Assegno di mantenimento dei figli maggiorenni e ripetizione delle somme versate
17 Luglio 2023
Massima
In ogni ipotesi di riduzione del contributo al mantenimento del figlio a carico del genitore, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti provvisori adottati, è esclusa la ripetibilità della prestazione economica eseguita; il diritto di ritenere quanto è stato pagato non opera nell'ipotesi in cui sia accertata la non sussistenza, quanto al figlio maggiorenne, ab origine dei presupposti per il versamento e sia disposta la riduzione o la revoca del contributo, con decorrenza comunque sempre dalla domanda di revisione o, motivatamente, da periodo successivo. Il caso
La vicenda trae origine dalla sentenza con cui la Corte di Appello di Venezia ha respinto la richiesta di restituzione di quanto versato, da parte del genitore non collocatario, a titolo di mantenimento, ed avanzata nel giudizio di modifica dei provvedimenti concernenti le disposizioni relative alla misura e modalità del contributo. In particolare, tale Corte, da un lato ha confermato l'obbligo di provvedere al predetto mantenimento fino alla data di presentazione della domanda (poi accolta) con cui, in diverso procedimento, si chiedeva (in ragione del raggiungimento della maggiore età della figlia nata al di fuori del matrimonio e del trasferimento presso il genitore obbligato) l'accertamento della sopravvenuta non debenza delle relative somme; e, dall'altro lato, ha conseguentemente dichiarato la cessazione della materia del contendere in relazione al periodo successivo, essendo venuto meno il presupposto della domanda principale di revoca o modifica dell'assegno. La questione
La fondamentale e vera questione risolta dalla pronuncia annotata può così riassumersi: possono essere restituite le somme versate a titolo di mantenimento dei figli nel caso in cui sia accertato (anche in un procedimento diverso rispetto a quello di revoca o modifica delle condizioni di mantenimento) il venir meno, per fatti sopravvenuti, dei presupposti per il diritto all'assegno? Per rispondere alla domanda, occorre tuttavia porsi – seppure incidentalmente e unitariamente – alcuni ulteriori e preliminari quesiti: che natura ha l'assegno di mantenimento? Come si atteggia, in questo ambito, la solidarietà post-familiare? E che significato assume, ai fini della ripetibilità delle somme, l'entità (modesta o rilevante) del contributo versato? Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione prende le mosse dalla natura sostanzialmente alimentare e dalla relativa irripetibilità delle prestazioni in materia di mantenimento dei figli. A tal fine, dopo aver rammentato i bisogni che l'assegno è diretto a soddisfare, ed aver ripercorso la distinzione tra spese ordinarie e straordinarie, si incentra sui presupposti su cui si fonda l'esclusione del diritto al mantenimento dei figli maggiorenni e non autosufficienti economicamente. In via generale, come noto, l'apparato normativo prevede che ciascun genitore debba provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito (art. 337-ter, comma 4, c.c.) e che “ove necessario” – vale a dire in mancanza di accordo tra le parti e quando uno dei genitori non provveda in via diretta (C.M. Bianca, Diritto civile. La famiglia, Milano, 2017, p. 233) – venga giudizialmente stabilita la corresponsione di un assegno, volto a «garantire al figlio il soddisfacimento del medesimo tenore di vita goduto prima della crisi familiare» (Cass. civ., sez. I, 26 aprile 2023, n. 10974). L'ammontare dell'assegno, peraltro, si riferisce ai bisogni ordinari e non ricomprende le spese straordinarie, rispetto alle quali, a ben vedere, si opera una ulteriore distinzione. Il riferimento è, anzitutto, alle «spese straordinarie routinarie» quali componenti variabili che, pur non quantificate in sede di determinazione dell'assegno di mantenimento, sono «certe nel loro ordinario e prevedibile ripetersi» (Cass. civ., sez. I, 19 novembre 2021, n.35710), e che quindi possono essere azionate in forza del titolo originario, integrato dalla documentazione esplicativa delle spese (Cass. civ., sez. I, 15 febbraio 2021, n.3835): una mera operazione aritmetica consentirà infatti di preservare nel titolo stesso i caratteri della certezza, liquidità ed esigibilità (Cass. civ., sez. I, 13 gennaio 2021, n.379). Su di un diverso piano si pongono, poi, le «spese straordinarie imponderabili» che, caratterizzate dalla imprevedibilità e rilevanza nel loro ammontare (Cass. civ. sez. I, 19 novembre 2021, n.35710), giammai potrebbero essere azionate in ragione del provvedimento originario, essendo, piuttosto, necessaria la formazione di un nuovo ed autonomo titolo (Cass. civ., sez. I, 15 febbraio 2021, n.3835): si specifica, del resto, come l'inclusione, in via forfettaria, di tali ultime spese nell'ammontare dell'assegno si paleserebbe in netto contrasto con il principio di proporzionalità e con quello dell'adeguatezza del mantenimento (Cass. civ., sez. I, 08 giugno 2012, n.9372). La fattispecie esaminata coinvolge però un figlio maggiorenne, il cui diritto al mantenimento permane fino al raggiungimento dell'indipendenza economica (art. 337-septies c.c.) ovvero al mancato conseguimento della stessa imputabile a sua colpa, vale a dire ad inerzia o ad un ingiustificato atteggiamento (M.S. Esposito, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, tra aspirazioni personali e colpevole inerzia, in Fam. dir., 2/2017). Ecco che nella decisione in commento – sulla base del rilievo per cui il genitore che corrispondeva un assegno al minore deve continuare a versarlo anche per il periodo successivo al raggiungimento della maggiore età – si tracciano, seppur brevemente, i confini che delimitano le diverse ipotesi e si indicano i presupposti su cui si fonda l'esclusione del diritto al mantenimento. I principi sono evidentemente risalenti e sono richiamati nei più diversi contesti; così anche di recente si è affermato come ai fini del riconoscimento dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, occorra adeguatamente valutare «caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all'età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo» in quanto il medesimo «non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura» (Cass. civ., sez. I, 31 marzo 2022, n.10450). Allo stato, le moderne esigenze di vita portano a sostenere che «il figlio divenuto maggiorenne non ha un diritto perenne al mantenimento da parte del genitore divorziato (o separato)» (Trib. Campobasso, 27.04.2023); sicché, nel giudizio penetrano non solo i dati anagrafici (peraltro destinati «a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all'età progressivamente più elevata dell'avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento»: Cass. civ., sez. I, 26 aprile 2023, n. 10974), ma soprattutto – con alcuni inevitabili limiti – le aspirazioni e inclinazioni personali, il perseguimento di progetti educativi e di percorsi di formazione. La misura si rinviene nell'adoperarsi effettivamente per raggiungere l'autonomia economica e nell'impegnarsi attivamente per trovare una occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro; l'esigenza a una vita dignitosa non potrebbe infatti realizzarsi mediante la mera attuazione, per sempre, dell'obbligo di mantenimento del genitore (Cass. civ., sez. I, 07 ottobre 2022, n.29264), onde l'ulteriore barriera – per taluni vero ostacolo emotivo o culturale e per altri mera occasione di adagio per procrastinare in uno stile di vita volutamente inconcludente e sregolato – che deve essere superata è il ridimensionando delle proprie aspirazioni, «senza indugiare nell'attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni» (Cass. civ., sez. I, 03 dicembre 2021, n.38366). La lettura del fenomeno porta a limitare «parassitarie “rendite di posizione” da parte di figli ormai adulti» e correlativamente ad «incentivare la diffusione di modelli educativi improntati all'autonomia, distanti dall'equivalenza tra il percorso di studi e un'attività lavorativa perfettamente modellata sul primo» (C. Murgo, Il mantenimento del figlio maggiorenne, tra solidarietà familiare e autoresponsabilità, in NGCC, 6/2022). Si comprende pertanto perché parte della giurisprudenza, con articolata motivazione (F. Danovi, Obbligo di mantenimento del maggiorenne, autoresponsabilità e vicinanza della prova: si inverte l'onus probandi?, in Fam. dir. 11/2020), abbia ritenuto che raggiunta la maggiore età, si presume l'idoneità al reddito del figlio (B. Toti, Oltre una certa età un figlio è ormai un adulto. Recenti orientamenti sul mantenimento del figlio maggiorenne, in Le nuove leggi civ. comm., 2/2019); cosicché quest'ultimo sarebbe onerato della prova degli elementi che integrano il diritto al mantenimento ulteriore e segnatamente «di avere curato, con ogni possibile, impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro» (Cass. civ., sez. I, 14 agosto 2020, n.17183; B. Agostinelli, Il mantenimento dei figli maggiorenni e la nuova declinazione dell'autoresponsabilità, in Giur.it., 12/2021; S. Vanini, Il mantenimento del figlio maggiorenne nel più ampio contesto del rapporto genitori e figli. Note a margine di un recente orientamento giurisprudenziale, in Studium Iuris, 7-8/2021; M. D'Auria, Sui limiti al mantenimento del figlio maggiorenne economicamente non indipendente, in Giur.it., 4/2021). In senso diverso – segno costante, nella varia e non sovrapponibile casistica, della diversità di vedute del fenomeno – si è, però, espressa altra giurisprudenza. La complessità del fenomeno sembrerebbe invero declinarsi proprio nel modo in cui si vuole far atteggiare l'onere della prova: del medesimo, si legge con costanza (Cass. civ., sez. I, 16 febbraio 2001, n.2289; Cass. civ., sez. I, 21 maggio 2009, n.11828; Cass. civ., sez. III, 16 giugno 2011, n.13184), è gravato il genitore che si oppone alla domanda di mantenimento, e si sostanzia nella dimostrazione di un «effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica del figlio» e del suo mancato «impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro» (Cass. civ., sez. I, 03 dicembre 2021, n.38366). Così impostato il discorso, e riaffermato l'onere della prova in capo al genitore obbligato, la decisione si sofferma sul profilo temporale e quindi sulla decorrenza degli effetti della decisione che stabilisce la modifica o revoca dell'obbligo di contribuzione. Seguendo una consolidata ed insuperata impostazione (Cass. civ., sez. VI, 30 luglio 2015, n. 16173; Cass. civ., sez. I, 12 marzo 2012, n.3922; Cass. civ., sez. I, 22 maggio 2009, n. 11913; Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2008, n. 19722; Cass. civ., sez. I, 04 aprile 2005, n. 6975; Cass. civ., sez. I, 16 giugno 2000, n. 8235) si affronta il tema della efficacia, fino al tempo della revisione, del provvedimento relativo all'assegno. Più precisamente, si spiega come la decisione non possa avere decorrenza dal momento dell'accadimento innovativo, anteriore nel tempo rispetto alla data della domanda di modificazione, in quanto la pronuncia relativa al contributo «non ha effetti costitutivi, bensì meramente dichiarativi di un obbligo che è direttamente connesso allo status genitoriale» (Cass. civ., sez. I, 17.02.2021, n. 4224); ne deriva che il diritto alla corresponsione «sussiste finché non intervenga la modifica di tale provvedimento, sicché rimane ininfluente il momento in cui sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell'obbligo, decorrendo gli effetti della decisione di revisione sempre dalla data della domanda di modificazione» (Cass. civ., sez. I, 17.02.2021, n. 4224). Tali considerazioni, nell'iter argomentativo della Corte di Cassazione, sono suffragate dall'autorevole richiamo ad una recente pronuncia delle Sezioni Unite dettata in materia di ripetizione delle somme versate all'altro coniuge a titolo di mantenimento, laddove si accerti l'insussistenza ab origine dei presupposti per il percepimento dell'assegno stesso (Cass. civ., sez. un., 08.11.2022, n.32914). È lì che emerge – unitariamente – l'importanza del principio di solidarietà post familiare e della necessaria natura alimentare del contributo, legata al valore degli importi corrisposti; ed ancora, è quello il terreno su cui sono state edificate le costruzioni categoriali che hanno condotto – anche nel differente ambito familiare oggi indagato – a sostenere che «il diritto di ritenere quanto è stato pagato non opera nell'ipotesi in cui sia accertata la non sussistenza, quanto al figlio maggiorenne, ab origine dei presupposti per il versamento» (Cass. civ., sez. I, 26.04.2023, n. 10974). Il «ritenuto carattere propriamente alimentare dell'assegno» (o, «di natura sostanzialmente alimentare» ovvero la «funzione normalmente “anche” alimentare»), in particolare, conduce alla irripetibilità (individuata in via interpretativa) della prestazione sempreché le somme corrisposte non superino il limite delle necessità assistenziali e di mantenimento del soggetto richiedente: la non elevata entità del contributo fa così presumere che le maggiori somme versate medio tempore siano state comunque consumate per fini di sostentamento dall'altra parte (Cass. civ., sez. un., 08 novembre 2022, n.32914). Peraltro, nella ricostruzione delle Sezioni Unite – di cui, stante la sistematica ricostruzione proposta e l'ampia posizione che occupa nella motivazione della ordinanza in esame, vale la pena riportare i principali snodi argomentativi – si evidenzia chiaramente come nell'ordinamento non si rinvenga una disposizione che sancisca la irripetibilità dell'assegno propriamente alimentare provvisoriamente disposto a favore dell'alimentando. In tale ottica, lungi dallo stabilirsi una «regola di “automatica irripetibilità” delle prestazioni rese in esecuzione di obblighi di mantenimento», ciò che si richiede è un necessario bilanciamento tra «l'esigenza … di legalità e prevedibilità delle decisioni e l'esigenza, di stampo solidaristico, di tutela del soggetto che sia stato riconosciuto parte debole nel rapporto» (Cass. civ., sez. un., 08 novembre 2022, n.32914). Invero, a rigore, non potrebbe negarsi «l'efficacia caducatoria e ripristinatoria dello status quo ante e dunque sostitutiva della sentenza impugnata propria della sentenza emessa in esito al successivo grado di giudizio, sulla base del semplice riferimento alla disciplina dettata per gli alimenti in senso proprio» (Cass. civ., sez. un., 08 novembre 2022, n.32914); infatti, seguendo tale linea interpretativa, non si tratterebbe di sancire l'obbligo di restituzione di quanto percepito a titolo strettamente alimentare, ma di restituire – in tutto o in parte – somme di denaro versate sulla base di un supposto ed inesistente diritto al mantenimento. Eppure, sulla base nei principi costituzionali di solidarietà umana (art. 2 Cost.) e familiare in senso ampio (art. 29 Cost.), un «temperamento al principio di piena ripetibilità» si impone necessariamente; esso viene allora individuato – nel quadro di un'interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata dell'art. 2033 c.c. – nelle “ragioni equitative” di matrice giurisprudenziale, ma ciò «solo nella misura in cui si esoneri il soggetto beneficiario, dal restituire quanto percepito provvisoriamente anche “per finalità alimentare”» e quindi «sul presupposto che le somme versate in base al titolo provvisorio siano state verosimilmente consumate per far fronte proprio alle essenziali necessità della vita» (Cass. civ., sez. un., 08 novembre 2022, n.32914). Ebbene, punto focale è compendiato da un lato nel rilievo per cui «ove con la sentenza venga escluso in radice e “ab origine” (non per fatti sopravvenuti) il presupposto del diritto al mantenimento … non vi sono ragioni per escludere l'obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite, ai sensi dell'art. 2033 c.c. (con conseguente piena ripetibilità)»; e dall'altro nell'esclusione del diritto di ripetere le maggiori somme versate, tanto ove si proceda, sotto il profilo dell'an debeatur (al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell'assegno), ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, delle sole condizioni economiche del soggetto obbligato alla prestazione, quanto nel caso in cui l'assegno venga rimodulato al ribasso. Ovviamente, come anticipato, la irripetibilità è legata ad un assegno il cui valore «non superi la misura che garantisca al soggetto debole di far fronte alle normali esigenze di vita della persona media», onde «la somma di denaro possa ragionevolmente e verosimilmente ritenersi pressoché tutta consumata, nel periodo per il quale è stata prevista la sua corresponsione» (Cass. civ., sez. un., 08 novembre 2022, n.32914): il giudizio sulla entità, necessariamente modesta, della somma di denaro è, comunque, inevitabilmente relativo e non può essere determinato in maniera fissa ed astratta, dovendo, come è nella natura delle cose, essere ancorato a tutte le variabili del caso concreto. Tali considerazioni si impongono non solo in virtù della tutela della solidarietà post familiare (che permea tutta la disciplina del diritto di famiglia) ma anche in ragione di quelle regole di esperienza pratica secondo cui si presume che il denaro, nell'ambito di cifre di modesta entità, percepito in funzione del necessario sostentamento degli altri soggetti beneficiari, sia stato speso a quel fine, con conseguente esclusione di ogni, inutile, azione di ripetizione. La decisione annotata, in definitiva, estende ad un diverso ambito, quale è quello della rimodulazione al ribasso (o della non debenza) dell'assegno di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti, principi dettati specificamente con riguardo ai rapporti tra coniugi e da tempo sparsi nella giurisprudenza di legittimità; allo stato racchiusi e richiamati nell'importante arresto della Corte di Cassazione nella sua più autorevole composizione, trovano dunque in chiave sistematica un ulteriore e significativo riferimento giurisprudenziale (per ulteriore casistica cfr. M. Ostuni, Assegno di mantenimento e figlio maggiorenne, in IUS Famiglie, 2023). La direzione intrapresa, allora, giunge da lontano e, rispondendo a specifiche esigenze di tutela dei figli (tanto che si afferma che il credito per il contributo è indisponibile e irrinunciabile: Cass. civ., sez. VI, 14 maggio 2018, n.11689), si pone sulla linea interpretativa segnata da specifici precedenti: è il carattere sostanzialmente alimentare (Cass. civ., sez. VI, 18 novembre 2016, n.23569) dell'assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne, a richiedere che «la normale retroattività della statuizione giudiziale di riduzione al momento della domanda vada contemperata con i principi d'irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità di dette prestazioni, con la conseguenza che la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione non può essere costretta a restituirle, né può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo» (Cass. civ., sez. VI, 04 luglio 2016, n.13609; Cass. civ., sez. I, 10 febbraio 2008, n.28987). Osservazioni
Le vecchie distinzioni tra diritto agli alimenti e diritto al mantenimento sembrano essere, almeno in parte e al ricorrere di determinate condizioni, definitivamente superate (T. Auletta, Alimenti e solidarietà familiare, Milano, 1984); appare tramontato il periodo in cui si distingueva attentamente l'un diritto dall'altro, e all'alba di una nuova epoca resta sullo sfondo l'indubbia ed innegabile differenza strutturale e funzionale tra istituti contigui. Non si nega, certamente, che solo il diritto agli alimenti – volto a garantire le più elementari e basilari esigenze di vita (vitto, alloggio, trasporto, cure mediche) e anche i bisogni civili (soprattutto l'istruzione, avuto anche riguardo alla personalità ed alle abitudini pregresse) – richieda, a differenza del mantenimento, tra i presupposti costitutivi uno stato di totale assenza di mezzi di sostentamento. Ma, ciononostante, ponendo l'attenzione sulla comune finalità “assistenziale” delle diverse prestazioni, tale diritto è stato inteso e qualificato come un minus necessariamente ricompreso nella più ampia richiesta di mantenimento (di recente cfr. Cass. civ., sez. VI, 21 novembre 2017, n. 27695). Si comprende pertanto il motivo per cui – in nome del principio di “solidarietà familiare” – si è detto che l'assegno di mantenimento dei figli risponda, al pari degli alimenti, alla necessità di sopperire ai bisogni di vita della persona, sia pure in un'accezione più ampia e non essendo necessario uno stato di indigenza o bisogno, come negli alimenti. |