3. Indicazione del CIG negli atti di parte e nei provvedimenti del giudice: aspetti e problemi – Riferimenti normativi

L'articolo 120 comma 1 del codice del processo amministrativo, così come modificato, con efficacia dal 1° luglio 2023 dall'articolo 209 comma 1 lettera a) del d. lgs. 31 marzo 2023 n. 36, nuovo codice dei contratti pubblici, dispone ora testualmente:

“Gli atti delle procedure di affidamento e di concessione disciplinate dal codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo di attuazione della legge 21 giugno 2022,

n. 78, comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative a esse connesse, i quali siano relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, nonché i provvedimenti dell'Autorità nazionale anticorruzione in materia di contratti pubblici, sono impugnabili unicamente mediante ricorso al tribunale amministrativo regionale competente. In tutti gli atti di parte e in tutti i provvedimenti del giudice è indicato il codice identificativo di gara (CIG); nel caso di mancata indicazione il giudice procede in ogni caso e anche d'ufficio, su segnalazione della segreteria, ai sensi dell'articolo 86, comma 1”.

La parte della norma che interessa è appunto l'ultima, quella che prevede, con norma innovativa rispetto al testo previgente, l'indicazione del codice identificativo gara in tutti gli atti di parte compiuti e in tutti i provvedimenti del giudice emessi nei processi disciplinati dall'articolo 120 c.p.a. in questione, ovvero soggetti al cd. rito speciale degli appalti.

A sua volta, l'articolo 86 comma 1 c.p.a., il cui testo non è stato modificato, dispone, così come si ricorda per chiarezza:

Ove occorra correggere omissioni o errori materiali, la domanda per la correzione deve essere proposta al giudice che ha emesso il provvedimento, il quale, se vi è il consenso delle parti, dispone con decreto, in camera di consiglio, la correzione”.

3.1 - Logica della norma e obiettivi perseguiti

La Relazione al nuovo codice dei contratti non dice nulla di specifico sul punto, e quindi non rende esplicite le ragioni dell'innovazione; in termini del resto conformi alla comune logica, è però possibile affermare che essa risponde ad una logica di concentrazione e buon andamento dei processi. Come è noto, per impugnare un qualsiasi provvedimento amministrativo non sono richieste formule sacramentali di qualche tipo (4), ancorché in concreto per proporre il relativo ricorso sia necessario compilare l'apposito modulo informatico, redatto su un modello uniforme. E' pertanto del tutto possibile che ricorsi proposti contro la stessa gara lo siano in forma diversa l'uno dall'altro, in modo da non essere riconosciuti come collegati sia dal sistema informatico, sia dal personale di Segreteria ovvero di Magistratura che, in concreto, provvede alla loro assegnazione, fino ad arrivare al caso limite, ma talora verificatosi, di ricorsi contro la stessa gara assegnati a diverse sezioni del medesimo ufficio, T.a.r. o Consiglio di Stato, con intuibile rischio di rinvio per trattazione congiunta, se non addirittura di decisioni contraddittorie ovvero comunque scoordinate. L'indicazione del CIG dovrebbe consentire di individuare subito e in modo del tutto automatico le impugnazioni relative allo stesso procedimento di gara, e consentirne la trattazione e decisione unitaria.

3.2 - Interrogativi e quesiti proposti

Ciò posto, occorre verificare se la norma così come è concepita consenta effettivamente, e se sì entro quali limiti, di raggiungere quest'obiettivo di concentrazione e buon andamento, rispondendo contestualmente ai quesiti, che si riportano, da essa suscitati a prima lettura. Ci si è infatti chiesti:

a) se sia necessario indicare il CIG nei ricorsi depositati e nei provvedimenti pubblicati dal 1° aprile 2023, ovvero dalla data di formale entrata in vigore del codice dei contratti, prevista dall'articolo 229 comma 1 del d.lgs. 36/2023, là dove il comma 2 dello stesso articolo prevede un distinto e successivo termine di “efficacia” delle relative disposizioni, alla successiva data del 1° luglio 2023;

b) se sia necessario indicare il CIG nei ricorsi depositati e nei provvedimenti pubblicati dal 1° luglio 2023;

c) se sia necessario indicare il CIG nei ricorsi e nei provvedimenti che riguardino gare pubblicate dal 1° luglio 2023 in poi.

Ulteriori quesiti sono di natura più tecnica, e riguardano le modalità con le quali la norma sull'indicazione del CIG può essere recepita dai sistemi informatici in uso, ovvero dal PAT (processo amministrativo telematico):

d) come possano essere adeguati i moduli del PAT, e in particolare se si possa inserire nel modulo di deposito del ricorso uno spazio dedicato all'indicazione del CIG;

e) come possa essere indicato il CIG nella schermata di riepilogo fascicolo generata dal sistema NSIGA;

f) se e come possa essere inserito in automatico il CIG nel modello di decisione generato dalla scrivania del magistrato.

Trattandosi, come è evidente, di questioni anche tecniche, ci si limita su di esse in questa sede agli aspetti rilevanti sotto il profilo specificamente giuridico, ringraziando con l'occasione il Servizio per l'informatica per l'utile e costruttivo scambio di opinioni intrattenuto in proposito.

3.3 - Generalità sul CIG- Codice Identificativo Gara

Per chiarezza, sono necessarie alcune notazioni di carattere generale sul CIG, che, come è noto, è l'acronimo di “Codice Identificativo Gara”. L'istituto, proprio dell'ordinamento italiano, è stato introdotto dalla legge 13 agosto 2010, n. 136, recante “Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia”, all'articolo 3, comma 5, prima parte, secondo il quale: “[a]i fini della tracciabilità dei flussi finanziari, gli strumenti di pagamento devono riportare, in relazione a ciascuna transazione posta in essere dalla stazione appaltante e dagli altri soggetti di cui al comma 1, il codice identificativo di gara (CIG), attribuito dall'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture su richiesta della stazione appaltante…”.

Le conseguenze, nel caso in cui il CIG non venga indicato, sono previste dal successivo articolo 6, rubricato “Sanzioni”, che al comma 2 prevede:

“Le transazioni relative ai lavori, ai servizi e alle forniture di cui all'articolo 3, comma 1, effettuate su un conto corrente non dedicato ovvero senza impiegare lo strumento del bonifico bancario o postale o altri strumenti di incasso o di pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni comportano, a carico del soggetto inadempiente, l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria dal 2 al 10 per cento del valore della transazione stessa. La medesima sanzione si applica anche nel caso in cui nel bonifico bancario o postale, ovvero in altri strumenti di incasso o di pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni, venga omessa l'indicazione del CUP [codice unico di progetto] o del CIG di cui all'articolo 3, comma 5”.

Si tratta quindi, come è evidente a semplice lettura delle norme di legge, di uno strumento nato a fini del tutto diversi da quelli del buon andamento dei processi, essendo dichiaratamente previsto per la tracciabilità dei flussi finanziari, a fini di lotta al crimine organizzato. Si può anzi dire che l'attribuzione del CIG alla gara in quanto tale nell'impianto della legge istitutiva è solo strumentale, dato che lo scopo ultimo da raggiungere è identificare e tracciare le “transazioni” in denaro che la gara genera. Tutto questo, come si vedrà, crea qualche problema, comunque superabile, di adattamento dell'istituto al nuovo scopo.

Come risulta dall'articolo 3 comma 5 sopra citato, l'Autorità che amministra il CIG, ovvero che provvede a generarlo e a rilasciarlo, è attualmente l'ANAC, Autorità nazionale anticorruzione, che ha assorbito le competenze dell'Autorità di vigilanza cui la norma si riferisce; dalle risposte alle domande frequenti contenute nel sito ufficiale di quest'Autorità, si ricavano ulteriori utili informazioni in merito.

La distinzione fra CIG ordinario e Smart CIG non rileva ai fini in esame, perché concerne solo il procedimento di rilascio, che per lo Smart CIG richiede di indicare un numero inferiore di informazioni; per il resto, lo Smart CIG una volta rilasciato è identico al CIG

ordinario. Rilevano invece la distinzione fra CIG Padre e Figlio e quella fra CIG Master e altri CIG ordinari. Il CIG Padre è “il codice CIG che l'Amministrazione richiede per identificare le singole procedure di selezione del contraente per gli appalti realizzati in modalità “Accordo quadro/Convenzione”, mentre il CIG Figlio è ognuno dei CIG richiesti “per identificare i singoli contratti stipulati a valle di accordi quadro, di convenzioni ai sensi dell'articolo 26 della legge n. 488/1999 e di altre convenzioni similari”.

Giova ricordare che “in caso di procedura di gara che comprenda una molteplicità di lotti, la stazione appaltante richiede un CIG per ciascun lotto. Il sistema SIMOG consente al RUP, a valle dell'aggiudicazione dei diversi lotti ad un medesimo operatore, con il quale la stazione appaltante stipulerà un contratto unico, di eleggere a CIG Master uno dei CIG acquisiti relativamente a ciascun lotto”.

3.4 - Conseguenze di carattere generale

A semplice lettura delle norme illustrate, con le relative note di spiegazione dell'ANAC, si può dire che l'obbligo di indicazione del CIG negli atti processuali di cui si tratta in astratto raggiunge abbastanza bene lo scopo di concentrazione per il quale è stato previsto, salvi alcuni correttivi ora precisati.

In primo luogo, il campo di applicazione del CIG, ovvero l'insieme degli atti giuridici per i quali il CIG è richiesto, comprende nella sostanza per intero l'ambito di applicazione dell'articolo 120 c.p.a. Infatti, le procedure soggette al rito appalti, per le quali però il CIG non è richiesto, non sono molte: analizzando la normativa ANAC, si tratta di fattispecie non frequentissime. In via di prima approssimazione, i contratti conclusi nell'esercizio di un diritto esclusivo e quelli di acquisto acqua e combustibili, nonché le convenzioni in materia di protezione civile non richiedono il CIG, ma anche in base al nuovo codice dei contratti non sono soggetti alle relative disposizioni, e quindi nemmeno al rito appalti, ai sensi degli articoli 56, 146 comma 3 e 148 comma 4 del nuovo codice.

Rimangono fuori, nel senso che non richiedono il CIG, ma sono soggetti al codice dei contratti, e al rito appalti, i contratti di sponsorizzazione, ai sensi dell'articolo 134 comma 4 del nuovo codice, e gli affidamenti in house, espressamente contemplati nell'articolo 120 c.p.a. per il caso in cui, appunto, si voglia contestare la decisione di procedervi. Vi sono quindi alcuni casi in cui l'indicazione del CIG, pur in astratto dovuta, non è possibile, perché non ne è previsto il rilascio, e per essi si rinvia al paragrafo che segue.

In secondo luogo, come si è visto, la previsione per cui si deve indicare il CIG, senza ulteriori precisazioni, non è esaustiva nei casi in cui vi è più di un CIG che indica la stessa vicenda procedimentale, che può essere oggetto di diversi ricorsi. In questi casi, sarebbe necessario prevedere che il modulo elettronico del PAT consenta di indicare più di un codice, in modo simile a quanto avviene nel caso in cui ad un unico ricorso in grado di appello il sistema fa corrispondere due o più ricorsi di I grado riuniti. La soluzione, secondo quanto informalmente rappresentato dall'Ufficio informatico, è tecnicamente del tutto possibile.

Nel caso particolare del CIG Master, che viene definito come si è detto solo dopo l'aggiudicazione, occorrerebbe, in accordo con l'ANAC, modificare lo stato dell'arte nel senso di anticiparne la definizione, in modo da poter riconoscere e riunire da subito le impugnazioni relative a diversi lotti della stessa procedura.

3.5 - Problemi applicativi

Ci si deve a questo punto chiedere cosa succeda nel caso, per così dire patologico, in cui il CIG non venga indicato negli atti di parte, e di conseguenza non possa essere recepito nei provvedimenti del Giudice. Ciò secondo logica può avvenire nei casi che seguono:

a) in quello già citato in cui il CIG, pur essendone prevista in astratto l'indicazione, dato che la norma dell'articolo 120 c.p.a. novellato non prevede eccezioni, non esiste perché il rilascio non è previsto;

b) in quello in cui il CIG, pur dovuto, non è stato richiesto dal RUP competente;

c) in quello in cui il CIG, pur dovuto e rilasciato, non sia stato in concreto reso noto al ricorrente;

d) in quello in cui il CIG, pur dovuto e rilasciato, non venga in concreto indicato dal ricorrente nell'atto introduttivo del ricorso.

Si tratta evidentemente, specie per quanto concerne i casi di cui alle lettere b) e c), di evenienze patologiche; non si può però dimenticare che il processo per definizione presuppone proprio che una patologia si affermi come avvenuta, e che quindi non si tratta di fattispecie soltanto teoriche, ma di evenienze che si potrebbero in concreto verificare.

A fronte di ciò, la soluzione del nuovo codice dei contratti è quella già esposta, del ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale ai sensi dell'articolo 86 comma 1 c.p.a., sulla quale, pur brevemente, bisogna prima di tutto soffermarsi.

Si tratta di una soluzione di per sé opportuna: come si è visto, il rilascio del CIG presuppone un'iniziativa del RUP competente, e quindi per definizione di un soggetto diverso dal ricorrente. Prevedere quindi che il ricorso contenesse il CIG a pena di improcedibilità o addirittura di inammissibilità avrebbe fatto dipendere, in ultima analisi, il diritto di difesa in giudizio della parte dal comportamento dell'amministrazione avversa, con soluzione senz'altro di dubbia opportunità, ma anche di dubbia costituzionalità sotto il profilo del rispetto dell'articolo 24 Cost. Peraltro, la soluzione scelta non è priva di aspetti problematici.

In primo luogo, la scelta di rinviare al solo comma 1 dell'articolo 86 c.p.a. induce a chiedersi se il rinvio valga anche per il caso previsto dal comma 2, ovvero quello in cui decide il Collegio in camera di consiglio, essendovi dissenso fra le parti, eventualità forse remota, ma non impossibile. È poi da vedere se la correzione dell'errore possa avvenire nelle forme del comma 3, trattandosi di correggere non un singolo atto, ma tutti gli atti e provvedimenti del fascicolo, magari in diversi gradi di giudizio, il che potrebbe porre anche problemi di ordine pratico.

Ci si chiede poi cosa accada nel caso, anche qui non teorico, in cui il CIG non sia noto, perché non rilasciato o non palesato dall'amministrazione: è sufficiente notare che la correzione di errore materiale presuppone un errore immediatamente percettibile, e quindi immediato da correggere, mentre inserire un CIG non noto postula che lo si ricerchi, presso l'amministrazione o al limite presso l'Autorità, esercitando quindi un potere istruttorio che andrebbe in qualche modo precisato nei suoi confronti.

Si arriva quindi al punto fondamentale: come ovviare alla possibilità che il CIG non si possa indicare, o in concreto non venga indicato. Le esigenze da tutelare sono all'evidenza almeno due: da un lato, è necessario che lo scopo di concentrazione e buon andamento della norma non venga frustrato, come avverrebbe se l'indicazione del CIG divenga nella prassi non richiesta; dall'altro, è necessario che la necessità di quest'indicazione non sia di concreto ostacolo all'esercizio del diritto di difesa in giudizio, costituzionalmente garantito.

Un compromesso accettabile potrebbe allora venire, senza bisogno di modifiche normative, da un'accorta impostazione del modulo ricorso previsto dal PAT, impostazione che appare tecnicamente possibile.

Il modulo potrebbe prevedere la necessità di indicare il CIG in un'apposita casella, prevedendo che il sistema si blocchi se il campo non viene compilato, ma prevedere contestualmente che la casella si consideri compilata anche in caso di dichiarazione semplicemente negativa, del tipo “CIG non noto/non rilasciato/non identificabile” (5), così sensibilizzando sulla necessità dell'adempimento, ma al contempo non ostacolando l'esercizio del diritto di azione da parte di chi non possa fornire il dato. È evidente che in questo modo si consente anche il comportamento malizioso del ricorrente che, pur conoscendo il CIG, non lo voglia indicare per ragioni sue – peraltro non facili da ipotizzare; si tratta però di un costo modesto, a fronte del beneficio che comunque si raggiungerebbe.

Potrebbe essere utile che il CIG indicato nel modulo di deposito sia inserito nella schermata ricorso del sistema NSIGA, oltre che nel modulo provvedimento.

Quanto, infine, al profilo di tipo applicativo, come è ben noto, le norme processuali si applicano, in mancanza di una diversa previsione, che qui non consta, agli atti compiuti nel momento in cui esse divengono applicabili. Nel caso di specie, poi, la norma in esame si applica a tutta una serie di atti e provvedimenti che vengono compiuti o emanati nel corso di un processo. Pertanto, a partire come si è detto, dal 1° luglio 2023, essa dovrà essere applicata, secondo logica, a tutti gli atti di parte e a tutti i provvedimenti del giudice compiuti nel corso di processi, anche già pendenti, soggetti al rito speciale di cui all'articolo 120 c.p.a., senza distinguere in base alla data di pubblicazione del bando ovvero di proposizione del ricorso originario, con soluzione che appare anche in base alla comune logica rispondente all'esigenza di concentrazione cui la norma serve.

4. Disciplina dei contratti sottosoglia: aspetti e problemi - Riferimenti normativi

Il d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, nuovo codice dei contratti pubblici, agli articoli 48-55, che formano la parte I del II libro, contiene una disciplina essenziale, ma organica, dei “contratti di importo inferiore alle soglie europee”. Nell'ordine, l'articolo 48 contiene la “disciplina comune applicabile” per tutti i contratti di lavori, servizi e forniture, e stabilisce anzitutto che essa comprende i “principi di cui al libro I parti I e II”, non si applica, in favore della procedura ordinaria, ai contratti con “interesse transfrontaliero certo”, e quindi la limita ai contratti di interesse locale, e la sottopone comunque alle “disposizioni del codice” se non derogate. L'articolo 49 stabilisce un principio generale di “rotazione degli affidamenti”, che in base al successivo articolo 50 avvengono mediante “affidamento diretto”, per i contratti di minor valore – comunque di importo considerevole, dato che si tratta di 150 mila euro per i lavori e di 140 mila euro per gli altri – e per i restanti mediante “procedura negoziata senza bando”. L'articolo 51 consente anche al RUP – responsabile unico di procedimento - di far parte della commissione giudicatrice; gli articoli 52 e 53 semplificano, rispettivamente, il controllo sul possesso dei requisiti ed il regime delle garanzie; l'articolo 54 prevede l'esclusione automatica, e non previo contraddittorio, delle offerte anomale e l'articolo 55 detta una disciplina speciale per il termine dilatorio di conclusione del contratto.

4.1 - Quesito proposto

La disciplina di cui sopra potrebbe avere un rilievo pratico notevole, dato che secondo le valutazioni della stampa specializzata (6) in base al nuovo codice un'elevatissima percentuale di contratti pubblici potrebbe essere affidata senza la gara concorrenziale prevista dalla procedura ordinaria.

Ci si chiede quindi se, ed entro quali limiti, per i contratti sottosoglia così disciplinati sotto il profilo sostanziale valgano le garanzie, intese in senso ampio, previste dallo stesso d.lgs. 36/2023. La risposta potrebbe essere immediatamente positiva, dato che come si è visto l'articolo 48, comma 4, prevede come regola l'applicazione delle norme del codice ai contratti sottosoglia, se non derogate; tuttavia, è utile una breve disamina sugli specifici istituti di rilievo.

4.2 - Ipotesi di ricostruzione della normativa complessiva

La risposta è positiva anzitutto per la digitalizzazione delle procedure e per la disciplina speciale dell'accesso che vi si collega, prevista dagli articoli 35 e 36, che fanno parte della parte II del I libro, richiamata quanto ai principi dall'articolo 48. Che si tratti di norme di principio pare indubbio, dato che in generale qualsiasi tutela effettiva passa per la conoscibilità degli atti e provvedimenti relativi alla fattispecie.

Quanto ai “rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale” di cui agli articoli 210-220 del codice, si osserva anzitutto che l'articolo 211, sull'accordo bonario in tema di contratti di servizi e forniture, rinvia all'articolo 210, sull'accordo bonario in tema di contratti di lavori; quest'ultima norma si riferisce poi indistintamente ai “lavori pubblici di cui al libro II”, e quindi comprende, secondo logica, anche i contratti sottosoglia in esame.

L'articolo 212, in tema di transazione, a sua volta non fa distinzioni, e così il successivo articolo 213 sull'arbitrato, che anzi contiene una disciplina speciale per i contratti di valore superiore a 100 mila euro, a conferma dell'applicabilità a tutti i contratti della disciplina generale. Lo stesso va detto per il collegio consultivo tecnico di cui agli articoli 215 e ss. del codice, per cui pure è prevista una disciplina speciale per i contratti soprasoglia. In linea di fatto, ci si può però chiedere se istituti di una certa complessità pratica da attivare, come appunto l'arbitrato e il collegio, verranno in fatto utilizzati per contratti di valore più modesto.

Infine, non fa distinzioni nemmeno l'articolo 220, che prevede i pareri di precontenzioso dell'ANAC.

Venendo ai “ricorsi giurisdizionali”, va anzitutto detto che l'articolo 120 c.p.a. novellato dall'articolo 209 del codice si applica senza distinzioni a tutti i contratti disciplinati dal codice stesso; come immediata conseguenza, per impugnare gli atti relativi vale il termine di trenta giorni, dimezzato rispetto a quello ordinario.

Per la decorrenza di questo termine, il disposto dell'articolo 120 comma 3 c.p.a. fa riferimento ai casi di mancata pubblicazione del bando e di affidamento diretto in house, e quindi si presta potenzialmente a coprire tutte le ipotesi di cui all'articolo 50. Lo stesso va detto per la sanzione di inefficacia del contratto di cui all'articolo121c.p.a. che il testo della norma contempla anche per gli affidamenti eseguiti senza pubblicazione di bando.

4.3 - Risposta al quesito

Si può quindi senz'altro concludere che il regime delle tutele previsto per i contratti sottosoglia è di livello complessivamente non inferiore a quello previsto per i contratti soggetti alla procedura ordinaria, ed è quindi del tutto possibile che, per quanto non disposto espressamente dalle norme sostanziali, si formi un insieme di regole giurisprudenziali integrative, ad esempio per dare maggior concretezza al principio di rotazione di cui all'articolo 49. Se ciò accadrà nei fatti, dipende però da un fattore extragiuridico, ovvero dall'effettiva propensione degli operatori ad attivare la tutela in esame.

5. Il diritto di accesso e il relativo rito nel nuovo codice. La disciplina previgente e quella attuale

L'articolo 53, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, prevede(va) che, salvo quanto espressamente previsto nel codice, la disciplina del diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, sia quella prevista dagli articoli 22 e ss., l. 7 agosto 1990, n.241.

In caso di asta elettronica il diritto di accesso può essere esercitato mediante l'interrogazione delle registrazioni di sistema informatico contenenti la documentazione in formato elettronico dei detti atti ovvero tramite l'invio ovvero la messa a disposizione di copia autentica degli atti.

Il comma 2, poi, pur facendo salva la disciplina prevista dal codice per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, in linea generale dispone il differimento: a) fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte, nelle procedure aperte, in relazione all'elenco dei soggetti che le avevano presentate; b) nelle procedure ristrette e negoziate e nelle gare informali, in relazione all'elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno manifestato il loro interesse, e in relazione all'elenco dei soggetti che sono stati invitati a presentare offerte e all'elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte medesime; ai soggetti la cui richiesta di invito fosse stata respinta, era consentito l'accesso all'elenco dei soggetti che avevano fatto richiesta di invito o che avevano manifestato il loro interesse, dopo la comunicazione ufficiale, da parte delle stazioni appaltanti, dei nominativi dei candidati da invitare; c) in relazione alle offerte, fino all'aggiudicazione; d) in relazione al procedimento di verifica della anomalia dell'offerta, fino all'aggiudicazione.

Fino alla scadenza dei termini sopra indicati, gli atti di cui al comma 2 non possono essere comunicati a terzi o resi in qualsiasi altro modo noti, pena l'applicazione dell'articolo 326 c.p. per i pubblici ufficiali e per gli incaricati di pubblici servizi.

In forza del comma 5, sempre fatta salva la disciplina, prevista dal codice, per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, sono esclusi il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione in relazione: a) alle informazioni fornite nell'ambito dell'offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali; b) ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all'applicazione del presente codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici; c) alle relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell'esecuzione e dell'organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto; d) alle soluzioni tecniche e ai programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale.

Quale eccezione all'eccezione, con conseguente riespansione della regola generale, il comma 6, in relazione alla sola fattispecie di cui al comma 5, sub a), prevede che sia consentito l'accesso al concorrente “ai fini della difesa in giudizio” dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto.

La disposizione non fa richiamo all'accesso civico di cui al d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, la cui applicabilità alle fattispecie concernenti i contratti pubblici, è stata definitivamente affermata da Cons. Stato, a.p., 2 aprile 2020, n. 10.

Sotto il profilo processuale, l'articolo 53 non prevede(va) alcunché di specifico, sì che in ordine al rito applicabile sostanzialmente trova applicazione il combinato disposto degli articoli25,l.7agosto1990,n.241 e 116 c.p.a. in caso di accesso “documentale”, ovvero, secondo l'orientamento prevalente, l'articolo 117 c.p.a. in caso di silenzio sull'istanza di accesso civico.

5.1 - La disciplina del nuovo codice

Il nuovo codice dedica all'accesso due norme, gli articoli 35 e 36. La prima avente portata tendenzialmente “generale” (a parte il comma 5) e la seconda, invece, più strettamente inerente alle dinamiche “interne” alla procedura ad evidenza pubblica.

5.1.1 - L'articolo 35

Per quanto riguarda la prima delle due disposizioni, ai sensi del comma 1 dell'articolo 35 le stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurano (nel senso, evidentemente, che “devono assicurare”) in modalità digitale l'accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, mediante acquisizione diretta dei dati e delle informazioni inseriti nelle piattaforme, ai sensi degli articoli 3-bis e 22 e ss. della

l. 7 agosto 1990, n. 241 e degli articoli 5 e 5-bis, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33.

La disposizione, di carattere generale, per un verso ha allineato lo svolgimento della procedura di accesso all'utilizzo delle piattaforme di eprocurement, per altro verso ha formalmente ed espressamente riconosciuto la possibilità per tutti i cittadini di richiedere attraverso l'istituto dell'accesso civico generalizzato, la documentazione di gara nei limiti consentiti e disciplinati dall'articolo 5-bis del d.lgs. 14 marzo 2013, n.33.

Il comma 2 dell'articolo 35, nel disporre il differimento del diritto di accesso, fatta salva la disciplina prevista dal nuovo codice per i contratti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, riprende in modo sostanzialmente pedissequo le ipotesi già previste dal comma 2 dell'articolo 53, aggiungendo, però quella che oggi è la “lettera c)”:

‹‹c) in relazione alle domande di partecipazione e agli atti, dati e informazioni relativi ai requisiti di partecipazione di cui agli articoli 94, 95 e 98 e ai verbali relativi alla fase di ammissione dei candidati e offerenti, fino all'aggiudicazione››.

In modo parimenti corrispondente ai commi 3 e 4 dell'articolo 53, il nuovo comma 3 dell'articolo 35 vieta, fino alla conclusione delle fasi o alla scadenza dei termini di cui al comma 2, l'accessibilità e la conoscibilità di atti, dati e informazioni, pena l'applicazione dell'articolo 326 c.p. per i pubblici ufficiali e per gli incaricati di pubblico servizio.

Il comma 4 dell'articolo 35, che trova il suo corrispondente nel comma 5 dell'articolo 53, sempre fatta salva la disciplina prevista per i contratti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, reca alcune modifiche rispetto all'impianto della precedente disposizione, distinguendo espressamente le ipotesi “discrezionali” da quelle “vincolate” di esclusione del diritto di accesso e di ogni forma di divulgazione, salva l'applicazione di quanto disposto dal comma 5.

In particolare, la lettera a) del comma 4 prevede che il diritto di accesso “può” essere escluso in relazione alle informazioni fornite nell'ambito dell'offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali;

In forza della lettera b), invece, il diritto di accesso “è” escluso in relazione: 1) ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all'applicazione del codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici; 2) alle relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell'esecuzione e dell'organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto; 3) alle piattaforme digitali e alle infrastrutture informatiche utilizzate dalla stazione appaltante o dall'ente concedente, ove coperte da diritti di privativa intellettuale.

Come si può notare, mentre i nn. 1 e 2 che precedono corrispondono alle lettere b) e c) del precedente comma 5 dell'articolo 53, il n. 3 è leggermente diverso in quanto coordinato con le novità del nuovo codice in punto “digitalizzazione”.

Il comma 5 del nuovo articolo 35, nel prevedere – similmente al comma 6 dell'articolo 53 – l'eccezione all'esclusione, da un lato ne amplia la portata applicativa, estesa non solo alle informazioni recanti segreti tecnici e commerciali ai sensi della lettera a) del comma 4, ma anche all'ipotesi di cui al n. 3 del comma 5 che precede; dall'altro lato, recependo gli insegnamenti giurisprudenziali della giurisprudenza amministrativa di primo e secondo grado, ha richiesto “l'indispensabilità” dell'accesso ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi giuridici “rappresentati in relazione alla procedura di gara”.

5.1.2 - L'articolo 36

Il nuovo articolo 36 reca una disciplina speciale per i concorrenti in gara (candidati e offerenti) non definitivamente esclusi, concernente sia aspetti procedurali che processuali.

Sotto il primo profilo, l'offerta dell'operatore economico risultato aggiudicatario, i verbali di gara e gli atti, i dati e le informazioni presupposti all'aggiudicazione sono resi disponibili, attraverso la piattaforma di approvvigionamento digitale di cui al nuovo articolo 25 utilizzata dalla stazione appaltante o dall'ente concedente, a tutti i candidati e offerenti non definitivamente esclusi contestualmente alla comunicazione digitale dell'aggiudicazione ai sensi dell'articolo 90.

Quindi, la disposizione (il comma 1) riconosce a chi partecipa alla gara e non ne è “definitivamente” escluso, di accedere in via “diretta”, non solo a “documenti” (offerta dell'aggiudicatario, verbali di gara e atti), ma anche “ai dati e alle informazioni” inseriti nella piattaforma ex articolo 25, a partire dalla comunicazione digitale dell'aggiudicazione, in conformità alla tempistica indicata dall'articolo 35 comma 2 sopra ricordato.

Agli operatori economici collocatisi nei primi cinque posti in graduatoria, però, viene riconosciuto, dal comma 2 dell'articolo 36, un diritto di accesso più “ampio” perché ad essi sono resi “reciprocamente disponibili”, attraverso la stessa piattaforma, non solo gli “atti” di cui al comma 1, ma anche le offerte dagli stessi presentate (in particolare, quelle del secondo, terzo, quarto e quinto, la prima essendo conoscibile da tutti).

Nella comunicazione dell'aggiudicazione di cui al comma 1, la stazione appaltante o l'ente concedente, ai sensi del comma 3 dell'articolo 36, dà anche atto delle decisioni assunte sulle eventuali richieste di oscuramento di “parti” delle offerte di cui ai commi 1 e 2, indicate dagli operatori ai sensi dell'articolo 35, comma 4, lettera a) - ovvero con “motivata e comprovata dichiarazione” - in ordine alla sussistenza di segreti tecnici o commerciali.

Pertanto, una volta intervenute l'aggiudicazione e la comunicazione digitale della stessa:

- tutti i partecipanti non esclusi in modo definitivo dalla gara possono accedere, “direttamente, mediante piattaforma”, a tutto ciò (offerta dell'aggiudicatario, verbali, atti, dati e informazioni, ad eccezione delle offerte dei quattro operatori successivi al primo in graduatoria) che ha rappresentato un passaggio della procedura presupposto all'aggiudicazione medesima;

- i primi cinque concorrenti in graduatoria hanno diritto ad accedere “direttamente mediante piattaforma” anche alle reciproche offerte, fatti salvo il caso in cui vi siano stati degli “oscuramenti”, da parte della P.a.;

- l'eventuale oscuramento deve essere conseguenza di una specifica richiesta dell'operatore offerente, corredata da una dichiarazione “motivata e comprovata” in ordine alla sussistenza di segreti tecnici e commerciali”; in secondo luogo, sia che la richiesta sia accolta, che respinta, la P.a. nella comunicazione dell'aggiudicazione deve puntualmente dar conto della propria decisione e della motivazione sottesa.

- l'accesso alle parti oscurate può e deve essere comunque consentito, qualora esso sia “indispensabile” ai fini della difesa in giudizio degli interessi giuridici dell'operatore economico interessato, come rappresentati in relazione alla procedura di gara.

A tal proposito, ai sensi dell'articolo 36, comma 4, l'interessato all'accesso e, specularmente, l'operatore interessato all'oscuramento non instaurano un previo contraddittorio procedimentale con la P.a., ma hanno entrambi l'onere di “impugnare” le decisioni di cui al comma 3 in ordine alla richiesta di oscuramento, con ricorso notificato e depositato entro 10 giorni dalla comunicazione digitale dell'aggiudicazione, secondo il rito dell'articolo 116 c.p.a. Le parti intimate possono costituirsi entro dieci giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notifica del ricorso.

Nel caso in cui la stazione appaltante o l'ente concedente ritenga insussistenti le ragioni di segretezza indicate dall'offerente ai sensi dell'articolo 35, comma 4, lettera a), l'ostensione delle parti dell'offerta di cui viene richiesto l'oscuramento non è consentita prima del decorso del termine di impugnazione delle decisioni di cui al comma 4: diversamente, infatti, poiché la “disponibilità” delle offerte è contestuale alla comunicazione digitale dell'aggiudicazione che contiene la decisione motivata sul diniego di oscuramento, l'offerente che lo ha richiesto verrebbe ad essere irrimediabilmente leso.

Il comma 6 prevede che, nel caso di ricorso avverso la decisione sull'oscuramento, la stazione appaltante o l'ente concedente può inoltrare segnalazione all'ANAC la quale può irrogare una sanzione pecuniaria nella misura stabilita dall'articolo 222, comma 9, ridotta alla metà nel caso di pagamento entro trenta giorni dalla contestazione, qualora vi siano reiterati rigetti di istanze di oscuramento.

Per quanto concerne il rito avanti al giudice amministrativo, il comma 7 prevede una disciplina “speciale”: infatti, l'udienza in camera di consiglio deve essere fissata d'ufficio nel rispetto di termini pari alla metà di quelli di cui all'articolo 55 c.p.a.: l'udienza deve tenersi, quindi, nella prima camera di consiglio successiva al decimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell'ultima notificazione e, altresì, al quinto giorno dal deposito del ricorso. Le parti possono depositare memorie e documenti fino a un giorno libero prima della camera di consiglio.

Il ricorso viene deciso alla medesima udienza con sentenza in forma semplificata, da pubblicarsi entro 5 giorni dall'udienza di discussione, e la cui motivazione può consistere anche in un mero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie.

Il comma 8, poi, precisa che il rito e i termini di cui ai commi 4 e 7 si applicano anche nei giudizi di impugnazione.

In ordine al contenuto della decisione l'articolo 36 nulla prevede di specifico, sì che deve farsi riferimento all'articolo 116 c.p.a., ai sensi del quale il giudice “sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione e, ove previsto, la pubblicazione, dei documenti richiesti, entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni, dettando, ove occorra, le relative modalità”.

Ai sensi del comma 9, il termine di impugnazione dell'aggiudicazione e dell'ammissione e valutazione delle offerte diverse da quella aggiudicataria decorre comunque dalla comunicazione di cui all'articolo 90.

5.2 - Spunti di riflessione: aspetti operativi sul piano sostanziale

È indubitabile come il diritto di accesso, sia nella sua declinazione “documentale” ex l. 7 agosto 1990, n. 241, sia, ancor più, con riguardo all'istituto dell'accesso civico di cui al d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, è stato valorizzato, dal legislatore e dalla giurisprudenza amministrativa, come strumento essenziale per garantire la trasparenza della P.a., quale “casa di vetro”, non solo nell'ambito degli specifici rapporti con il privato coinvolto in un determinato procedimento amministrativo o necessitante di un determinato documento per la tutela di proprie situazioni giuridiche, ma anche per consentire quell'effettivo controllo “democratico” da parte della collettività sull'attività dell'Amministrazione nel suo complesso.

Nell'ambito dei contratti pubblici, il diritto di accesso e, più in generale, la trasparenza - della quale il primo costituisce un mezzo di attuazione – costituiscono necessari strumenti di efficientamento dell'attività pubblica.

Non a caso, infatti, il riferimento alla “trasparenza” è presente in tutti e tre i principi declinati dai primi tre articoli del nuovo codice (il principio del risultato, il principio della fiducia e il principio di accesso al mercato).

Nell'ambito delle procedure di affidamento grande rilievo assume la fase della conoscenza e della trasparenza della procedura attraverso la possibilità, da parte dei partecipanti, di chiedere alla stazione appaltante di avere contezza non solo di quanto dichiarato dai partecipanti in sede di presentazione delle offerte, ma anche di come la stessa stazione appaltante abbia fatto la sua scelta, anche al fine di comprendere se siano stati rispettati i principi basilari della “evidenza pubblica” e cioè la par condicio dei partecipanti e la concorrenza.

Rispetto alla precedente formulazione dell'articolo 53, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, la nuova disciplina si segnala, in primo luogo, per aver espressamente fatto riferimento, al comma 1 dell'articolo 35, non solo all'accesso c.d. “documentale”, ai sensi degli articoli 22 e ss., l. 7 agosto 1990, n. 241, ma anche all'accesso civico di cui agli articoli 5 e 5-bis d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33. Questo, in evidente continuità con gli insegnamenti di Cons. St., a.p., 2 aprile 2020, n. 10.

Ciò conferma, quindi, che, sussistendo i presupposti dell'accesso documentale, ex articoli 22 e ss., l. 7 agosto 1990, n. 241 e/o civico di cui agli articoli 5 e 5 bis, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, anche chi non ha partecipato alla gara o non è un operatore economico può accedere alla documentazione di cui al comma 1 dell'articolo 35.

Le ulteriori disposizioni dell'articolo 35 dettano una disciplina speciale che regola l'obbligo di differimento (commi 2 e 3 sopra ricordati) e le esclusioni del diritto di accesso.

Due ipotesi di esclusione sono “assolute” perché l'ostensione non è possibile in nessun caso: si tratta dei pareri e delle relazioni riservate.

Nel caso, invece, delle altre due ipotesi di esclusione (i segreti e i diritti di privativa), si tratta di fattispecie eventuali e potenzialmente derogabili, sia pure nei limiti di quanto previsto dal comma 5.

Sia per le informazioni costituenti segreti e fornite nell'ambito dell'offerta o a giustificazione della stessa, sia per le piattaforme digitali e le infrastrutture informatiche utilizzate dalla stazione appaltante o dall'ente concedente, ove coperte da diritti di privativa intellettuale, il comma 5 consente l'accesso al solo concorrente, purché ciò sia indispensabile ai fini della difesa in giudizio dei suoi interessi giuridici rappresentati in relazione alla procedura di gara.

Qualora sussistano “informazioni segrete”, quindi, i terzi non concorrenti non potranno in nessun modo accedere alle medesime.

La disposizione, laddove, a differenza delle altre ipotesi in cui l'accesso “è” negato, rimette alla valutazione della P.a. la “possibilità” di escluderlo, pare finalizzata non tanto ad attribuire un particolarmente ampio potere discrezionale alla P.a., nell'ottica del bilanciamento di diversi interessi in gioco, quanto a sottolineare come la non ostensibilità dei dati passi inevitabilmente attraverso l'accertamento, in primo luogo, della effettiva esistenza di “segreti”, il che implica sia un onere a carico del richiedente l'oscuramento (una comprovata e motivata dichiarazione), sia una valutazione – discrezionale – da parte della P.a..

Sotto altro profilo, l'articolo 36 ha previsto una semplificazione delle procedure di accesso, correlata all'implementazione della digitalizzazione e telematizzazione: la diretta e teoricamente automatica “messa a disposizione” in piattaforma di atti, verbali, dati e informazioni della gara e dell'offerta dell'aggiudicataria, infatti, consente di superare il “diaframma” dell'istanza di accesso agli atti.

Come si legge nella relazione al decreto legislativo, la P.a. deve ‹‹mettere a disposizione dei partecipanti tutti gli atti della procedura e l'offerta selezionata all'esito dell'aggiudicazione consente all'amministrazione di evitare una eventuale fase amministrativa relativa alle istanze di accesso e ai partecipanti di conoscere immediatamente la scelta fatta dall'amministrazione e orientarsi sulla opportunità o meno di procedere in sede processuale››.

Il legislatore, in particolare, ha confermato l'interesse “in re ipsa” ad accedere per il concorrente, e ha previsto l'ostensione mediante accesso diretto concernente non solo a “documenti”, ma anche a “dati e informazioni” e soprattutto all'offerta dell'aggiudicataria.

Sempre in un'ottica di accelerazione e semplificazione, il comma 2 dell'articolo 36 prevede l'automatica messa a disposizione “digitale” anche delle ulteriori “successive” quattro offerte, ma solo e reciprocamente nei rapporti tra i primi cinque in graduatoria: anche in tal caso, l'interesse all'accesso viene evidentemente “presunto” ex lege, ma solo per i suddetti primi cinque in graduatoria. Gli altri concorrenti, invece, per ottenere l'accesso alle altrui offerte dovranno proporre istanza ai sensi e alle condizioni stabilite dagli articoli 22 e ss., l. 7 agosto 1990, n. 241 e 5 e 5-bis d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33.

Ricapitolando, quindi:

1) per tutti gli “estranei” alla procedura, nonché per i concorrenti esclusi definitivamente, l'accesso agli atti può avvenire, secondo le previsioni “ordinarie” degli articoli 22 e ss.,

l. 7 agosto 1990, n. 241 e 5 e 5bis, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, nei limiti, però, di quanto previsto dall'articolo 35 del nuovo codice (in punto di differimento obbligatorio, esclusione ed eccezione all'esclusione): ne consegue che essi dovranno presentare un'istanza di accesso, cui seguirà un contraddittorio procedimentale e una eventuale decisione della P.a. negativa o positiva, mentre, in caso di silenzio, come noto, i rimedi sono differenti a seconda che si tratti di accesso “documentale” o di accesso “civico”, in ragione, nel primo caso, della espressa previsione di un silenzio diniego;

2) per tutti i partecipanti alla gara, non definitivamente esclusi, invece, il diritto di accesso viene “facilitato” con la previsione di un obbligo, per la P.a., di rendere ad essi disponibili tutti gli atti, i verbali, i dati e le informazioni presupposti all'aggiudicazione, e l'offerta dell'aggiudicataria mediante accesso diretto alla piattaforma: il diritto di accesso, quindi, prescinde da un'istanza, da un subprocedimento e da un provvedimento, sì che, a ben vedere, in parte qua, non si pone nemmeno un problema di riconducibilità della fattispecie all'accesso documentale o a quello civico, o, per meglio dire, sussiste in capo alla p.a., un vero e proprio obbligo ex lege non derogabile; diversamente la regola generale di cui al punto I. che precede torna ad essere applicabile nel caso in cui il partecipante in gara (ulteriore rispetto ai primi cinque in graduatoria) intenda richiedere l'ostensione delle offerte degli altri concorrenti (diversi dall'aggiudicatario), sì che dovrà essere proposta specifica istanza ai sensi degli articoli 22 e ss., l. 7 agosto 1990, n. 241 e/o degli articoli5 e 5bis,d.lgs.14marzo2013,n.33, secondo lo schema procedimentale “classico”, a contraddittorio “pieno” (richiedente, P.a. e controinteressato) il ché, però, in caso di segreti, pone dei problemi di coordinamento con quanto stabilito dal comma 3, come si dirà a breve (si veda il punto IV. che segue);

3) per i soli primi cinque classificati in graduatoria, sussiste in pratica un diritto alla immediata e diretta accessibilità reciproca delle offerte, cui corrisponde un obbligo “incondizionato”, a carico della P.a., di garantire l'accesso diretto, sia pure limitatamente ai suddetti operatori, i quali non devono presentare alcuna richiesta di accesso, e, pertanto, non è configurabile, in via linea di principio, alcun subprocedimento amministrativo correlato; nel caso in cui uno o più degli operatori economici in questione, però, richieda l'oscuramento di parti della relativa offerta, la P.a., nella comunicazione di aggiudicazione, deve dar conto delle proprie determinazioni al riguardo e delle relative ragioni a sostegno della decisione positiva o negativa;

4) più precisamente, l'articolo 36, comma 3, nel caso di “oscuramento”, impone alla P.a. di indicare, nella comunicazione di aggiudicazione inviata a tutti i partecipanti alla gara non definitivamente esclusi, la propria decisione sulle richieste di oscuramento relative alle offerte presentate dai soli primi cinque offerenti in gara; la posizione di questi ultimi, quindi, sul piano procedurale va distinta da quella degli altri partecipanti in gara;

- nel caso dei primi cinque offerenti, il combinato disposto dei commi 1, 2 e 3, ha l'effetto di eliminare il contraddittorio procedimentale sulla effettiva sussistenza dei “segreti”, sull'adeguatezza della motivazione e degli elementi forniti a “comprova”, da un lato, e sulla adeguata rappresentazione e dimostrazione dell'indispensabilità dell'ostensione delle parti dell'offerta per la tutela degli interessi giuridici relativi alla procedura di gara, dall'altro; ma si tratta di una soluzione che - forse - non crea problemi sul piano procedurale perché, come detto, in linea di principio i primi cinque operatori in graduatoria non devono fare istanza di accesso alle offerte “reciproche”, le stesse dovendo essere inserite in piattaforma salvo che sussista la richiesta di oscuramento; piuttosto, come si dirà anche più avanti, il problema è che viene a determinarsi una sostanziale traslazione avanti al giudice amministrativo del potere – dovere di valutare, per la prima volta e in contraddittorio, la sussistenza dei presupposti per l'ostensibilità delle parti oscurate, e, quindi, in particolare, dell'indispensabilità delle stesse per la tutela degli interessi del richiedente;

- per quanto concerne, invece, i concorrenti diversi dai primi cinque in graduatoria, il problema si pone in quanto essi, se, per un verso, godono del particolare diritto di “accessibilità” diretta di cui sopra solo con riguardo all'aggiudicatario e alla relativa offerta, per altro verso sono comunque tra i destinatari della comunicazione di avvenuta aggiudicazione di cui all'articolo 90, la quale, come detto, reca la determinazione e la motivazione in ordine all'eventuale oscuramento anche delle offerte degli eventuali successivi quattro offerenti; nel caso, in cui, quindi, essi abbiano interesse all'ostensione delle offerte di questi ultimi e, in particolare delle relative parti oscurate, pare inevitabile la necessità di un previo e si potrebbe dire “ordinario” contraddittorio procedimentale avente ad oggetto, in primo luogo, la sussistenza dei presupposti previsti in termini generali dagli articoli 22 e ss., l. 7 agosto 1990, n. 241 e 5 e 5 bis, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33; il problema, però, è che, essendo anche ad essi noti sia l'oscuramento, sia le ragioni dello stesso, in conseguenza della comunicazione di avvenuta aggiudicazione, anche per loro potrebbe porsi il problema della decorrenza del termine brevissimo per impugnare previsto dal comma 4 dell'articolo 36 e soprattutto, verrebbe ad essere integralmente traslato avanti al G.a. il giudizio in ordine alla sussistenza di tutti i presupposti per l'accesso; in altre parole, si troverebbero, potenzialmente, a dover agire avanti al G.a. per far valere “l'indispensabilità” delle parti oscurate delle offerte, quando è ancora pendente il termine per la P.a. per decidere sull'accesso “ordinario” o “civico”; una soluzione a questo problema, allora potrebbe essere quella di ritenere che per i partecipanti alla gara diversi dai primi cinque, la comunicazione di avvenuta aggiudicazione, con riguardo alle offerte diverse da quella dell'aggiudicatario, non fa decorrere sin da subito il termine per impugnare, gli operatori successivi al quinto in graduatoria dovendo, però, tempestivamente presentare istanza di accesso agli atti, con ciò che ne consegue in termini procedurali e processuali.

5.3 - Aspetti operativi sul piano processuale

Come sopra visto, l'articolo 36, ai commi da 4, 7 e 8, non detta una disciplina processuale “generale”, ma, pur facendo esplicito richiamo all'articolo 116 c.p.a., quanto al rito applicabile, detta una serie di previsioni “speciali”, limitate, quanto all'ambito di applicazione, alle “impugnazioni” delle “decisioni” – negative o positive – da parte della

P.a. sulle richieste di oscuramento.

Ne consegue che, per tutto quanto escluso dall'ambito di applicazione di tale ipotesi “speciale”, dovranno essere rispettati i riti, i termini e la disciplina previsti per le diverse fattispecie processuali applicabili.

Vediamo allora analiticamente gli scenari processuali possibili.

1) Per i soggetti diversi dai concorrenti e per i concorrenti definitivamente esclusi: così come si applicano le regole sostanziali “ordinarie” in materia di accesso, integrate dalle previsioni del nuovo articolo 35, allo stesso modo trovano applicazione integrale le regole processuali di cui all'articolo 116 c.p.a. e, con riguardo al silenzio in caso di accesso civico, secondo l'orientamento prevalente, l'articolo 117c.p.a.;

Per i concorrenti esclusi, ma non in modo definitivo, e quelli collocatisi in graduatoria al di sotto della quinta posizione, in teoria, un problema di diritto di accesso, come detto, si dovrebbe porre solo con le offerte dei quattro operatori economici successivi al primo, per tutti gli altri atti sussistendo il diritto alla immediata e diretta conoscenza digitale, sì che in parte qua - teoricamente - non dovrebbe esservi contenzioso se non con riferimento all'oscuramento di parte dell'offerta dell'aggiudicatario; d'altronde, non può, sempre in linea teorica, escludersi l'ipotesi in cui la p.a. si “dimentichi” di inserire nella piattaforma uno dei documenti, dei dati o delle informazioni o la stessa offerta, ovvero le stesse, per le ragioni più varie, non siano direttamente “visibili; in tal caso, allora si possono verificare tre situazioni di possibile contenzioso:

a) oscuramento dell'offerta dell'aggiudicatario: il concorrente interessato dovrà esperire il ricorso ex articolo 116 c.p.a. nei termini e secondo il rito “speciale” dei commi 4 e 7 dell'articolo 36;

b) interesse all'ostensione delle offerte anche degli altri operatori: se la P.a. non provvede all'oscuramento, i concorrenti diversi dai primi cinque in graduatoria non possono comunque avere accesso diretto alle offerte degli operatori successivi al primo, per le quali, quindi, occorre “passare” per la sopra ricordata fase procedimentale all'esito della quale la tutela giurisdizionale sarà quella dell'articolo 116 c.p.a., con l'applicabilità dell'articolo 117 c.p.a. nel caso di silenzio sull'accesso civico; nel caso di oscuramento di una o più offerte degli operatori classificati in graduatoria tra il secondo e il quinto posto, invece, come detto, si pone il problema se ritenere che il rito speciale dell'articolo 36, commi 4 e 7 si applichi comunque anche ai concorrenti non esclusi definitivamente e successivi al quinto classificato, oppure tale applicazione si debba escludere in considerazione del fatto che per essi non sussiste un diritto all'accesso immediato e diretto alle offerte diverse da quella dell'aggiudicatario;

c) mancato inserimento o non visibilità di uno dei documenti, atti, dati o informazioni che, ai sensi dell'articolo 36, comma 1, devono poter essere visibili sulla piattaforma: in tal caso potrebbe ritenersi essere necessaria l'istanza di accesso, secondo le regole procedimentali e processuali “ordinarie”, sì che i termini sono quelli dell'articolo 116

c.p.a. (o dell'articolo 117 c.p.a. per il silenzio dell'accesso civico)

2) Per i primi cinque concorrenti in graduatoria, teoricamente, vi dovrebbe poter essere un unico possibile profilo di contenzioso: quello relativo alla decisione sull'oscuramento o sul mancato oscuramento dell'offerta di uno di essi; d'altronde, come detto, non può escludersi l'ipotesi che anche solo per errore la P.a. non inserisca nella piattaforma o comunque dalla stessa non risulti l'integrale offerta di uno degli operatori o un altro documento.

Nel primo caso, trova integrale applicazione il nuovo rito speciale dei commi 4 e 7.

Nel secondo caso, che non rientra nel ristretto ambito applicativo descritto dal comma 4, vale quanto sopra detto in ordine all'esperibilità del rito “ordinario” dell'articolo 116 (e 117 per il silenzio dell'accesso civico), nei termini e con le modalità ivi previste.

5.4 - Il rito di cui all'articolo 36 commi 4 e 7 e problemi applicativi

Come detto, in ordine all'offerta dell'aggiudicatario, per tutti i concorrenti in gara non definitivamente esclusi, e per le altre quattro successive offerte in graduatoria, la previsione di una decisione sull'oscuramento senza previo procedimento in contraddittorio e contestuale comunicazione dell'aggiudicazione, unitamente alla previsione di un termine stringente e un rito ad hoc per il vaglio giurisprudenziale relativo, pongono il problema di collocare quello che, normalmente, era e sarebbe ancora un subprocedimento amministrativo, relativo all'accertamento dell'”indispensabilità” dell'ostensione per la tutela giudiziale degli interessi da parte dell'avente diritto all'accesso.

Al riguardo, si potrebbe ritenere che, non avendo la p.a. mai vagliato le pretese dell'interessato all'accesso integrale, il g.a. non potrebbe per la prima volta decidere sul punto, nel rispetto dell'articolo 34, comma 2, c.p.a., venendo in gioco una valutazione discrezionale implicante un bilanciamento di interessi: in tal caso, però, l'interessato, se da un lato, si trova a dover impugnare la decisione di oscuramento ai sensi dell'articolo 36, comma 4, per contestare la sussistenza dei relativi presupposti (in particolare la sussistenza di un “segreto”), dall'altro lato, sarebbe costretto a far valere, in sede non giudiziale, ma amministrativa, i profili inerenti l'indispensabilità dell'ostensione, procedimento all'esito del quale, l'eventuale decisione negativa dovrebbe essere nuovamente impugnata avanti al G.a. (in tal caso con un rito che potrebbe essere nuovamente quello “speciale” ex articolo 36 comma 4, trattandosi comunque di una decisione sull'oscuramento).

Secondo un'altra ricostruzione, si potrebbe valorizzare la ratio acceleratoria e di semplificazione che anima la riforma, e il fatto che la ponderazione di interessi di cui al comma 5 dell'articolo 35, a ben vedere, è finalizzata a tutelare non interessi pubblici – quantomeno in via diretta – ma quelli dei privati concorrenti in gara, sì che non verrebbe in gioco una discrezionalità amministrativa o anche solo tecnica in capo alla P.a., il G.a. potendo, conseguentemente, valutare, in via diretta e per la prima volta, l'indispensabilità dell'ostensione.

Il comma 4 dell'articolo 36, quindi, andrebbe interpretato nel senso che l'interessato all'ostensione, in caso di oscuramento, ha l'onere di impugnare nel termine brevissimo previsto la decisione della p.a. non solo contestando i presupposti dell'oscuramento, ma anche deducendo e fornendo elementi idonei a dimostrare l'indispensabilità degli elementi secretati per la difesa in giudizio dei propri interessi, il G.a. potendo e dovendo vagliare la fondatezza delle relative deduzioni.

Per quanto concerne la notifica del ricorso avverso le decisioni sull'oscuramento, il comma 4 non specifica chi siano i soggetti da “intimare”, oltre, ovviamente, all'Amministrazione resistente.

Nel caso dell'offerta dell'aggiudicatario, per la quale quest'ultimo richieda in giudizio l'oscuramento, in caso decisione negativa da parte della P.a., i controinteressati, alla luce di quanto sopra detto e di quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 36, dovrebbero essere

tutti i concorrenti non definitivamente esclusi, i quali, in assenza dell'oscuramento, vantano un diritto di accesso immediato e diretto all'integrale offerta.

Nel caso, invece, di decisione negativa sulla richiesta di oscuramento dell'offerta di uno dei successivi quattro operatori collocati in graduatoria, sussistendo il diritto all'ostensione solo in capo ai cinque primi “classificati”, dovrebbero essere chiamati in giudizio solo l'aggiudicatario e gli altri concorrenti nei primi cinque posti.

In entrambe le ipotesi che precedono, mentre l'eventuale decisione del G.a. confermativa della natura non segreta delle informazioni verrebbe ad avere effetti favorevoli per tutti i controinteressati, producendo la visibilità definitiva dell'offerta integrale sulla piattaforma, nel caso, invece, di accoglimento del ricorso da parte del G.a., sarebbe onere di ciascun controinteressato dedurre e dimostrare, ai fini dell'ostensione dell'offerta, l'indispensabilità dell'accesso; in tal caso, l'eventuale accoglimento della domanda subordinata, passando per un vaglio “relativo e soggettivo” delle ragioni di ciascun controinteressato, dovrebbe produrre effetti solo a favore di coloro i quali deducano e dimostrino la suddetta indispensabilità.

Nel caso di oscuramento, in modo speculare, è evidente che controinteressato, rispetto all'azione esercitata dall'interessato all'ostensione, sia l'operatore che lo ha richiesto ed ottenuto: ciascuno degli altri concorrenti è, a ben vedere, un potenziale ricorrente, sì che tra loro vengono ad assumere la veste di “cointeressati”.

Pertanto, in questo caso, non sembra che il ricorso debba essere notificato anche ad essi, ognuno dei quali ha l'onere di impugnare la decisione nei termini, ai fini non solo di contestare l'assenza dei presupposti per l'oscuramento, ma anche l'eventuale indispensabilità per la tutela giudiziaria dei propri interessi.

A questo proposito, si pone un dubbio: mentre, certamente, con riguardo all'indispensabilità, il giudizio e la decisione della p.a., come detto, sono inevitabilmente “relativi”, inerendo strettamente a ciascun interessato all'accesso, in merito all'assenza tout court dei presupposti per l'oscuramento (ad es., la dichiarazione di segretezza non essendo adeguatamente motivata o comprovata), un'eventuale decisione si potrebbe ritenere avere effetti favorevoli anche per gli altri concorrenti, sì che la P.a. dovrebbe essere obbligata a rendere “disponibile” l'offerta sulla piattaforma.

Il rito “speciale” ex articolo 36, sembra dover trovare applicazione in “via principale” (ai sensi dell'articolo 116 c.p.a.), perché contempla il “ricorso” da notificare nei tempi ristretti indicati dal comma 4 cui consegue un termine altrettanto stretto per la costituzione degli intimati e per la decisione.

D'altronde, tale rito pare essere compatibile anche in caso di impugnazione “incidentale”, in conformità all'articolo 116, comma 2, cioè pendente un giudizio già avviato (si pensi ad un giudizio avverso il provvedimento di esclusione, nel quale il ricorrente abbia interesse all'accesso per poter proporre motivi aggiunti avverso l'aggiudicazione): in tal caso, d'altronde, per quanto concerne le forme e i termini, non si dovranno seguire le previsioni dell'articolo 116, c.p.a., ma quelle dell'articolo 36, comma 4.

6. Il divieto di clausole escludenti in rapporto alla decisione della plenaria e la perdurante vigenza dell'onere di immediata impugnazione delle clausole escludenti. Le clausole escludenti nel previgente codice, alla luce della giurisprudenza amministrativa

La disciplina delle clausole escludenti, nel d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, trova(va) due riferimenti normativi fondamentali: l'articolo 80 e l'articolo 83.

La giurisprudenza amministrativa (si veda, ad es., Cons. Stato, sez. V, 4 agosto 2021, n. 5750) ha precisato che la declaratoria di nullità delle clausole di una procedura di gara per violazione del principio di tassatività si riferisce a quelle clausole che impongono adempimenti formali e non riguarda pertanto prescrizioni che attengono ai requisiti di capacità economico - finanziaria e tecnica (Cons.Stato,sez. V,23agosto2019, n.5828; id. sez. III, 7 luglio 2017, n.3352).

È stato anche precisato che, in linea generale, la nullità, quale conseguenza del principio di tassatività delle clausole di esclusione, colpisce le clausole con le quali l'amministrazione impone ai concorrenti determinati adempimenti o prescrizioni ai fini dell'ammissione alla procedura di gara, che non trovano alcuna base giuridica nelle norme che (nel codice dei contratti o in altre disposizioni di legge vigenti) prevedono cause di esclusione, comprese quelle che, pur non prevedendo espressamente, quale conseguenza, l'esclusione dalla gara, impongano adempimenti formali o introducano comunque norme di divieto (Cons. Stato, sez. V, 23 novembre 2020, n. 7257 e giurisprudenza ivi richiamata, Cons. Stato, a.p., 7 giugno 2012, n. 21; id., 16 ottobre 2013, n. 23; id., 25 febbraio 2014, n. 9).

L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 16 ottobre 2020, n. 22, ancorché avente ad oggetto una particolare fattispecie relativa all'istituto dell'avvalimento, ha affermato una serie di principi di carattere generale rilevanti per la corretta interpretazione e applicazione delle disposizioni sopra richiamate, nonché con riguardo ai profili processuali conseguenti.

In primo luogo, ha affermato che «rileva il principio di tassatività delle cause di esclusione, affermato dallo stesso articolo 83, comma 8, sicché la discrezionalità, comunque non illimitata né insindacabile, della pubblica amministrazione nel disporre ulteriori limitazioni alla partecipazione, integranti speciali requisiti di capacità economico-finanziaria o tecnica che siano coerenti e proporzionati all'appalto, è potere ben diverso dalla facoltà, non ammessa dalla legge, di imporre adempimenti che in modo generalizzato ostacolino la partecipazione alla gara, come è avvenuto nel presente caso per l'avvalimento dell'attestazione SOA, senza adeguata copertura normativa e in violazione del principio della concorrenza (v., in questo senso, anche Cons. Stato, sez. V, 26 maggio 2015, n.2627)».

Ha, poi, ritenuto – con affermazione estensibile a tutte le ipotesi concernenti le clausole escludenti – che la clausola escludente “atipica” sia ‹‹affetta da nullità, e pertanto da considerare come non apposta e quindi disapplicabile, poiché essa finisce per integrare un requisito ulteriore rispetto a quelli espressamente previsti dagli articoli 80 e 83 del codice dei contratti pubblici; cosa non consentita dall'ordinamento, che anzi in tal caso prevede la sanzione massima della nullità. Da ciò questa Adunanza plenaria desume che si tratti di una nullità parziale che non invalida l'intero bando e che non si configuri una fattispecie di nullità derivata o successiva, bensì propria, ossia di una clausola in contrasto con una norma imperativa di legge››.

Tale nullità, però, se, da un lato, non si estende al provvedimento nel suo complesso (vitiatur sed non vitiat), d'altro canto impedisce all'amministrazione di porre in essere atti ulteriori che si fondino su quella clausola, rendendoli altrimenti illegittimi e quindi, attesa l'autoritatività di tali atti applicativi, annullabili secondo le regole ordinarie.

Per altro verso, rispetto alla clausola escludente contenuta nel bando di gara e nulla perché violativa della previsione del comma 8 dell'articolo 83, non sussiste l'onere per l'impresa di proporre alcun ricorso: ciò in quanto tale clausola - in quanto inefficace e improduttiva di effetti - si deve intendere come “non apposta”, a tutti gli effetti di legge.

Occorre però precisare che mentre non vi è dunque alcun onere per le imprese partecipanti alla gara di impugnare (entro l'ordinario termine di decadenza) la clausola escludente nulla e quindi “inefficace” ex lege, vi è uno specifico onere di impugnare nei termini ordinari gli atti successivi che facciano applicazione (anche) della clausola nulla contenuta nell'atto precedente.

6.1 - Il nuovo codice e le clausole escludenti. Le disposizioni rilevanti

Il “codice”, all'articolo 10 (recante “Principi di tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione”), inserisce, tra i principi che governano l'interpretazione e l'applicazione delle norme del codice dei contratti pubblici, tre disposizioni che ineriscono alla tematica dell'esclusione degli operatori economici. Il primo comma, in termini generali, vieta l'affidamento di contratti pubblici, qualora venga accertata la sussistenza di “cause di esclusione definite dal codice”.

A tal riguardo, va segnalato che il legislatore, con l'approvazione del nuovo codice, ha modificato l'impostazione delle c.d. cause di esclusione tipizzate dal precedente d.lgs.18 aprile 2016, n. 50, distribuendo e razionalizzando la disciplina, precedentemente contenuta nel solo articolo 80, in cinque nuovi articoli (dal 94 al 98), così distinguendo tra cause di esclusione cc.dd. automatiche (articolo 94) e non automatiche (articolo 95), dettando una disciplina comune ad entrambe, con particolare riguardo al c.d. self cleaning (articolo 96) e prevedendo due autonome disposizioni relativamente ai raggruppamenti (articolo 97) e alla controversa fattispecie degli illeciti professionali (articolo 98).

Il comma secondo dell'articolo 10, poi, più specificamente, prevede che le cause di esclusione di cui agli articoli 94 (cause di esclusione c.d. “automatica”) e 95 (cause di esclusione “non automatica”) sono tassative e integrano di diritto i bandi e le lettere di invito; le clausole che prevedono cause ulteriori di esclusione sono nulle e si considerano non apposte.

La disposizione cristallizza il principio della tassatività delle cause di esclusione, e il c.d. principio della eterointegrazione in forza del quale un precetto previsto da una norma imperativa che impone un determinato onere ai partecipanti alla gara, deve trovare applicazione, con conseguente esclusione dell'operatore economico, anche laddove il bando di gara abbia omesso di menzionare dichiarazioni o allegazioni “a pena di esclusione”.

Va sottolineato, poi, come, rispetto alla previsione dell'articolo 83, comma 9, il legislatore si sia limitato a fare riferimento alle sole ipotesi specifiche contenute nel nuovo codice, ovvero gli articoli 94 e 95, non riproponendo l'ulteriore rinvio alle “altre disposizioni di legge vigenti”.

Come si legge nella relazione al codice, questa scelta sarebbe stata dettata dalla volontà di ‹‹riordinare e codificare, allo stato, in questo testo legislativo tutti motivi di esclusione, in coerenza con i principi di qualità della regolazione e coerenza sistematica››, invitando così il legislatore, in caso di futura introduzione di ulteriori figure escludenti, a intervenire sulle disposizioni codicistiche e non con norme “sparse”.

Pur considerando l'utilità “programmatica” della suddetta previsione, potrebbe porsi qualche problema di coordinamento laddove vi siano altre disposizioni speciali previste dall'ordinamento, e non considerate negli articoli 94 e 95 e nel caso in cui, “distrattamente”, il legislatore non si curi di inserire adeguatamente l'eventuale nuova fattispecie nelle due disposizioni citate.

Per altro verso, la previsione del comma 2, implica il divieto di introdurre cause di esclusione “atipiche” con la lex specialis del bando di gara.

A tal riguardo, la nuova norma riprende la sanzione della “nullità” delle clausole escludenti “atipiche” (“ulteriori” secondo la dizione del comma 2), ma precisa che le stesse si “considerano non apposte”.

Il comma 3 dell'articolo 10, poi, prevede che fermi i necessari requisiti di abilitazione all'esercizio dell'attività professionale, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possono introdurre requisiti speciali, di carattere economico-finanziario e tecnico-professionale, attinenti e proporzionati all'oggetto del contratto, tenendo presente l'interesse pubblico al più ampio numero di potenziali concorrenti e favorendo, purché sia compatibile con le prestazioni da acquisire e con l'esigenza di realizzare economie di scala funzionali alla riduzione della spesa pubblica, l'accesso al mercato e la possibilità di crescita delle micro, piccole e medie imprese.

Al riguardo, l'articolo 100 del codice disciplina i c.d. “Requisiti di ordine speciale”, ovvero a) l'idoneità professionale, b) la capacità economica e finanziaria, c) le capacità tecniche e professionali, prevedendo, in primo luogo, che le stazioni appaltanti richiedono requisiti di partecipazione proporzionati e attinenti all'oggetto dell'appalto.

Nei commi dal terzo al decimo l'articolo 100 reca la disciplina di una serie di requisiti (7) e dell'attestazione di qualificazione.

Il comma 11, chiarisce che, fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al sesto periodo del comma 4, per le procedure di aggiudicazione di appalti di servizi e forniture, le stazioni appaltanti possono richiedere agli operatori economici quale requisito di capacità economica e finanziaria un fatturato globale non superiore al doppio del valore stimato dell'appalto, maturato nel triennio precedente a quello di indizione della procedura. In caso di procedure di aggiudicazione suddivise in pluralità di lotti, salvo diversa motivata scelta della stazione appaltante, il fatturato è richiesto per ciascun lotto. Le stazioni appaltanti possono, altresì, richiedere agli operatori economici quale requisito di capacità tecnica e professionale di aver eseguito nel precedente triennio dalla data di indizione della procedura di gara contratti analoghi a quello in affidamento anche a favore di soggetti privati (8).

Il comma 12, poi, prevede la tassatività dei requisiti di partecipazione: infatti, salvo quanto previsto dall'articolo 102 o da leggi speciali, le stazioni appaltanti richiedono esclusivamente i requisiti previsti dal predetto articolo 100.

Ai sensi dell'articolo 102, in particolare, nei bandi, negli avvisi e negli inviti le stazioni appaltanti, tenuto conto della prestazione oggetto del contratto, richiedono agli operatori economici di assumere i seguenti impegni: a) garantire la stabilità occupazionale del personale impiegato; b) garantire l'applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, tenendo conto, in relazione all'oggetto dell'appalto e alle prestazioni da eseguire, anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e di quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto o della concessione svolta dall'impresa anche in maniera prevalente, nonché garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell'appaltatore e contro il lavoro irregolare; c) garantire le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate (9). Per i fini di cui al comma 1 l'operatore economico indica nell'offerta le modalità con le quali intende adempiere quegli impegni. La stazione appaltante verifica l'attendibilità degli impegni assunti con qualsiasi adeguato mezzo, anche con le modalità di cui all'articolo 110, solo nei confronti dell'offerta dell'aggiudicatario.

L'articolo 103, infine, detta i requisiti di partecipazione a procedure di lavori di rilevante importo, prevedendo che per gli appalti di lavori di importo pari o superiore ai 20 milioni di euro, oltre ai requisiti di cui all'articolo 100, la stazione appaltante può richiedere requisiti aggiuntivi:

a) per verificare la capacità economico-finanziaria dell'operatore economico; in tal caso quest'ultimo fornisce i parametri economico-finanziari significativi richiesti, certificati da società di revisione ovvero da altri soggetti preposti che si affianchino alle valutazioni tecniche proprie dell'organismo di certificazione, da cui emerga in modo inequivoco l'esposizione finanziaria dell'operatore economico al momento in cui partecipa a una gara di appalto; in alternativa, la stazione appaltante può richiedere un volume d'affari in lavori pari a due volte l'importo a base di gara, che l'operatore economico deve aver realizzato nei migliori cinque dei dieci anni antecedenti alla data di pubblicazione del bando;

b) per verificare la capacità professionale per gli appalti per i quali è richiesta la classifica illimitata; in tal caso l'operatore economico fornisce prova di aver eseguito lavori per entità e tipologia compresi nella categoria individuata come prevalente a quelli posti in appalto opportunamente certificati dalle rispettive stazioni appaltanti, tramite presentazione del certificato di esecuzione lavori; tale requisito si applica solo agli appalti di lavori di importo pari o superiore a 100 milioni di euro.

6.2 - Osservazioni “a caldo”

In tale ultimo caso, con riguardo al dies a quo del termine richiesto per l'impugnazione, in ossequio all'insegnamento dell'Adunanza Plenaria (10), è stato affermato (si veda, ad es., Cons. Stato, sez. III, 7 giugno 2021, n. 4295) che è possibile, e al contempo doveroso, procedere all'immediata impugnazione del bando solo quando si contestano clausole immediatamente escludenti o che impediscano la partecipazione alla gara e la presentazione di un'offerta, dovendo tutte le altre essere impugnate, a valle e all'esito della gara, unitamente all'atto lesivo dell'interesse azionato (Cons. Stato, sez. V, 27 luglio 2020, n. 4758; id. 22 novembre 2019, n. 7978). È stato altresì chiarito che la lesione lamentata deve conseguire in via immediata e diretta, e non soltanto potenziale e meramente eventuale, alle determinazioni dell'amministrazione e all'assetto di interessi delineato dagli atti di gara, in relazione a profili del tutto indipendenti dalle vicende successive della procedura e dai correlati adempimenti (Cons. Stato, sez. V, 20 gennaio 2020, n. 441).

Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, vanno immediatamente impugnate, in quanto immediatamente e direttamente lesive, le sole previsioni attinenti i requisiti soggettivi di partecipazione che escludono ex se la possibilità di partecipare alla procedura rendendone certa la esclusione oppure quelle altre clausole che, benché non di carattere strettamente soggettivo, abbiano la portata di precludere ogni utile partecipazione alla gara, perché impositive di oneri manifestamente incomprensibili ovvero del tutto sproporzionati rispetto ai contenuti della gara oppure perché rendono la partecipazione irragionevolmente difficoltosa o addirittura impossibile, impongono condizioni negoziali eccessivamente onerose e non convenienti, come in caso di importi a base d'asta insufficienti, leggi di gara carenti di dati essenziali per la formulazione dell'offerta ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate” (Cons. Stato, Sez. V, 3 febbraio 2021, n. 972).

Nel caso, quindi, di clausole inerenti requisiti di partecipazione illegittimi e con effetto “escludente” nel senso sopra esposto, in quanto impediscono di poter formulare un'offerta anche solo potenzialmente aggiudicabile, il bando e/o la lex specialis dovranno essere impugnati tempestivamente nel termine di cui all'articolo 120 c.p.a., chiedendo l'annullamento degli atti medesimi secondo le regole nel tempo formulate dalla giurisprudenza.

Sempre secondo la giurisprudenza, infatti, nelle procedure di gara, la lex specialis non può essere disapplicata, perché le relative clausole e le sue prescrizioni hanno effetto vincolante anche per l'amministrazione che le ha predisposte, di modo che le stesse non possono essere disapplicate e/o eluse né dal giudice, né dalla P.a. e ciò anche nell'ipotesi che risultino in contrasto con le previsioni dell'ordinamento giuridico vigente, anche comunitario, salvo naturalmente l'esercizio del potere di autotutela (Cons. Stato, sez. V, 22 marzo 2016, n. 1173; 8 maggio 2019, n. 2991; V, 2 settembre 2019, n. 6026; 5 marzo 2020, n. 1604), deve ritenersi che correttamente, proprio nell'esercizio del potere di autotutela, l'Amministrazione abbia provveduto all'annullamento dell'intera gara. (Cons. Stato, sez. V, 4 agosto 2021, n. 5750).

Nel caso, invece, di clausole escludenti “atipiche” in senso “tecnico”, nel senso che ricollegano l'effetto escludente a situazioni particolari degli operatori economici non conformi agli articoli 94 e 95, purché non riferibili ai requisiti di cui agli articoli 10, 100,

102 e 103, viene a trovare applicazione la sanzione della nullità di cui al comma 2 dell'articolo 10.

Al riguardo, il richiamo, contenuto in tale ultima norma, dell'espressione utilizzata da Cons. Stato, a.p., 16 ottobre 2020, n. 22, sopra ricordata, per cui le clausole escludenti “si considerano non apposte” dimostra il legislatore ha inteso far propri gli insegnamenti dell'Adunanza Plenaria, sicché:

- si tratta di una nullità parziale, e quindi, la clausola escludente vitiatur sed non vitiat;

- la nullità produce una sostanziale inefficacia della clausola escludente, la quale deve considerarsi tamquam non esset, di talché l'operatore economico interessato dalla potenziale applicabilità della stessa non è tenuto ad impugnarla immediatamente, nemmeno nei termini e ai sensi dell'articolo 31, comma 4, c.p.a., proprio in quanto ad essere viziata è solo la clausola e non l'atto o il provvedimento amministrativo (in particolare il bando e/o il disciplinare di gara).

La norma in questione, invece, nulla dice in ordine al vizio che affligge i provvedimenti e gli atti di gara successivi adottati in applicazione della suddetta clausola nulla (come, ad es., il provvedimento espresso di esclusione) e, quindi, al regime di impugnazione che deve essere rispettato dall'interessato alla contestazione degli stessi.

Al riguardo, d'altronde, deve ritenersi che, in mancanza di una espressa disciplina normativa in senso contrario, e, anzi, tenuto conto di quanto appena sopra detto in ordine al sostanziale recepimento in sede legislativa di quanto affermato da Cons. Stato, a.p., 16 ottobre 2020, n. 22, valga l'insegnamento di quest'ultima, secondo cui «i successivi atti del procedimento, inclusi quelli di esclusione e di aggiudicazione, pur basati sulla clausola nulla, conservano il loro carattere autoritativo e sono soggetti al termine di impugnazione previsto dall'articolo 120 del codice del processo amministrativo, entro il quale si può chiedere l'annullamento dell'atto di esclusione (e degli atti successivi) per aver fatto illegittima applicazione della clausola escludente nulla».

Ciò in quanto, pur a seguito delle modifiche operate dall'articolo 209 del nuovo codice, l'articolo 120 non prevede alcuna deroga al termine di decadenza di trenta giorni, che sussiste qualsiasi sia il vizio - più o meno grave - dell'atto impugnato. Né può farsi discendere, quanto meno nell'ordinamento amministrativo, la nullità di un atto applicativo di un precedente provvedimento solo parzialmente affetto da una nullità riferita a una sua specifica clausola inidonea a inficiare la validità di quel provvedimento nel suo complesso.

7. La nuova disciplina del parere di precontenzioso

L'articolo 220 del nuovo Codice disciplina i pareri di precontenzioso dell'Autorità Nazionale Anticorruzione (d'ora in poi ANAC), quale strumento avente una finalità deflattiva del contenzioso dinanzi al giudice amministrativo (11), poiché diretto a prevenire l'insorgenza di liti durante lo svolgimento delle procedure di gara, nell'ambito di una fase contrassegnata, quindi, dall'esistenza (e dall'esercizio) di poteri da parte dell'Amministrazione e di correlative situazioni di interesse legittimo.

Si riporta il testo dell'articolo 220 per comodità di lettura:

«Pareri di precontenzioso e legittimazione ad agire dell'ANAC

1. Su iniziativa della stazione appaltante, dell'ente concedente o di una o più delle altre parti, l'ANAC esprime parere, previo contraddittorio, su questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta. L'operatore economico che abbia richiesto il parere o vi abbia aderito lo può impugnare esclusivamente per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia. La stazione appaltante o l'ente concedente che non intenda conformarsi al parere comunica, con provvedimento da adottare entro quindici giorni, le relative motivazioni alle parti interessate e all'ANAC, che può proporre il ricorso di cui al comma 3.

2. L'ANAC è legittimata ad agire in giudizio per l'impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.

3. Se ritiene che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del codice l'ANAC emette, entro sessanta giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati. Con il regolamento di cui al comma 4, l'Autorità individua un termine massimo, che decorre dall'adozione o dalla pubblicazione dell'atto contenente la violazione, entro il quale il parere può essere emesso. Il parere è trasmesso alla stazione appaltante. Se la stazione appaltante non vi si conforma entro il termine assegnato dall'ANAC, comunque non superiore a trenta giorni dalla trasmissione, l'Autorità può presentare ricorso, entro i successivi 30 trenta giorni, innanzi al giudice amministrativo, ai sensi dell'articolo 120 del codice del processo amministrativo, di cui all'allegato 1 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 10».

L'articolo è collocato a chiusura del Titolo II della Parte I del d.lgs. n. 31 marzo 2023, n. 36, dedicato ai rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale, la cui disciplina nel nuovo Codice si pone, nel suo complesso, in linea di sostanziale continuità con il d.lgs. 18 aprile 2016, n.50, salvo che per alcune novità relative ai pareri di precontenzioso e all'istituto del Collegio Consultivo Tecnico (d'ora in poi, CCT; articoli 215-219).

Nel caso, in particolare, dei pareri di precontenzioso, le modifiche introdotte si pongono l'obiettivo di un rafforzamento dell'istituto, in attuazione del criterio direttivo contenuto nell'articolo 1, comma 2, lett. ll) della l. delega 14 giugno 2022, n. 78, il quale assegna al legislatore delegato il compito di provvedere all'estensione e rafforzamento dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, anche in materia di esecuzione del contratto.

Tuttavia, volendo riprendere anche in sede di prima lettura della nuova normativa alcune considerazioni già formulate dalla dottrina in relazione alla precedente regolamentazione, può osservarsi, che mentre nel caso del CCT, le alterne vicende che hanno riguardato l'istituto sembrano essere approdate ad una regolamentazione definitiva nel nuovo corpus normativo (12), per i pareri di precontenzioso, la nuova disciplina non sembra aver risolto tutti i profili di criticità che la ricostruzione dell'istituto e la sua applicazione avevano posto nel corso di questi anni (13).

7.1 - Il procedimento per l'emanazione del parere

La prima novità da segnalare è rappresentata dalla rubrica dell'articolo 220, che, innovando quanto previsto per l'articolo 211 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (14), accomuna i due principali temi della disciplina contenuta nei quattro commi dell'articolo: “Pareri di precontenzioso e legittimazione ad agire dell'ANAC”.

Viene così ad essere subito sottolineata la legittimazione ad agire riconosciuta all'ANAC sia per impugnare i bandi, gli altri atti generali e i provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (articolo 220, comma 2) sia per impugnare i provvedimenti della stazione appaltante o dell'ente concedente che, dissentendo dal parere formulato dall'autorità, abbiano comunicato, nel termine di quindici giorni, alle parti interessate e all'ANAC le motivazioni circa l'intenzione di non conformarsi al detto parere (articolo 220, comma 1).

La disciplina del procedimento per la richiesta del parere è concentrata nel comma 1 dell'articolo 220 del nuovo Codice, individuandosi: a) i soggetti legittimati alla richiesta; b) la necessità dell'instaurazione del contraddittorio tra le parti, c) il termine entro il quale l'ANAC deve esprimere il parere; d) i limiti entro i quali l'operatore economico può impugnare il parere reso dall'ANAC; e) l'obbligo in capo alla stazione appaltante e all'ente concedente di uniformarsi al parere espresso dall'ANAC, salva la possibilità di comunicare l'intenzione di non uniformarsi al parere in parola, palesando le relative motivazioni con provvedimento da adottare entro quindici giorni dalla ricezione del parere.

Una volta che il parere sia stato richiesto da uno dei soggetti legittimati, come individuati dal comma 1, prima alinea, dell'articolo 220 (stazione appaltante, ente concedente, una o più delle altre parti), l'ANAC, previa instaurazione del contraddittorio, è tenuta ad emanarlo entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta.

A questo riguardo nella Relazione al Codice si segnala che nel nuovo Codice, come già nel precedente articolo 211, d.lgs. 18 aprile 2006 n. 50 , non vi è alcuna previsione per il caso di inerzia serbata dall'ANAC sulla richiesta di parere, mancando la specificazione circa il significato da attribuire all'inerzia in parola e che, pertanto, in difetto di un'espressa previsione di silenzio significativo, l'inerzia debba essere qualificata come silenzio inadempimento, contro il quale sono esperibili i rimedi previsti in via generale dall'ordinamento.

7.2 - Efficacia del parere

Una delle principali novità della nuova disciplina dei pareri di precontenzioso è l'eliminazione dell'inciso che rendeva il parere vincolante per le parti che avessero preventivamente acconsentito ad attenersi a quanto in esso stabilito. Non è più prevista, in definitiva, la vincolatività del parere che il comma 1 dell'articolo 211 stabiliva per le parti che avessero assunto l'iniziativa di richiedere il parere o avesse aderito alla richiesta di parere formulata da altri.

Nella vigenza dell'articolo 211 d.lgs. 18 aprile 2016, n.50 la cui disciplina è stata integrata dai regolamenti adottati dall'ANAC, di cui l'ultimo in data 9 gennaio 2019, il parere di precontenzioso poteva avere efficacia vincolante nel senso di obbligare tutte le parti. che avessero preventivamente acconsentito ad attenersi a quanto in esso stabilito (presentando l'istanza o aderendovi successivamente), a adottare atti e provvedimenti conformi e conseguenti alle indicazioni in esso contenute.

Nell'ipotesi, invece, in cui la richiesta di parere era presentata singolarmente dalla stazione appaltante o da una parte interessata, il parere reso era da intendersi “non vincolante” (articolo 4, comma 1, regolamento ANAC).

Ne conseguiva che il medesimo parere poteva produrre un'efficacia vincolante “a geometria variabile” (15), obbligando alcune parti soltanto della procedura di gara (che vi avessero aderito) e risultando facoltativo per tutte le altre.

Nel sistema così delineato era, perciò, ben possibile che l'istanza di parere di precontenzioso venisse proposta da una sola parte e che, una volta comunicata alla stazione appaltante e alle altre parti, queste potessero aderirvi entro il termine di dieci giorni dalla ricezione della comunicazione di avvenuta presentazione dell'istanza, così determinando l'efficacia vincolante del parere (articolo 4, comma 3, Regolamento ANAC).

Nel caso in cui il parere non fosse vincolante per tutte le parti, per la mancata adesione di alcune di queste, era controverso quali effetti esso determinasse per le parti e, in particolare, sulla futura azione dell'Amministrazione.

Secondo un primo orientamento, la natura del parere non vincolante era quello di mera “manifestazione di giudizio”, priva di una autonoma e concreta lesività e come tale non impugnabile (16), evidenziandosi, al contempo, come il parere “non vincolante” potesse comunque avere una incidenza immediata nella singola fattispecie, laddove l'amministrazione avesse emanato un provvedimento assumendo il parere di precontenzioso come base di riferimento della propria decisione: in tal modo, il parere di precontenzioso finiva per avere una sua connotazione lesiva autonoma e, pertanto, risultava impugnabile con ricorso dinanzi al giudice amministrativo, unitamente al provvedimento amministrativo che ne avesse fatto applicazione (17).

Secondo un diverso orientamento, invece, il parere di precontenzioso, pur “non vincolante” sarebbe stato comunque in grado di conformare l'attività amministrativa della stazione appaltante esercitata in seguito al parere, specialmente sotto i profili della motivazione e della valutazione dell'interesse pubblico sottesi al provvedimento amministrativo successivo, cosicché l'Amministrazione, per potersi legittimamente discostare dalle conclusioni formulate dall'ANAC, anche se in ragione di un parere non vincolante, avrebbe dovuto evidenziare elementi e circostanze ulteriori davvero significativi, fornendo quindi una motivazione particolarmente pregnante (18). Si affermava, in sostanza, la regola generale secondo la quale l'amministrazione risultava vincolata alle conclusioni contenute nel parere di precontenzioso “non vincolante”, dalle quali poteva discostarsi solo in via eccezionale e con una motivazione più rigorosa sul punto.

7.3 - Il regime di impugnazione del parere di precontenzioso

Un'ulteriore novità di rilievo della nuova disciplina è contenuta nel primo comma, seconda alinea, dell'articolo 220, laddove si individua un diverso regime di impugnativa del parere dell'autorità, a seconda se esso sia stato richiesto o meno dall'operatore economico o questo vi abbia aderito (essendovi stata l'iniziativa di un diverso soggetto): nel caso, infatti, in cui sia stato l'operatore economico a richiedere il parere (o, comunque, abbia aderito alla richiesta formulata da terzi), l'impugnativa del parere da parte del medesimo sarà possibile esclusivamente per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, dunque unicamente per profili sostanziali e non anche per vizi formali o procedurali nell'emissione del parere stesso. Nella Relazione al Codice si osserva che la nuova previsione costituisce un'applicazione estensiva della regola di non annullabilità dettata in generale dall'articolo 21-octies, comma 2, della l. 7 agosto 1990, n. 241 e che essa rappresenta un punto di emersione dell'intenzione del legislatore di rafforzare l'istituto del parere di precontenzioso, del quale “l'operatore economico può ottenere l'annullamento in sede giudiziale solo quando esso sia “sbagliato” nella sostanza” (19).

Diversamente, nel caso in cui sia la stazione appaltante o l'ente concedente che non intenda conformarsi al parere dell'autorità, non è necessaria l'impugnativa dello stesso, essendo previsto solo l'obbligo di comunicare, in attuazione dell'ineludibile principio di trasparenza, con provvedimento da adottare entro quindici giorni, le relative motivazioni alle parti interessate e all'ANAC. In tale evenienza, sarà l'ANAC ad avere la possibilità di proporre il ricorso contro tale determinazione ai sensi del successivo comma 3.

Anche in tale previsione, si legge nella Relazione al Codice (20), viene espressa la ratio legislativa di rafforzare lo strumento in esame e il Legislatore si serve a tal fine di una regola di trasparenza, che impone alla stazione appaltante o ente concedente di rendere pubbliche le ragioni del loro rifiuto. In coerenza con la regola generale dell'articolo 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, che impone l'obbligo di motivazione per i provvedimenti amministrativi, la decisione di non conformarsi al parere dell'ANAC assume la veste di provvedimento.

Risulta, infine, dimezzato il termine assegnato alla stazione appaltante per conformarsi al parere, rispetto a quello previsto dal previgente articolo 211 (non più sessanta ma trenta giorni), in ossequio alla ratio di accelerazione dei tempi del procedimento.

7.4 - I poteri dell'ANAC

Ai sensi del comma 3 dell'articolo 220, l'ANAC, se ritiene che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del Codice, emette, entro 60 giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati e, con proprio regolamento (la cui adozione è prevista al comma 4), individua un termine massimo, che decorre dall'adozione o dalla pubblicazione dell'atto contenente la violazione, entro il quale il parere può essere emesso.

Una volta trasmesso alla stazione appaltante, se questa non vi si conforma entro il termine assegnato dall'ANAC, comunque non superiore a trenta giorni dalla trasmissione, l'Autorità può presentare ricorso, entro i successivi trenta giorni, innanzi al giudice amministrativo, ai sensi dell'articolo 120 c.p.a.

All'ANAC, infine, è riconosciuta dal comma 4 dell'articolo 220 la facoltà di adottare un proprio regolamento per individuare i casi o le tipologie di provvedimenti, anche relativi alla fase esecutiva, con riferimento ai quali esercita i poteri di cui ai commi precedenti.

7.5 - Regolazione delle spese nel successivo giudizio di impugnazione del parere di precontenzioso

Un'ulteriore novità di rilievo è rappresentata dall'abrogazione della norma che imponeva al giudice, in caso di rigetto del ricorso avverso il parere, di valutare il comportamento della parte ricorrente ai sensi e per gli effetti dell'articolo26c.p.a, dal momento che detta disposizione – si è osservato nella Relazione al Codice (21) - risultava essere una inutile ripetizione di quella dettata dal codice del processo amministrativo, oltre che una previsione di dubbia costituzionalità, se intesa nel senso che essa ricollegasse una presunzione di temerarietà alla pura e semplice proposizione di un ricorso contro il parere, che fosse stato respinto dal giudice adito.

7.6 - Considerazioni finali

La nuova disciplina dei pareri di precontenzioso non sembra in grado di superare alcuni nodi problematici di ordine sistematico, segnalati dalla dottrina (22):

- in primo luogo, la questione di ordine generale relativa alla compatibilità della disciplina normativa dei rimedi di precontenzioso con il principio di legalità, dal momento che alcuni elementi decisivi di tale disciplina non sono stabiliti dal Codice dei Contratti Pubblici, ma sono dettati da regolamenti dettati dall'ANAC medesima;

- in secondo luogo, la questione relativa alla compatibilità con il principio della divisione dei poteri dello Stato, dovendosi comprendere se, e fino a che punto, la disciplina dei rimedi di precontenzioso sia compatibile con il principio di separazione dei poteri dello Stato, visto che è medesimo il soggetto (l'Amministrazione) che definisce le regole da osservare e che è tenuto ad osservare tali regole;

- in ultimo, la necessità di porre mente alle difficoltà, testimoniate dai continui rimaneggiamenti dell'istituto registratisi in pochi anni, di fare penetrare nel nostro ordinamento la logica delle ADR, diametralmente opposta rispetto a quella espressa dall'inderogabile termine breve di decadenza per ricorrere in giudizio.

Su un piano più generale, di ordine sistematico, può evidenziarsi che, naturalmente, in ragione sia del carattere settoriale del testo normativo sia della circostanza che la quasi totalità dei rimedi previsti dal nuovo Codice attiene alla fase esecutiva del contratto, non si è di fronte ad una disciplina organica dei rimedi alternativi alla giurisdizione per tutte le fattispecie di relazione tra l'Autorità e gli amministrati: appare significativa, proprio per questo aspetto, la mancata inclusione, tra gli istituti previsti dal nuovo Codice, di un rimedio, quale la mediazione, di ampia e crescente applicazione in ambito civilistico e tributario e che si connota per la sua vocazione a svolgere il ruolo di rimedio alternativo alla giurisdizione di carattere generale.

Si è osservato, al riguardo, che in ordinamenti di civil law diversi dal nostro i mezzi di tutela alternativa previsti in campo pubblicistico sono stati concepiti prevalentemente, anche se non esclusivamente, come rimedi endoprocessuali, rappresentando una sorta di parentesi all'interno di una procedura giurisdizionale già avviata, con una rigida separazione tra fase conciliativa e fase decisoria (23).

In particolare, nell'ordinamento tedesco e in quello francese, rispettivamente nel 2012 e nel 2016, sono state adottate due importanti riforme che hanno generalizzato l'impiego della mediazione in seno al giudizio amministrativo, anche per le controversie squisitamente pubblicistiche.

Nel codice di giustizia amministrativa francese intero capitolo è dedicato alla disciplina della médiation, introdotta dalla loi n. 2016-1547 du 18 novembre 2016 de modernisation de la justice du XXI siècle, che istituisce un regime unitario per la mediazione ad iniziativa di parte e per la mediazione su impulso giudiziale.

Nell'ordinamento tedesco, la mediazione è stata codificata normativamente con la legge federale sulla mediazione del 12 luglio 2012, riguardante controversie civili, commerciali e di diritto amministrativo e che estende al processo amministrativo il modello del giudice amichevole compositore, da tempo utilizzato nel processo civile.

Nel nostro ordinamento, si confermano, invece, le persistenti difficoltà, sia di carattere ordinamentale che di ordine tecnico-pratico, ad accogliere nel sistema della giustizia amministrativa, inteso nell'accezione più lata, tutti quegli istituti che la dottrina suole ricondurre all'ampia categoria delle ADR (Alternative Dispute Administration).

8. La disciplina delle garanzie nel nuovo Codice dei contratti pubblici e nel testo dell'articolo 120 c.p.a. come riformulato dall'articolo 209 d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36

Tra le novità introdotte dal Codice vi è disciplina delle modalità di prestazione delle garanzie richieste sia per la partecipazione alla procedura di gara (articolo 106) sia delle garanzie definitive da costituire per la sottoscrizione del contratto (articolo 117).

In particolare, l'articolo106, comma 1, richiamato dall'articolo117, comma 1, proprio in punto di modalità di costituzione delle garanzie, prevede che la garanzia provvisoria può essere costituita sotto forma di cauzione oppure di fideiussione.

Nel primo caso, la costituzione della cauzione avviene presso l'istituto incaricato del servizio di tesoreria o presso le aziende autorizzate, a titolo di pegno a favore dell'amministrazione aggiudicatrice, esclusivamente con bonifico o con altri strumenti e canali di pagamento elettronici previsti dall'ordinamento vigente; nel caso, invece, di prestazione di una garanzia fideiussoria, la garanzia, a scelta dell'appaltatore, può essere rilasciata da imprese bancarie o assicurative che rispondano ai requisiti di solvibilità previsti dalle leggi che ne disciplinano le rispettive attività, oppure dagli intermediari finanziari iscritti nell'albo di cui all'articolo 106 del decreto legislativo 1 settembre 1993,

n. 385, che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di rilascio di garanzie e che sono sottoposti a revisione contabile da parte di una società di revisione iscritta nell'albo previsto dall'articolo 161 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e che abbiano i requisiti minimi di solvibilità richiesti dalla vigente normativa bancaria assicurativa.

Come evidenziato nella Relazione al Codice predisposta dal Consiglio di Stato, la principale novità dell'articolato attiene alla garanzia fideiussoria che, ai sensi del comma 3, secondo periodo, dell'articolo 106 deve obbligatoriamente essere emessa e firmata digitalmente e deve essere, altresì, verificabile telematicamente presso l'emittente, ovvero gestita mediante ricorso a piattaforme digitali specificate.

Pur non essendo obbligatorio prestare garanzia fideiussoria, in quanto è stata mantenuta l'alternativa con la cauzione, si è tuttavia previsto che quando l'operatore economico scelga la prima, la polizza debba essere c.d. nativa digitale, essendosi ravvisato nell'obbligatorietà del formato nativo digitale delle garanzie un presupposto necessario per aumentare l'efficienza e la sicurezza del sistema, la riduzione degli oneri amministrativi.

8.1 - La disciplina delle garanzie nel nuovo testo dell'articolo 120 c.p.a.

A fronte della appena evidenziata novità in tema di prestazione delle garanzie cd. provvisorie e definitive, va però segnalato che il legislatore, nel riformulare l'articolo 120 c.p.a., ha mantenuto - per il caso di concessione o diniego della misura cautelare e anche per l'ipotesi in cui dalla decisione sulla domanda cautelare non derivino effetti irreversibili - la previsione della sola prestazione di cauzione, anche mediante fideiussione (articolo 120, comma 9, c.p.a., come novellato dall'articolo 209 del d.lgs. n. 36/2023), senza, quindi, alcun riferimento alla possibilità di prestare la garanzia nelle forme della garanzia fideiussoria in formato nativo digitale.

Ove non si ravvisi la possibilità di una interpretazione estensiva e/o analogica, l'asimmetria delle due discipline, rispettivamente in ambito sostanziale e processuale, per difetto della identità di ratio tra i due istituti o per la diversa dimensione temporale in cui le garanzie, nell'uno o nell'altro caso, sono chiamate ad operare, potrebbe essere risolta da un intervento del legislatore volto ad integrare la normativa processuale, allineandola a quello del Codice dei contratti pubblici, e ciò in attuazione delle già evidenziare esigenze di efficienza e sicurezza del sistema e di riduzione degli oneri amministrativi.

9. L'affidamento e l'azione di rivalsa. Le modifiche normative rilevanti

L'articolo 5 del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, rubricato “Principi di buona fede e di tutela dell'affidamento”, ha introdotto la seguente disciplina del principio di affidamento in materia di contrattualistica pubblica:

«1. Nella procedura di gara le stazioni appaltanti, gli enti concedenti e gli operatori economici si comportano reciprocamente nel rispetto dei principi di buona fede e di tutela dell'affidamento.

Nell'ambito del procedimento di gara, anche prima dell'aggiudicazione, sussiste un affidamento dell'operatore economico sul legittimo esercizio del potere e sulla conformità del comportamento amministrativo al principio di buona fede.

2. In caso di aggiudicazione annullata su ricorso di terzi o in autotutela, l'affidamento non si considera incolpevole se l'illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti. Nei casi in cui non spetta l'aggiudicazione, il danno da lesione dell'affidamento è limitato ai pregiudizi economici effettivamente subiti e provati, derivanti dall'interferenza del comportamento scorretto sulle scelte contrattuali dell'operatore economico.

3. Ai fini dell'azione di rivalsa della stazione appaltante o dell'ente concedente condannati al risarcimento del danno a favore del terzo pretermesso, resta ferma la concorrente responsabilità dell'operatore economico che ha conseguito l'aggiudicazione illegittima con un comportamento illecito».

Conseguentemente, l'articolo 209 ha modificato l'articolo 124 del codice del processo amministrativo, che dal 1° luglio 2023 avrà il seguente contenuto:

«Art. 124 - Tutela in forma specifica e per equivalente.

1. L'accoglimento della domanda di conseguire l'aggiudicazione e di stipulare il contratto è comunque condizionato alla dichiarazione di inefficacia del contratto ai sensi degli articoli 121, comma 1, e 122. Se non dichiara l'inefficacia del contratto, il giudice dispone il risarcimento per equivalente del danno subìto e provato. Il giudice conosce anche delle azioni risarcitorie e di quelle di rivalsa proposte dalla stazione appaltante nei confronti dell'operatore economico che, con un comportamento illecito, ha concorso a determinare un esito della gara illegittimo.

2. La condotta processuale della parte che, senza giustificato motivo, non ha proposto la domanda di cui al comma 1, o non si è resa disponibile a subentrare nel contratto, è valutata dal giudice ai sensi dell'articolo 1227 del codicecivile.

3. Ai sensi dell'articolo 34, comma 4, il giudice individua i criteri di liquidazione del danno e assegna un termine entro il quale la parte danneggiante deve formulare una proposta risarcitoria. La mancata formulazione della proposta nel termine assegnato o la significativa differenza tra l'importo indicato nella proposta e quello liquidato nella sentenza resa sull'eventuale giudizio di ottemperanza costituiscono elementi valutativi ai fini della regolamentazione delle spese di lite in tale giudizio, fatto salvo quanto disposto dall'articolo 91, primo comma, del codice di procedura civile».

9.1 - Osservazioni e questioni

1. Sul piano sostanziale, il principale profilo di interesse del nuovo articolo 5 consiste, non già nell'avere declinato la previsione della tutela della buona fede e del principio di affidamento - già prevista, in linea generale, dalla legge generale sul procedimento amministrativo dopo la riforma dell'articolo 1, comma 2-bis, della l. 7 agosto 1990, n. 241 [aggiunto dall'articolo 12, comma 1, lett. 0a), del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n.120] ma nell'avere riempito di contenuti la relativa disciplina.

Si tratta di una disciplina che recepisce i principi sulla tutela dell'affidamento incolpevole (anche con riferimento al danno da provvedimento favorevole poi annullato) enunciati dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze n. 5 del 2018 e nn. 19 e 20 del2021.

Come spiega la Relazione, “il senso della norma è quello di evidenziare che l'affidamento rappresenta un limite al potere amministrativo che può venire in considerazione sia in materia di diritti soggettivi che di interessi legittimi ed inerire, pertanto, anche ai rapporti connotati da un collegamento con l'esercizio del potere”.

Il riferimento al “limite al potere amministrativo” ripropone la questione, dibattuta in dottrina, della rilevanza della possibile violazione dell'affidamento: se unicamente sul piano delle (sole) regole di responsabilità (24), ovvero anche sotto il profilo delle regole di validità (25): con la conseguenza, in questo secondo caso, di potere essere evocata come parametro di legittimità del provvedimento amministrativo ai fini della sua caducazione.

La disposizione in esame sembra però optare per la prima soluzione.

In particolare, la seconda parte del terzo comma dell'articolo 5 chiarisce che se l'operatore economico ha riposto sull'operato dell'amministrazione l'affidamento disciplinato dal comma precedente (“sul legittimo esercizio del potere e sulla conformità del comportamento amministrativo al principio di buona fede”), in caso di violazione di tale affidamento il rimedio accordato è unicamente quello risarcitorio (nei limiti dell'interesse negativo).

La norma è sulla quantificazione del danno: ma la delimitazione del suo ambito applicativo ai “casi in cui non spetta l'aggiudicazione” implica chiaramente che l'affidamento tutelato non può spingersi fino ad invalidare un'aggiudicazione che secondo le regole di validità spetta ad altro operatore economico, sol perché è stato leso in corso di gara l'affidamento di un concorrente.

2. La prima questione che potrebbe porsi, in astratto, è quella di un possibile eccesso di delega della disposizione in esame.

Essa, tuttavia, disciplina direttamente non un determinato rimedio processuale, ma un principio di diritto sostanziale (la cui applicazione ha poi inevitabili ricadute sul terreno dei rimedi): sicché non pare potersi ragionevolmente prefigurare un simile vizio della disposizione.

In particolare, come ricorda la Relazione, l'articolo 1, comma 1, della legge delega prevede “l'adeguamento della disciplina vigente “ai principi espressi dalla giurisprudenza delle giurisdizioni superiori, interne ed internazionali”.

In questo senso il comma 3 dell'articolo 5, “nell'escludere il carattere incolpevole dell'affidamento in caso di illegittimità agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti”, recepisce i princìpi enucleati nella sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 20 del 2021, disciplinando le “condizioni” di risarcibilità del danno da provvedimento favorevole poi annullato.

La disposizione, inoltre, cala nella specifica materia i princìpi da tempo pacificamente operanti in materia in punto di delimitazione dell'area di danno risarcibile (limitata al c.d. interesse negativo), e alla necessità che il danno di cui si chiede il risarcimento sia “effettivo e provato”.

3. Sempre sul terreno della conformità al parametro costituzionale, potrebbe in tesi dubitarsi (avuto riguardo ai canoni tratteggiati dalla sentenza della Cortecostituzionalen. 204 del 2004) della conformità della scelta di riservare al giudice amministrativo la cognizione dell'azione di rivalsa dell'amministrazione.

Tali dubbi, tuttavia, si superano solo che si abbia riguardo al collegamento, opportunamente sottolineato dalla Relazione al Codice, con l'esercizio del potere.

La Relazione, invero, contiene tale riferimento in relazione all'ipotesi di lesione dell'affidamento del privato: “Pur non intervenendo sul riparto della giurisdizione (che non rientra nell'oggetto della legge-delega), la norma si basa, comunque, sul presupposto secondo cui la lesione dell'affidamento che viene in rilievo nell'ambito del procedimento di gara, anche quando realizzato attraverso comportamenti, presenta un collegamento forte con l'esercizio del potere e, pertanto, anche quando il privato lamenta la lesione della propria libertà di autodeterminazione negoziale, la relativa controversia risarcitoria non può che rientrare nella giurisdizione amministrativa, specie in considerazione del fatto che, nella materia degli appalti pubblici, il giudice amministrativo gode di giurisdizione esclusiva (art. 133, comma 1, lett. e), n. 1, c.p.a.), che si estende, oltre che ai comportamenti amministrativi (in base alla previsione generale contenuta nell'art. 7 c.p.a.), anche alle “controversie risarcitorie” (26).

Tuttavia, non può dubitarsi che, nel caso speculare, l'affidamento dell'amministrazione è leso in sede di esercizio del potere: e dunque l'azione di rivalsa non è proposta iure privatorum, ma ha la funzione di ristorare il danno subìto nella fase di esercizio del potere amministrativo.

4. Il comma 4 è forse la disposizione maggiormente innovativa dell'articolo 5.

Essa tenta di riequilibrare la posizione dell'amministrazione, “schiacciata” per un verso dalla responsabilità per l'ipotesi di provvedimento illegittimo lesivo, e per altro verso dalla fattispecie di danno da provvedimento legittimo poi annullata.

La Relazione spiega che questa disposizione, riprendendo spunti contenuti nella sentenza dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2 del 2017, “dà un fondamento normativo all'azione di rivalsa da parte dell'amministrazione (condannata al risarcimento del danno a favore del terzo illegittimamente pretermesso nella procedura di gara) nei confronti dell'operatore economico che sia risultato aggiudicatario sulla base di una (sua) condotta illecita. La norma (….) trova giustificazione anche in criteri di giustizia sostanziale, specie se si considera che in materia di appalti la responsabilità della p.a. è oggettiva e, talvolta, prescinde anche dall'originaria adozione di un provvedimento illegittimo (….)”.

Tale azione, sempre secondo la Relazione, è dunque un rimedio che consente “di ritrasferire almeno in parte il danno risarcito dall'amministrazione sull'aggiudicatario illegittimo che, del resto, in assenza di meccanismo di rivalsa, beneficerebbe di un arricchimento ingiusto”.

5. L'azione in parola è disciplinata dal riformulato articolo 124 del codice delprocesso amministrativo.

La modifica del primo comma, anch'essa in qualche modo prefigurata dalla pronuncia dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 12 maggio 2017 n. 2 (§ 22 e 30 e ss. ), secondo la Relazione, “punta a rafforzare la tutela risarcitoria sia del terzo pretermesso, leso dall'aggiudicazione illegittima, il quale può agire direttamente, oltre che nei confronti della stazione appaltante, anche nei confronti dell'operatore economico che, contravvenendo ai doveri di buona fede, ha conseguito una aggiudicazione illegittima; sia della stessa stazione appaltante, che può agire in rivalsa nei confronti di quest'ultimo o dell'eventuale terzo concorrente che abbia concorso con la sua condotta scorretta a determinare un esito della gara illegittimo”.

Si noti che già l'articolo 41 comma 2 del codice del processo amministrativo prevede che «Qualora sia proposta azione di condanna, anche in via autonoma, il ricorso è notificato altresì agli eventuali beneficiari dell'atto illegittimo».

Il comma 3 dell'articolo 124, con la dichiarata (nella Relazione) finalità di accelerare il contenzioso sul risarcimento per equivalente, “evitando l'attivazione del secondo giudizio di ottemperanza previsto dall'art. 34, comma 4, per il caso del mancato accordo tra le parti”, prevede l'applicazione all'azione di rivalsa del meccanismo di liquidazione del danno previsto di cui l'articolo 34, comma 4, del codice del processoamministrativo.

6. Un possibile profilo di criticità potrebbe essere dato dalla divaricazione pratica fra la bontà teorica dell'istituto e le difficoltà della sua applicazione: in un contesto culturale in cui le posizioni dell'amministrazione e dei privati, specie a seguito di un contenzioso, difficilmente possono addivenire ad un accordo, rinunciando a (tentare di) lucrare (o, rispettivamente, evitare) il massimo risarcimento ottenibile.

In tal caso, paradossalmente, il ricorso alla “condanna generica” avrebbe l'effetto, opposto, di allungare il contenzioso, aggiungendo una fase di ottemperanza “anomala” al giudizio risarcitorio vero e proprio.

Verosimilmente, pertanto, ciò che farà funzionare o meno il disegno del legislatore, più che la minaccia di una condanna alle spese, è l'analiticità della indicazione dei criteri di risarcimento nella sentenza che chiude il giudizio di cognizione.

7. Un ulteriore profilo di criticità della nuova disciplina risiede nel fatto che essa, come ammette la Relazione, è improntata alla preoccupazione, espressa in più punti, circa la “crescente rilevanza che la tutela per equivalente sempre più assumerà nei prossimi anni nell'ambito del contenzioso nella materia dei pubblici appalti” (in altro punto della Relazione si accenna ad un “contesto ordinamentale che vede ridurre i casi di tutela specifica mediante subentro a favore della tutela per equivalente”).

In realtà, la disciplina della tutela giurisdizionale in materia di appalti pubblici recata dal codice del processo amministrativo è – almeno in astratto - congegnata in modo tale da favorire la tutela in forma specifica o, meglio, da evitare che il contratto possa essere stipulato in presenza di un contenzioso che lasci dubitare della legittimità dell'aggiudicazione (almeno fino alla conclusione della fase di merito in primo grado).

Il che, se non ha finora impedito la proposizione di azioni risarcitorie, denota un sistema comunque imperniato sulla tutela concentrata sul terreno delle regole di validità (ancor più dopo le modifiche apportate all'articolo 120, comma 6, del codice del processo amministrativo dall'articolo 4, comma 4, lett. a), del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120).

L'intero articolato normativo traduce la preoccupazione sopra riportata nella predisposizione di una “rete di contenimento” all'esperimento delle azioni risarcitorie dei privati (cui si accompagna la previsione dell'azione di rivalsa dell'amministrazione) (27).

Tale rete di contenimento consta più di un atteggiamento culturale (come quando si sottolinea, ad esempio, che i danni da risarcire devono essere “effettivi e provati”: peraltro la stessa Relazione in realtà dà atto che fra i danni risarcibili è compresa la c.d. “chance contrattuale alternativa”), che non di regole giuridiche innovative, trattandosi della declinazione nel settore della contrattualistica pubblica di princìpi e regole da tempo noti nel diritto civile e nel diritto amministrativo generale: ancorché con l'accentuazione di cui si è detto (28).

Nondimeno, c'è il rischio che questo ripetuto accento possa o voglia fornire supporto ad una giurisprudenza ancor più restrittiva in tema di risarcimento del danno per equivalente monetario (beninteso ove ne sussistano i presupposti: e non nel caso, pure riscontrabile della realtà, di c.d. abuso del rimedio, laddove correttamente la giurisprudenza tanta di arginare pretese manifestamente infondate).

Un simile fenomeno potrebbe esporre a critiche il giudice amministrativo, quale giudice del risarcimento del danno, con la conseguente affermazione – talora agitata nella dialettica sul riparto di giurisdizione – della sua inadeguatezza a conoscere del rimedio risarcitorio azionato dai privati contro la Pubblica amministrazione.

Note

(1) Da un lato, “non v'è norma costituzionale che garantisca la prestazione gratuita del servizio giudiziario. Al contrario l'art. 24, terzo comma, della Costituzione, con il fare obbligo di assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione, muove dal presupposto che sia legittimo imporre oneri patrimoniali a carico di coloro nei cui riguardi è esplicata una attività di giustizia”: l'affermazione riguarda le spese di giustizia anticipate dallo Stato, ma è estensibile a tutti i costi del servizio giudiziario complessivamente inteso (giurisprudenza costante, a partire da C. cost. 2 aprile 1964 n. 30). Dall'altro, in termini generali, ove manchi “una chiara causa costituzionale”, disporre un'esenzione fiscale dipende da “una scelta rimessa alla discrezionalità del legislatore; ciò che evoca per costante giurisprudenza un sindacato particolarmente rigoroso sulla sussistenza di una eadem ratio” (le parole citate sono di C. cost. 13 ottobre 2022 n. 209; sul principio, già C. cost. 14 luglio 1982 n. 134). Di conseguenza, la scelta di prevedere l'esenzione dal contributo unificato per certi ricorsi e non per altri difficilmente potrebbe essere ritenuta costituzionalmente illegittima. Solo per completezza, si ricorda che comunque la relativa questione dovrebbe essere comunque proposta in sede propria, ovvero avanti il Giudice tributario, dal privato che chiedesse il rimborso del contributo pagato a fronte di un ricorso cui a suo avviso si dovrebbe estendere l'esenzione, ovvero che contestasse il relativo atto di imposizione non avendolo pagato.

(2) Come si ricava da Gaetano Walter CAGLIOTI “Guida al contributo unificato nel processo civile e penale”, p. 10 del pdf relativo, disponibile in rete su www.dirigentigiustizia.it.

(3) Circolare 20 aprile 2023 prot. n.14795 del Segretario generale della Giustizia amministrativa, ove ulteriori citazioni.

(4) Giurisprudenza risalente e costante: per tutte, Cons. Stato, sez. V, 5 luglio 2003, n.4327 e sez. IV, 15 giugno 1994, n. 505.

(5) In modo simile a quanto avveniva per la ora abrogata cd. menzione fiscale negli atti notarili, prevista dal

d.l. 27 aprile 1990, n.90 per i contratti di compravendita di immobili a pena di nullità: le parti dovevano dichiarare di avere inserito il reddito dell'immobile in questione nell'ultima denuncia dei redditi, ma potevano comunque stipulare l'atto rendendo la dichiarazione negativa nel caso in cui ciò non avessero fatto.

(6) Per tutti, A. MASSERA e F. MERLONI, “Tutte le verità non dette su Pnrr e nuovo codice degli appalti” in Domani, 9 aprile 2023, p.10.

(7) Al comma 3 è previsto quale requisito di idoneità tecnica l'iscrizione nel registro della camera di commercio. Al fine di consentire la massima partecipazione alle procedure di gara, si stabilisce che è posseduto il requisito di idoneità professionale in caso di iscrizione per attività non coincidente con l'oggetto dell'appalto, purché “pertinente”. All'operatore economico di altro Stato membro, non residente in Italia, è consentito di autodichiarare sotto la propria responsabilità di essere iscritto in uno dei registri professionali o commerciali previsti nell'allegato II.11.

(8) Come indicato nella relazione al nuovo codice, l'aspetto peculiare delle disposizioni contenuti ai commi da 4 a 11 è costituito dalla scelta di disciplinare anche la qualificazione degli operatori economici per gli appalti di forniture e servizi, così da allineare la disciplina della qualificazione per gli appalti di servizi e forniture a quella degli appalti di lavori, così dando vita ad un sistema tendenzialmente unitario in funzione di semplificazione sia per quanto riguarda la partecipazione alla gara da parte degli operatori economici, sia per quanto riguarda il controllo da parte delle stazioni appaltante. Nell'ambito dei lavori, si prevede inoltre che a rilasciare l'attestazione di qualificazione siano nuovi organismi di diritto privato autorizzati dall'ANAC, che andranno a sostituire le società organismo di attestazione (SOA). Per consentire l'immediata operatività del nuovo Codice il terzo periodo del comma 4 prevede che il sistema di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici, articolato in rapporto alle categorie di opere ed all'importo delle stesse, è disciplinato dall'allegato II.12 che, per quanto qui di interesse, riproduce sostanzialmente le disposizioni di cui agli articoli da 60 a 91 del d.p.r. 5 ottobre 2010, n. 207, riallineate e rese coerenti con le nuove disposizioni del codice. Di tale allegato è poi prevista l'abrogazione e la sostituzione con un corrispondente regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma, 1 della l. 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita l'ANAC. L'emanando regolamento di cui al quinto periodo del comma 4 disciplinerà sia la procedura per ottenere l'attestazione di qualificazione e per il suo rinnovo, sia la procedura di conseguimento dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di qualificazione degli operatori economici: esso riguarderà anche la qualificazione degli operatori economici per gli appalti di servizi e forniture e il regime sanzionatorio (comma 10).

(9) La disposizione costituisce applicazione del criterio di delega di cui all'articolo 1, comma 2, lettera h), della l. 21 giugno 2022, n. 78, relativamente alle c.d. clausole sociali.

(10) Cons. Stato, a.p., 29 gennaio 2003, n. 1 e Cons. Stato, a.p., 26 aprile 2018, n. 4.

(11) Il parere di precontenzioso dell'ANAC era già previsto, invero senza molta fortuna in sede applicativa, dall'articolo 6, comma 7, lett. n), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163.

(12) L'istituto, che era stato introdotto in via temporanea e provvisoria dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76 e s.m.i., viene confermato come rimedio di carattere generale per prevenire i possibili contenziosi tra committente e appaltatore, i quali potrebbero mettere a rischio l'esecuzione tempestiva e a regola d'arte del contratto di appalto (art. 215, co. 1, prima alinea: “per prevenire le controversie o consentire la rapida risoluzione delle stesse o delle dispute tecniche di ogni natura che possano insorgere nell'esecuzione dei contratti, ciascuna parte può chiedere la costituzione del Collegio consultivo tecnico (CCT)...”). Le disposizioni del nuovo Codice fissano a regime il sistema già disegnato dagli articoli4 e 5,d.l.16luglio2020,n.76, come integrato dalle linee guida predisposte dal Consiglio superiore dei lavori pubblici e approvate con decreto del Ministero delle infrastrutture e mobilità sostenibili del 17 gennaio 2022, riservando alle parti la facoltà di decidere se limitare il Collegio consultivo tecnico ad una funzione soltanto consultiva o attribuire alle sue decisioni valore di determinazione direttamente costitutiva di diritti e obblighi in capo alle parti (art. 215, co. 2: “il Collegio consultivo tecnico esprime pareri o, in assenza di una espressa volontà contraria, adotta determinazioni aventi natura di lodo contrattuale ai sensi dell'articolo 808-ter del codice di procedura civile. Se la pronuncia assume valore di lodo contrattuale, l'attività di mediazione e conciliazione è comunque finalizzata alla scelta della migliore soluzione per la celere esecuzione dell'opera a regola d'arte”).

(13) RAMAJOLI M., Brevi note sui rimedi di precontenzioso dell'ANAC tra legalità processuale e termine di decadenza, in Dir. proc. amm., 2020, fasc. 1, 174 ss; v. anche SANDULLI M.A., Nuovi limiti al diritto di difesa introdotti dal d.lgs. n. 50 del 2016 in contrasto con il diritto eurounitario e la Costituzione, in www.lamministrativista.it, 2016; DE NICTOLIS R., Il nuovo codice dei contratti pubblici, in Urb. e app., 2016, 503; LIPARI M., La tutela giurisdizionale “precontenziosa” nel nuovo codice dei contratti pubblici ( d.lgs. n. 50 del 2016), in www.federalismi.it; APERIO BELLA F., Il nuovo parere precontenzioso vincolante ANAC: la tutela giustiziale nei confronti della pubblica amministrazione tra procedimento e processo, in www.rivistaaic.it, 4, 2016; RAMAJOLI M., Il precontenzioso nei contratti pubblici tra logica preventiva e tutela oggettiva, in Dir. proc. amm., 2018, 557 ss.; R. De Nictolis R., Appalti pubblici e concessioni dopo la legge “sblocca cantieri”, Torino, 2020; DI CAGNO A., Gli effetti del parere di precontenzioso dell'ANAC sul potere di riesame dell'atto amministrativo, nota a Cons. Stato, sez. V 14 febbraio 2022, n. 1036, in Urb, e app., 2022, 4 505 e ss.

(14) Si riporta, per comodità di lettura, l'articolo 211 d.lgs. n. 18 aprile 2016, n. 50: “Su iniziativa della stazione appaltante o di una o più delle altre parti, l'ANAC esprime parere, previo contraddittorio, relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta. Il parere obbliga le parti che vi abbiano preventivamente acconsentito ad attenersi a quanto in esso stabilito. Il parere vincolante è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell'articolo 120 del codice del processo amministrativo. In caso di rigetto del ricorso contro il parere vincolante, il giudice valuta il comportamento della parte ricorrente ai sensi e per gli effetti dell'articolo 26 del codice del processo amministrativo. 1-bis. L'ANAC è legittimata ad agire in giudizio per l'impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. 1-ter. L'ANAC, se ritiene che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del presente codice, emette, entro sessanta giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati. Il parere è trasmesso alla stazione appaltante; se la stazione appaltante non vi si conforma entro il termine assegnato dall'ANAC, comunque non superiore a sessanta giorni dalla trasmissione, l'ANAC può presentare ricorso, entro i successivi trenta giorni, innanzi al giudice amministrativo. Si applica l'articolo 120del codice del processo amministrativo di cui all'allegato 1 annesso al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. 1-quater. L'ANAC, con proprio regolamento, può individuare i casi o le tipologie di provvedimenti in relazione ai quali esercita i poteri di cui ai commi 1-bis e 1-ter.”

Il comma 2 dell'articolo 211 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, abrogato dal d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 aveva il seguente testo: “2. Qualora l'ANAC, nell'esercizio delle proprie funzioni, ritenga sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gara invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni. Il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell'Autorità entro il termine fissato è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250 e il limite massimo di euro 25.000, posta a carico del dirigente responsabile. La sanzione incide altresì sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, di cui all'articolo 36 del presente codice. La raccomandazione è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell'articolo 120 del codice del processo amministrativo”.

(15) R. DE NICTOLIS, Il nuovo codice dei contratti pubblici, in Urb. e app., 2016, 517.

(16) In tal senso si era espresso il Consiglio di Stato in alcune pronunce: Cons. Stato, sez. V, 7 marzo 2022, n. 1621; Cons. Stato, sez. V, 22 marzo 2021 n.2436 in www.giustizia-amministrativa.it.

(17) Cons. Stato, sez. V, 7 marzo 2022, n. 1621, cit.; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II –ter, 5 settembre 2016, n. 9543 in www.giustizia-amministrativa.it.

(18) T.A.R. Veneto, sez. I, 2 luglio 2018, n. 707, in www.giustizia-amministrativa.it.

(19) V. Relazione al Codice dei contratti pubblici, elaborata dal Consiglio di Stato, in www.giustizia-amministrativa.it, pag. 252.

(20) V. Relazione al Codice, cit., ibidem.

(21) V. Relazione al Codice, cit., ibidem.

(22) M. RAMAJOLI, Brevi note sui rimedi di precontenzioso dell'ANAC tra legalità processuale e termine di decadenza, in Dir. proc. amm., 2020, fasc. 1, 174 ss.

(23) M. RAMAJOLI, Il precontenzioso nei contratti pubblici tra logica preventiva e tutela oggettiva, in Dir. proc. amm., Riv. Trim., 2018, p.557 ss.

(24) G. TULUMELLO, La tutela dell'affidamento del privato nei confronti della pubblica amministrazione fra ideologia e dogmatica, in Liber amicorum per Salvatore Raimondi, Napoli, 2022, pp. 359 e ss.; e in www.giustizia-amministrativa.it, cui si rinvia per i riferimenti di dottrina e giurisprudenza. Fra i contributi più recenti si segnala M. TRIMARCHI, Sulla responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, in Dir. Amm.vo, n. 3/2022, pp. 705 e ss. Id., Buona fede e responsabilità della pubblica amministrazione, in PA – Persona e amministrazione, n. 2/2022.

(25) L. LORENZONI, I princìpi di diritto comune nell'attività amministrativa, Napoli, 2018, in specie pp. 181 e ss.; Id., Osservazioni critiche in tema di responsabilità civile della p.a., in Dir. Amm.vo, 1/2020, pp. 235 e ss.

(26) La Relazione precisa in proposito che “Sotto tale profilo, l'espressa menzione delle “controversie risarcitorie” nel testo dell'art. 133, c. 1, lett. e) n. 1 – in un contesto ordinamentale in cui la tutela risarcitoria dell'interesse legittimo non richiede previsioni di giurisdizione esclusiva (cfr. Corte cost. n. 204/2004) – non può che leggersi come volontà del legislatore di includere nella giurisdizione esclusiva in materia di appalti proprio le controversie di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale, a cui fa riferimento la norma in commento. Sarebbe, tuttavia, opportuno che le incertezze in punto di giurisdizione (come chiaramente emergente dal conflitto interpretativo delineatosi fra Sezioni Unite della Corte di Cassazione e Adunanza plenaria del Consiglio di Stato) vengano risolte con una norma ad hoc, che espliciti che, almeno in materia di procedure di evidenza pubblica e in tutti gli altri casi di giurisdizione esclusiva, quest'ultima include anche il danno da lesione dell'affidamento, laddove esso matura in un contesto procedimentale e il comportamento “scorretto” imputato all'amministrazione presenta collegamenti, anche indiretti o mediati con l'esercizio del potere”.

(27) M.A. SANDULLI, Il contenzioso sui contratti pubblici, in IUS Amministrativo (www.ius.giuffrefl.it) 31 marzo 2023: “non posso non esprimere serie preoccupazioni per la riferita disposizione, che, se letta nel contesto di un sistema di tutela giurisdizionale che indebitamente privilegia la tutela risarcitoria per equivalente rispetto a quella soprassessoria e caducatoria (in evidente spregio anche alla qualità della prestazione), corre il rischio di ridurre il contenzioso sui contratti de quibus a una controversia tra privati”.

(28) M.A. SANDULLI, Il contenzioso sui contratti pubblici, cit.: “Per non dire del rischio che, con un'interpretazione allargata del concetto di illecito, le conseguenze degli errori del committente - e, a monte, dell'incertezza delle regole - siano fatte sostanzialmente ricadere in massima parte sull'aggiudicatario, disincentivando gli imprenditori a partecipare alle gare indette nel nostro Paese. La questione induce a fare un breve accenno anche al co. 3 del medesimo art. 5, il quale dispone che “In caso di aggiudicazione annullata su ricorso di terzi o in autotutela, l'affidamento non si considera incolpevole [recte, non vi è legittimo affidamento: n.d.r.] se l'illegittimità̀ è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti”. La disposizione sembra dare spazio a una presunzione di concorso di colpa dell'aggiudicatario illegittimo: presunzione che pone, a ben vedere, problemi di coerenza con l'enunciazione, al co. 1 dell'art. 2, del principio di fiducia “reciproca” e conferma la distonia di un sistema che, mentre tende a giustificare gli errori delle pubbliche amministrazioni e dei loro funzionari/commissari, che, pure, dovrebbero avere una specifica e adeguata competenza all'esercizio dei compiti loro precipuamente affidati, usa un opposto parametro di valutazione delle condotte degli operatori privati”.

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