Atti processuali: applicabilità dei limiti dimensionali anche nella fase cautelare monocratica

27 Giugno 2023

Le prescrizioni in materia di limiti dimensionali degli atti processuali devono essere osservate anche in sede di tutela cautelare monocratica, gravando sul giudicante non una mera facoltà ma un vero e proprio obbligo di non tenere conto delle parti che eccedano tali limiti.
Il caso

L'impugnazione proposta dal ricorrente innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia aveva ad oggetto il provvedimento adottato dalla Prefettura che acclarava la sussistenza dei presupposti richiesti dagli artt. 84, 91 e 94 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 per l'emanazione di un provvedimento interdittivo, contestualmente disponendo la cancellazione della società dall'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori dei lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (c.d. white list). Oggetto di ricorso era altresì il provvedimento dell'ANAS recante l'esercizio della clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., prevista nell'art. 7, co. 2, del Protocollo di Legalità dalla stessa adottato, in quanto l'Amministratore pro tempore della società ricorrente si era reso destinatario di una misura cautelare personale per reati contro la Pubblica Amministrazione.

La domanda del ricorrente, non accolta in prima istanza e riproposta in secondo grado, era tesa ad ottenere l'accertamento del diritto alla prosecuzione del contratto di fornitura, ex art. 133, comma 1, lett. a), 3) e lett. e), 1) c.p.a., ritenendo che l'art. 7, comma 2 del menzionato Protocollo di Legalità disponesse la sola facoltà di avviare un procedimento innanzi al Presidente dell'ANAC e non l'automatica interruzione del rapporto contrattuale.

L'atto di appello, nelle sue pagine finali, recava l'istanza di concessione delle misure cautelari monocratiche, ai sensi degli artt. 56, 62, comma 2 e 98, comma 2, c.p.a., così oltrepassando i limiti dimensionali di cui al Decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 22 dicembre 2016.

La questione

Il giudice amministrativo è chiamato a pronunciarsi sull'applicabilità della disciplina relativa ai criteri di redazione e ai limiti dimensionali dei ricorsi e degli altri atti difensivi nel processo amministrativo, contenuta nel D.P.C.S. 22 dicembre 2016, anche in sede di tutela cautelare monocratica.

Le soluzioni giuridiche

Il Collegio ha ritenuto di non poter scrutinare l'istanza di adozione della misura cautelare monocratica, poiché contenuta nelle pagine dell'atto di appello che, pur non considerando le porzioni di testo escluse ex art. 4 del D.P.C.S., erano eccedenti rispetto ai canoni stabiliti dalla normativa.

Il limite dimensionale, nel caso di specie, coincide con quello di 70.000 caratteri, in base all'art. 3, comma 1, lett. b), del citato D.P.C.S., e risulterebbe superato anche qualora si considerasse la possibilità di giungere ai 100.000 caratteri autorizzabili ex art. 5, comma 1.

Il richiamato Decreto è stato emanato per portare ad attuazione, expressis verbis, i principi di chiarezza e sinteticità di cui agli artt. 3, comma 2 c.p.a. e 13-ter dell'allegato II al codice del processo.

Tale esigenza legislativa apparirebbe frustrata qualora talune fasi del processo amministrativo restassero arbitrariamente estromesse dall'operatività della fonte normativa.

Infatti l'art. 13-ter, comma 5, delle norme di attuazione del c.p.a., laddove prescrive che il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei limiti legislativamente posti, e che l'omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione, non lascia arbìtrio al giudice in merito al dovere di non conoscere delle questioni eccedenti tale limite.

In rischio insito nel ritenere quella del decisore una facoltà e non un obbligo, risiede nella ingiusta lesione della posizione processuale di controparte, non tollerabile in un sistema di giurisdizione soggettiva.

Una simile conclusione trova giustificazione nei principi di terzietà ed imparzialità del giudice, e deve essere contemperata con quanto previsto dall'art. 7, comma 1, che rende possibile un'autorizzazione successiva del superamento dei limiti dimensionali.

Osservazioni

La lettura sistematica fornita dal giudicante interpreta la lettera dell'art. 13-ter, comma 5, delle norme di attuazione del c.p.a. alla luce dei principi generali che reggono il contenzioso amministrativo.

Questo si conferma essere un processo di parti, retto dal c.d. principio dispositivo, secondo cui il giudice non gode del potere di accertare d'ufficio l'illegittimità dell'operato della Pubblica Amministrazione attraverso prerogative di stampo inquisitorio, ma può soltanto vagliare la fondatezza di domande ed eccezioni provenienti dalle parti in causa entro i limiti posti dalla normativa. Tale è la giurisdizione soggettiva, che tutela la situazione giuridica dedotta dal privato ricorrente e non il mero ripristino della legalità violata.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.