Il peso delle “ragioni della decisione” nella determinazione dell’assegno di divorzio
03 Luglio 2023
Massima
Ai fini della determinazione dell'assegno divorzile, le condotte anteriori tenute nel corso della vita matrimoniale possono essere valutate quali ragioni della decisione se sono state poste alla base della pronuncia di addebito della separazione e se rappresentano anche la causa ostativa alla ricostruzione della comunione tra coniugi, giustificando la domanda di divorzio. Il caso
Una donna, allo stato disoccupata, aveva visto rigettata dal Tribunale la domanda di riconoscimento dell'assegno divorzile sul presupposto che non era stata fornita la prova della mancanza dei mezzi economici adeguati o dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Adduceva l'appellante che dopo la separazione il marito aveva abbandonato i figli nati dal matrimonio per occuparsi solo del nuovo nucleo familiare, ponendo tra l'altro in essere una serie di operazioni economico-societarie volte a modificare in peius la propria situazione patrimoniale e donando all'ultimo figlio nato dalla nuova relazione tutte le sue proprietà immobiliari. Ma soprattutto, il Tribunale non aveva considerato la vicenda relativa ai maltrattamenti subiti, il riconoscimento dell'addebito della separazione in capo al marito, i reati dallo stesso commessi in danno della moglie e della prole, specie del primogenito che veniva percosso dal padre con una catena nel tentativo di difendere la madre: tutte circostanze che a parere dell'appellante dimostravano il sacrificio della sua vita e delle sue aspirazioni, essendo ella stata – anche dopo la separazione - madre a tempo pieno dei figli, vittime dirette e indirette della violenza del padre e da questi completamente abbandonati sia moralmente che economicamente. Sosteneva dunque la donna che le violenze nei suoi confronti, dimostrate anche dalle sentenze penali di condanna nei confronti del marito, prodotte in primo grado, erano state perpetrate sia durante il matrimonio, in particolare essendole stato impedito dal coniuge di lavorare per doversi occupare della famiglia, che successivamente alla separazione, allorchè era stata costretta ad occuparsi da sola dei figli, con la conseguenza che versava ora in un vero e proprio stato di bisogno, essendo disoccupata all'età di sessant'anni. La questione
Le ragioni della decisione, connesse alla funzione risarcitoria-indennitaria dell'assegno di divorzio, rilevano solo nel caso in cui il divorzio sia preceduto da una separazione giudiziale con addebito o possono trovare spazio anche in altre ipotesi, quali una separazione consensuale o più in generale allorchè non sia ravvisabile nessun comportamento particolare lesivo dei doveri matrimoniali? Le soluzioni giuridiche
La Corte d'Appello di Salerno, ricostruito l'orientamento della Corte di Cassazione in merito ai presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile, e ribadita quindi la necessità di procedere a un esame comparativo delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, che tenga conto del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto (richiamando la recente ordinanza della Suprema Corte, Cass. n. 23997/2022), in un caso connotato dal comportamento gravemente lesivo dei doveri matrimoniali posto in essere dal marito, durante la convivenza matrimoniale ma anche successivamente, applica, ai fini della determinazione dell'assegno anche il criterio delle ragioni della decisione in funzione risarcitoria-indennitaria. In particolare, la Corte mostra di aderire all'orientamento prevalente in materia, secondo il quale le vicende precedenti alla separazione, e quindi occorse durante la vita matrimoniale, rientrano tra le ragioni rilevanti ai fini della decisione sull'assegno divorzile, ma solo se hanno originato la pronuncia d'addebito della separazione ed hanno successivamente ostato alla ricostruzione della comunione di vita tra i coniugi, giustificando la richiesta di divorzio. I passaggi del ragionamento della Corte possono essere così riassunti: - posta la sussistenza di una notevole disparità economica tra le parti, punto focale dell'accertamento diventa il sacrificio delle aspettative professionali da parte del coniuge richiedente e il contributo da lui fornito all'altro coniuge e alla famiglia, tenuto conto della durata del matrimonio, assolvendo l'assegno, oltre a una funzione assistenziale, nel senso di assistere il coniuge incolpevolmente privo dei mezzi adeguati, anche la fondamentale funzione perequativo-compensativa. Invero i giudici nel caso di specie hanno ritenuto provata la sperequazione reddituale al momento del divorzio riconducendola alle scelte comuni della coppia, in particolare la moglie durante la convivenza ventennale non aveva lavorato per occuparsi della famiglia e dei figli in particolare, così contribuendo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e di quello del marito, il quale aveva intrapreso diverse attività commerciali gestite sia come imprenditore che tramite compagini societarie, accumulando un discreto patrimonio, per quanto egli avesse poi cercato di disfarsene apparentemente in favore dell'attuale compagna e del figlio nato dalla nuova unione. In questo quadro, una notevole incidenza aveva avuto la condotta del marito, che aveva originato l'intollerabilità della convivenza con il proprio comportamento, oltre che fedifrago anche violento ed aggressivo, nei confronti di moglie e figli, i quali ultimi erano stati dal padre sostanzialmente abbandonati, sia dal punto di vista morale che materiale. Condotte che avevano indotto il Tribunale a pronunciare l'addebito della separazione in capo all'uomo e che successivamente erano state d'impedimento alla ricostruzione della comunione di vita, conducendo alla richiesta di cessazione degli effetti civili del matrimonio, e sì dà doversi considerare, nella determinazione dell'emolumento mensile, anche la funzione risarcitoria dell'assegno divorzile, ricondotta alle ragioni della decisione. Tra le righe della motivazione, è interessante notare come il sacrificio della moglie per avere rinunciato ad opportunità lavorative, è dipeso non tanto e non solo da una scelta che almeno in parte era stata necessariamente condivisa col coniuge, ma soprattutto, il sacrificio, è inevitabilmente stato sopportato dalla donna, che vittima di maltrattamenti fisici ma anche morali (tra i quali, a parere di chi scrive, va annoverata anche la sopportazione dei plurimi tradimenti subiti), ha comunque sorretto moralmente i figli, supplendo anche al ruolo genitoriale paterno, totalmente assente, chiaramente così abdicando a qualsivoglia aspirazione professionale e lavorativa, esterna alla famiglia. Ecco, quindi, che l'assegno assolve in questo caso anche alla funzione di risarcire la donna per quanto aveva dovuto tollerare durante tutto l'arco del matrimonio, ma anche successivamente alla separazione. In conclusione, viene ribaltato il verdetto del Tribunale, con il riconoscimento di un assegno divorzile in favore dell'ex moglie, per la cui determinazione si è tenuto del complessivo comportamento dell'ex marito, sia durante la vita matrimoniale che successivamente, avendo costituito un ostacolo concreto al ripristino del consorzio familiare. Osservazioni
La sentenza annotata fa del parametro delle ragioni della decisione, richiamato dall'art. 5 comma 6 l. div., un'applicazione conforme al prevalente orientamento giurisprudenziale in materia. Invero, non sono numerose le pronunce ove troviamo invocata la funzione risarcitoria dell'assegno divorzile, e in quasi tutte si tratta di casi in cui era stato disposto l'addebito della separazione in capo al coniuge onerato poi dell'assegno. Le ragioni della decisione, ossia le cause che hanno comportato lo scioglimento del vincolo coniugale, sono richiamate dall'art. 5 comma 6 l. div. come modificato dalla l. 74/1987. Prima del revirement delle Sezioni Unite del 2018, il criterio, insieme al contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio personale e di quello comune, oltre al reddito di entrambi, tutti valutati anche in rapporto alla durata del matrimonio, era utilizzato per la quantificazione dell'assegno divorzile. In dottrina, criticamente, era stato osservato come il criterio, seppure le ragioni non equivalgano alle colpe, pareva introdurre una sanzione per il coniuge ritenuto responsabile del fallimento matrimoniale, in contrasto con la funzione istituzionalmente attribuita al divorzio, inteso come rimedio al venir meno della comunione materiale e spirituale tra coniugi (Bonilini G. Gli effetti patrimoniali. L'assegno post matrimoniale. La revisione dei provvedimenti accessori alla pronunzia di divorzio. Divorzio ed effetti ereditario. In G. Bonilini-F. Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio, in Il codice civile, Commentario Schlesinger, Milano 1997, p. 484). Ecco perché se ne è stata fatta una applicazione scarsa e ne è stato dato poco rilievo, sempre comunque in sede di quantificazione dell'assegno, e mai di determinazione del diritto. L'art. 5 comma 6 l. div. richiama le ragioni della decisione in modo generico, per cui appare una forzatura riconnettere tali “ragioni” esclusivamente alla violazione dei doveri coniugali che abbia determinato la crisi matrimoniale, cristallizzata nella pronuncia d'addebito della separazione. Piuttosto, pare corretto affermare che, secondo il dato testuale, le ragioni della decisione comprendono tutti i fattori che hanno portato allo scioglimento del vincolo, quindi l'analisi che il Giudice è chiamato a compiere è ampia, estendendosi a ogni comportamento o evento che abbia contribuito alla rottura della comunione spirituale e materiale della famiglia, determinando il fallimento del disegno matrimoniale (si veda Cass. sez. un. 29 novembre 1990 n. 11490, in Foro It. 1991). Eppure, secondo l'opinione dominante, cui aderisce anche la decisione che si annota, quando il divorzio è preceduto dalla separazione, le ragioni della decisione trovano spazio solo se già poste a fondamento della pronuncia d'addebito, sicchè niente addebito, nessun indennizzo (di recente Cass. civ., 26 marzo 2019 n. 16796). La giurisprudenza ha escluso la rilevanza delle circostanze conosciute dopo la separazione, e che, se note prima, avrebbero potuto giustificare anche la richiesta d'addebito (Cass. civ. 17 dicembre 2012 n. 23202 in Foro It. 2013), sul presupposto che esse restano assorbite dalla valutazione effettuata dal giudice della separazione, o dai coniugi in caso di separazione consensuale (App. Bologna 23 giugno 2017 n. 1497, Cass. civ., 22 novembre 2000 n. 15055, in Mass. Giur. It. 2000, ma anche in precedenza Cass. civ. 2 giugno 1981 n. 3549 in Giur. It., 1982, I,1, nota di Trabucchi; in dottrina F. Scardulla La separazione dei coniugi e il divorzio, Milano, 1996 p. 533). Questa interpretazione piuttosto restrittiva che circoscrive quindi la componente risarcitoria dell'assegno divorzile ai soli casi in cui vi sia stata una pregressa pronuncia che imputa a uno dei coniugi la responsabilità per il fallimento dell'unione matrimoniale, a parere di chi scrive si presta a più di una obiezione critica, anche per essere di fatto anacronistica. In un'epoca in cui si discute sull'opportunità di conservare l'istituto dell'addebito, è comunque certo che nel nostro ordinamento non esiste, come ricordano le Sezioni Unite nel 2018, un divorzio per colpa, ossia il divorzio non è una conseguenza della colpevole violazione dei doveri coniugali. Nella motivazione della nota sentenza v'è un passaggio, invero verso il termine del testo del provvedimento in cui chiaramente si evince che la funzione risarcitoria-indennitaria collegata al criterio delle ragioni della decisione assume una posizione marginale, tanto che la sentenza vi accenna soltanto, laddove, nel delineare un quadro comparatistico, ricorda “la tendenziale eliminazione del divorzio per colpa che, all'interno del nostro ordinamento trova riscontro nella progressiva riduzione dell'importanza del cd. Criterio risarcitorio fin dall'accertamento dell'addebito in sede di separazione”. Non si vede perché escludere a priori la rilevanza della funzione risarcitoria nei casi in cui l'addebito della separazione non sia stato pronunciato: si pensi al caso in cui i coniugi addivengano a una separazione consensuale semplicemente per non voler affrontare un contenzioso giudiziale che nella maggior parte dei casi è fonte di ulteriore dolore e recriminazioni reciproche. Oppure al caso in cui uno dei coniugi venga a sapere solo dopo la separazione che l'altro per anni ha condotto una vita parallela, magari generando anche dei figli fuori dal matrimonio. O ancora, a una separazione giudiziale in cui il Giudice non ha ritenuto sussistere il nesso di causalità tra la pur intrapresa violazione dei doveri matrimoniali e l'intollerabilità della convivenza. Ma anche un comportamento non necessariamente contrario ai doveri coniugali potrebbe indurre alla separazione, così come la decisione intrapresa unilateralmente da un solo coniuge, mai successivamente ripensata e quindi tale da rendere impossibile la ricostituzione della comunione di vita e portare alla cessazione del vincolo potrebbe rilevare ai fini dell'indagine sul diritto all'assegno divorzile. In tutti questi casi, perché dovrebbe essere precluso al Giudice del divorzio di condurre una indagine sulla vita matrimoniale, ritrovandosi così vincolato alle valutazioni del Giudice della separazione? Se il matrimonio cessa solo col divorzio, perché non considerare anche le vicende post separative che, di riflesso a quelle matrimoniali, hanno poi determinato non solo la decisione di sciogliere l'unione ma anche, spesso situazione pratiche di inadeguatezza dei mezzi a disposizione in ragione delle scelte fatte durante la convivenza matrimoniale? Una interpretazione di respiro parzialmente più ampio è offerta da quel filone giurisprudenziale che, pur escludendo la rilevanza di fatti pregressi appresi dopo la separazione giudiziale, disposta senza addebito e quindi non considerati nel giudizio di separazione, ha ritenuto che nei casi in cui il Tribunale si fosse pronunciato in modo specifico sull'addebito, escludendolo o ponendolo a carico di entrambi, al fine di far valere in sede di determinazione dell'assegno di divorzio “le ragioni della decisione”, ossia la responsabilità esclusiva o prevalente di uno dei coniugi nella definitiva cessazione del vincolo coniugale, fosse indispensabile dedurre circostanze relative al comportamento dei coniugi successive all'accertamento passato in giudicato che avesse statuito sull'assenza o la reciprocità della responsabilità. Di fatto però la separazione resterebbe lo spartiacque, e le ragioni della decisione potrebbero rilevare con riferimento a quanto accaduto dopo la separazione specie onde cogliere la disponibilità o meno di ciascuno dei due alla ricostruzione della comunione spirituale e materiale: può trattarsi sia di comportamenti contrari ai doveri matrimoniali anche in regime di separazione, ma anche di condotte tali da aggravare la crisi del rapporto matrimoniale rendendo impossibile la riconciliazione (tra le tante, Cass. civ. 5 novembre 1992 n. 11987 in Foro It., Cass. civ.16 maggio 2005 n. 10210). Quindi assegnare al criterio delle ragioni della decisione una valenza per il riconoscimento dell'assegno divorzile solo nel caso in cui vi stata una pronuncia d'addebito della separazione pare limitante, anche a fronte del tenore letterale dell'art. 5 comma 6 l. 898/1970, che lascia spazio a un apprezzamento più flessibile da parte del Giudice del divorzio delle conseguenze dei comportamenti di ciascun coniuge, specie se uno abbia leso l'affidamento dell'altro sulla stabilità del matrimonio; sicchè il criterio in esame potrebbe valere come fattore correttivo nella quantificazione dell'assegno quando il criterio perequativo compensativo non esaurisce la valutazione dell'autorità giudiziale (così C. Rimini, nota a App. Napoli 10 gennaio 2019, in NGCC, 2019, p. 524). |