Quando il versamento di una somma una tantum al figlio maggiorenne va ben oltre i consueti obblighi di mantenimento?

Francesca Ferrandi
30 Giugno 2023

Con il presente decreto, il Tribunale di Bergamo nell'affrontare il tema del mantenimento del figlio maggiorenne, ricorda che, tale obbligo, non solo deve essere coniugato con il principio di autoresponsabilità ma deve essere circoscritto, quanto alla sua portata, sia in termini di contenuto che di durata, assumendo lo stesso la veste sostanziale di un vero atto donativo quando consista invece che nel comune versamento di un assegno periodico in quello di una dazione una tantum di ingente portata.
Massima

In tema di mantenimento del figlio maggiorenne, è da considerarsi eccessivo, esorbitante e mascherante un vero e proprio atto donativo, la dazione di un assegno una tantum concordato e dall'importo particolarmente elevato, che uno dei genitori si impegni ad eseguire in favore della figlia, su un conto cointestato con la madre, quale adempimento di un obbligo di mantenimento, specie in considerazione dell'età della ragazza, del suo inserimento nel mondo del lavoro con stipulazione di un contratto a tempo determinato di durata ultrabiennale, del riconoscimento di un adeguato livello retributivo, nonché delle sue aspirazioni a livello professionale.

Il caso

Con ricorso congiunto, due genitori chiedevano la revisione della sentenza con cui il Tribunale, dichiarando la cessazione degli effetti del loro matrimonio, aveva posto a carico del padre il mantenimento della figlia maggiorenne. Il padre, infatti, invece di corrispondere un assegno periodico pari ad euro 4.297,00 da accreditarsi sul conto corrente bancario intestato alla madre e di contribuire al 50% alle spese scolastiche e mediche straordinarie, intendeva versare, in un'unica soluzione, alla figlia non più convivente con la madre, la somma omnicomprensiva di euro 400.000,00, mediante accredito sul conto corrente bancario cointestato che la ragazza aveva assieme alla madre. In particolare, a detta dei ricorrenti, il versamento di una simile somma una tantum, avrebbe potuto consentire alla figlia una più comoda soddisfazione delle sue esigenze rispetto al percepimento di un assegno periodico, nonché di mettere a reddito tale cifra.

Inoltre, sempre secondo i ricorrenti, la dazione in questione doveva considerarsi lecita ed ammissibile ex art. 1322 c.c., in quanto, sebbene l'ordinamento ammetta una simile operazione esclusivamente con riguardo alla posizione del coniuge, senza nulla specificare riguardo ai figli, siffatta forma di adempimento dell'obbligo di mantenimento non esclude il diritto della figlia ad avanzare nuove pretese qualora l'assegno de quo divenisse insufficiente a fronte dei suoi bisogni.

Queste, dunque, le argomentazioni poste alla base del ricorso congiunto e sottoposte al giudizio del Tribunale.

La questione

In materia di mantenimento del figlio maggiorenne non più convivente con i genitori e con un lavoro a tempo determinato, quando può dirsi che il versamento a quest'ultimo di una somma una tantum vada ben oltre gli obblighi di mantenimento gravanti sui genitori?

Le soluzioni giuridiche

La questione affrontata dalla pronuncia in esame impone una breve digressione in merito ai presupposti relativi al mantenimento del figlio maggiorenne.

Come noto, la l. n. 54/2006 ha disciplinato, per la prima volta, la posizione dei figli maggiorenni introducendo regole diverse, rispettivamente agli artt. 337-ter (provvedimenti riguardo ai figli) e 337-septies c.c. (disposizioni in favore dei figli maggiorenni), prevedendo, in particolare, che l'obbligo dei genitori di provvedere al mantenimento dei figli non cessi per il solo fatto del raggiungimento della maggiore età da parte di quest'ultimi.

La norma di riferimento dell'odierno thema decidendum è, quindi, rappresentata dall'art. 337-septies, comma 1, c.c., («il giudice valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico»), la quale ha sostituito il previgente art. 155-quinquies c.c., individuando, senza ulteriori precisazioni, il momento della cessazione dell'obbligo di mantenimento nel raggiungimento dell'indipendenza economica da parte del figlio. Riguardo a quest'ultima nozione, dalla cui integrazione discende il diritto all'assegno per il figlio maggiorenne, l'obbligo che ne consegue in capo al genitore non è posto automaticamente dal legislatore, ma è rimesso alla dichiarazione giudiziale secondo il criterio generale e usuale della “valutazione delle circostanze” del caso concreto: la giurisprudenza, infatti, è incline a ricomprendervi quanto è necessario per soddisfare le primarie esigenze di vita, essendo di contro irrilevante la circostanza che l'attività lavorativa intrapresa dal figlio risulti più umile rispetto a quella svolta dal genitore obbligato e che, di conseguenza, gli assicuri la percezione di un reddito inferiore (cfr. Cass. civ., 14 agosto 2020, n. 171839).

Un'ulteriore causa, poi, di cessazione dell'obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne, che prescinde dall'acquisita indipendenza economica, è rappresentata dall'eventuale inerzia da parte del figlio in ordine alla ricerca di un'occupazione ovvero nel rifiuto ingiustificato di accettare un'attività lavorativa confacente alle capacità acquisite(cfr. Cass. civ., 29 ottobre 2013, n. 24424).

Non solo, ma con il superamento di una certa età, il completamento del percorso di studi scolastici o universitari e il successivo inserimento in un contesto lavorativo compatibile con gli studi svolti e le aspirazioni del figlio, la giurisprudenza ritiene ormai che quest'ultimo abbia raggiunto una propria dimensione di vita autonoma, che estingue l'obbligo in capo al genitore di contribuire al mantenimento del figlio facendo sorgere, se del caso, il diritto agli alimenti, istituto giuridico che, però, si fonda su presupposti diversi.

Quanto, poi, all'onere della prova circa le condizioni che fondano il diritto al mantenimento spetta al richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica, precondizione del diritto preteso, ma di avere curato con ogni possibile impegno la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro.

Dalle considerazioni che precedono, particolare rilevanza assume, pertanto, il ruolo dell'autorità giudiziaria chiamata a pronunciarsi sul singolo caso concreto e ad attuare un difficile bilanciamento, da un lato, delle ragioni di tutela della formazione, delle ambizioni dei figli e, dall'altro, dell'esigenza dei genitori di non essere tenuti all'obbligo di mantenere figli già adulti, posto che deve escludersi che il figlio possa contare incondizionatamentesull'aiuto economico dei genitori.

Venendo, poi, alla facoltà dei genitori di adempiere all'obbligo di mantenimento nei confronti della prole tramite l'attribuzione definitiva di beni, o con l'impegno ad effettuare un'attribuzione, piuttosto che attraverso una prestazione patrimoniale periodica, sulla base di accordi generalmente definiti come contratti atipici, distinti dalle convenzioni matrimoniali e dalle donazioni, espressioni dell'autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c., la giurisprudenza sembra riconoscerli al ricorrere di precise condizioni. Da un parte, il bene ceduto deve essere idoneo, per sua natura e consistenza, a soddisfare, nel tempo, l'esigenza primaria di garantire ai figli il necessario per il loro sostentamento, nella misura richiesta dalle loro crescenti esigenze; dall'altra parte, gli accordi relativi al mantenimento della prole possono regolare soltanto le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta, fermo il criterio di proporzione alle sostanze del padre e della madre, con l'ovvia conseguenza che se la prestazione di mantenimento non è più dovuta l'accordo può assumere un'altra veste giuridica, quale una convenzione matrimoniale ovvero una donazione (cfr. Cass.civ., 02 febbraio 2005, n. 2088).

Ciò posto, nel caso in esame, il Tribunale ha ritenuto l'importo concordato dai genitori, pari ad euro 400.000, eccessivo ed esorbitante rispetto agli obblighi di mantenimento gravanti nei confronti della figlia, proprio in considerazione dell'età di quest'ultima (ormai quasi ventisettenne), del suo inserimento nel mondo del lavoro con la stipulazione di un contratto a tempo determinato di durata ultrabiennale, del riconoscimento di un adeguato livello retributivo e delle sue aspirazioni professionali.

In conclusione, secondo il Tribunale, la dazione patrimoniale che il padre si era impegnato ad eseguire in favore della figlia andava ben oltre l'adempimento dell'obbligo di mantenimento, assumendo, al contrario, la veste sostanziale di un vero e proprio atto donativo compiuto per puro spirito di liberalità, da inquadrarsi negli artt. 769 e ss. c.c.

Osservazioni

La pronuncia in esame si presenta interessante anche nella parte in cui il Tribunale ricorda che, al di là della normativa fiscale che sottopone a tassazione le donazioni di denaro dei genitori in favore dei figli (quando superano una determinata soglia anche attraverso plurime dazioni separate), l'atto pubblico di donazione, da compiersi avanti al notaio, fa ricadere su quest'ultimo l'obbligo di svolgere alcuni controlli preliminari, verifiche e segnalazioni in base alla normativa c.d. antiriciclaggio ex d. lgs. n. 231/2007. A simili adempimenti, invece, non è tenuto il Tribunale quando pone a carico del genitore (ovvero recepisce un accordo che prevede) la corresponsione di un assegno periodico di mantenimento in favore del figlio, comunque sul presupposto che tale adempimento sia giuridicamente dovuto. Del resto, la qualificazione di una dazione di denaro quale adempimento di un obbligo di mantenimento, piuttosto che quale attribuzione fatta per puro spirito di liberalità, porta con sé delle conseguenze giuridiche non solo dal punto di vista fiscale, ma anche dal punto di vista civilistico, come gli obblighi di collazione o quelle dettate in tema di azione revocatoria a tutela delle ragioni del creditore (artt. 2900 e ss. c.c.).

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