Competizioni sportive internazionali femminili: è discriminatoria l'esclusione dell'atleta che rifiuta i trattamenti ormonali e senza le garanzie procedurali

La Redazione
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14 Luglio 2023

Con sentenza dell'11 luglio 2023 (ricorso n. 10934/21), la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato la Svizzera per aver violato i diritti di un atleta internazionale nel procedimento intentato contro di lei dalle autorità sportive internazionali che le avevano imposto di diminuire il livello di ormoni maschili per poter partecipare a determinate gare. Secondo i giudici di Strasburgo, la ricorrente non ha beneficiato nella Confederazione di sufficienti garanzie istituzionali e procedurali che le avrebbero consentito di far valere adeguatamente le sue contestazioni; pertanto, la Svizzera ha superato il limitato margine di apprezzamento di cui godeva nel caso di specie avendo violato l'art. 14 (divieto di discriminazione), in combinato disposto con l'articolo 8 (diritto alla privacy), l'art. 13 (diritto a un ricorso effettivo) in relazione all'art. 14, in combinato disposto con l'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Il caso in esame riguarda un atleta internazionale che ha lamentato le disposizioni del regolamento dell'International Association of Athletics Federations (ora World Athletics) che le imponeva di ridurre il suo livello naturale di testosterone mediante trattamenti ormonali per poter partecipare a gare internazionali nella categoria femminile. Rifiutandosi di sottoporsi a tale trattamento, la ricorrente non ha potuto partecipare alle competizioni internazionali e i suoi ricorsi contro il suddetto regolamento sono stati respinti dal Tribunale arbitrale sportivo ("TAS") e dal Tribunale federale.

Più nello specifico, dopo la sua vittoria negli 800 metri ai Campionati mondiali femminili di Berlino nel 2009, la IAAF ha informato la ricorrente che avrebbe dovuto abbassare i suoi livelli di testosterone al di sotto di una certa soglia se avesse voluto gareggiare nelle sue distanze preferite nelle future competizioni internazionali di atletica. Nonostante i gravi effetti collaterali del trattamento ormonale, la ricorrente ha vinto la gara degli 800 metri femminili ai Campionati mondiali di Daegu (2011) e ai Giochi olimpici di Londra (2012). Poi, a seguito di un lodo provvisorio in un caso del 24 luglio 2015 in cui il Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS) aveva temporaneamente sospeso il regolamento IAAF allora in vigore, la ricorrente ha deciso di interrompere il trattamento ormonale.

Nell'aprile 2018, la IAAF ha pubblicato un nuovo regolamento intitolato "Regulations Governing Qualification in the Women's Category (for Athletes with Differences in Sex Development)" (DSD Regulations). La ricorrente, che non contestava di essere una "atleta affetta" ai sensi di tali regolamenti, si è rifiutata di rispettarli in quanto, a suo avviso, le imponevano di sottoporsi a un trattamento ormonale con effetti collaterali ancora sconosciuti, al fine di poter partecipare a una competizione internazionale nella categoria femminile. Così, nel giugno 2018 l'atleta ha contestato la validità di tale regolamento (CAS/2018/O/5794) davanti al TAS di Losanna.

Nel corso del procedimento, la IAAF ha modificato l'elenco delle differenze nello sviluppo sessuale ("DSD") coperte dai regolamenti DSD, in modo tale che questi ultimi si potessero attualmente applicare solo agli atleti con DSD "46 XY DSD", cioè persone con cromosomi XY e non XX. In altre parole, le persone con cromosomi XX che hanno livelli più elevati di testosterone non sono incluse nel citato regolamento.

In seguito, il TAS ha respinto la richiesta di arbitrato della ricorrente, stabilendo che il regolamento DSD fosse discriminatorio, ma che comunque si trattava di un mezzo necessario, ragionevole e proporzionato per raggiungere gli obiettivi perseguiti dalla IAAF, ossia garantire una concorrenza leale.

Alla luce di tali affermazioni, nel maggio 2019, la ricorrente ha presentato un ricorso al Tribunale federale svizzero, sostenendo, tra l'altro, la discriminazione sulla base del sesso rispetto agli atleti maschi e femmine senza DSD, nonché la violazione della dignità umana e dei diritti della personalità. In risposta, la Corte federale ha respinto il ricorso della ricorrente, stabilendo che il regolamento della IAAF costituiva una misura appropriata, necessaria e proporzionata ai legittimi obiettivi di correttezza sportiva e di mantenimento della "classe protetta". A questo proposito, ha ricordato che la portata del suo potere di revisione in materia di arbitrato internazionale è limitata alla questione se il lodo impugnato fosse contrario all'ordine pubblico, confermandone la fondatezza.

Nel ricorso presentato alla Corte EDU, i giudici si sono soffermati sulla valutazione del controllo effettuato dal TAS e dal Tribunale federale per comprendere se abbia soddisfatto i requisiti della Convenzione nel caso di specie.

In particolare, la Corte EDU ritiene che la ricorrente non abbia beneficiato in Svizzera di sufficienti garanzie istituzionali e procedurali che le avrebbero consentito di portare avanti efficacemente le sue denunce, soprattutto perché erano ben circostanziate e passabili di discriminazione subita a causa di un elevato livello di testosterone causato da differenze dello sviluppo del sesso ("DSD").

Di conseguenza, e in particolare in considerazione del significativo interesse personale in gioco per la ricorrente, ossia la sua partecipazione a gare di atletica a livello internazionale e quindi l'esercizio della sua professione, la Svizzera ha superato il limitato margine di apprezzamento di cui godeva nel caso di specie, che riguardava una discriminazione basata sul sesso e sulle caratteristiche sessuali, che non può essere giustificata solo che da "considerazioni molto forti".

L'importanza del caso per la ricorrente e il limitato margine di apprezzamento dello Stato convenuto avrebbero dovuto portare a un approfondito esame istituzionale e procedurale, di cui la ricorrente non ha beneficiato nel caso di specie.

La Corte conclude inoltre che le vie di ricorso interne a disposizione del ricorrente non possono essere considerate efficaci nel caso di specie.