La configurabilità dell'errore di fatto revocatorio di cui all'art. 395, n. 4 c.p.c. nell'ambito del processo amministrativo
Daniele Profili
04 Luglio 2023
L'istituto della revocazione va annoverato tra i rimedi tassativi che l'ordinamento giuridico italiano ha apprestato avverso le sentenze del giudice amministrativo. L'articolo, in particolare, mira ad approfondire l'ipotesi della revocazione prevista dall'art. 395, n. 4) c.p.c., che viene in rilievo ogni qualvolta la sentenza sia affetta da un errore di fatto evincibile dal contenuto degli atti di causa, analizzando sia il portato letterale della disposizione che gli approdi giurisprudenziali in materia.
Premessa
Il Codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010, All. 1) dedica il suo Libro Terzo alla disciplina delle “Impugnazioni”, precisando, col suo articolo di apertura, come i rimedi avverso le sentenze emesse dal g.a. siano l'appello, la revocazione, l'opposizione di terzo e il ricorso per Cassazione (cfr. art. 91 c.p.a.).
Il codice di rito amministrativo, nel dettare le regole applicabili in materia di impugnazione delle decisioni giurisdizionali, ha anzitutto previsto una disciplina di carattere generale (artt. 92-98 c.p.a.), per poi enunciare le disposizioni di dettaglio riferibili ai singoli mezzi di impugnazione sopra elencati, andando così a mettere ordine alla materia rispetto alla situazione previgente rispetto alla sua approvazione, risolvendo diverse questioni ermeneutiche e dubbi interpretativi già affrontati sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.
Per quanto attiene alla revocazione, in particolare, la norma di riferimento è costituita dall'art. 106 c.p.a. che, al comma 1, segnatamente, prevede che le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato siano suscettibili di impugnazione mediante tale precipuo istituto, nei casi e nei modi previsti dagli artt. 395 e 396 del codice di procedura civile.
La revocazione, attesa la sua funzione e le sue caratteristiche, va catalogata nell'ambito dei mezzi di impugnazione “a critica vincolata” rivolti al medesimo organo giudicante da cui promana la decisione impugnata, oltre ad essere un rimedio in grado di operare sia sul piano rescindente (accertamento delle condizioni per la revocazione), che su quello rescissorio (nuova pronuncia di merito sulla controversia).
Le ipotesi di revocazione ordinaria e straordinaria
Venendo alla prima disposizione processualcivilistica richiamata dal codice del processo amministrativo ai fini della disciplina dell'istituto della revocazione (art. 395 c.p.c.) va evidenziato come essa distingua due ipotesi: la prima, quella straordinaria, che riguarda la revocazione di sentenze già passate in giudicato e, dunque, divenute inoppugnabili; e la seconda, riferibile alla revocazione ordinaria che, per converso, ha ad oggetto decisioni non ancora divenute definitive. Alla prima fattispecie di cui sopra devono essere ricondotti i tassativi casi di revocazione elencati dal richiamato art. 395 c.p.c. ai numeri 1, 2, 3 e 6, ossia i seguenti: 1) sentenze effetto di dolo di una parte a danno dell'altra; 2) sentenze pronunciate in base a prove riconosciute o dichiarate false dopo la sua pronuncia o che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate false prima di essa; 3) ritrovamento, dopo la sentenza, di uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario; 6) sentenze affette da dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.
Per quanto attiene alla revocazione ordinaria, invece, occorre fare riferimento alle casistiche di cui ai numeri 4 e 5 del richiamato art. 395 c.p.c., ossia, rispettivamente, all'ipotesi della sentenza affetta da un errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti di causa e a quella della decisione contraddittoria rispetto ad altra precedente già passata in giudicato, purché il giudice investito della questione non si sia pronunciato sulla relativa eccezione.
E' poi importante, nell'ambito del processo amministrativo e in materia di revocazione, delineare i rapporti che intercorrono tra detto mezzo di impugnazione e l'appello.
L'art. 106, comma 1, c.p.a., invero, nel richiamare gli artt. 395 e 396 del codice di rito civile, fa salvo quanto previsto al successivo comma 3, secondo cui “Contro le sentenze dei tribunali amministrativi regionali la revocazione è ammessa se i motivi non possono essere dedotti con l'appello”.
Dall'interpretazione di tale disposizione processuale, dunque, è possibile dedurre che le sentenze adottate dal giudice amministrativo di primo grado siano impugnabili soltanto per revocazione straordinaria, ossia per le succitate fattispecie di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 c.p.c., atteso che tutti i motivi di revocazione ordinaria sono deducibili in appello, mentre le sentenze adottate da giudice di secondo grado possono essere destinatarie sia del rimedio revocatorio ordinario che di quello straordinario.
L'errore di fatto revocatorio: tratti distintivi dell'istituto
Si è già anticipato come l'errore di fatto, quale vizio revocatorio di una precedente sentenza resa da un organo giurisdizionale, trovi il suo referente processuale nell'ipotesi di cui al n. 4 dell'art. 395 del codice di rito civile, avendo ad oggetto l'errata ovvero l'omessa percezione del contenuto materiale degli atti e/o dei documenti depositati nel fascicolo processuale da parte del giudice, in grado di inficiare l'esito della decisione finale.
Mentre la richiamata “omessa percezione” non necessita di particolari puntualizzazioni, atteso che la stessa postula ex se che l'organo giudicante, per mero errore di fatto, non abbia avuto contezza del contenuto di uno dei documenti di causa, qualche precisazione va invece effettuata avuto riguardo all'”errata percezione”, al fine di evitare indebite commistioni tra l'errore (di fatto) che il giudice può commettere nella presa visione e nella lettura dei documenti processuali, dal diverso errore (di diritto) in cui l'organo giudicante può incorrere nella valutazione dei fatti ai fini dell'individuazione delle discendenti soluzioni giuridiche da applicare alla controversia.
I due errori devono essere tenuti distinti, posto che soltanto il primo rientra nella fattispecie di revocazione ordinaria prevista dal n. 4 dell'art. 395 c.p.c., sostanziandosi in un difetto di percezione sull'esistenza ovvero sul contenuto dell'atto, che viene commesso dal giudice ex ante, ossia prima di addivenire a qualsivoglia valutazione sul piano giuridico dei fatti di causa.
In un passaggio della sentenza n. 3 del 2001 dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, il supremo consesso amministrativo ha definito l'errore di fatto revocatorio come un “abbaglio dei sensi” del giudice, dipingendolo efficacemente come il travisamento delle risultanze processuali dovuto a mera svista, tale da condurre l'organo giudicante a ritenere inesistenti circostanze che, per converso, lo siano in modo pacifico, o viceversa.
Il risultato di tale disattenzione si risolve, quindi, nella divergenza tra la realtà processuale, disegnata dagli atti e dai documenti presenti nel fascicolo del giudizio, e ciò che viene espresso, in termini di valutazioni giuridiche, nella sentenza adottata a chiosa del relativo giudizio (Cons. Stato, Ad. Plen., sent. n. 3/1997).
In altre parole, l'errore materiale di cui trattasi riguarda la fase preliminare del giudizio, nella quale il giudice prende cognizione dei fatti oggetto della controversia e, per mera svista o distrazione, non si avvede come dagli atti processuali emerga chiaramente l'esistenza (ovvero l'inesistenza) di una determinata circostanza, della quale occorreva invece tenere conto in quanto rilevante ai fini del decidere.
Per quanto precede, è possibile affermare che l'errore di fatto revocatorio sia configurabile quando ricorrano i presupposti di seguito precisati.
In primo luogo, l'abbaglio deve emergere in modo chiaro dalla sentenza di cui si chiede la revocazione, dovendo derivare dall'errata o dall'omessa percezione del contenuto degli atti processuali da parte del giudice ed essendo tale svista rilevabile, in via immediata e diretta, dalla lettura della decisione stessa, senza che la dimostrazione di tale errore possa essere fornita mediante defatiganti indagini, ricostruzioni esegetiche alternative ovvero mediante la produzione in giudizio di documenti diversi da quelli che, all'epoca in cui è stata redatta la sentenza revocanda, erano presenti nel fascicolo di causa di cui l'organo giudicante ha preso cognizione.
In seconda battuta, la percezione falsata della realtà materiale da parte dell'organo giudicante deve riguardare un aspetto non controverso della vicenda contenziosa. E' evidente, per converso, che laddove il giudice abbia invece preso posizione sull'esistenza (o sull'inesistenza) di un fatto che abbia formato oggetto di contrasto tra le parti nel corso del giudizio, il suo eventuale errore argomentativo non potrebbe rientrare nel novero degli errori di fatto, rilevanti ai fini dell'applicazione del rimedio della revocazione ordinaria di cui trattasi, venendo piuttosto in rilievo un errore di valutazione del fatto conteso e, pertanto, sussumibile nell'autonoma platea degli errores in iudicando.
Da ultimo, l'errore di fatto revocatorio deve assurgere a elemento determinante della decisione impugnata, dovendosi pertanto fornire adeguata dimostrazione sul fatto che, in sua assenza, l'esito del giudizio sarebbe stato diverso (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. III, 10 marzo 2020, n. 1719; Cons. Stato, sez. II, 4 ottobre 2021 n. 6622).
In linea con tali parametri di riferimento, di recente, il Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare come debba essere dichiarato inammissibile l'invocata domanda revocatoria in relazione a errori che non siano rilevabili con assoluta immediatezza, ma che richiedano, per essere apprezzati, lo sviluppo di argomentazioni induttive e/o di indagini ermeneutiche, ovvero errori che non consistano in un vizio di assunzione del fatto (tale da comportare che il giudice non statuisca su quello effettivamente controverso), ma si riducano a errori di criterio nella valutazione del fatto, di modo che la decisione non derivi dall'ignoranza di atti e documenti di causa, ma dall'erronea interpretazione degli stessi (Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 220/2022).
Con la medesima pronuncia, peraltro, i giudici di Palazzo Spada hanno altresì avuto modo di precisare come non sussista alcun vizio revocatorio allorquando venga lamentata un'asserita erronea valutazione delle risultanze processuali ovvero un'anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, posto che tali defezioni, ove sussistenti, vanno ricondotte nella diversa categoria degli errori di giudizio, nonché nel caso in cui una questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita (cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 7189/2018).
L'omessa pronuncia su una domanda di parte o su un motivo di ricorso e ammissibilità della revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c.
Tratteggiati nei termini pocanzi esposti i caratteri essenziali dell'errore revocatorio va evidenziato come la giustizia amministrativa abbia abbracciato un'interpretazione estensiva dell'istituto, ammettendone la configurabilità anche nel caso in cui l'errata percezione riguardi l'inesistenza di una domanda, di un'eccezione di parte ovvero di un motivo di ricorso (Cons. Stato, Ad. Plen., sent. n. 21/2016; id. nn. 5/2014 e 3/1997).
Al riguardo, va anzitutto precisato come l'ipotesi in argomento non possa dirsi essere sussistente nel momento in cui il giudice non si pronunci sull'intera domanda in maniera cosciente e volontaria, facendo ricorso, ad esempio, all'assorbimento dei motivi ovvero ad una espressa ricostruzione logico-giuridica della decisione che escluda la necessità delibare tutte le questioni sottoposte dalle parti (si pensi alla mancata delibazione dell'istanza risarcitoria per danno da provvedimento nell'ipotesi del respingimento della domanda di annullamento del provvedimento ritenuto legittimo, ovvero al superamento delle eccezioni di rito formulate dalle controparti laddove si ritenga il ricorso comunque infondato nel merito).
In tali circostanze, invero, è agevole cogliere come la mancata pronuncia su tutte le istanze provenienti dalle parti non sia il frutto di una svista dell'organo giudicante nell'apprezzamento dei contenuti degli atti processuali, quanto piuttosto il risultato di una precisa scelta di valutazione di quest'ultimo che rende superflua ogni delibazione successiva ai fini della decisione finale.
Per tali ragioni, appare evidente come la contestazione di parte sull'applicazione della tecnica dell'assorbimento dei motivi da parte del giudice non potrà trovare spazio in un ipotetico giudizio di revocazione, atteso che l'eventuale errore commesso dall'organo giudicante riguarderebbe aspetti di diritto, e non di mero fatto, così come invece chiesto per l'ipotesi di errore revocatorio di cui all'art. 395, n. 4 del codice di rito civile.
Tuttavia, nel caso di omessa pronuncia sull'intera domanda formulata dalla parte in sentenza, quantomeno nelle ipotesi in cui questa non derivi da una precisa scelta di carattere processuale enunciata dal giudice stesso nella sua decisione, secondo il Consiglio di Stato sarebbe possibile far rientrare tale fattispecie nell'ambito degli errori revocatori, ammesso che l'omessa pronuncia derivi dall'errata e/o incompleta percezione dell'atto nel quale sono contenute le istanze formulate dalle parti al giudice.
Anche in questo caso, dunque, a venire in rilievo sarebbe un abbaglio dei sensi che, tuttavia, non coinvolgerebbe l'esistenza, o meno, di un fatto rilevante ai fini della decisione, quanto piuttosto la sussistenza, o meno, di una specifica domanda o censura prospetta dalle parti all'organo giudicante (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 3756/2023).
Si tratta, ovviamente, così come sopra anticipato, di una interpretazione estensiva della disposizione di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c. che, invero, prevede che la sentenza revocanda debba essere la conseguenza di un errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti di causa, precisando subito dopo che tale errore ricorra quando la decisione sia fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità sia esclusa, ovvero, per converso, la cui sussistenza sia stata attestata dagli atti, facendo dunque riferimento ai fatti di causa e non alle domande proposte dalle parti al giudice.
Peraltro, non v'è chi non veda come la fattispecie in esame presenti diversi punti in comune con la diversa ipotesi della sentenza adottata in assenza di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (cfr. art. 112 c.p.c.), principio che impone al giudicante, per l'appunto, di pronunciarsi sull'intera domanda di parte e, comunque, entro i limiti della stessa (c.d. divieto di ultra petita).
In merito, anche la giurisprudenza civile, inizialmente scettica sulla possibilità paventata dal supremo consesso amministrativo di ricomprendere, tra i fatti processuali che avrebbero potuto determinare un errore di percezione dell'organo giudicante rilevante ai fini dell'art. 395 c.p.c., ha ormai mostrato consolidati segni di apertura rispetto a tale approccio esegetico.
La Suprema Corte di Cassazione, in particolare, ha avuto modo più volte di precisare, di recente, come sia da ritenersi un errore di fatto revocatorio anche il mancato esame di uno dei motivi di ricorso presentati al giudice di legittimità, purché tale circostanza sia percepibile in via immediata allo stato degli atti e della decisione revocanda (cfr. ex multis Cass. SS.UU., n. 31032/2019).
In conclusione
Alla luce delle precedenti considerazioni, è possibile evidenziare come l'interpretazione giurisprudenziale intesa a ricomprendere nella fattispecie dell'errore revocatorio anche l'omessa pronuncia sulle domande e/o sui motivi di ricorso proposti dalle parti, basandosi sul presupposto fondamentale delineato dalla disposizione di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c., ossia quello della svista o, se si preferisce, dell'errore di percezione nell'apprezzamento del contenuto degli atti processuali, abbia avuto l'innegabile pregio di ampliare le facoltà difensive delle parti avverso le decisioni giurisdizionali.
Del resto, non può essere sottaciuto, con particolare riferimento al processo amministrativo, che vede concludersi i suoi gradi di giudizio davanti al Consiglio di Stato, eccezion fatta per le sole questioni riferibili alla giurisdizione che sono prospettabili davanti alla Corte di Cassazione, come l'aver attratto nella sfera dell'errore revocatorio l'omessa pronuncia su domande, censure e/o eccezioni formulate dalle parti, sussistendo i presupposti sopra evidenziati, abbia consentito di reinvestire il medesimo Consiglio di Stato della decisione revocanda sia sul piano rescindente che su quello rescissorio, in caso di fondatezza dell'impugnazione di parte. Viceversa, ove la difformità tra i contenuti della decisione e le domande / censure di parte fosse stata semplicemente ricondotta nell'alveo della discrasia tra chiesto e pronunciato, ai sensi dell'art. 112 c.p.c., senza dare risalto all'effettiva consistenza dell'errore commesso dal giudice (fattuale o giuridico), ciò avrebbe determinato una significativa erosione degli strumenti posti al servizio dell'effettività della tutela dei consociati, che non avrebbero avuto nessun altro rimedio processuale cui poter trarre appiglio, attesa l'inammissibilità del ricorso in Cassazione per errores in iudicando e/o in procedendo del giudice amministrativo di secondo grado, rientrando questi nell'ambito del cattivo esercizio del potere giurisdizionale affidatogli dalla Costituzione, e non venendo in rilievo un'ipotesi di sconfinamento ab externo della giurisdizione speciale amministrativa, aspetto, quest'ultimo, che è l'unico conoscibile dal giudice di legittimità avuto riguardo alle decisioni adottate dal Consiglio di Stato.
Guida all'approfondimento (opzionale)
N. PICARDI, Manuale del processo civile, III edizione, Giuffrè, Milano, 2013.
M. RUSSO, Errore di fatto revocatorio, in Giur.it, 2018.
A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, XIII edizione, Giappichelli, Torino, 2019.
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Sommario
L'errore di fatto revocatorio: tratti distintivi dell'istituto
L'omessa pronuncia su una domanda di parte o su un motivo di ricorso e ammissibilità della revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c.