La Carta di Nizza fu proclamata dal Parlamento, dalla Commissione e dal Consiglio europeo nel 2000, acquisendo efficacia giuridica solo dall'1.12.2009 con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona che le attribuì natura giuridicamente vincolante nell'UE al pari dei Trattati UE e TFUE (v. art. 6, par. 1 TUE), ed è applicabile “alle istituzioni, organi e organismi dell'Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione” (v. art. 51, par. 1 della Carta nonché il “Report on the Application of the EU Charter of Fundamental Rights 2013” del 14.4.2014 della Commissione UE; F. Viganò, “Doppio binario sanzionatorio e ne bis idem: verso una diretta applicazione dell'art. 50 della Carta?”, in Dir. pen. cont., 30.6.2014).
L'art. 50 della Carta, che “conferisce ai soggetti dell'ordinamento un diritto direttamente applicabile” (v. C-537/16, p. 68), stabilisce che “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione (…) a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”, vietando in tal modo, sulla base della regola del ne bis in idem (processuale), il cumulo di procedimenti penali.
Di tale regola, però, nel corso del tempo, da parte delle Corti sovranazionali (Corte EDU e Corte di giustizia UE), ne è stata data una “lettura” in chiave sostanzialistica, nella misura in cui non ci si è limitati ad “osservare” la mera qualificazione formale della norma, bensì si è ritenuto di operare un'indagine circa la natura sostanziale della stessa al fine di verificarne la sua afflittività (penale) o meno e, in caso di esito positivo, si è esteso alle ipotesi differenti da quelle penali le garanzie convenzionali della CEDU.
Tale nuovo “approccio” è stato di fatto inaugurato, in sede convenzionale, dalla Corte EDU con il noto caso Engel (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, serie A, n. 22, §§ 80-82), nel quale tale Corte individuò per la prima volta alcuni criteri (i c.d. tre criteri Engel) per definire il carattere “sostanzialmente penale” di una sanzione inquadrata “formalmente” dall'ordinamento interno come non penale, applicando poi tali criteri anche ad altri campi tra cui quello tributario (v. ad es. Corte EDU, Jussila c. Finlandia, 23 novembre 2006, n. 73053/01, par. 30 e 31 e Corte EDU, Nikänen c. Finlandia, 20 maggio 2014).
La Corte EDU successivamente, con il noto leading case Sergueï Zolotoukhine c. Russia (GC, 10 febbraio 2009, 14939/03, par. 82), sulla scia dell'interpretazione evolutiva della Corte di giustizia, è giunta ad abbandonare il criterio dell'idem legale in favore del criterio dell'idem factum, sostenendo che il concetto di identità va inteso in senso materiale e che la differente qualificazione giuridica non può incidere sull'applicabilità della tutela del ne bis in idem.
I criteri Engel su richiamati, ai fini della valutazione della natura penale delle sanzioni tributarie, come ribadito dalla Corte UE in C-617/10 (p. 35), consistono “il primo nella qualificazione giuridica dell'illecito nel diritto nazionale, il secondo nella natura dell'illecito e il terzo nella natura nonché nel grado di severità della sanzione in cui l'interessato rischia di incorrere” (v. anche C-489/10, p. 37, che richiama CEDU, sentenze Engel 8.6.1976, serie A, n. 22, §§ 80-82, nonché Zolotoukhine 10.2.2009, ricorso n. 14939/03, §§ 52 e 53).
Quanto al divieto espresso nell'art. 50 della Carta, questo ha origine assai remota e se ne possono rintracciare riferimenti (v. le conclusioni dell'Avv. gen. Sharpston, causa C-467/04, p. 72, note 56-60) già in Demostene (Discorso «Contro Leptine» (355 a.C.), o nel diritto romano nel Corpus Juris Civilis di Giustiniano (529-534 d.C.), o ancora, quale prima enunciazione registrata di un principio equivalente nella Common Law, risalendo ad una disputa del dodicesimo secolo tra l'arcivescovo di Canterbury T. Becket ed il re Enrico II, ove il primo sosteneva che i chierici condannati dalle corti ecclesiastiche erano esenti da ulteriori punizioni da parte dei giudici del Re (in quanto sarebbe stato in contrasto con il diritto canonico), basandosi a sua volta su un commento di San Girolamo (391 d. C.) “Perché Dio non giudica due volte per la stessa offesa” (nella letteratura, ormai vastissima in materia, v. C. Amalfitano, “Dal ne bis in idem internazionale al ne bis in idem europeo”, in Riv.dir. int. priv. proc., 2002, p. 923 ss. e della stessa “Commento all'art. 50 Carta”, in R. Mastroianni, O. Pollicino, S. Allegrezza, F. Pappalardo, O. Razzolini (a cura di), Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, Milano, 2017, p. 1015 ss.).
Tale divieto, come affermato dal Parlamento UE (v. GUCE C 184 del 16.4.1984, pag. 138, p. 2 e 3), “trae motivo dall'interesse, tanto per la società, quanto per l'individuo, a che venga pienamente riconosciuta l'autorità della cosa giudicata, e ciò a garanzia del rispetto delle sentenze giudiziarie e della tutela del singolo” e “poggia su due presupposti fra loro complementari, vale a dire la libertà individuale da un lato e, dall'altro, la vis rei iudicatae come elemento di pace sociale”, assicurando in tal modo la certezza del diritto (v. B. Nascimbene, “Ne bis in idem, diritto internazionale e diritto europeo”, in www.penalecontemporaneo.it, 2 maggio 2018, pp. 1-13; nonché le concl. dell'avv. gen. R. J. Colomer in C-187/01, p. 48-57).
Il divieto, a ben vedere, ha subìto una radicale metamorfosi nella sua applicazione pratica, nascendo come regola di carattere eminentemente processuale (penale), ma mutando veste nel tempo, passando da regola a principio, grazie alle continue modellature da parte delle corti sovranazionali (v. ad es. Corte EDU, sentenza Grande Camera Jussila c. Finlandia, 2006, e Corte di giustizia UE, caso Bonda), che hanno di fatto esteso al comparto amministrativo le garanzie proprie di quello penale, nei casi in cui la “seconda” sanzione, nominalmente amministrativa, si ritiene afflittiva ed a carattere sostanzialmente penale (v. A. Bonomi, “Sanzioni amministrative “di seconda generazione”, principio di proporzione, diritti fondamentali”, in www.federalismi.it, 5, pp. 1-31, 2022).
Una deviazione sembra essere rappresentata, in parte, dalla Corte Costituzionale, la quale si è espressa da ultimo in modo più garantistico (in verità è sembrata “vincolata” a farlo) nella sentenza n. 149/2022, nel senso di una rivalorizzazione della valenza (eminentemente) processuale del ne bis in idem nonchè (anche) di un'evidente autonomia tra l'art. 50 e l'art. 49 p. 3 della Carta di Nizza (v. p. 5.1.1) secondo il quale “Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato”.
È stato inoltre osservato (v. J. Della Valentina, “Il paradigma del ne bis in idem tra proporzionalità assorbente, rinnovata concezione processuale e overlapping protection”, in Dir. pen. cont., Riv. trim., 2022, n. 3) come “la struttura trasversale della proporzionalità … non abbia soltanto ingenerato la progressiva torsione del ne bis in idem da una dimensione processuale ad una declinazione eminentemente sostanziale, bensì se ne sia “impossessata”, di fatto assorbendolo”, nonostante il principio di proporzionalità sia chiaramente richiamato e valorizzato autonomamente dalla medesima Carta (v. art. 49, par. 3 e 52 par. 1).
Si è passati, quindi, da una tutela che mira ad evitare la “pena” di dover subire un secondo processo (penale) ad una che mira a bilanciare il carico sanzionatorio finale, a prescindere dal numero dei processi per il medesimo fatto sulla stessa persona, dove l'ago è rappresentato dal principio di proporzionalità che ha inglobato il canone ermeneutico dell'art. 50 della Carta portando all'estremo la Corte UE ed interpretando l'articolo 50 della Carta “in combinato disposto con l'articolo 52, par. 1, della stessa” (v. C-570/20, p. 55) secondo il quale “Eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previstedalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”.
È stata, altrove, attentamente osservata “l'esistenza di più versioni di ne bis in idem” che, come decifrato nel tempo dalla giurisprudenza sovranazionale, non rappresenta più un principio “assiologicamente unitario” bensì una “struttura di per sé neutra, che funge da “trasformatore” di altri principi in regole, e che tutte le ipotesi di regole in “formato ne bis in idem” sono in realtà espressioni di principi autonomi di ogni rango e sorta, o di un bilanciamento tra di essi, e non discendono invece da un medesimo principio unitario” (L. Bin, “Anatomia del ne bis in idem: da principio unitario a trasformatore neutro di principi in regole”, in Dir. pen. cont., Riv. Trim., 3, pp. 98-141, 2020).
In tal modo il “tradizionale ne bis in idem processuale, animato dalla certezza del diritto in senso soggettivo, non può che operare all'interno del processo penale, e mai al di fuori di esso, mentre l'estensione del divieto al diritto amministrativo sanzionatorio risponde ad un altro principio, cioè la proporzione del carico sanzionatorio complessivo”.
Di qui la “naturale” conseguenza che il doppio binario cumulativo penale-amministrativo (tributario) non è (non potrebbe esserlo in automatico) tout court illegittimo (in quanto in contrasto con il divieto processuale “classico”), bensì “potenzialmente in contrasto” (quindi da valutare, in capo al giudice comune, volta per volta) con i diversi principi che “delimitano lo jus puniendi” e che “si manifestano per l'occasione nella forma di ne bis in idem” (v. L. Bin, cit.), tra i quali emerge ben visibile il principio di proporzionalità (non a caso più volte richiamato dalla Corte di giustizia UE oltre che dalla CEDU, ad es. in A e B c. Norvegia,15.11.2016, parr. 50, 80 e 96).
Un'ulteriore evoluzione nel passaggio dall'approccio processuale a quello sostanziale si è avuto, lato Corte EDU, nella sentenza A e B c. Norvegia (v. anche Bjarni Armannsson c. Islanda, 16 Aprile 2019, 72098/14), in cui la Corte derubricava la natura processuale della garanzia del ne bis in idem per far emergere maggiormente quel principio che consentisse la coesistenza di due procedimenti (afflittivo/sanzionatorio), purché, in presenza di alcune condizioni, si potesse registrare l'esistenza della nota regola della “sufficiently close connection in substance and time” (par. 86), ovvero la sussistenza di una “connessione sufficientemente stretta nello spazio e nel tempo” tra procedimento penale ed amministrativo tale da escludere la violazione del ne bis in idem.
Viene lì introdotto un test che individua i “fattori materiali” per determinare se esiste una tale connessione, coerente con la garanzia del ne bis in idem, al ricorrere delle seguenti condizioni (v. A e B c. Norvegia, par. 132):
a) i diversi procedimenti perseguano finalità complementari;
b) la dualità dei procedimenti in parola sia una conseguenza prevedibile, sia in diritto che in pratica, della stessa condotta contestata (idem);
c) i relativi procedimenti siano condotti in modo tale da evitare duplicazioni nella raccolta e nella valutazione delle prove, attraverso un coordinamento tra i procedimenti mediante l'utilizzo nel secondo dei fatti e delle prove del primo e,
d) soprattutto, la sanzione irrogata nei procedimenti che diventano definitivi per primi sia presa in considerazione in quelli che diventano definitivi per ultimi, in modo da evitare che alla fine l'interessato sopporti un onere eccessivo, prevedendo un meccanismo di compensazione inteso a garantire che l'importo complessivo delle eventuali sanzioni irrogate sia proporzionato.
Quanto all'UE, nella Corte di giustizia si è registrato un ulteriore svuotamento delle rigidità insite nella regola processuale di cui all'art. 50 della Carta per effetto del noto trittico di sentenze del marzo 2018 emesse su rinvii pregiudiziali del giudice italiano (sentenze CGUE, Gr. sez., 20 marzo 2018, C‑537/16 Garlsson Real Estate, C‑596/16 Di Puma, C‑524/15 Menci), con cui la Corte, di fatto, ha definitivamente traslato l'indagine dal cumulo processuale a quello sostanziale/punitivo, elevando a regola ermeneutica un ne bis in idem ibrido il cui indicatore è ormai il principio di proporzionalità delle sanzioni (cumulativamente) irrogate, ciò soprattutto in ragione della necessaria tutela (da parte degli Stati membri e di riflesso da parte della Corte UE) di ulteriori “interessi” unionali (ad es. a partire da C-14/68 oltre che poi in C-108/01, C‑436/04, C-150/05, C-297/07, C-398/12, C-129/14, ed altri), in specie quelli finanziari, rendendo così completa la metamorfosi (v. Recchia, cit.) e, quindi, la giustificazione di un doppio binario cumulativo sanzionatorio.
Altrove, inoltre, è stato correttamente argomentato (v. Recchia, cit.) come “… sembra interamente compiuto il percorso di metamorfosi della garanzia del ne bis in idem, che nasce in ambito processuale come garanzia contro l'arbitraria proliferazione dei procedimenti, inun'altra garanzia, quella della proporzione sanzionatoria di cui all'art. 49 comma 3 della Carta - non a caso esplicitamente citata dalla Corte di giustizia - volta a garantire in ambito sostanziale la proporzione del carico sanzionatorio (qui derivante dalla somma di due diverse sanzioni) rispetto ai fatti commessi. Si tratta però, come detto, di un'altra garanzia, avente una diversa fonte normativa, che legittimerebbe certamente lo stesso tipo di controllo ora artificiosamente ascritto alla garanzia del ne bis in idem” (v. anche F. Mucciarelli, “Illecito penale, illecito amministrativo e ne bis in idem: la Corte di Cassazione e i criteri di stretta connessione e di proporzionalità”, in Dir. pen. cont., 17.10.2018, il quale riferisce condivisibilmente di un “carattere asimmetrico del ne bis in idem eurounitario”).
Da queste brevi premesse si può comprendere il motivo per cui la Corte di giustizia non affermi, a priori, nella propria giurisprudenza, l'illegittimità del cumulo sanzionatorio a carattere penale, e perché quindi abbia escluso che il cumulo sanzionatorio amministrativo-penale (per omesso versamento IVA e relativo processo penale) nei confronti del sig. Menci (C‑524/15; v. anche Cass. n. 45829/2018) costituisse una violazione dell'art. 50 della Carta, rappresentando “soltanto” una “limitazione del principio del ne bis in idem garantito all'articolo 50 della Carta … giustificata sul fondamento dell'art. 52, par. 1, della medesima” (v. p. 40 che richiama anche C-129/14 PPU, p. 55 e 56), purché tale sistema normativo (italiano):
- sia volto ad un obiettivo di interesse generale tale da giustificare il cumulo, fermo restando che detti procedimenti e dette sanzioni devono avere scopi complementari,
- contenga norme che garantiscano una coordinazione che limiti a quanto strettamente necessario l'onere supplementare che risulta da tale cumulo, e
- la severità del complesso delle sanzioni imposte sia limitato a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato.
Quanto inoltre ai criteri Engel sopra citati, recepiti dalla Corte di giustizia e finalizzati alla valorizzazione del “carattere penale” delle sanzioni complessivamente irrogate ad un determinato soggetto, vengono dalla Corte UE affidati alle “cure” del giudice nazionale.
Ciò sulla base della giurisprudenza sviluppatasi in seno alla Corte UE a partire dal caso Fransson in C-617/10, che ha definito i criteri che i giudici comuni dovevano applicare circa il diritto di una persona di non essere perseguita due volte per la medesima violazione dell'obbligo di pagamento IVA.
Il giudice comune è tenuto ormai, volta per volta, in assenza di “regole certe”, ad operare una valutazione complessiva del possibile cumulo sanzionatorio (doppio binario) dell'illecito amministrativo/tributario (a carattere penale) e del reato penale in eventuale contrasto con il divieto dell'art 50 della Carta, mediante la valorizzazione del grado di gravità delle sanzioni inflitte (criterio di proporzionalità di cui agli artt. 49 e 52 richiamati).
Sempre nel caso Fransson, la Corte UE ci dice che il principio del ne bis in idem sancito all'art. 50 della Carta non osta a che il sistema giuridico di uno Stato membro “imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA, una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale, qualora la prima sanzione non sia di natura penale” (v. C-617/10, p. 37).
Viene in tal modo affidato dalla Corte UE al giudice nazionale il compito di bilanciare la proporzionalità delle sanzioni irrogate (art. 49, par. 3 della Carta) con l'obbligo previsto in capo agli Stati membri di apprestare e mantenere la tutela degli interessi (finanziari) unionali, potendo il giudicante ricalibrare l'impianto sanzionatorio in ragione del cumulo ma “a condizione che le rimanenti sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive” (v. C-617/10, p. 36, nonchè C-326/88, p. 17, C-167/01, p. 62, C-230/01, p. 36, C-387/02, p. 65; nonché Cass. n. 49869/2018 e n. 39999/2019).
La Corte UE ha così, nel tempo, specificato (v. ad es. C‑129/14 PPU, p. 55 e 56, e C‑524/15, p. 40) che la protezione conferita dalla Carta non osta, in relazione alla facoltà di limitare l'applicazione del principio del ne bis in idem, a che un'impresa sia sanzionata due volte “per gli stessi fatti”, purché il “cumulo di procedimenti e di sanzioni”, quanto al suo carattere strettamente necessario, sia condizionato all'esistenza di “norme chiare e precise che consentano di prevedere quali atti e quali omissioni possano costituire l'oggetto di un cumulo di procedimenti e di sanzioni nonché il coordinamento tra le diverse autorità, se i due procedimenti siano stati condotti in modo sufficientemente coordinato e ravvicinato nel tempo e se la sanzione eventualmente inflitta in occasione del primo procedimento sul piano cronologico sia stata presa in considerazione al momento della valutazione della seconda sanzione, di modo che gli oneri derivanti, a carico degli interessati, da un cumulo del genere siano limitati a quanto strettamente necessario e che il complesso delle sanzioni imposte corrisponda alla gravità delle infrazioni commesse” (v. C-117/20, p. 51 che richiama C‑524/15, p. 49, 52, 53, 55 e 58, nonché Corte EDU, A e B c. Norvegia, par. da 130 a 132).
È in tal modo naturale che poi la Corte UE affermi che (v. C-617/10, p. 45 e 46) il giudice comune, incaricato di applicare le norme di diritto dell'UE, in caso di “conflitto tra disposizioni del proprio diritto interno e diritti garantiti dalla Carta … ha l'obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all'occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale” (richiama C-106/77, p. 21 e 24, C-314/08, p. 81, C-188/10, p. 43).
La vicenda da ultimo affrontata in C-97/21 è l'ulteriore dimostrazione della contaminazione (processuale/sostanziale) della regola del ne bis in idem con il principio di proporzionalità, potendo assistere all'applicabilità del ne bis in idem in un caso di irrogazione di un'ammenda e di una misura amministrativo coercitiva di apposizione di sigilli al locale commerciale, qualificate giuridicamente dal sistema normativo interno come amministrative.
Qui la Corte ricorda che, “secondo una giurisprudenza costante” (v. p. 34), le sanzioni amministrative inflitte dall'Erario in materia di IVA costituiscono applicazione diretta della Dir. IVA 2006/112, quindi del diritto unionale, dovendo di conseguenza, secondo un'equazione coerente con quanto sin qui argomentato, “rispettare il diritto fondamentale garantito dall'articolo 50” della Carta (richiama C‑570/20, p. 26) che vieta il cumulo tanto di procedimenti quanto di sanzioni con natura penale.
È quindi giustificabile che uno Stato membro imponga, al fine di assicurare la riscossione dell'IVA e tutelare gli interessi finanziari dell'UE, “per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA una combinazione di sovrattasse e sanzioni penali”, essendo il singolo Stato libero di scegliere che le sanzioni applicabili siano “inflitte sotto forma di sanzioni amministrative, di sanzioni penali o di una combinazione delle due”, con il “limite” della duplicazione, vietato dall'articolo 50, qualora la sovrattassa sia di natura penale e sia divenuta definitiva (v. 617/10, p. 34).