Amministrazione di sostegno e partecipazioni societarie, tra atti di ordinaria e straordinaria gestione
04 Luglio 2023
Massima
In tema di attività di impresa il criterio per distinguere gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione non può essere quello del carattere conservativo, o no, dell'atto posto in essere - criterio valido, invece, per l'amministrazione del patrimonio degli incapaci - in quanto l'attività imprenditoriale presuppone necessariamente il compimento di atti di disposizione di beni: con la conseguenza che la distinzione va fondata, per contro, sulla relazione in cui l'atto si pone con la gestione normale del tipo di impresa di cui si tratta e con le dimensioni dell'impresa stessa. Ne deriva che solo gli atti che modifichino la struttura economico - organizzativa sono da considerarsi di straordinaria amministrazione. Il caso
A seguito di ricorso promosso dai figli, il Giudice Tutelare presso il Tribunale di Milano – previo espletamento di Consulenza Tecnica d'Ufficio – apriva l'amministrazione di sostegno del padre; in particolare, questi (titolare della partecipazione maggioritaria in una s.r.l. e presidente del consiglio di amministrazione della medesima) risultava affetto da un deficit di per sé di media portata, ma che nell'ambito di uno scenario complesso – quale può essere tipicamente quello imprenditoriale – avrebbe rischiato di compromettere la funzionalità dell'impresa. Per questa ragione il G.T., preso atto anche dell'elevata conflittualità in seno al contesto familiare, nominava A.d.S. un professionista esterno stabilendo che questi dovesse provvedere – in sostituzione del beneficiario – all'amministrazione ordinaria e straordinaria della società, e che l'amministrato avrebbe conservato la piena autonomia nella gestione dei restanti affari. Successivamente il decreto di nomina veniva integrato al fine di precisare che l'A.d.S. potesse disporre del diritto di voto al fine di modificare la compagine del consiglio di amministrazione e di stabilire i compensi dei suoi componenti. Avverso il decreto di nomina veniva proposto reclamo dai figli al fine di ottenere la sostituzione dell'A.d.S. (suggerendo altro professionista) e di meglio delineare i suoi poteri nella struttura societaria: tuttavia, il Tribunale respingeva il gravame. Nel frattempo, veniva dai medesimi anche chiesta modifica del decreto di nomina al fine di ampliarlo attribuendo all'A.d.S. il potere di amministrazione pure per le attività extra societarie. Avverso il decreto di nomina veniva proposto reclamo anche dall'Amministrato al fine di ottenere la revoca dell'Amministrazione o, in subordine, la sua circoscrizione all'attività ordinaria, adducendo – inter alia – che le di lui patologie non fossero incompatibili con lo svolgimento dell'attività all'interno della s.r.l.; il medesimo si opponeva, inoltre, all'istanza proposta dai figli di ampliamento del ruolo dell'A.d.S. anche alla sfera patrimoniale privata. In tutti i citati procedimenti si costituivano i figli, l'Amministrato e l'A.d.S. cosicchè la Corte d'Appello disponeva la riunione degli stessi stante la loro chiara connessione. Le questioni
La vertenza all'esame della Corte d'Appello ruota intorno all'interferenza tra il ruolo ed i poteri dell'Amministratore di sostegno e l'attività d'impresa ascrivibile al beneficiario: le problematiche nascono presumibilmente dal fatto che la normativa regolatrice dell'Amministrazione di sostegno pare essere ideata per far fronte ad una gestione “statica” del patrimonio, in seno alla quale l'A.d.S. si divide – secondo consolidata prassi dei nostri Giudici Tutelari – tra atti che questi può compiere autonomamente ed atti che, invece, richiedono la previa autorizzazione dell'Autorità Giudiziaria. L'attività imprenditoriale è, invece, caratterizzata da un'elevata dinamicità imposta dalle esigenze aziendali cosicchè il tradizionale modus operandi dell'A.d.S. necessità di essere alle stesse adattato. Posta questa premessa, dall'esame della vertenza in commento derivano due principali quesiti. Il primo quesito è il seguente: l'A.d.S. può esercitare un'attività d'impresa? Ed in caso affermativo, in base a quale regime autorizzativo? Il secondo quesito è il seguente: nell'ambito dell'attività d'impresa come si pone la demarcazione tra ordinaria e straordinaria amministrazione sulla quale è tradizionalmente imperniata la volontaria giurisdizione? Le soluzioni giuridiche
Sul primo argomento, occorre segnalare il differente trattamento stabilito dal legislatore tra l'Amministrazione di sostegno e le altre forme di limitazione di capacità d'agire in relazione allo svolgimento dell'attività imprenditoriale. Infatti, l'autorizzazione giudiziale all'esercizio dell'impresa è, seppur con differenti tecnicalità, prevista: per il minore soggetto a responsabilità genitoriale (art. 320, comma 5, c.c. ai sensi del quale «l'esercizio di una impresa commerciale non può essere continuato se non con l'autorizzazione del giudice tutelare»); per il minore soggetto a tutela (art. 371, comma 2, c.c. ai sensi del quale «nel caso in cui il giudice stimi evidentemente utile per il minore la continuazione dell'esercizio dell'impresa, il tutore deve domandare l'autorizzazione del tribunale»); per il minore emancipato (art. 397, comma 1, c.c. ai sensi del quale «il minore emancipato può esercitare un'impresa commerciale senza l'assistenza del curatore se è autorizzato dal giudice tutelare, sentito il curatore»); per l'inabilitato (art. 425, comma 1, c.c. ai sensi del quale «l'inabilitato può continuare l'esercizio dell'impresa commerciale soltanto se autorizzato dal giudice tutelare»; per gli interdetti (stante l'art. 424 c.c. che richiama le norme valevoli per i minori soggetti a tutela). Per queste categorie, in estrema sintesi, l'esercizio dell'impresa è possibile ed è visto dal legislatore in un'ottica “unificata” nel senso che l'autorità giudiziaria valuta a monte l'opportunità della complessiva attività e non a valle i singoli atti che ne costituiscono l'attuazione. Nulla, invece, dice la legge in tema di esercizio dell'attività imprenditoriale da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno cosicchè occorre chiedersi quali conseguenze interpretative scaturiscano da tale omissione. Dell'argomento si è occupata autorevolissima dottrina (A. Jannuzzi, La volontaria giurisdizione, Milano, Giuffrè, 2006, 259) che ha tratto le seguenti conclusioni: a) essendo l'amministratore un soggetto parzialmente capace, stante la previsione di cui all'art. 409 c.c. a sensi del quale «il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno», questi potrà liberamente continuare l'attività d'impresa già esistente (mentre a detta dell'Autore non potrebbe iniziarla ex novo); b) se il decreto di nomina nulla dispone, l'amministrato potrà esercitare personalmente l'attività; c) se il decreto di nomina prevede, invece, che l'esercizio debba avvenire con la rappresentanza o l'assistenza dell'amministratore, l'amministrato non potrà esercitare personalmente l'attività; d) in tal ultimo caso occorrerà la preventiva autorizzazione da parte però del Tribunale, e non del Giudice Tutelare, per applicazione analogica dell'art. 371, ultimo comma, c.c. (conforme, G.T. Roma, 7 gennaio 2005; si noti che il citato articolo è rimasto inalterato a seguito della riforma della volontaria giurisdizione operata dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 caratterizzato dallo “spostamento” della funzione collegiale del Tribunale a quella monocratica del Giudice Tutelare). Sull'argomento la sentenza in commento non ha dubbi sul fatto che il beneficiario di amministrazione di sostegno possa svolgere attività d'impresa (nel caso di specie mantenendo la sua qualità di Amministratore e socio di maggioranza di s.r.l.): del resto già il G.T. aveva statuito che l'A.d.S. dovesse «provvedere alla gestione in nome per conto del beneficiario della Go.Fra.De SRL svolgendo ogni attività necessaria alla gestione degli affari ordinari e straordinari dando seguito a tutti gli adempimenti connessi all'attività societaria alla sua gestione ordinaria straordinaria quale rappresentante del beneficiario», mentre ora – per le ragioni delle quali si darà conto infra – il potere dell'A.d.S. sarà circoscritto ai soli affari straordinari. Nulla, poi, è stato eccepito dalle parti né rilevato dal Collegio giudicante sulla competenza autorizzativa esercitata dal G.T. Sul secondo argomento, occorre premettere che in tema di volontaria giurisdizione è sovente la bipartizione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, si pensi ad esempio agli articoli: 320 c.c. (in tema di minore soggetto a responsabilità genitoriale); 374 n. 2) c.c. (in tema di assunzione di obbligazioni da parte del tutore del minore); 394 c.c. (in tema di minore emancipato); 397, comma 3, c.c. (in tema di minore oltre che emancipato anche autorizzato all'esercizio dell'impresa); 427, comma 1, c.c. (in tema di interdetto o inabilitato). Sull'argomento prevale l'idea che la distinzione tra le due categorie poggi essenzialmente sulla natura conservativa della consistenza patrimoniale, tipica dell'ordinarietà, ovvero modificativa della medesima, insita nell'agire straordinario (Cass., Sez. II,5 aprile 2022, n. 10930; Cass., Sez. III,27 marzo 2019, n. 8461; Cass., Sez. II,19 gennaio 2012, n. 743; Cass., Sez. II, 15 novembre 2004, n. 21614). La tradizionale linea di demarcazione tra ordinaria e straordinaria amministrazione merita, però, di essere rimeditata ove l'attività gestoria riguardi l'attività di impresa: non pare, infatti, logico applicare gli stessi parametri per vagliare l'opportunità di un'operazione da compiersi da parte di un incapace, la cui valutazione non può che essere improntata a criteri prudenziali, rispetto ad un'operazione posta in essere da una società, che è caratterizzata dallo spirito lucrativo. È, infatti, evidente che ad esempio l'alienazione di un immobile per un incapace è atto del tutto eccezionale, mentre per un'impresa costruttrice è routinario. Al riguardo, la giurisprudenza ha affermato da un lato che la valutazione dell'attività deve essere considerata in relazione alla tipologia ed alla dimensione dell'impresa, ma soprattutto che solamente gli atti che ne possano modificare la struttura economico organizzativa siano reputabili di straordinaria amministrazione (Cass. civ., sez. I,5 dicembre 2011, n. 25952; Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2006, n. 4415; Cass. civ., sez. I, 18 ottobre 1997, n. 10229; Cass. civ., sez. I, 4 maggio 1995, n. 4856; Cass. civ., sez. II, 9 novembre 1994, n. 9296). Sull'argomento la sentenza in commento ha riaffermato il suddetto principio – così accogliendo parzialmente l'istanza del beneficiario – di modo che l'Amministrazione vada «circoscritta alla attività di straordinaria amministrazione della società, non ravvisandosi ragioni che escludano in capo al beneficiario la capacità di autodeterminarsi». Questo passaggio si collega, peraltro, con due principi ispiratori dell'Amministrazione di Sostegno: il primo è la assenza di “penalizzazione” come emerge dall'art. 1 della l. 9 gennaio 2004, n. 6, che mira a «tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana» (in tal senso: Cons. Stato, sez. VI, 2 novembre 2022, n. 9541; Cass. civ., sez. I, 31 dicembre 2020, n. 29981; Cass. civ., sez. I, 1 marzo 2010, n. 4866); il secondo è il rispetto delle volontà del beneficiario (Cass. civ., sez. I,4 novembre 2022, n. 32542; Cass. civ., sez. I, 11 luglio 2022, n. 21887; Cass. civ., sez. I, 31 marzo 2022, n. 10483). Osservazioni
La pronuncia in commento presenta profili di interesse dato che lambisce un tema poco esplorato a livello giurisprudenziale costituito dal delicato punto di equilibrio tra la libertà imprenditoriale dell'amministrato di sostegno e l'esigenza protettiva dei di lui interessi patrimoniali. Tralasciando in questa sede l'antica questione tra continuazione di attività imprenditoriale già esistente ed esercizio ex novo della stessa, fondata sull'espresso riconoscimento normativo della prima (artt. 320, ult. comma c.c.; 371, ult. comma. c.c.; 425 c.c.) e non della seconda, resta la considerazione empirica – come nel caso in commento – per cui l'impresa ben poteva essere esercitata dal beneficiario prima dell'apertura dell'amministrazione. Ecco che un ruolo decisivo è svolto dal G.T. il quale, con indubitabile sforzo interpretativo, dovrà plasmare il provvedimento di nomina alle caratteristiche del patrimonio dell'amministrando onde tutelarne la consistenza, attuale e potenziale. Non si tratta – ovviamente – di un compito semplice, poiché un conto è prospettare la gestione di entità statiche un conto predeterminare la gestione di un complesso di beni in perenne evoluzione prospettica: ma la sfida è insista nello schema dell'amministrazione di sostegno che è permeata dal superamento delle classiche misure afflittive, dell'interdizione e dell'inabilitazione, a favore di uno strumento da costruire di volta in volta. La lacuna normativa della quale si è già dato conto, allora, diventa – a parere di chi scrive – il fisiologico presupposto alimentante un diverso schema operativo nel quale la soluzione delle criticità non può essere salvificamente invocata in un appiglio esterno, ma deve essere costruita dagli operatori sul campo. |